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SEZIONE FERIALE
Il Giudice, Roberto Monteverde, sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 20/08/2003, ha pronunziato la seguente
Nel procedimento civile speciale
promossa da: XXXX
rapp.ta dall'avv. MUGHINI Luigi
contro: PREFETTO DI FIRENZE
Letto il ricorso proposto e depositato in data 07/08/03, dall'avv. MUGHINI Luigi per conto della cittadina albanese XXXX nel procedimento sovrarubricato, per conseguire l’annullamento del decreto di espulsione del Prefetto della Provincia di Firenze in data 04/08/03;
che la ricorrente ha impugnato con il ricorso il decreto di espulsione del Prefetto della Provincia di Firenze in data 04/08/03 in considerazione di un’articolata serie di motivi, fra i quali la configurabilità, in capo ad essa, dei presupposti e condizioni relative alla posizione dei soggetti considerati dall’art. 19 Dlgs. 286/1998;
che il predetto motivo riveste, se fondato, carattere assorbente, in grado di definire di per sé il presente procedimento, talché appare necessario esaminare segnatamente quanto dedotto al riguardo dalle parti;
che la ricorrente esponeva in ricorso di essere presente sul territorio nazionale senza permesso di soggiorno, lavorando stabilmente come collaboratrice domestica dal 10/06/2002 presso la Sig.ra XXXX, la quale aveva presentato domanda di regolarizzazione in favore di essa ricorrente;
di essere stata prelevata da agenti di Polizia dalla propria abitazione in data 04/08/2003 ed accompagnata in Questura per l’esecuzione del decreto di espulsione immediata dal territorio nazionale mediante accompagnamento alla frontiera;
che nella stessa data il difensore della predetta ricorrente notiziava l’autorità amministrativa procedente dell’esistenza di una domanda di regolarizzazione in favore dell’espellenda (domanda già respinta in data 25/07/2003 dal Prefetto, come risulta dagli atti di causa) e di ulteriori circostanze ostative all’espulsione, consistenti nell’essere stata la XXXX vittima di sfruttamento sessuale da parte di un’organizzazione criminale del proprio Paese;
che tali circostanze sono state ulteriormente sviluppate nel ricorso per cui è procedimento evidenziando che la XXXX ebbe a presentare nel corso del 1996 denuncia alla Questura di Firenze nei confronti del cittadino albanese XXXX, a causa della quale e del conseguente procedimento penale nei confronti di quest’ultimo, unitamente al tentativo di sottrarsi alla condizione di sfruttamento sessuale perpetrato ai suoi danni, subì minacce di morte estese ai propri familiari ancora presenti in Albania;
che tale pericolo di vita o all’incolumità sua e dei propri congiunti deriverebbe, non secondariamente, dall’osservanza da una parte della popolazione albanese della così detta legge del Kanun, in base alla quale coloro che ritengono di aver subito un torto, legittimo o meno (come tipicamente l’avere ricevuto una denuncia con la sottoposizione ad un conseguente procedimento penale) sono autorizzati, unitamente ai propri familiari, a farsi giustizia nella maniera che ritengono più opportuna nei confronti di chi ha commesso il preteso torto o anche nei confronti dei suoi parenti, talché rimanendo in Albania vedrebbe concretamente in pericolo la propria vita in quanto vittima di persecuzione personale;
che la situazione, siccome rappresentata, abilitava ed abilita la ricorrente a richiedere il rilascio di un permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 18 del Dlgs 286/1998 e, in ogni caso, a richiedere l’applicazione nei suoi confronti della misura del divieto di espulsione e di respingimento prevista dall’art. 19 stesso testo;
che con due distinte ordinanze in data 08/08/03 veniva disposta dal Giudice l’acquisizione presso all’Autorità che aveva emesso il provvedimento impugnato di copia di tutti gli atti relativi alla posizione dello straniero ricorrente e segnatamente della denuncia presentata alla Questura di Firenze nel 1996 contro XXXX e, d’ufficio, degli atti dell’eventuale procedimento penale svoltosi a carico di XXXX e delle eventuali pronunce giurisdizionali ad esso relative, atti tutti presenti nell’attuale incarto processuale;
