ORDINANZA N. 14
composta dai signori:
- Riccardo CHIEPPA Presidente
- Gustavo ZAGREBELSKY Giudice
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel
giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 116 del codice
civile promosso dal Tribunale di Roma con ordinanza del 3 settembre 2001 sui
ricorsi riuniti proposti da Bouaziz Nabiha Bent Ayech ed altri contro il Comune
di Roma iscritta al n. 283 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n.
24, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Visto l’atto di costituzione del Comune di
Roma nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nell’udienza pubblica del 5 novembre
2002 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi l’avvocato Roberto Tomasuolo per il
Comune di Roma e l’avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente
del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che il Tribunale di Roma, con ordinanza del 3
settembre 2001, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in
riferimento all’art. 2 della Costituzione, dell’art 116 del codice
civile, nella parte in cui impone allo straniero, il quale voglia contrarre
matrimonio in Italia, la presentazione all’ufficiale dello stato civile
di una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese,
dalla quale risulti che nulla osta al matrimonio secondo le leggi alle quali
egli è assoggettato, ovvero, in subordine, nella parte in cui non
prevede che, in mancanza della predetta dichiarazione, possa essere presentata
al detto ufficiale documentazione idonea ad attestare la mancanza di
impedimenti al matrimonio, secondo la legislazione cui il cittadino straniero
è sottoposto;
che il giudice a quo era stato adito, con due distinti ricorsi ex
art. 98, comma secondo, del
codice civile, successivamente riuniti, avverso il rifiuto dell’ufficiale
dello stato civile di procedere alle pubblicazioni di matrimonio – in
ragione della mancanza del certificato richiesto dall’art. 116 cod. civ.
– da due coppie costituite, rispettivamente, da una cittadina tunisina e
da un italiano e da un cittadino siriano a da un’italiana: nel primo caso
l’impedimento al matrimonio derivava dal divieto, posto dalla legge
tunisina, al matrimonio con un cittadino straniero di religione non islamica,
mentre nel secondo dei due giudizi, la certificazione non era stata rilasciata
a causa del mancato svolgimento del servizio militare di leva da parte del
cittadino siriano;
che i nubendi avevano convenuto in giudizio il
Comune di Roma e, premesso di possedere i requisiti richiesti dagli artt. 84,
85, 86 cod. civ. ed altresì esclusi gli impedimenti al matrimonio ex artt. 87, 88, 89 cod. civ., avevano chiesto
che il Tribunale autorizzasse l’ufficiale dello stato civile ad
effettuare le pubblicazioni;
che il remittente, sulla premessa della
mancata previsione di un provvedimento «autorizzativo al
matrimonio», ritenuto legittimo il rifiuto dell’ufficiale dello
stato civile, prospetta come risolutiva la declaratoria d’illegittimità
costituzionale dell’art. 116 cod. civ., norma considerata ostativa ad un
accoglimento delle domande, sia con riguardo alla stessa previsione della
presentazione della dichiarazione, sia, in subordine, nella parte in cui non
consente ai nubendi di produrre, in sostituzione della medesima,
un’attestazione della mancanza di impedimenti al matrimonio;
che, a parere del Tribunale, la norma
censurata affiderebbe la capacità matrimoniale dello straniero ad una
mera autorizzazione dell’autorità competente, senza neppure
ipotizzare una motivazione del rifiuto, così frapponendo un serio
ostacolo alla realizzazione del diritto fondamentale a contrarre matrimonio:
ove infatti lo straniero non possa ottenere la dichiarazione per motivi
politici, razziali, religiosi, per una scelta discrezionale
dell’autorità competente, a causa di disposizioni non applicabili
nel nostro ordinamento perché produttive di effetti contrari
all’ordine pubblico od anche soltanto per ragioni contingenti, sarebbe
impossibile qualsiasi controllo delle autorità italiane sui motivi
dell’omessa presentazione;
che, osserva il giudice a quo, dovendo l’ufficiale dello stato civile
limitarsi, attualmente, a rifiutare le pubblicazioni in mancanza della
dichiarazione, in assenza del potere di valutare eventuale documentazione
prodotta dai nubendi, a seguito della declaratoria d’illegittimità
costituzionale invocata in via principale, questi sarebbe abilitato a procedere
alle pubblicazioni, ove rilevasse la contrarietà all’ordine
pubblico di eventuali impedimenti, in quanto l’interessato potrebbe
presentare, in alternativa alla dichiarazione, la documentazione attestante la
mancanza d’impedimenti sulla base della legge nazionale, secondo le
modalità previste dall’art. 2 del d.P.R. 31 agosto 1999, n. 394;
che, in conseguenza della declaratoria
d’illegittimità prospettata come subordinata, la norma in
questione dovrebbe consentire allo straniero la diretta presentazione
all’ufficiale di stato civile di una documentazione equipollente alla
dichiarazione in argomento ed al giudice, adito avverso il rifiuto di procedere
alle pubblicazioni, la possibilità di riesaminare la documentazione, di
