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CONCLUSIONI DELL'AVVOCATO GENERALE

L.A. GEELHOED

presentate il 27 febbraio 2003 (1)

Causa C-109/01

Secretary of State for the Home Department

contro

Hacene Akrich

(domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dall'Immigration Appeal Tribunal)

«Rinvio pregiudiziale da parte dell'Immigration Appeal Tribunal - Libera circolazione delle persone - Cittadina comunitaria sposata con un cittadino di uno Stato terzo che abbandona il suo paese d'origine e si stabilisce con il coniuge in un altro Stato membro per un periodo limitato di tempo con l'intento di esercitare i diritti conferiti dal diritto comunitario al loro ritorno nello Stato membro di origine»

I - Introduzione

1.
Nella presente causa l'Immigration Appeal Tribunal (Commissione di secondo grado per i ricorsi in materia di immigrazione) ha proposto quesiti vertenti sulla libera circolazione delle persone. Segnatamente, le questioni sollevate dal giudice del rinvio riguardano i diritti che l'ordinamento comunitario può conferire ad una cittadina comunitaria che sia sposata con un cittadino di uno Stato terzo e che abbandoni il suo paese d'origine e si stabilisca con il coniuge, per un periodo limitato di tempo, in un altro Stato membro ed ivi lavori. Può questa cittadina comunitaria, al ritorno nello Stato membro d'origine, reclamare i benefici conferiti dalla normativa comunitaria ai lavoratori migranti, ossia il diritto che il marito possa stabilirsi con lei nello Stato membro d'origine?

2.
La presente causa trae origine dalla concomitanza di due distinti settori di competenza. Il primo settore di competenza riguarda l'immigrazione. Allo stato attuale dell'ordinamento comunitario, la normativa relativa all'immigrazione rientra nella competenza degli Stati membri. L'ordinamento comunitario lascia agli Stati membri il potere di legiferare in materia come meglio credono. In generale, gli Stati membri autorizzano l'ingresso degli immigranti solo dopo una valutazione individuale del singolo caso, che può avvenire, e che spesso avviene, sulla base di criteri rigorosi. Anche se l'art. 63 CE consente al legislatore comunitario di stabilire a livello di Comunità una parte importante della normativa sull'immigrazione, questi si è peraltro avvalso di siffatta possibilità molto limitatamente.

3.
In pratica la competenza degli Stati membri è rilevante soprattutto per quanto riguarda il trattamento applicabile ai cittadini di paesi terzi. I cittadini degli Stati membri sono infatti in gran parte sottratti alle disposizioni nazionali sull'immigrazione, in forza del diritto loro conferito dall'ordinamento comunitario di soggiornare in uno Stato membro di cui non sono cittadini. Ciò mi porta a parlare del secondo settore di competenza, quello della libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione Europea. In questo settore il Trattato CE conferisce direttamente diritti ai cittadini degli Stati membri mentre, grazie alla normativa comunitaria derivata e alla giurisprudenza della Corte, i diritti d'ingresso e di soggiorno loro attribuiti sono quasi completamente armonizzati. La competenza viene così esercitata a livello di Unione europea. Come spiegherò più particolareggiatamente nel prosieguo delle presenti conclusioni, la Corte interpreta estensivamente i diritti dei cittadini dell'Unione europea nel settore della libera circolazione delle persone. Il diritto di soggiorno in un altro Stato membro viene considerato come un diritto fondamentale che deve pertanto essere limitato il meno possibile. Al ritorno nello Stato membro di origine, ad esempio, continuano a sussistere taluni benefici conferiti dal diritto comunitario.

4.
Sulla scia dei cittadini degli Stati membri che si stabiliscono in un altro Stato membro, anche i loro familiari profittano del diritto di soggiorno, anche se sono cittadini di Stati terzi. Per un cittadino di uno Stato membro infatti la normativa comunitaria prevede non soltanto un diritto di soggiorno individuale, ma anche quello di farsi accompagnare dal coniuge (e da altri familiari). Nell'ordinamento comunitario derivato, il diritto di accompagnamento spettante al coniuge è formulato come un diritto proprio del coniuge stesso. In questo modo anche il coniuge di un cittadino dell'Unione che emigri viene in larga misura sottratto ai requisiti vigenti per l'ammissione, stabiliti dalla normativa sull'immigrazione. E, anche se il cittadino che emigra rientra nel suo paese, il coniuge/cittadino di Stato terzo può continuare a profittare della libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione europea, come sembra derivare dalla sentenza Singh (2), la quale dichiara che il cittadino di uno Stato membro che ha lavorato in un altro Stato membro al suo ritorno mantiene il diritto di farsi accompagnare dal coniuge, indipendentemente dalla nazionalità di quest'ultimo.