dagli atti acquisiti emerge una fitta rete di elementi che convergono nella direzione della fondatezza dell’assunto della ricorrente in ordine alla grave minaccia alla vita ed all’incolumità subita;
in particolare, dalla acquisita sentenza di condanna di XXXX, n. 597 del 06/05/1999, dep. 21/06/1999 (in giudicato dal 04/10/1999) resa dal Tribunale di Firenze, risulta, dalle dichiarazioni rese da certa XXXX e dagli agenti di polizia penitenziaria XXXX e XXXX nonché dal Sovrintendente di P.S. XXXX:
che l’XXXX venne arrestato il 12/04/96 al parco delle Cascine di Firenze sorpreso dalla Polizia mentre picchiava insieme ad altro uomo l’odierna ricorrente XXXX, poi identificata sotto l’alias di XXXX;
che l’XXXX era lo sfruttatore della prostituzione della XXXX, era particolarmente violento e la picchiava spesso, la minacciava continuamente se non avesse fatto il suo lavoro consegnando a lui i proventi ed in caso contrario o di insufficiente guadagno sottoponendola a violenze morali e materiali che arrivavano anche ad ustioni prodotte da sigarette accese che le venivano spente addosso;
che era costretta a recarsi tutte le mattine in Piazza Indipendenza a Firenze per consegnare i soldi all’XXXX o ad un'altra persona albanese;
che la XXXX era costretta, fin dal febbraio 1996, contro la sua volontà a prostituirsi sotto l’incombenza di gravi minacce, oltre che di violenza a sé stessa, anche di morte per il proprio figlio in Albania;
che tuttavia la XXXX non sporse alcuna denuncia contro il suo sfruttatore;
compulsando funditus gli atti del dibattimento penale, acquisiti al presente procedimento, è dato inoltre rilevare ulteriori importanti circostanze, ed in particolare:
che la XXXX (alias XXXX), confidandosi con l’agente di P.P. XXXX, piangendo rivelò, secondo quanto da questi riferito, che “era minacciata da un suo connazionale e non mi voleva dire il nome…la costringeva a prostituirsi perché gli aveva sequestrato il figlio in Albania … dai suoi amici ma per suo conto … E la costringeva a prostituirsi e infatti lei tutte le mattine … a Piazza Indipendenza … gli doveva portare i soldi … che aveva guadagnato la sera”, connazionale sulla cui identificazione con XXXX XXXX non vi è dubbio negli atti del giudizio penale (cfr. verbale di udienza 06/05/99 pagg. 19 e 20);
che la XXXX “era … terrorizzata da questo XXXX … aveva una paura … e infatti non voleva venire in Questura a denunciarlo perché era terrorizzata da quest’uomo che se solo avesse saputo che lei diceva una parola le avrebbe ammazzato il figlio…” (cfr. verbale di udienza 06/05/99 pag 21);
che la XXXX “… non voleva prostituirsi … voleva soltanto tornare in Albania e rivedere il suo bambino … E invece lui gli diceva che non glielo faceva rivedere fino a quando non gli portava una somma di soldi” (cfr. verbale di udienza 06/05/99 pag 21);
che la XXXX fosse veramente terrorizzata dalla violenza e dalle minacce dell’XXXX e dei suoi complici albanesi risulta in effetti dalla stessa circostanza della mancata denuncia nei confronti del suo persecutore in occasione del pestaggio subito al parco delle Cascine di Firenze, già rilevata dalla sentenza di condanna e reperibile in atti sotto il verbale di sommarie informazioni rese dalla sedicente XXXX alla Squadra Mobile della Questura di Firenze il 12/04/96, dove si limitò in realtà a confermare quanto già obiettivato sul diverbio avuto con l’XXXX, sulle sue minacce e sulle percosse subite, soggiungendo:
“Non ho ritenuto di recarmi presso un Ospedale per farmi curare le ferite riportate a seguito delle percosse ricevute da XXXX anche perché non avevo l’intenzione di metterlo nei guai”;
tuttavia, proprio grazie alla confidenza e fiducia nata nei confronti degli agenti di P.P. Clemente e Notarfonso, successivamente la XXXX, nel mese di agosto 1996, riusciva intanto a distaccarsi dal proprio sfruttatore, probabilmente per la paura di conseguenze gravi cui era esposta da parte dell’XXXX e dei suoi complici che sospettavano una sua diretta azione di denuncia:
“… aveva paura di essere uccisa … io gli ho detto andiamo in Questura e lei non voleva andarci, anche perché aveva paura che gli ammazzavano il figlio e mi disse almeno per il momento poi magari successivamente … vengo a sporgere una denuncia … Aveva dei parenti in Italia … a Milano … l’ho portata a Bologna visto il rischio che c’era, perché c’era questo XXXX (un complice dell’XXXX. N.d.r.) che la cercava … forse aveva capito qualcosa … poi a Bologna … dice che sono arrivati i parenti e l’hanno portata via” (Cfr. deposizione teste Clemente, verbale udienza 06/05/1999, pag. 11);
non è dunque umanamente difficile spiegare la finale resipiscenza che porterà la XXXX, in un processo di progressiva crescita e di assunzione di responsabilità impervie e coraggiose, a denunciare il proprio persecutore, come risulta dal teste Clemente:
“Comunque poi successivamente la ragazza (la XXXX) è venuta in Questura, ha sporto denuncia … C’è un verbale in cui praticamente ha confermato anche quello che non aveva confermato precedentemente in occasione del pestaggio da parte dell’XXXX nei suoi confronti, e poi ha collaborato dandoci informazioni” (Cfr. deposizione teste Clemente, verbale udienza 06/05/1999, pagg. 11 e 12);
ed in effetti il contenuto della denuncia svolta dalla XXXX il successivo 20/09/1996 alla Squadra Mobile della Questura di Firenze appare particolarmente ampio e approfondito, avendo dichiarato, per quanto qui interessa:
“Mi chiamo XXXX, ma quando sono stata precedentemente fermata da voi, ho dato il nome di XXXX e da circa un anno e mezzo, da quando sono entrata in Italia, vivo qui a Firenze. … Preciso che XXXX, all’inizio, mi portò in Italia con la promessa di farmi lavorare come cameriera in un albergo, ma giunti qui mi fece dire dalla XXXX (altra donna albanese costretta alla prostituzione – n.d.r.) che avrei dovuto fare la prostituta. In principio mi opposi, ma XXXX mi convinse soprattutto facendo leva su mio figlio di quattro anni che era rimasto in Albania e che dovevo mantenere. Iniziai quindi la mia attività di prostituta lavorando alle Cascine e in Viale Talenti. … Su precise disposizioni di XXXX, tutte le mattine, verso le 11,00, mi incontravo con lui in Piazza Indipendenza e gli consegnavo l’incasso della serata. XXXX mi dava lo stretto necessario per pagare l’albergo e comprarmi i vestiti. … Spesso XXXX era ubriaco e se gli portavo pochi soldi, mi picchiava selvaggiamente. Ricordo che una mattina, verso le 05,00, mentre ero alle Cascine, appena terminato di lavorare, mi ero intrattenuta a colloquiare con delle mie “colleghe” … A quel punto vidi XXXX che, avvicinatosi, mi accusò di perdere tempo e di non lavorare. Era visibilmente ubriaco. Immediatamente dopo mi colpì ripetutamente con calci e pugni, tanto che io iniziai a urlare. Proprio in quel frangente intervenne la Polizia che rincorse XXXX. … Proprio quella mattina alla pensione Graziella, arrivarono dei poliziotti che mi condussero in Questura. Ricordo che fui sentita sull’episodio di quella notte, ma non dissi la verità in quanto avevo molta paura di eventuali ritorsioni di XXXX e dei suoi cugini, nei confronti di mio fratello e mio figlio che sono in Albania. Preciso che XXXX mi ha minacciato di morte e mi ha riferito che se non avessi continuato a fare la prostituta, o se avessi riferito a qualcuno che lui era il mio sfruttatore, avrebbe ucciso mio figlio e la mia famiglia. Seppi poi che XXXX venne arrestato. … Vorrei riferire che circa 5/6 mesi fa, essendo rimasta incinta di XXXX di tre mesi, mi sono recata a Torino per abortire. … Preciso che però l’aborto è stata una mia scelta in quanto non volevo avere un figlio da XXXX. …”;
nello stesso contesto la XXXX svolgeva diversi riconoscimenti fotografici fornendo anche rivelazioni di indubbio significato investigativo;
