In attesa del verdetto della Consulta sulla legge
“Bossi-Fini”, la Cassazione delinea i confini giurisdizionali in tema di
espulsione di immigrati, stabilendo percorsi autonomi per i giudici
amministrativi che devono decidere sul permesso di soggiorno e per la
magistratura ordinaria che deve pronunciarsi sull’espulsione dello straniero.
Con la sentenza 6370/04 – depositata il 1°aprile e leggibile tra i documenti
correlati – Piazza Cavour, infatti, sostiene che non vi è pregiudizialità del
processo amministrativo pendente sulla revoca del permesso di soggiorno
rispetto al giudizio civile sul decreto di espulsione. La decisione della
giustizia amministrativa sul permesso «non è antecedente logico» di quella del
giudice ordinario sull’espulsione. In altre parole, lo straniero non potrà
chiedere al togato, che deve decidere sul suo allontanamento, di sospendere la
causa perché pende davanti al Tar la questione del suo soggiorno sul territorio
italiano. Al giudice ordinario, infatti, per andare diritto sulla sua strada -
dice la Corte - basta semplicemente che «vi sia stata la revoca o
l’annullamento del permesso di rimanere in Italia». La «mera carenza del
permesso di soggiorno, anche temporanea» difatti «fa venire meno il diritto
dell’immigrato di rimanere sul territorio italiano». In sostanza, prima si
provvede a “cacciare” lo straniero e poi, in un secondo momento, se la
decisione dei giudici amministrativi sul permesso di soggiorno sarà positiva,
gli si consentirà di «domandare di nuovo il permesso stesso e di chiedere la
revoca dell’espulsione» o comunque di rientrare in Italia. (b.m.)