Ricongiungimento familiare :

una direttiva contro il diritto di vivere in famiglia

 

Il Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea per la Giustizia e gli Affari Interni, riunito il 27 e il 28 febbraio, ha “definito un approccio generale” riguardante la direttiva sul diritto al ricongiungimento familiare.

Il Coordinamento europeo per il diritto degli stranieri a vivere in famiglia aveva sostenuto la versione iniziale di questa direttiva, presentata sotto forma di proposta nel dicembre 1999 dalla Commissione europea. Quel testo ha subito da allora, sotto la pressione degli Stati membri, modifiche talmente sostanziali che il Coordinamento, venuto a conoscenza della terza versione della proposta di direttiva resa pubblica dalla Commissione il 2 maggio 2002, vi aveva visto “un passo indietro inquietante” e aveva lanciato un appello per denunciarne lo spirito generale.

Il testo sul quale si è raggiunto un accordo il 28 febbraio è doppiamente criticabile: nella sostanza, come vedremo, ma anche nella forma, perché il Consiglio, adottandolo, ha operato una forzatura istituzionale, dato che era previsto che il Parlamento europeo esaminasse prima della fine del mese di marzo il progetto di rapporto sulla proposta di direttiva, preparato dalla Commissione delle Libertà e dei Diritti dei Cittadini, della Giustizia e degli Affari interni.

Del testo approvato il 28 febbraio, di cui il Coordinamento europeo per il diritto degli stranieri a vivere in famiglia aveva pubblicato nel settembre 2002 un’analisi della versione precedente, possiamo evidenziare i seguenti punti:

● vengono esclusi dal campo di applicazione del diritto a farsi raggiungere dalla loro famiglia le persone che beneficiano, in uno Stato membro, dello statuto di protezione temporanea o dello statuto di protezione sussidiaria, come pure gli stranieri che non potranno provare di avere “una prospettiva fondata di ottenere un diritto di soggiorno durevole”;

● il ricongiungimento è limitato al coniuge e ai figli minori a carico; tuttavia, questo principio è inficiato da due gravi accomodamenti: gli Stati membri, dove la legislazione nazionale esistente prima dell’entrata in vigore della direttiva lo prevedesse, possono subordinare il ricongiungimento dei figli minori di oltre 12 anni di età, venuti soli, ad una condizione di integrazione. Inoltre, gli Stati membri possono, se la loro legislazione alla data dell’entrata in vigore della direttiva lo prevede, rifiutare l’ammissione di minori con più di 15 anni di età.

La direttiva non prevede il diritto al ricongiungimento familiare per gli altri membri della famiglia (partner non sposati che possono provare una relazione durevole, i figli del richiedente o del suo coniuge avuti con altro genitore che abbia dato il suo consenso, i genitori a carico, i figli maggiorenni non sposati e incapaci), tuttavia precisa che gli Stati membri “possono” accordare loro il soggiorno in questo quadro;

● gli Stati membri possono esigere che i coniugi (richiedente e ricongiunto) abbiano almeno 21 anni di età ;

● la durata dell’esame della procedura, limitata in linea di massima a nove mesi, può essere estesa in caso di complessità (ma questa nozione non viene precisata); tale prolungamento dei tempi non ha limiti, mentre nella versione precedente si diceva che non può andare oltre un anno;

· il ricongiungimento familiare può essere rifiutato per ragioni di ordine pubblico o di sicurezza interna. E’ scomparsa nella nuova versione l’indicazione che queste ragioni devono essere fondate sul “comportamento personale” dei membri della famiglia, ma precisa che le ragioni possono essere giustificate non solo da atti commessi dal membro della famiglia, ma anche dai pericoli che esso rappresenta;

· il tempo di attesa per poter chiedere il ricongiungimento familiare è di due anni, ma può essere portato a tre anni in quegli Stati membri la cui legislazione sul ricongiungimento familiare, in vigore alla data di adozione della direttiva, tenga conto della capacità di accoglienza del paese;

