SUL DIRITTO DI VOTO AGLI IMMIGRATI IN ITALIA

 

                                                                                              A cura della dott.sa Sabrina Bagnato

 

  1. Elezioni UE, allargamento e diritto di voto

 

I cittadini dei paesi aderenti allĠUE, residenti in Italia, potranno votare alle prossime elezioni europee in programma il 13 giugno 2004. Lo stabilisce la circolare emanata dal Ministero dellĠInterno il 30 Dicembre 2003 con la quale viene disciplinato lĠesercizio del diritto di voto da parte dei cittadini provenienti da Repubblica Ceca, Estonia, Cipro, Lettonia, Lituania, Ungheria, Malta, Polonia, Slovenia e Slovacchia, e che vivono nel nostro paese.

La circolare, inviata ai Prefetti della Repubblica, cita: Òsi ritiene opportuno richiamare le disposizioni dettate in materia dal decreto-legge 24 giugno 1994, n.408, convertito in legge, con modificazioni, dallĠart.1 della legge 3 agosto 1994, n.483, modificato dalla legge 24 aprile 1998, n.128. Con il suddetto provvedimento normativo  stata recepita la direttiva comunitaria n.93/109/CE del 6 dicembre 1993 che prevede lĠelettorato attivo e passivo alle elezioni del Parlamento europeo per i cittadini dellĠUnione Europea in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza. Il principio che sottende la direttiva  quello della ÒCittadinanza dellĠUnioneÓ, uno dei pilastri del trattato di MaastrichtÓ.

Il provvedimento esplicita che i cittadini dellĠUnione residenti in Italia, compresi quelli dei dieci Stati candidati allĠadesione, per poter esercitare il diritto di voto per i rappresentanti dellĠItalia al Parlamento europeo devono presentare al sindaco del comune di residenza, entro il novantesimo giorno anteriore a quello della votazione, e cio entro il 15 marzo 2004, domanda di iscrizione nella lista aggiunta istituita dallo stesso comune. Sono esenti da questĠobbligo i cittadini dellĠUE che hanno giˆ esercitato il diritto di voto alle precedenti elezioni del 1999. Il testo ÒsuggerisceÓ che sarebbe opportuno che i comuni utilizzassero anche un sistema di lettere personali dirette, inviate per posta agli elettori comunitari che risiedono sul proprio territorio. La circolare del Viminale prevede lĠobbligo, inoltre, per i comuni di verificare il possesso della capacitˆ elettorale negli Stati dĠorigine, mediante tempestiva istruttoria presso gli Uffici del casellario giudiziale, e li invita a ispirarsi, nel diffonderne i contenuti, ad una allegata bozza di manifesto, tradotto in lingua inglese, francese e tedesca.

Per quanto riguarda i cittadini del paesi dellĠEst Europeo (Europa Centro-Orientale) un recente Dossier Statistico Immigrazione della Caritas/Migrantes ci da interessanti informazioni sui flussi di immigrazione alla luce dellĠultima regolarizzazione. Il dossier afferma che i paesi dellĠEst Europa hanno inciso per ben il 60% sulle domande di regolarizzazione, hanno quasi raddoppiato la loro consistenza, sono ormai pi di un terzo della popolazione immigrata e continueranno a premere per trovare nuovi sbocchi lavorativi. Inoltre dal 1999 ad oggi il consuntivo del fabbisogno aggiuntivo di lavoratori immigrati  pari a circa 200.000 unitˆ allĠanno. Secondo la presidenza del ÒDossier statistico ImmigrazioneÓ si pone la questione sia di un adeguamento realistico delle quote programmate ma anche quello di un pi adeguato collegamento tra domande e offerte di lavoro.

Nelle tabelle dellĠindagine sui primi 40 gruppi di immigrati che hanno fatto domanda e ottenuto la regolarizzazione, i paesi che entreranno nellĠUE statisticamente pi rappresentativi sono la Polonia, che si colloca al 7Ħ posto con 69.318 (soggiornanti pi domande), lĠUngheria con 5.180 e la Slovacchia con 5.122. Da notare che rispetto allĠanno scorso la Polonia ha raddoppiato il numero delle presenze a seguito della regolarizzazione.