5.
Il contesto di merito della presente causa è il seguente. Il sig. Akrich, ricorrente nel giudizio principale, è cittadino di uno Stato terzo; sua moglie è cittadina del Regno Unito. A causa dei suoi trascorsi, al sig. Akrich viene negato il permesso di ingresso nel Regno Unito, sulla base della competenza nazionale nel settore dell'immigrazione. Considerando che l'ordinamento comunitario, per la concessione al sig. Akrich di un titolo di soggiorno, stabilisce requisiti meno severi rispetto al diritto nazionale britannico, gli interessati invocano successivamente il diritto comunitario. E - come risulta dai fatti alla base del procedimento principale - essi non soltanto invocano il diritto comunitario, ma soggiornano per un certo periodo in Irlanda con l'intento di porsi nell'ambito di applicazione della normativa comunitaria, sfuggendo così alla normativa britannica sull'immigrazione.

6.
Mi avvalgo di questi fatti del giudizio principale per illustrare quanto segue. Di per sé, dal punto di vista della libera circolazione delle persone, è logico che il coniuge di un cittadino dell'Unione migrante sia sottratto alla competenza nazionale nel settore dell'immigrazione. Il suo diritto fondato sull'ordinamento comunitario serve soprattutto a prevenire l'insorgere di ostacoli all'esercizio del diritto di soggiorno in un altro Stato membro da parte dello stesso cittadino comunitario. Non è infatti ammissibile che il coniuge di un cittadino di uno Stato membro non possa trasferirsi con lui, quando quest'ultimo vuole avvalersi di una libertà conferita dal Trattato e stabilirsi in un altro Stato membro.

7.
Tale logica vale tuttavia soprattutto per coniugi di Stati terzi già ammessi sul territorio di uno Stato membro e che pertanto sono legittimati a soggiornare sul territorio dell'Unione europea. E' meno ovvio che la normativa comunitaria conferisca un diritto di soggiorno a coniugi di Stati terzi che non sono ancora stati ammessi o che - come nel caso del sig. Akrich - si trovano sul territorio dell'Unione europea senza un titolo di soggiorno. Il diritto di soggiorno del coniuge è qualcosa di diverso dall'ingresso nel territorio dell'Unione europea. La fattispecie in esame lo dimostra chiaramente: in questo caso l'ingresso nell'Unione europea era stato precedentemente rifiutato da uno Stato membro in forza di un potere ad esso spettante.

8.
Nella presente causa il diritto comunitario viene pertanto invocato in una questione che sostanzialmente rientra nella competenza nazionale per il settore dell'immigrazione. L'essenza della questione non è infatti che una lavoratrice comunitaria vuole farsi accompagnare dal coniuge nell'esercizio di una libertà conferitale dal Trattato, ma che un cittadino di uno Stato terzo, in virtù dei diritti conferitigli dall'ordinamento comunitario in quanto coniuge di un cittadino comunitario, desidera ottenere l'ingresso in uno Stato membro, nella fattispecie il Regno Unito.

9.
Nella presente causa gli interessati si avvalgono delle ampie possibilità loro conferite dal diritto comunitario nel campo della libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione, invocando tra l'altro la menzionata sentenza Singh. Essi vogliono così aggirare la normativa sull'immigrazione che il Regno Unito ha il potere di stabilire e di mantenere in vigore in forza della competenza ad esso spettante.

10.
Giungo così al dilemma per cui la Corte deve trovare una soluzione. Occorre stabilire se dalla consolidata giurisprudenza della Corte, come espressa tra l'altro nella sentenza Singh, debba inferirsi che la normativa nazionale sull'immigrazione deve restare sempre inapplicata, nel caso di coniugi di cittadini comunitari provenienti da fuori dell'Unione europea che, nel momento in cui potrebbero far valere benefici fondati sull'ordinamento comunitario, non siano ancora legittimati a soggiornare nel territorio dell'Unione europea. Siffatto dilemma è tanto più pregnante in quanto l'ordinamento comunitario, nel campo della libera circolazione delle persone, non impone di accertare la natura e la durata del matrimonio, mentre siffatta verifica costituisce un elemento importante della normativa nazionale sull'immigrazione, al fine di prevenire matrimoni fittizi.