integrarla con i poteri previsti dall’art. 14 della legge 31 maggio 1995,
n. 218 e di procedere all’accertamento delle condizioni che consentono il
matrimonio;
che, nel sollevare la questione, il giudice
remittente ha disposto la notifica dell’ordinanza al ministero
dell’Interno (in quanto competente alla tenuta dei registri dello stato
civile) e ai ministeri della Giustizia e degli Esteri, quali
“controinteressati”;
che è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale
dello Stato, concludendo per la declaratoria d’inammissibilità
ovvero d’infondatezza della questione e rilevando preliminarmente
l’opinabilità della premessa del remittente secondo la quale il
giudice adito ex art. 98
cod. civ. non potrebbe autorizzare le celebrazione del matrimonio in assenza
della dichiarazione prevista dalla norma impugnata;
che, nel merito, l’Autorità
intervenuta distingue il caso in cui la dichiarazione di nulla-osta non sia
stata rilasciata a causa di disfunzioni organizzative
dell’autorità dello Stato estero (circostanza in cui il nubendo
potrebbe produrre documentazione attestante l’assenza di impedimenti)
dall’ipotesi del rifiuto ad emettere il nulla-osta, in cui la
presentazione della documentazione predetta sarebbe esclusa, ma che
consentirebbe al giudice adito ex art. 98 cod. civ. di autorizzare il matrimonio (in conformità
all’art. 16 della legge n. 218 del 1995);
che nel giudizio dinanzi a questa Corte si
è costituito il Comune di Roma, affermando anzitutto il proprio
interesse ad un’applicazione della legge non affidata alla
discrezionalità degli ufficiali dello stato civile, e concludendo nel
merito per la declaratoria di non fondatezza della questione.
Considerato che il giudice a quo pone la questione articolandola in due quesiti
collegati da un rapporto di logica subordinazione, non ostativa
all’ammissibilità dell’impugnativa (sentenza n. 188 del
1995), in quanto egli invoca un’addizione normativa solo ove non
venga accolta la richiesta di declaratoria d’illegittimità
costituzionale prospettata come prima soluzione;
che il Tribunale di Roma in via principale
dubita, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, della
legittimità costituzionale dell’art.116 del cod. civ., in quanto
la prescrizione allo straniero dell’obbligo di presentare all’ufficiale
dello stato civile la dichiarazione dell’autorità competente del
proprio Paese che nulla osta al matrimonio secondo la legge cui è
sottoposto incide, limitandola gravemente, sulla libertà di contrarre
matrimonio;
che la questione, formalmente proposta con
riguardo all’intero art. 116 cod. civ., alla luce della motivazione va
circoscritta al solo primo comma avente ad oggetto la suindicata prescrizione;
che la questione è manifestamente
inammissibile, in quanto il remittente, per consentire allo straniero il matrimonio
anche nei casi in cui la presentazione del nulla-osta sia resa impossibile o
dalle circostanze di fatto esistenti nel proprio Paese oppure da una
legislazione prevedente condizioni per il matrimonio contrarie all’ordine
pubblico, postula che sia espunta dall’ordinamento l’intera
disposizione concernente il nulla-osta, documento questo che nella maggior
parte dei casi non limita ma facilita l’esercizio della libertà
matrimoniale;
che non vi è quindi corrispondenza tra
la questione come proposta e la motivazione che il Tribunale di Roma ha
addotto;
che in subordine il giudice remittente, anche
in questo caso al di là della letterale formulazione del quesito, da
individuare nei suoi esatti termini alla stregua della motivazione, sospetta
d’illegittimità costituzionale l’art. 116 cod. civ. (recte: l’art. 116, primo comma, cod. civ.)
nella parte in cui non prevede che lo straniero possa provare con ogni mezzo la
ricorrenza delle condizioni per contrarre matrimonio secondo le leggi del
proprio Paese ad eccezione, eventualmente, di quelle che contrastano con
l’ordine pubblico;
che tale questione è manifestamente
infondata, anzitutto in quanto il remittente ha erroneamente valutato
l’ambito dei provvedimenti adottabili all’esito del procedimento ex
art. 98, secondo comma, cod.
civ., escludendo la configurabilità di una decisione autorizzatoria ed
omettendo così di verificare la differente interpretazione della norma
censurata derivante dalla possibilità di autorizzare le pubblicazioni,
secondo una soluzione già più
volte seguita dalla giurisprudenza di merito;
che, inoltre, il giudice a quo considera isolatamente la norma impugnata,
senza inquadrarla nel sistema, in particolare senza riferirsi al contesto
normativo in cui l’applicazione della legge straniera è esclusa
ove i suoi effetti siano contrari all’ordine pubblico.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 116 del codice civile,
sollevata dal Tribunale di Roma, in riferimento all’art. 2 della
Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta infondatezza della questione di
legittimità costituzionale del medesimo art. 116 del codice civile,
sollevata in via subordinata dallo stesso Tribunale, in riferimento
all’art. 2 della Costituzione, con l’ordinanza di cui sopra.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 gennaio 2003.
Riccardo CHIEPPA, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 30 gennaio 2003.