Pertanto si stima approssimativamente che i cittadini potenziali elettori dei paesi dellĠEst Europeo saranno sul numero di 100.000.   Molti passeranno dalla condizione di immigrato irregolare a quella di cittadino comunitario, anche se per un periodo che pu˜ durare sette anni non avranno gli stessi diritti di libera circolazione e lavoro dei cittadini degli attuali paesi UE.

LĠesercizio del diritto di voto  un passaggio fondamentale per dare efficacia sostanza al principio della partecipazione dei migranti alla vita pubblica.

Diventa essenziale allora, in questo momento, promuovere una campagna di partecipazione e responsabilizzazione al pieno esercizio di voto per questi cittadini, anche da parte delle istituzioni e del sindacato nel favorire un passaggio, spesso difficile, dallĠaccoglienza e assistenza allĠinformazione e formazione civile e politica.

 

  1. Allargamento o Restringimento? LĠorientamento dei quindici paesi verso la ÒNuova EuropaÓ.

 

LĠorientamento dei quindici paesi ÒpadriÓ dellĠUnione Europea rispetto allĠallargamento dei dieci paesi entranti  piuttosto ambivalente. Tredici Stati, infatti, hanno scelto la strada del divieto di soggiorno e di lavoro per i paesi che entreranno dal 1Ħ Maggio 2004: i ÒnuoviÓ cittadini potranno entrare nei paesi dellĠUnione Europea come turisti ma non saranno riconosciuti come immigrati regolari che ottengono il visto per lĠimmigrazione. Una discriminazione dei lavoratori dellĠest, il giorno della festa dei lavoratori, interpretabile come il risultato di una psicosi da invasione in grado di peggiorare le prospettive occupazionali dei singoli stati. Durante questo periodo, infatti, i lavoratori dellĠest saranno considerati come extracomunitari nelle prassi mentre sono cittadini comunitari per passaporto: strani soggetti multiformi che da un punto di vista legale saranno potenzialmente soggetti a discriminazioni multiformi.

Ecco in breve la posizione assunta sulle politiche per lĠimmigrazione da parte dei quindici paesi membri:

¤       Germania: si posiziona sulle restrizioni allĠimmigrazione per i prossimi sette anni con lĠeccezione per i lavoratori a contratto nellĠedilizia, nellĠagricoltura e nei servizi.

¤       Francia: non assume una posizione chiara, prevedendo misure di controllo per i prossimi mesi ma non progettando restrizioni specifiche.

¤       Spagna: si colloca sul versante ÒrestringimentoÓ limitando lĠapertura completa per un arco di tempo dai due ai sette anni.

¤       Danimarca: la questione dellĠallargamento ha assunto toni allarmistici e polemici a causa del partito anti-immigrati e questo ha portato il Paese a decidere per la strategia delle restrizioni. Agli immigrati saranno concessi permessi di soggiorno per un periodo di soli sei mesi entro i quali dovranno per forza trovare un lavoro.

¤       Portogallo: ha fissato un numero massimo di 6.500 permessi, che saranno utilizzati soprattutto per i settori con pi richiesta di manodopera come lĠagricoltura.

¤       Olanda: per i prossimi due anni saranno concessi permessi per un massimo di 22.000. Anche lĠOlanda si colloca fra i paesi che sono passati dalle politiche di allargamento a quelle di restringimento con la paura di un ÔÒavanzataÓ dei nuovi paesi.

¤       Belgio: si posiziona sul versante del restringimento pianificando provvedimenti  che entreranno in vigore a partire da Maggio 2004.

¤       Finlandia: lĠallarmismo e la psicosi da invasione da parte dei paesi baltici hanno connotato lĠopinione e conseguentemente le politiche di immigrazione finlandesi. Il congelamento degli ingressi, adottato attualmente, potrebbe essere mantenuto fino al 2006.