dalle produzioni anagrafiche della ricorrente risulta in effetti che la stessa è la madre del minore XXXX, nato a Tirana il XXXX (cfr. , doc. 2) delle produzioni d’udienza), che la famiglia d’origine, residente nel quartiere XXXX di Tirana è composta dal padre XXXX, la madre XXXX e dai figli XXXX, XXXX, XXXX e XXXX (cfr. , doc. 5) delle produzioni d’udienza);
dalle ulteriori produzioni, risulta inoltre che il 09/07/1999 il fratello XXXX, nato a Tirana il XXXX, è deceduto a seguito di “uccisione con arma da fuoco” qualificata come “ferita perforante con arma da fuoco, shock traumatico-emorragico” (cfr. scheda di morte – certificazione medica sulla causa della morte dell’Istituto delle Statistiche della repubblica d’Albania, doc. 3) delle produzioni d’udienza), nonché una dichiarazione giurata da parte di certo XXXX, amministratore del condominio del quartiere XXXX (abitazione condominiale del XXXX a Tirana, da cui emerge che: “Nell’anno 1997 nella loro abitazione e da parsone malfattori è (stata) buttata una bomba, ma senza causare incidenti nella gente” (cfr. , doc. 4) delle produzioni d’udienza);
un pericolo concreto, anche un pericolo di vita, per la ricorrente e per la sua famiglia, risulta dunque evidentemente sussistere in Albania e, proprio per l’ineliminabile valore eventuale ed ipotetico che gli artt. 18 e 19 Dlgs 286/98 riconnettono all’esistenza di tale pericolo (art. 19: …”lo Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione…”, art. 18: “concreti pericoli per la sua incolumità, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti…”), conformemente al non vanificabile scopo di protezione dello straniero accordato da tali disposizioni, non v’è altra soluzione e pertanto deve in questa sede presumersi che i predetti gravi fatti sopra evidenziati rappresentino proprio la concretizzazione delle specifiche minacce subite da XXXX, deponendo in tal senso sia la successione cronologica degli eventi (denunzia delle minacce di morte nel settembre ’96, attentato dinamitardo nel corso del 97, uccisione del fratello nel luglio del 1999), sia la loro identità con le denunce svolte (… avevo molta paura di eventuali ritorsioni di XXXX e dei suoi cugini, nei confronti di mio fratello e mio figlio che sono in Albania … se non avessi continuato a fare la prostituta, o se avessi riferito a qualcuno che lui era il mio sfruttatore, avrebbe ucciso mio figlio e la mia famiglia…Cfr. denuncia del 20/09/1996);
nel quadro descritto, si inserisce la dichiarazione resa a verbale dalla ricorrente il giorno stesso della sua espulsione verso l’Albania, dove affermava:
“circa cinque anni fa ho sporto denuncia, in un ufficio della Questura di Firenze, riferita a dei cittadini albanesi che mi avevano picchiata; da allora nessuna forza di polizia né l’autorità giudiziaria mi ha mai contattata in merito alla denuncia da me sporta, né tantomeno mi hanno invitata a presentare un permesso di soggiorno, quindi da allora ad adesso ho vissuto in stato di clandestinità. La persona da me denunciata è deceduta in data e luogo da me sconosciuti”;
dichiarazione che, oltre a evidenziare una certa macchinosità del congegno del riconoscimento del soggiorno per motivi di protezione sociale, previsto dall’art. 18 Dlgs 286/98 di cui si dirà, sembrerebbe depotenziare e disattualizzare il pericolo concreto all’incolumità della ricorrente di cui si è detto;
tale pericolo, tuttavia, non risulta affatto depotenziato: al di la della mera affermazione della stessa ricorrente, la XXXX ha denunciato, insieme all’XXXX svariate altre persone dedite allo sfruttamento della prostituzione, amici del suo sfruttatore, riconoscendoli anche in fotografia (cfr. verbale 20/09/1996), ha direttamente coinvolto nella sua denuncia l’albanese XXXX, che appare fin dall’inizio più come un complice dell’XXXX che come un suo “collega” ed ha infine espresso timori, poi rivelatisi fondati, su quanto, indipendentemente dall’XXXX, avrebbe potuto accadere in Albania, anche ad opera dei parenti di questo (i cugini), stante anche l’osservanza della c.d. legge del Kanun, vale a dire della regola che consente ai parenti della persona offesa di farsi (in)giustizia da soli, la cui concreta rilevanza è già stata ritenuta dal Tribunale dei Minorenni di Firenze con pronuncia n. 1086 del 2001 per fondare la permanenza di un familiare, per un periodo di tempo determinato ai sensi dell’art. 31 Dlgs cit.;
occorre anche osservare che l’associazione criminale di cui parla l’art. 18 del Dlgs cit. non può coincidere con il delitto di associazione a delinquere accertato con sentenza penale di condanna, essendo, implicitamente ma con chiarissima disposizione, previsto che il relativo procedimento di riconoscimento si svolga anche in fase di indagine preliminare o anche indipendentemente da essa, a cura del Questore;
XXXX, dunque, si trova in una delle situazioni prese in considerazione dagli artt. 18 e 19 Dlgs 286/98, essendo state accertate, con sentenza penale di condanna in giudicato, da una parte situazioni di violenza e di grave sfruttamento ed essendo emersi concreti pericoli per la sua incolumità per effetto dei suoi tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un associazione (nell’ampio senso indicato) dedita allo sfruttamento della prostituzione, dall’altra ben potendo essere oggetto di persecuzione in Albania per motivi fondati sulle sue condizioni personali e sociali;
è necessario a questo punto rilevare che non risulta che sia mai stato dato corso al procedimento previsto dal citato art. 18 del T.U. sull’immigrazione per l’adozione di misure di protezione sociale dell’odierna ricorrente;
tale circostanza è peraltro da ritenere non influente sul caso in esame, non essendo in discussione in questa sede un sindacato nei confronti dei soggetti ai quali l’art. 18 cit. affida il promovimento del procedimento e l’adozione delle misure previste per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza ed ai condizionamenti delle organizzazioni criminali;
di contro rileva, invece, il fatto oggettivo dell’assenza di provvedimenti connessi alla condizione personale della XXXX, in dipendenza della denuncia da lei faticosamente sporta e, quindi, dell’oggettiva mancata presa in considerazione della situazione di pericolo conseguenziale, da ciò derivando che la mancata attivazione del detto procedimento è caratterizzata da un valore assolutamente neutro del significato del mancato esame, che non può avere alcuna negativa influenza nel presente diverso procedimento giurisdizionale di opposizione al decreto prefettizio di espulsione dello straniero, nel quale è stata invocata la salvaguardia prevista dall’art. 19 del T.U. a tutela dei diritti essenziali della persona e, in primis, della vita, in considerazione di persecuzioni correlate alle condizioni personali e sociali del soggetto;
non si ritiene ovviamente che il congegno procedimentale previsto dall’art. 18, basato sui poteri discrezionali attribuito agli organi ivi indicati, possa essere in questa sede riattivato ed il beneficio incolto concesso all’avente diritto: si ritiene invece che l’attuale ricorrenza, totale o parziale, delle condizioni previste dall’art. 18 ben possa essere presa in considerazione ai fini dell’accertamento richiesto e versata a compendiare lo specifico oggetto della persecuzione di cui al successivo art. 19 del Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero quando, come nel caso in esame, venga richiesta al Giudice la tutela del più importante dei diritti: quello alla vita;
non sembra dubbio, infatti, che fra le ipotesi enumerate dall’art. 19 Dlgs 286/98 ben possa essere ricompresa quella dello straniero che sia fatto oggetto di persecuzione nel territorio dello Stato verso cui viene espulso per motivi fondati su condizioni personali e sociali, come quelle che si delineano in capo all’odierna ricorrente: il trovarsi contro la propria volontà assoggettata a condizioni di violenza e di grave sfruttamento, a concreti pericoli per la propria incolumità (e quella della propria famiglia) a causa delle vendette cui si espone inesorabilmente chi tenti di sottrarsi ai condizionamenti di un’associazione criminale o di un gruppo di criminali, soltanto torcendo e viziando i nomi delle cose e la realtà non costituiscono una vera e propria persecuzione fondata su motivi attinenti alle condizioni personali e sociali del soggetto interessato;
la situazione di una giovane donna straniera, costretta a prostituirsi, violentata e minacciata nella sua vita e nei suoi affetti in Patria per la legittima denuncia che abbia fatto del suo sfruttamento e dei suoi sfruttatori e per il tentativo di recidere tali mortali legami, integra le condizioni personali e sociali che determinano la sua persecuzione, facendola rientrare tra i soggetti beneficiari della misura di cui all’art. 19, 1° comma T.U. cit.;
è in questo -e non in altro- quadro che deve essere visto il rientro della donna in Italia dopo le quattro precedenti espulsioni ed il suo successivo abbandono della prostituzione con l’inizio di un’attività lavorativa alle dipendenze di una famiglia che ha chiesto la sua regolarizzazione, così come il suo più recente rientro (evidentemente molto breve) in Albania per ottenere il passaporto, che si deve presumere avvenuto in data 20/09/2002, dove l’accollo del rischio derivante da tale reingresso ben poteva soggettivamente, e può essere oggi con un giudizio di prognosi postuma, essere ritenuto necessario ed ampiamente compensato dai benefici derivanti dal tentativo di emersione-regolarizzazione intrapreso, pur conclusosi con il rigetto della relativa istanza il 25/07/2003, per il quale era comunque necessario o utile il documento albanese;
né può ritenersi che la disposizione in discussione operi, come ritenuto dalla resistente Prefettura di Firenze, soltanto per i soggetti che tali persecuzioni subiscano non già all’interno del proprio Stato nazionale, bensì ad opera di esso Stato, che si tratti cioè di una “persecuzione statale”;
da una parte la legge, infatti, non menziona affatto tale ulteriore requisito non previsto e non richiesto, così da non dover essere in questa sede ulteriormente ricercato, dall’altra la disposizione risulta coerente con l’ampio sistema di protezione riconosciuto dalla legge italiana e dalle convenzioni internazionali sui rifugiati (cfr. Legge 24 luglio 1954, n. 722 (in Gazz. Uff., 27 agosto, n. 196). - Ratifica ed esecuzione della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951), dove il quid pluris rispetto al diritto d’asilo previsto dall’art. 10 Cost., che considera l’impedimento statale all’esercizio delle libertà democratiche garantite in Italia, è rappresentato per il rifugiato dal "fondato timore di essere perseguitato", da doversi ragionevolmente ritenere esteso nell’art. 19, 1° comma cit., in una sorta di graduazione fra gli strumenti di tutela, anche alle ipotesi in cui la possibilità di essere perseguitati derivi non dallo Stato ma da situazioni estranee al suo volere, quali ad es. la diffusa belligeranza fra un etnia ed un'altra ( si rammentino le stragi fra Hutu e Tutzi in Ruanda), ecc.;
in ogni caso la lettura conforme a Costituzione della disposizione in esame, pretende che si consideri che “Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a flussi migratori incontrollati, non può risultarne minimamente scalfito il carattere universale della libertà personale, che, al pari degli altri diritti che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani” (Corte Costituzionale Sentenza n. 105 del 2001), talché l’art. 19, 1° comma finirebbe per risultare del tutto pleonastico se da esso si ricavasse un’interpretazione restrittiva che lo appiattisse sugli altri istituti esistenti nell’ordinamento italiano che già garantiscono la protezione degli stranieri, conferendo loro particolari status, contro le privazioni di libertà o persecuzioni perpetrate dagli Stati, un’interpretazione sostanzialmente abrogans;
su questo punto, peraltro, il Supremo Collegio di legittimità si è già pronunziato, manifestando un netto orientamento nell’affermare che “… il riconoscimento dello status di rifugiato … tuttora si consegue attraverso la procedura di cui all'art. 1 comma 5 del D.L. 416/89 conv. in L. 28.2.90 n. 39 (norma non abrogata dall'art. 47 del D.Leg. 286/98, che, alla lett. E ha invece abrogato gli artt. 2 e seguenti del citato D.L.). … Altro è, di contro, l'istituto del divieto di respingimento od espulsione (art. 19 G.Leg. 286/98) in base al quale in nessun caso l'espulso può essere inviato in uno Stato nel quale egli può patire persecuzioni: si tratta di una misura di protezione umanitaria ed a carattere negativo che non conferisce, di per sé, al beneficiario alcun titolo di soggiorno in Italia ma solo il diritto a non vedersi reimmesso in un contesto di elevato rischio personale. E sarà il Giudice a valutare in concreto la sussistenza delle allegate condizioni ostative alla espulsione od al respingimento” (CASS. SENT. 05055 DEL 2002 SEZIONE 1), principio in cui la personalizzazione stessa dell’accertamento per il riconoscimento della misura appare fortemente esaltata;
d’altra parte, in ordine alla qualificazione delle posizioni soggettive rilevanti degli stranieri sul territorio nazionale, “E' noto che il T.U. sulla disciplina dell’immigrazione e sulla condizione giuridica dello straniero approvato con D.Leg. 286/98 ha inteso escludere l'esercizio dei poteri di respingimento ed espulsione degli stranieri che versino nelle condizioni "... previste dalle disposizioni vigenti che disciplinano il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari" …, in nessun caso essendo consentita una misura che importi il rinvio del respinto o dell'espulso verso uno Stato che lo esponga a persecuzione in ragione delle sue condizioni personali e delle sue idee (art. 19 comma 1 T.U.) (CASS. SENT. 05055 DEL 2002 SEZIONE 1);
inoltre “La qualifica di rifugiato politico, … che garantisce ad ogni rifugiato il libero e facile accesso ai tribunali nel territorio degli stati contraenti, … costituisce … uno status, un diritto soggettivo, con la conseguenza che tutti i provvedimenti, assunti dagli organi competenti in materia, hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, per cui le controversie riguardanti il riconoscimento del diritto di asilo o la posizione di rifugiato rientrano nella giurisdizione dell’autorità giudiziaria ordinaria” (CASS. SENT. 00907 DEL 1999 SEZIONE U), talché, riassuntivamente, per un verso non può dubitarsi che, in linea generale, in presenza dell’invocazione di diritti di tale rango, il Giudice ordinario ben possa jusdicere, sollecitato dalla relativa eccezione del ricorrente, qualora i provvedimenti dell’autorità amministrativa abbiano vanificato o non considerato la portata della sua posizione soggettiva, per altro verso che mentre l’art. 10 della Costituzione e la procedura di cui all'art. 1 comma 5 del D.L. 416/89 conv. in L. 28.2.90 n. 39, in relazione alla Convenzione di Ginevra relativa allo statuto dei rifugiati del 28 luglio 1951, conferiscono ai beneficiari un particolare status, l’art. 19 T.U. sull’immigrazione conferisce esclusivamente “il diritto a non vedersi reimmesso in un contesto di elevato rischio personale” (Corte Costituzionale Ordinanza n. 146 del 2002), pur senza conferire alcuno status particolare allo straniero, per un terzo verso, risulta necessario e sufficiente per lo straniero “che uno Stato … lo esponga a persecuzione in ragione delle sue condizioni personali”, non già che lo perseguiti direttamente;
infine, sottoposto al vaglio di legittimità costituzionale l’articolo 13, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui stabilisce che il prefetto, una volta accertata l’esistenza dei presupposti di legge, deve necessariamente disporre l’espulsione dello straniero, la Corte Costituzionale rilevava che tale “automatismo espulsivo altro non é che un riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce anche per gli stranieri presidio ineliminabile dei loro diritti, consentendo di scongiurare possibili arbitri da parte dell’autorità amministrativa; che le ragioni umanitarie e solidaristiche che ad avviso del remittente dovrebbero guidare la scelta dell’autorità amministrativa non sono ignote al decreto legislativo n. 286 del 1998: questo, nel prevedere, all’art. 19, svariate ipotesi di divieto di espulsione dello straniero, soddisfa l’esigenza che siano tutelate particolari "situazioni personali" senza tuttavia abdicare al principio di legalità, il quale soltanto può assicurare un ordinato flusso migratorio” (Corte Costituzionale Ordinanza n. 146 del 2002), cosicché, deve ritenersi, nel caso specifico previsto dall’art. 19, 1° comma T.U., la sussistenza in concreto delle allegate condizioni ostative alla espulsione od al respingimento dovranno essere considerate e valutate dall’Autorità amministrativa e, ove necessario, a seguito di ricorso dell’espulso, riconsiderate e se del caso affermate dal Giudice;
la norma giuridica costituzionalmente orientata ricavabile dalla disposizione di cui all’art. 19, 1° comma cit., conferendo allo straniero il diritto a non vedersi reimmesso in un contesto di elevato rischio personale ” (Corte Costituzionale Ordinanza n. 146 del 2002), è senza dubbio attributiva di un diritto soggettivo e contiene un precetto negativo, il divieto di espulsione e di respingimento, rivolto a qualunque autorità statale, amministrativa o, in fase di ricorso giurisdizionale, giudiziaria;
il decreto di espulsione del Prefetto della Provincia di Firenze in data 04/08/03 della cittadina albanese XXXX ha completamente ignorato la situazione relativa alla sua condizione di soggetto avente diritto alla misura di protezione umanitaria a carattere negativo prevista dall’art. 19 T.U. sull’immigrazione, ben potendo e dovendo al contrario esprimere una valutazione, ancorché in ipotesi negativa, sulla ricorrenza delle condizioni ivi previste, come dimostrato dalla copiosa e tempestiva produzione di documenti in possesso dell’autorità amministrativa al riguardo, esaminati e richiamati nel corso del presente procedimento;
conclusivamente, in punto di fatto l’esame degli atti acquisiti al procedimento, conformemente ai principi enunciati dalla Corte Costituzionale, consente di ritenere per certo che XXXX in Albania possa esser oggetto di persecuzione per motivi fondati sulle sue condizioni personali e sociali, correlate alla coraggiosa denuncia dello stato di sfruttamento da parte di un uomo e di un’organizzazione criminale e per essere riuscita, dopo molte giustificate titubanze, ad ottenere la condanna di chi l’aveva indotta a venire in Italia, con la promessa di farla lavorare come cameriera e l’aveva invece costretta con la violenza e la minaccia a prostituirsi;
dovrà pertanto essere accolto il ricorso ed annullato il decreto prefettizio di espulsione di XXXX.
P.Q.M.
visti gli artt. 13, c. 8, 19 c. 1 D.lgs n. 286/1998, 737 e ss. c.p.c
RIGETTA
il ricorso e per l’effetto annulla il decreto di espulsione di XXXX del Prefetto della Provincia di Firenze in data 04/08/03 trattandosi di straniera nei cui confronti ai sensi dell’art. 19 comma 1° del Decreto Legislativo 25/07/1998 n. 286 non può disporsi l’espulsione o il respingimento verso l’Albania, Stato in cui può essere oggetto di persecuzione per motivi fondati sulle sue condizioni personali e sociali.
Firenze, lì 25/08/03.
Il Giudice
(Roberto Monteverde)
Lo ha stabilito il Tribunale di Firenze, con l'ordinanza depositata in data 25/8/2003, riconoscendo in capo allo straniero un diritto soggettivo rivolto a qualunque autorità statale, amministrativa o, in fase di ricorso giurisdizionale, giudiziaria.
Nel caso di specie il Giudice ha annullato il decreto di espulsione del Prefetto ritenendo che la ricorrente avrebbe potuto essere oggetto di persecuzione una volta ritornata in patria a causa della denuncia dalla stessa presentata contro un connazionale che l'aveva costretta a prostituirsi con violenza e minacce.
(Nota a cura della redazione).