· oltre alle condizioni di risorse e di abitazione poste al richiedente, si aggiunge una disposizione che permette agli Stati membri di esigere che gli stranieri interessati dal ricongiungimento si sottopongano a programmi di integrazione;

· mentre il testo precedente prevedeva che il titolo di soggiorno concesso ai ricongiunti dovesse avere la stessa durata di quello del richiedente, ora la direttiva ne fissa la durata ad “almeno un anno”;

· l’accesso al lavoro dei membri della famiglia ricongiunti (coniugi) può essere proibito fino ad un anno dall’arrivo;

· i coniugi e i figli ricongiunti possono acquisire uno statuto indipendente da quello del richiedente solo dopo cinque anni. E comunque, per gli ascendenti e i figli maggiorenni, eventualmente ammessi a titolo di ricongiungimento familiare, ciò non è mai automatico anche dopo questo periodo;

· parecchie sono lo circostanze in cui il diritto di soggiorno dei membri della famiglia può essere rimesso in discussione e quindi non rinnovato: in particolare, se chi ha richiesto il ricongiungimento avesse una relazione stabile con un’altra persona, oppure se si acclara che il matrimonio, la relazione con il  partner o l’adozione sono fittizi (a questo proposito, il testo chiede un occhio di riguardo nel caso che tali rapporti siano contratti dopo che la persona ricongiunta abbia ottenuto il diritto di soggiorno!);

· i ricorsi contro una decisione di rifiuto di ricongiungimento familiare sono estremamente ridotti, dato che la direttiva si accontenta di prevedere che gli stranieri interessati possono ricorrere per vie giuridiche, secondo le modalità fissate dalle legislazioni degli Stati membri;

· infine, nei casi in cui il richiedente sia un rifugiato riconosciuto, il dispositivo di ricongiungimento familiare previsto dalla direttiva viene molto alleggerito; tuttavia, notiamo che anche in questo caso la direttiva ha introdotto alcune restrizioni rispetto alle versioni anteriori del testo.

Con questa direttiva, il Consiglio dell’Unione europea pone il sigillo alla rottura con gli impegni che aveva preso al Consiglio europeo di Tampere del 1999, dove affermava di volere “stabilire un approccio comune per assicurare l’integrazione delle persone originarie da paesi terzi legalmente residenti nell’Unione” nel ”rispetto degli strumenti pertinenti in materia dei diritti dell’uomo”.

Limitando allo stretto necessario le persone suscettibili di beneficiare del ricongiungimento familiare, moltiplicando, a seconda delle esigenze di ognuno degli Stati membri, le condizioni per il ricongiungimento, indebolendo lo statuto dei membri ricongiunti, permettendo la rimessa in discussione del loro statuto dopo che si sono installati, non imponendo regole chiare che permettano l’esercizio di ricorsi effettivi alle persone respinte, il testo adottato il 28 febbraio si richiama ad una filosofia contraria a quegli obiettivi : è emblematico il fatto che non faccia nessun riferimento alle convenzioni internazionali che proteggono i diritti della persona (in particolare la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e la Convenzione internazionale sui diritti del bambino).

Il bilancio è talmente deprimente che il Commissario Vitorino, commentando l’accordo concluso al Consiglio, è stato costretto a precisare che “la direttiva non obbliga i paesi più generosi ad abbassare il livello di protezione”! Questa direttiva sul ricongiungimento familiare, presentata come il “primo strumento legislativo adottato sull’immigrazione legale”, come pure la direttiva sull’accoglienza dei richiedenti asilo adottata a fine gennaio 2003, non promettono niente di buono circa il posto che l’Unione intende riservare alle persone non comunitarie nell’Europa allargata.

Se la direttiva entrasse in vigore, l’insieme di queste condizioni renderebbe ancora più difficile, , l’integrazione degli immigrati e particolarmente dei giovani. Da una parte non sarebbe garantito il diritto al rispetto della loro vita privata; dall’altra le condizioni imposte loro preluderebbero in un prossimo futuro coabitazioni difficili, da cui potranno scaturire conflitti sociali dolorosi e difficili da superare.

 

(9 marzo 2003)