¤       Svezia: dalla permissivitˆ alla preoccupazione, il governo si  bloccato sui potenziali carichi che lĠallargamento potrebbe portare sul Welfare.

¤       Austria:  probabile che si allinei alle politiche sullĠimmigrazione adottate dal governo tedesco.

¤       Grecia: lĠingresso ai lavoratori immigrati sarˆ controllato e dunque ristretto per i prossimi due anni.

¤       Lussemburgo: i nuovi cittadini saranno considerati extracomunitari e dunque verranno applicate loro le regole vigenti, fino al 2006.

¤       Irlanda: si pronuncia a favore dellĠingresso dei lavoratori stranieri.

¤       Gran Bretagna: non chiude le frontiere, lĠeconomia inglese ha bisogno di manodopera non qualificata. Si tratta da unĠapertura liberista che allarga i benefici dellĠassistenza sociale e pubblica solo per chi ha un domicilio e un lavoro.

¤       Italia: non si pronuncia in modo chiaro, condividendo in principio il trattato sullĠallargamento dellĠUnione che limita la libera circolazione dei lavoratori al possesso di un permesso di lavoro. Tale Òfase di transizioneÓ durerˆ per un periodo tra i due e i sette anni.

Il vuoto normativo che caratterizza lĠItalia in questo momento, tuttavia, necessita di un ÒpronunciamentoÓ in quanto i lavoratori dei paesi entranti non possono essere trattati come lavoratori extracomunitari ma non hanno neanche una legge apposita che disciplina, regolamenta e tutela il loro status. Sono recenti le dichiarazioni del ministro degli esteri Frattini che afferma come i cittadini dei dieci nuovi stati UE non avranno il libero accesso al mercato del lavoro per almeno due anni. Non sono esclusi Ònegoziati bilateraliÓ che poterebbero aggirare la moratoria. LĠallargamento, secondo le stime dello stesso ministro, riguarda 80 milioni di cittadini. La preoccupazione sui flussi di immigrazione potenziale riguarda principalmente alcuni paesi come la Polonia e lĠUngheria. Sembra che la logica portata avanti sia comunque quella di regolare i flussi migratori dai nuovi stati caso per caso. Eccezione alla moratoria, per esempio, si potrebbe avere per la Slovenia con la quale lĠItalia ha un rapporto che riguarda migliaia di lavoratori transfrontalieri. La Coldiretti ha replicato a queste dichiarazioni chiedendo che ci sia almeno un ÒallargamentoÓ delle quote per lavoratori stagionali, non stagionali e autonomi che ogni anno arrivano in Italia da Repubblica Ceca, Estonia, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Ungheria.

Adottando la linea dei permessi di soggiorno per altri due anni lĠItalia segue la strada e lo schieramento della Òvecchia EuropaÓ.

La Commissione europea si  pronunciata sulle stime di immigrazione da parte dei nuovi paesi membri che si preventivano intorno a 300.000 persone.

Non si tratta di cifre esorbitanti o invasive, la contraddizione che merita una riflessione di fondo riguarda il cambiamento di prospettiva da parte di alcuni paesi membri come i Paesi bassi e la Svezia, che dallĠiniziale apertura delle frontiere, si sono chiusi facendo un passo indietro, per la paura e il rischio di essere ÒsommersiÓ e ÒinvasiÓ dai lavoratori dellĠest europeo.

EĠ importante leggere il dibattito che si sta muovendo intorno alla questione spinosa dellĠallargamento, per nulla scontata e invece connotata da paure, timori, pericoli e ostruzionismi poco motivati da unĠanalisi attenta della situazione reale.

 ÒLe reazioni allarmate sono segnali di inquietudine- afferma Philippe Pochet, direttore dellĠOsservatorio sociale europeo - che illustrano la totale impreparazione di questo allargamento e le contraddizioni dei 15 che non possono volersi proteggere dallĠimmigrazione e contemporaneamente tagliare le spese socialiÓ.

 Come sottolineato, anche dal ministro degli interni britannico Blunkett, i paesi che adotteranno la Òpolitica del muroÓ verso i cittadini dellĠEuropa dellĠEst avranno come effetto di ritorno un aumento dellĠimmigrazione illegale.