II - Contesto normativo

A - Diritto europeo

11.
L'art. 39, n. 1, CE, stabilisce, per quanto qui ci interessa:

«1. La libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità è assicurata.

2. Essa implica l'abolizione di qualsiasi discriminazione, fondata sulla nazionalità, tra i lavoratori degli Stati membri, per quanto riguarda l'impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro.

3. Fatte salve le limitazioni giustificate da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, essa importa il diritto:

(...)

c) di prendere dimora in uno degli Stati membri al fine di svolgervi un'attività di lavoro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative che disciplinano l'occupazione dei lavoratori nazionali».

12.
Al fine di facilitare la libera circolazione dei lavoratori è stato adottato il regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (3), che stabilisce norme per la posizione giuridica dei familiari dei lavoratori, il cui art. 10, n. 1, così recita:

«1. Hanno diritto di stabilirsi con il lavoratore cittadino di uno Stato membro occupato sul territorio di un altro Stato membro, qualunque sia la loro cittadinanza:

a) il coniuge ed i loro discendenti minori di anni 21 o a carico;

(...)».

13.
Faccio riferimento anche ad una direttiva precedente, ma ancora in vigore, che stabilisce ulteriori disposizioni sulla libera circolazione dei lavoratori. La direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d'ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (4), stabilisce tra l'altro regole per l'ingresso e l'espulsione di persone per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza (e anche di sanità pubblica). Il rifiuto di ingresso e l'espulsione di persone non sono sempre ammessi: l'art. 3 della direttiva stabilisce:

«1. I provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell'individuo nei riguardi del quale essi sono applicati.

2. La sola esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare l'adozione di tali provvedimenti (...)».

B - Diritto nazionale del Regno Unito

14.
La normativa sull'immigrazione del Regno Unito è costituita in primo luogo dall'Immigration Act 1971 e dall'United Kingdom Immigration Rules (5) (in prosieguo: «Immigration Rules»). Una persona che non sia cittadino inglese di norma può entrare o soggiornare nel Regno Unito solo se ha ottenuto un'autorizzazione. Siffatta autorizzazione è conosciuta come «leave to enter» (permesso di ingresso) o «leave to remain» (permesso di soggiorno). L'Immigration Rules stabilisce inoltre, tra l'altro, che i cittadini di taluni paesi, specificati al suo allegato 1, tra cui il Marocco, devono ottenere un visto di ingresso prima di entrare nel Regno Unito.

Se una persona può ottenere un permesso di ingresso in forza dell'Immigration Rules nel momento in cui vuole entrare nel Regno Unito, ma ancora non ce l'ha, l'Immigration Rules dispone che l'ingresso possa essergli negato. In talune circostanze specificate può essere negato l'ingresso anche a una persona in possesso di siffatto permesso.

15.
Ai sensi della section 7(1) dell'Immigration Act 1988, il permesso di ingresso o di soggiorno non è richiesto per chi è legittimato ad entrare o a soggiornare nel Regno Unito in base ad una « norma comunitaria vincolante». L'Immigration (European Economic Area) Order 1994 stabilisce inoltre norme per i cittadini dei paesi dello Spazio Economico Europeo (non cittadini inglesi) che esercitano o vogliono esercitare nel Regno Unito i diritti derivanti dalla convenzione.

16.
Una persona che chiede di poter entrare nel territorio del Regno Unito può farlo in forza del suo matrimonio con una persona (che può essere un cittadino del Regno Unito) che viva e sia stabilita nel Regno Unito. Il vincolo matrimoniale deve soddisfare i presupposti indicati al paragrafo 281 dell'Immigration Rules, che, per quanto rilevante, sono i seguenti:

«- il richiedente è sposato con una persona che vive ed è stabilita nel Regno Unito o che è nella stessa circostanza ammessa a stabilirvisi;

- le parti contraenti il matrimonio si sono incontrate;

- ciascuna delle parti intende vivere permanentemente con l'altra quale coniuge ed il matrimonio è in essere;

- le parti e le persone a loro carico dispongono, senza dover fare ricorso a fondi pubblici, di un alloggio adeguato, di cui sono i soli possessori o i soli utilizzatori;

- le parti sono in grado di provvedere adeguatamente al mantenimento proprio e a quello di eventuali persone a carico senza fare ricorso a fondi pubblici.»

Una persona in possesso di tutti questi requisiti può ottenere un visto di ingresso e, dopo averlo ottenuto, può richiedere il permesso di ingresso al momento dell'ingresso nel territorio. L'esclusione di siffatte persone è ammessa per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica (artt. 3 e 15 dell'Immigration Rules).

17.
Inoltre il Secretary of State può autorizzare l'ingresso o il soggiorno nel Regno Unito anche di persone che non ne avrebbero titolo in virtù delle specifiche disposizioni dell'Immigration Rules.

18.
Ai sensi della section 3(5) e della section 3(6) dell'Immigration Act, chi non è cittadino britannico può essere espulso in determinate circostanze, tra cui in presenza di una condanna per un reato punibile con pena detentiva e di una raccomandazione di espulsione emessa da un tribunale penale. A seguito di un ordine di espulsione firmato dal Secretary of State questa persona deve lasciare il Regno Unito, non può rientrare nel Regno Unito e qualsiasi permesso di ingresso o di soggiorno che gli sia stato concesso perde valore.

19.
Di norma gli ordini di espulsione hanno una durata illimitata. Secondo la section 5(2) dell'Immigration Act, tuttavia, il Secretary of State può sempre revocare un ordine di espulsione. Ai sensi dell'Immigration Rules, ogni domanda di revoca di un ordine di espulsione deve essere valutata tenendo presenti tutti gli elementi della fattispecie, fra l'altro i motivi per cui l'ordine è stato emesso, le dichiarazioni presentate a favore della revoca, gli interessi della collettività, compreso il mantenimento di un effettivo controllo sull'immigrazione, e gli interessi del richiedente, comprese le sue condizioni familiari. Sempre ai sensi dell'Immigration Rules, un ordine di espulsione di regola viene revocato soltanto nel caso di un mutamento sostanziale delle circostanze o dopo che sia trascorso un certo periodo di tempo. Di solito comunque - salvo casi del tutto eccezionali - un ordine di espulsione può essere revocato solo se l'interessato non abbia messo piede sul territorio del Regno Unito per almeno tre anni dopo l'emissione del medesimo.

20.
Se si considera il combinato disposto dei paragrafi 320(2) e 321(3) dell'Immigration Rules, un permesso di ingresso e/o un visto di ingresso deve essere rifiutato al destinatario di un ordine di espulsione che chieda di poter entrare nel Regno Unito, anche se questa persona per il resto soddisfi i requisiti per l'ingresso. L'interessato deve ottenere la revoca del suo ordine di espulsione prima di poter ottenere un visto di ingresso o un permesso di ingresso nel territorio. La situazione non cambia nemmeno se questa persona ha un altro titolo per poter essere autorizzata ad entrare nel territorio del Regno Unito.

21.
La normativa britannica non prevede disposizioni particolari per chi desideri entrare nel Regno Unito in qualità di coniuge di un suo cittadino che ritorni nel Regno Unito o desideri farvi ritorno dopo aver esercitato i diritti derivanti dal Trattato come lavoratore in un altro Stato membro. Alla luce della sentenza Singh (6), siffatta persona invoca un «diritto fondato su una norma comunitaria vincolante» ai sensi della section 7(1) dell'Immigration Act 1988 e della section 2 dell'European Communities Act 1972. In questo caso non è necessario un permesso di ingresso nel territorio del Regno Unito, salvo che l'interessato sia in possesso di una cittadinanza indicata nell'appendice 1 dell'Immigration Rules. Avrà allora bisogno, per poter entrare nel Regno Unito, di un previo visto di ingresso che, di norma gli verrà concesso, ma che potrà essergli rifiutato per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.

III - Contesto di merito

22.
In questa parte delle mie conclusioni enuncio i fatti emersi dal procedimento principale e non controversi dinanzi alla Corte.

23.
Hacene Akrich è un cittadino marocchino, nato il 27 marzo 1967. Sua moglie Halina Jazdzewska è una cittadina inglese, nata il 9 giugno 1963.

24.
Il 14 giugno 1988 al sig. Akrich veniva negato l'ingresso sul territorio del Regno Unito. Il 12 febbraio 1989 egli entrava nel territorio del Regno Unito come turista, con un permesso di visita per un mese. Una domanda per un permesso di soggiorno in qualità di studente veniva respinta il 20 luglio 1989 e in data 10 agosto 1990 veniva disattesa la successiva impugnazione.

25.
Il 22 giugno 1990 il sig. Akrich veniva giudicato colpevole di tentato furto e di possesso di una carta d'identità rubata e condannato ad una multa di GBP 250 o ad un giorno di detenzione per ciascun reato da infliggersi contemporaneamente. Il giudice raccomandava la sua espulsione. Il sig. Akrich non presentava appello. Il 1° ottobre 1990 veniva emesso un ordine di espulsione, firmato dal Secretary of State. Il 2 gennaio 1991 il sig. Akrich era riaccompagnato ad Algeri. Nel 1992 veniva arrestato nel Regno Unito; il 30 giugno 1992 veniva nuovamente espulso e riaccompagnato ad Algeri.

26.
L'8 giugno 1996 il sig. Akrich ha sposato Halina Jazdzewska, che indicherò in seguito come «la sig.ra Akrich». Poco dopo, il 29 agosto 1996, veniva richiesto per il sig. Akrich un permesso di soggiorno in quanto marito di una cittadina britannica. Il 14 aprile 1997 il sig. Akrich presentava anche una domanda di asilo.

27.
Il 1° giugno 1997 la sig.ra Akrich si trasferiva in Irlanda, con l'intesa che suo marito l'avrebbe ivi raggiunta. Dopo un breve periodo, alla fine dell'agosto 1997, il sig. Akrich arrivava effettivamente a Dublino, dove lo avevano inviato, su sua richiesta, le autorità britanniche.

28.
Successivamente la sig.ra Akrich ha dichiarato i seguenti motivi per il suo soggiorno in Irlanda. Suo marito si trovava in un centro penitenziario nel Regno Unito; se lei risiedeva in Irlanda, il marito non sarebbe stato riaccompagnato in Algeria, ma avrebbe potuto raggiungerla in Irlanda. La signora precisa poi di non avere avuto l'intenzione di rimanere in Irlanda, in quanto sapeva che, in virtù della normativa comunitaria, un soggiorno di sei mesi in Irlanda avrebbe conferito ad entrambi i coniugi il diritto di tornare nel Regno Unito. Dall'interrogatorio sia della sig.ra Akrich sia del marito emerge che essi considerano la sentenza Singh come il fondamento giuridico per l'ingresso nel Regno Unito.

29.
Durante il soggiorno in Irlanda la sig.ra Akrich lavorava presso una banca; dall'ordinanza di rinvio emerge che l'attività lavorativa è durata oltre sei mesi.

30.
E' stato parimenti accertato, né è contestato, che anche il sig. Akrich ha lavorato durante il suo soggiorno in Irlanda. Per quanto riguarda le circostanze di un eventuale ritorno nel Regno Unito: i coniugi potevano contare su una sistemazione (il fratello della sig.ra Akrich metteva a disposizione un alloggio), la sig.ra Akrich aveva una possibilità concreta di lavorare (un'occupazione nel Regno Unito le era stata offerta a partire dall'agosto 1998) e i coniugi hanno dimostrato di disporre di un capitale di oltre GBP 4 000 irlandesi in contanti.

IV - Procedimento

31.
Il 23 gennaio 1998 il sig. Akrich presentava domanda di revoca dell'ancora vigente ordine di espulsione del 1990 e il 12 febbraio 1998 chiedeva all'ambasciata britannica di Dublino un visto di ingresso nel Regno Unito, come coniuge di una persona ivi residente.

32.
Il 21 settembre 1998, il Secretary of State rigettava la domanda di revoca dell'ordine di espulsione e dava istruzione al funzionario preposto all'Entry Clearance di negare il visto di ingresso richiesto. Il 29 settembre 1998 il funzionario preposto all'Entry Clearance negava detto visto, in conformità delle istruzioni del Secretary of State. Secondo quest'ultimo, infatti, il trasferimento del sig. Akrich e della di lui moglie in Irlanda non era altro che un'assenza temporanea, deliberatamente architettata per forzare un diritto di soggiorno per il sig. Akrich al momento del suo ritorno nel Regno Unito, eludendo così la normativa nazionale del Regno Unito. La sig.ra Akrich non andava pertanto considerata come un lavoratore che aveva esercitato i diritti previsti dal Trattato in un altro Stato membro.

33.
Il 20 ottobre 1998 il sig. Akrich proponeva impugnazione avverso dette decisioni dinanzi all'Adjudicator (Commissario per i ricorsi in materia di immigrazione). Il 2 novembre 1999 l'Adjudicator giungeva alla conclusione che la sig.ra Akrich aveva effettivamente esercitato i diritti conferitile dall'ordinamento comunitario, che non erano inficiati dalle intenzioni dei coniugi Akrich. Egli statuiva pertanto che i coniugi non si erano avvalsi dell'ordinamento comunitario al fine di eludere le disposizioni della normativa nazionale del Regno Unito, aggiungendo che il sig. Akrich non costituiva per l'ordine pubblico un vero e proprio pericolo, abbastanza serio da giustificare il mantenimento dell'ordine di espulsione.

34.
Il 16 novembre 1999 il Secretary of State chiedeva di essere autorizzato a fare appello dinanzi all'Immigration Appeal Tribunal avverso la decisione dell'Adjudicator. Il 23 novembre 1999 l'Immigration Appeal Tribunal autorizzava l'appello. All'udienza del 12 aprile 2000 il Tribunal comunicava alle parti la propria intenzione di sottoporre talune questioni pregiudiziali alla Corte di giustizia delle Comunità europee, ai sensi dell'art. 234 CE, e le invitava a presentare le loro osservazioni in merito.

35.
L'Immigration Appeal Tribunal (Regno Unito), con ordinanza 3 ottobre 2000, registrata nella Cancelleria della Corte il 7 marzo 2001, ha quindi chiesto alla Corte di Giustizia delle Comunità europee una decisione pregiudiziale nel procedimento tra il Secretary of State for the Home Department e Hacene Akrich, sulle seguenti questioni:

«Qualora un cittadino di uno Stato membro sia sposato con un cittadino di uno Stato terzo che ai sensi della normativa nazionale non sia legittimato ad entrare o a risiedere nel detto Stato membro, e con il detto coniuge non cittadino si sposti in un altro Stato membro con l'intento di esercitare i diritti comunitari ivi lavorando solo per un periodo limitato di tempo allo scopo di poter successivamente reclamare, al ritorno nello Stato membro di cui è cittadino, i benefici della normativa comunitaria unitamente al coniuge non cittadino:

1) se lo Stato membro di cui un coniuge è cittadino sia legittimato a considerare l'intenzione di ambedue i coniugi, al momento in cui si spostano in un altro Stato membro allo scopo di godere del beneficio della normativa comunitaria al momento del ritorno nello Stato membro di cui il primo dei detti coniugi è cittadino, nonostante che l'altro coniuge non cittadino difetti della legittimazione ai sensi della normativa nazionale, come un ricorso alla normativa comunitaria per eludere l'applicazione della normativa nazionale; e

2) in caso affermativo, se lo Stato membro di cui il detto coniuge è cittadino abbia il diritto di rifiutarsi:

a) di revocare di tutti i preesistenti ostacoli all'ingresso del coniuge non cittadino nel detto Stato membro (nella specie un ordine di espulsione in essere); e

b) di concedere al coniuge non cittadino il diritto di entrare nel suo territorio».

36.
Nel corso del procedimento hanno depositato osservazioni scritte presso la Corte il ricorrente nel giudizio principale, i governi del Regno Unito e della Grecia e la Commissione. Il 5 novembre 2002 si è tenuta un'udienza dibattimentale.

V - Il contesto della presente causa

A - Osservazione preliminare

37.
Come ho già affermato nell'introduzione delle presenti conclusioni, questa causa nasce dalla concomitanza, da un lato, della normativa sull'immigrazione che riguarda soprattutto l'ammissione di persone provenienti da paesi terzi e, d'altro lato, della libera circolazione delle persone, garantita a livello dell'Unione europea, all'interno dell'Unione stessa. In questa parte delle mie conclusioni analizzerò i contorni di entrambi i settori di competenza, per poi arrivare ad una sintesi. La parte successiva conterrà un'analisi della giurisprudenza della Corte nel campo della libera circolazione delle persone. Le due parti definiscono, nel loro complesso, i limiti entro cui va cercata la soluzione del dilemma delineato nell'introduzione.

B - Diritto di spostarsi da uno Stato membro all'altro

1. La competenza

38.
Allo stato attuale dell'ordinamento comunitario la normativa sull'immigrazione, come in precedenza osservato, rientra quasi completamente nella competenza degli Stati membri. Si tratta di una competenza molto rilevante, che deve poter essere esercitata efficacemente. Anche se l'art. 63, n. 3, prevede l'adozione di talune misure comunitarie nel settore dell'immigrazione, è solo in misura molto ridotta che detta disposizione è stata attuata nella normativa comunitaria (7). Un'ulteriore armonizzazione è prevista per il prossimo futuro (8).

Inoltre, in diverse riunioni del Consiglio europeo, è stata riconosciuta la necessità di una politica comunitaria sull'immigrazione e la Commissione ne ha già delineato i possibili contorni in una comunicazione al Consiglio e al Parlamento (9). Un'armonizzazione totale non verrà tuttavia realizzata, in quanto l'art. 63 la prevede soltanto per taluni settori, tra cui le «condizioni di ingresso e soggiorno e norme sulle procedure per il rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine e di permessi di soggiorno, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare» [v. art. 63, n. 3, lett. a)].

39.
A giudizio della Commissione, misure di armonizzazione sono necessarie in quanto la pressione dell'immigrazione non verrà meno e di una politica sull'immigrazione più aperta e trasparente potranno avvantaggiarsi non solo gli immigranti e i loro paesi d'origine, ma anche la stessa Unione europea. A giudizio della Commissione e ai sensi dell'art. 63 CE, tuttavia, la disciplina dei flussi di migrazione rimane di competenza dei governi nazionali.

40.
Il modo in cui il Regno Unito si è avvalso della sua competenza sta alla base del presente procedimento pregiudiziale. Ma, di che cosa si tratta? Il Regno Unito, in forza della sua propria competenza, fissa taluni requisiti per l'ingresso di cittadini di Stati terzi a seguito di matrimonio con un cittadino britannico (10). Il matrimonio deve avere un carattere «serio». Inoltre l'ingresso può essere rifiutato - non prendo in considerazione le eccezioni - se contro la persona pende un ordine di espulsione.

41.
Di per sé il Regno Unito è legittimato a stabilire siffatti requisiti, sempre nel rispetto dell'art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, che tutela la famiglia e la vita familiare. L'esercizio di questo potere può tuttavia porsi in contrasto con l'ordinamento comunitario nel settore della libera circolazione delle persone, nell'eventualità che l'interessato possa invocare la normativa comunitaria.

2. Il contenuto e la tendenza

42.
L'art. 63 CE si rivolge ai cittadini di Stati terzi. Attualmente la normativa sull'immigrazione degli Stati membri si applica in linea di massima a tutti gli stranieri, ma, considerando i molti diritti conferiti ai cittadini dell'Unione dall'ordinamento comunitario, in pratica - come ho in precedenza osservato - il gruppo dei destinatari della normativa nazionale è limitato, almeno in linea di massima, ai cittadini di Stati terzi. L'essenza della normativa sull'immigrazione è che un immigrante viene ammesso soltanto dopo una verifica individuale preventiva del suo caso specifico. I requisiti stabiliti in merito dagli Stati membri diventano sempre più severi. Il matrimonio costituisce attualmente uno dei pochi titoli che consentono ad un cittadino di uno Stato terzo di entrare in uno Stato membro. E anche i requisiti stabiliti per il matrimonio diventano sempre più rigorosi (11).

43.
Lo Stato membro in cui un cittadino di uno Stato terzo domanda di entrare può subordinare l'ingresso a determinati criteri in base alla propria normativa nazionale. Un partner proveniente dall'esterno dell'Unione europea viene ammesso solo dopo una verifica della natura e della continuità del vincolo matrimoniale. