Articolo
Domenica 25 Aprile 2004 Chiudi chiudi finestra
Le nuove sfide dell’allargamento e i timori dei 15
Porte “aperte” a 20 mila europei dell’Est
Pronto il decreto per regolare i flussi di lavoratori verso l’Italia, niente limiti per Malta e Cipro

di CORRADO GIUSTINIANI


ROMA - ”Noi” e ”loro”. Il distinguo dovrebbe valere per sei giorni ancora. E invece no. La paura di un’invasione di immigrati, dai paesi poveri dell’Est europeo che il 1° maggio entrano nell’Unione, ha finito per contagiare l’Europa a 15. I ”loro” diritti di cittadinanza, quanto agli spostamenti per lavoro, sono stati ibernati per due anni almeno, un po’ dappertutto. Anche se uno studio recente commissionato dalla Commissione europea ha accertato che soltanto l’1 per cento della popolazione dei nuovi membri è orientata a migrare, quota che sale al 2 per Romania e Bulgaria, soci dal 2007.
Il governo italiano ha predisposto un decreto della Presidenza del Consiglio, che prevede la moratoria biennale per chi proviene dagli otto paesi dell’Europa orientale, mentre non v’è nessun blocco agli ingressi da Malta e da Cipro. Il portone non è del tutto sbarrato, però. Perché nello stesso tempo viene attivata una quota di 20 mila ingressi, che scatterà già nel 2004, dedicata esclusivamente agli otto partner dell’Est. Con una procedura semplificata e innovativa, si assicura in ambienti del ministero del Lavoro, che dovrebbe accelerare alquanto la trafila burocratica per chi arriva. Nulla vieta poi che, esauritasi la quota, nel 2005 ne venga predisposta un’altra.
Inoltre, la restrizione biennale degli ingressi varrebbe soltanto per il lavoro dipendente, e non per quello autonomo. Se le cose stanno veramente così, fatta la legge, trovato l’inganno. Secondo un profondo conoscitore delle norme sull’immigrazione, come lo studioso Sergio Briguglio, sarebbe possibile a un polacco dichiarare, insidacabilmente, di volersi stabilire come giardiniere autonomo (previa dimostrazione dei requisiti previsti), ottenere la carta di soggiorno e stipulare, in qualsiasi momento, un contratto di lavoro subordinato.
Applicando la moratoria l’Italia non ha fatto altro che fruire dell’accordo che i 15 hanno stipulato nell’aprile del 2003 ad Atene, sulla spinta di Austria e Germania, i paesi confinanti con i nuovi membri, che più temono l’invasione. L’intesa, anzi, prevede non solo un primo blocco biennale, ma la possibile estensione per altri tre anni e, qualora questi flussi migratori costituiscano ”seri turbamenti” per il mercato del lavoro di alcuni paesi, due anni ancora. In totale, dunque, ben 7 anni, anche se solo Vienna e Berlino paiono decise ad applicare la clausola estrema. Il ministro del Welfare Roberto Maroni, però, aveva annunciato almeno in due occasioni, lo scorso anno, che l’Italia avrebbe aperto ai lavoratori dell’Est da subito, per favorire immigrati di fede cristiana e più facilmente integrabili.
Il vento è poi cambiato, in Italia ma anche nel resto d’Europa dove l’Irlanda è rimasta da sola a sventolare la bandiera dell’ingresso immediato. Blocco biennale in Francia (ma non per ricercatori e stageurs ) Belgio, Grecia, Svezia, Danimarca (qui le restrizioni dovrebbero arrivare a cinque anni, mentre in un primo momento non sembravano previste moratorie). Congelamento a tutto maggio del 2006 anche in Spagna, ma un occhio di riguardo per la Polonia, che con Madrid ha un accordo bilaterale. Blocco in un anno in Finlandia, entrata libera solo per l’agricoltura in Portogallo, quota di 22 mila ingressi nei Paesi Bassi, che e per il resto consentono arrivi solo per i posti non desiderati dagli olandesi.
Ma si giustificano tutti questi timori? No, secondo la maggior parte degli studi. Il più pessimista è stato condotto in Germania dall’Ifo nel 2001, e prevedeva arrivi più massicci dall’Est nell’Europa a Quindici fino al 2014, con una quota annuale di 350 mila lavoratori e un aggregato di 2 milioni e 900 mila. Dal 2014 al 2035, flusso ridotto a un terzo, con altri 3 milioni e 900 mila cittadini trasferiti: in un’Unione che, soltanto con l’allargamento a 25, ha raggiunto i 455 milioni di abitanti.
Ma spostamenti ben più contenuti vengono ipotizzati da una ricerca del 2004, condotta per la Commissione europea da una Fondazione di Dublino. Il flusso dei primi cinque anni, che poi sarà il più intenso, si ridurrà a 220 mila arrivi l’anno. In totale, come detto, è pronta a muoversi l’1 per cento della popolazione. Se è vero infatti che il reddito pro capite ad Est è in media il 23 per cento di quello dell’Europa a 15, e ciò costituisce una spinta a partire, il potere reale d’acquisto sale però al 40-45 per cento, dato che i prezzi sono più bassi. Negli 8 paesi, piuttosto, si teme un impoverimento qualitativo della forza lavoro, perché rischiano di andarsene via i giovani più istruiti.