EĠ essenziale in questa fase di preparazione allĠallargamento, invece, avere una visione progettuale per questi nuovi Paesi che entreranno, in modo da implementare le loro politiche di sviluppo. Gli  obiettivi potrebbero seguire due percorsi paralleli e convergenti: da una parte investire su un lavoro regolare e qualificato per i cittadini che si muoveranno dallĠEst verso i Paesi dellĠOccidente e dallĠaltra definire degli standard di adeguamento per le imprese di questi Paesi in modo da consentire loro di partecipare allĠinterno della Comunitˆ Europea con dei criteri comuni, condivisi, egualitari, uniformi.

Il rischio di una chiusura in questo momento di ingresso potrebbe comportare due rischi decisivi: da una parte accrescere la quota di lavoratori irregolari e quindi di lavoro sommerso e dallĠaltra bypassare lĠemancipazione dei nuovi Paesi, aumentando il divario tra Paesi dellĠUnione di serie A e Paesi dellĠUnione di serie B (tra est e ovest nellĠepoca della guerra fredda) e di conseguenza tra Cittadini di serie A e Cittadini di serie B.

Per fornire uno spazio di informazione della condizione di base dei Paesi che entreranno nellĠUE,  utile fornire alcuni dati:

PAESE

POPOLAZIONE

PIL PRO CAPITE

DISOCCUPAZIONE

Polonia

38,6 milioni

9.500   euro

19,1%

Rep. Ceca

10,2 milioni

14.400 euro

 7,6%

Ungheria

9,9 milioni

13.600 euro

 5,9%

Slovacchia

5,4 milioni

11.400 euro

16,6%

Lituania

3,4 milioni

9.400   euro

11,8%

Lettonia

2,3 milioni

8.500   euro

10,5%

Slovenia

2 milioni

17.700 euro

 6,4%

Estonia

1,3 milioni

10.000 euro

 9,7%

Cipro

798 mila

17.400 euro

4,8%

Malta

397 mila

n.d. euro

8,1%

 

 

Le barriere (studio di H. Brucker) alla libera circolazione di veni e capitali sono state giˆ rimosse alla fine degli anni Novanta tantĠ che le esportazioni verso quei paesi sono cresciute del 650 per cento mentre le importazioni sono aumentate del 450 per cento. Sono cresciuti pure i flussi di capitaleÉma non  cresciuta la libera circolazione dei lavoratori.

La migrazione  un processo che spaventa la vecchia Europa molto pi della questione dellĠallargamento. Prendiamo per esempio Germania e Austria che sono preoccupate per la paura che di subire un calo nelle prospettive occupazionali dei lavoratori locali.

Si pu˜ notare che la vecchia Europa ha mancato nel trovare un accordo comune sulle politiche dellĠimmigrazione, accordo da proporre ai nuovi Stati. Si  mossa invece adottando un meccanismo di delega che ha portato la maggior parte dei quindici a scegliere la fase di transizione per salvaguardare il loro mercato del lavoro. La questione riguarda anche gli Stati che hanno optato per unĠapertura delle frontiere e che si ritroveranno a gestire una quota di flussi pi forte dovuta alla chiusura da parte dei paesi di forte immigrazione. La mancanza di una funzione di coordinamento a carico della vecchia Europa ha fatto si che i singoli stati si trovassero a gestire i processi di migrazione in modo isolato, difensivo, dunque restrittivo. Austria e Germania, paesi che assorbono il 75% degli immigrati dellĠEuropa centrale e orientale hanno da subito dichiarato che adotteranno i periodi di transizione. E i paesi scandinavi come Svezia e Danimarca che pensavano allĠinizio di aprire il loro mercato del lavoro, ora stanno adottando misure pi restrittive per paura di coprire quella quota di flussi diretti originariamente verso Germania e Austria.

Studi empirici indicano che una migrazione dellĠ1% della popolazione dellĠEuropa centrale e orientale verso i vecchi paesi UE potrebbe generare un guadagno per il Pil dellĠUE allargata dello 0,2/0,3%. Se sono vere le stime fornite dalla Commissione di 300.000 persone migranti dallĠEst allĠanno, e  del 3% della popolazione attuale di quei paesi nel lungo periodo, la libera circolazione dei lavoratori potrebbe incrementare il Pil dellĠUE allargata del 0,6/0,9%  nel lungo periodo e dello 0,1% nel breve.

CĠ da considerare che i vantaggi e i benefici della migrazione riguardano principalmente gli stessi immigrati mentre le opportunitˆ occupazionali possono diminuire nei paesi di destinazione soprattutto per i lavoratori non specializzati.  Sempre altri studi indicano che lĠofferta maggiore di lavoro attraverso la migrazione non ha nessuna conseguenza sui salari e sui posti occupazionali per i lavoratori nativi nei paesi interessati dalla probabile pressione migratoria..

CĠ anche un fattore che vale la pena di riconoscere: il livello di formazione dei migranti dallĠEuropa centrale e orientale  pi alto rispetto ai migranti del Sudest Europa o Nordafrica.

La libera circolazione delle persone pu˜ facilitare questo adattamento e integrazione, attraverso la legittimazione reciproca dei titoli di studio. Rimuovere fattori come la qualitˆ della formazione e il livello di istruzione significa, accentuare quel rischio di cui si diceva prima, dellĠallargamento dellĠeconomia sommersa.

 

 

  1. Elezioni amministrative

 

A seguito del recepimento della direttiva 94/80/CE del consiglio dellĠunione europea del 19 dicembre 1994, con legge 6 febbraio 1996, n.52 e con successivo decreto legislativo di attuazione n.197 del 12 aprile 1996 sono state fissate le norme che consentono ai cittadini dellĠUnione europea che risiedono in uno Stato membro, di cui non hanno la cittadinanza, di chiedere lĠiscrizione in apposite liste elettorali aggiunte istituite presso il Comune di residenza stessa e, in virt di tale iscrizione, di esercitare il diritto di voto per lĠelezione del sindaco e del Consiglio del Comune e della Circoscrizione, nonchŽ di essere eletti consiglieri, di essere altres“ nominati come componenti della giunta, con esclusione della carica di Vicesindaco.

Per quanto riguarda la disciplina sul diritto di voto alle elezioni amministrative per i cittadini extracomunitari, si fa riferimento ai Òprincipi delle norme primarieÓ (art.17 del D. LGS. N. 267/2000; D. LGS. 286/1998) e ai regolamenti e agli Statuti  Comunali che sono fonti sub-primarie.

Il decreto legislativo 268/1998 prevede per gli immigrati Òpari dirittiÓ etc, nonchŽ la partecipazione alla vita pubblica locale. LĠart.9 del Decreto legislativo 25 luglio 1998, n.286 prevede espressamente il diritto di voto per gli stranieri extra UE. Tale articolo, che riguarda la Carta di soggiorno, al comma 4, afferma che il titolare della carta di soggiorno pu˜ Òpartecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche lĠelettorato quando previsto dallĠordinamento e in armonia con le previsioni del capitolo C della Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, fatta a Strasburgo il 5 febbraio 1992Ó. In altro senso lĠart. 9 costituisce ordine di esecuzione del Òcapitolo CÓ.

Inoltre, il nuovo testo dellĠart.114 Cost. comma 2 (ÒI Comuni, Le province, Le Cittˆ Metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla CostituzioneÓ) porta a escludere il limite della legislazione ordinaria al contenuto degli Statuti Comunali e Provinciali. LĠart.1 della Costituzione in sostanza ÒallargaÓ il concetto di popolo in quanto si afferma come il principio democratico vada calato nella realtˆ attuale dellĠemigrazione nel nostro paese. La legge Bossi Fini introduce o meglio aggrava un principio di ammissibilitˆ del permesso di soggiorno solo per chi lavora in Italia., dunque solo chi lavora e paga le tasse pu˜ risiedere legittimamente nel nostro paese.

Di recente  la proposta di legge effettuata dalla Maggioranza, AN, sul diritto di voto amministrativo: ÒAgli stranieri non comunitari che hanno raggiunto la maggiore etˆ, che soggiornano stabilmente e regolarmente in Italia da almeno sei anni, che sono titolari di un permesso di soggiorno per un motivo che consente un numero indeterminato di rinnovi, che dimostrino di avere un reddito sufficiente per il sostentamento proprio e dei familiari e che non sono stati rinviati a giudizio per i reati per i quali  obbligatorio o facoltativo lĠarresto,  riconosciuto il diritto di voto attivo e passivo nelle elezioni amministrative in conformitˆ alla disciplina prevista per i cittadini comunitariÓ.

Tuttavia tale proposta, considerando le scadenze elettorali, sembra una strategia interna ai giochi politici del centro destra italiano.

Interessanti invece appaiono le proposte avanzate da alcuni comuni sulle modifiche dello Statuto per concedere il diritto di voto attivo e passivo agli stranieri extra-comunitari che risiedono nel territorio Comunale. Si tratta di proposte provenienti da diversi Comuni Italiani delle diverse Regioni: Venezia, Genova, Ragusa, Brescia per fare qualche esempio si stanno muovendo per dare il voto amministrativo agli stranieri extracomunitari.

Sono proposte, attualmente sempre pi numerose e in fase di attuazione con la modifica degli Statuti comunali, che vengono ÒdelegittimateÓ dal Ministero degli Interni, il quale, attraverso circolari, richiama allĠordine quei comuni come Cesena che, giˆ dal 2002, avevano modificato lo Statuto per i consigli di quartiere e che ora hanno sospeso lĠiniziativa per timore di istituire problemi elettorali.

Fanno riflettere alcuni sondaggi nazionali volti a comprendere la posizione della societˆ civile e delle istituzioni locali in materia di diritto di voto agli immigrati. Da un recente sondaggio sul parere dei sindaci rispetto al tema del voto amministrativo per i cittadini non comunitari, emerge come il 53% dei sindaci intervistati sia favorevole al voto agli immigrati e, tra questi, i sindaci di centro sinistra favorevoli al voto salgono al 71%. Rispetto alla posizione della societˆ civile, alcuni sondaggi effettuati mostrano alcune differenze. Il 59% degli intervistati  favorevole al voto amministrativo e tra questi, i pi favorevoli sono imprenditori, dirigenti e impiegati (65,8%), studenti (60%). I pi favorevoli hanno unĠetˆ compresa tra i 18 e i 24 anni, i contesti geografici pi favorevoli sono il  Sud e le isole  (61%) e i centri con 100.000 abitanti (63%). Tra i contrari troviamo la categoria dei commercianti e la fascia di popolazione con pi basso livello di istruzione e reddito pari o inferiore a 516 euro.

 

  1. Rappresentanza e partecipazione

 

Le sperimentazioni di Òbuone prassiÓ volte a favorire la rappresentanza e la partecipazione alla vita pubblica locale dei migranti, attraverso esperienze pilota, si hanno a partire dagli anni Ġ90 con lĠistituzione delle consulte di immigrati e lĠelezione del Consigliere Aggiunto.

Per quanto riguarda lĠelezione del Consigliere Aggiunto, si tratta di unĠelezione di un cittadino ÒstranieroÓ residente nel territorio comunale o circoscrizionale che  stato avviato da alcuni comuni da qualche anno. Il cittadino straniero eletto avrˆ diritto di parola, ma non di voto nel senso che non pu˜ votare Delibere ma pu˜ partecipare alla vita politica locale portando proposte e avanzando richieste da parte delle comunitˆ migranti e dellĠassociazionismo dei migranti. Si riconosce lĠelemento di debole rappresentanza, parziale perchŽ effettivamente la proposta si colloca a metˆ tra cittadinanza formale e pieno esercizio dei diritti civili e politici. La parzialitˆ  evidente dal momento che le comunitˆ dei migranti in questi anni hanno sostenuto un ruolo democratico attivo nel collegare la loro posizione di cittadini non riconosciuti con il non riconoscimento dello Stato sociale e dei diritti dei lavoratori italiani.

Tuttavia nonostante le diverse difficoltˆ che si sono verificate a livello locale, lĠelezione del Consigliere Aggiunto rappresenta unĠoccasione di visibilitˆ, di espressione dei bisogni e delle esigenze da parte dei migranti, di influenzamento nelle scelte politiche istituzionali.

Tra le realtˆ pi rappresentative che in passato hanno sostenuto buone prassi in questa direzione troviamo Torino, tra vitalitˆ dellĠaccoglienza e opacitˆ delle istituzioni; Roma con il progetto dei consiglieri aggiunti stranieri con il supporto di un Assemblea Rappresentativa degli immigrati; Lecce con un difficile percorso tra accoglienza e rappresentanza e le Marche con la centralitˆ delle federazioni di associazioni stranieri. Sono esperienze da cui emerge una difficoltˆ della classe politica italiana a gestire tali processi e a volte a garantire trasparenza e unĠadeguata pubblicizzazione degli organi che si andavano a eleggere. DĠaltra parte gli organi consultivi dovrebbero avere una funzione aggiuntiva, di raccordo tra istituzioni e comunitˆ immigrate, e non sostitutiva di rappresentanza ad altri livelli pi istituzionali.

Roma, nel suo attuale percorso, sta portando avanti e sollecitando la partecipazione al voto del consigliere aggiunto nella popolazione dei migranti, attraverso iniziative di confronto e di incontro con le comunitˆ per supportare i cittadini stranieri ad un utilizzo consapevole e efficace di questo strumento. Numerosi sono i ÒTavoli InterculturaÓ promossi dai diversi Municipi che si stanno organizzando come delle vere e proprie comunitˆ urbane volte a favorire lĠapertura e la partecipazione alle elezioni del Consigliere Aggiunto che si terranno a Marzo 2004.

Si tratta di favorire processi partecipativi con i migranti per promuovere un esercizio della cittadinanza attiva sulle scelte amministrative e sulle politiche interculturali e sociali. Una strategia che tenta di connettere la questione del diritto di cittadinanza e del diritto di voto, dando la prioritˆ al concetto di ÒdirittoÓ e tentando di renderlo efficace e operativo sul campo, sul territorio.

Certo le proposte non si possono arrestare al Consigliere Aggiunto, dovendo a nostro avviso, posizionarsi sulla cittadinanza di residenza. Questo  lĠobiettivo verso cui muoversi e per cui promuovere una battaglia di diritti non solo Òa paroleÓ, ma anche nei ÒfattiÓ e nelle decisioni.

 

  1. Sulla naturalizzazione

 

Di questi mesi poi  la proposta portata in Parlamento per concedere la cittadinanza ai figli degli stranieri che nascono in Italia e che vi giungono nei primi anni di vita e per ridurre da dieci a sei anni il periodo di presenza regolare in Italia necessario agli adulti per chiedere la naturalizzazione. Tale  proposta di legge anŠrebbe a`modificare il testo sul“a cittadinanza del 1992” La proposta  —tata prŒsentataˆin Parl‡mento dallĠUdc su sollecitazione della Ìomunitˆˆdi Sant⃙Egidio.`La leggŒ attuale non ri‹onosce Ž bambinŽ nati i” Italiaˆcome cittadini Žtaliani, ma concede la cittadinanza solo a 18 anni e con residenza legale senza interruzioni fin dalla nascita.

La proposta in discussione in Parlamento prevede invece la concessione della cittadinanza a Òchi  nato nel territorio della Repubblica se il genitore  regolarmente presente in Italia da almeno due anni e titolare del permesso di soggiornoÓ per motivi di lavoro o per motivi familiari e a al Òminore figlio di genitore straniero se fornisce prova della presenza continuativa in Italia da almeno sei anni e della partecipazione a un ciclo di formazione professionale oppure dello svolgimento di regolare attivitˆ lavorativa, unitamente alla conoscenza adeguata della lingua e cultura italianaÓ.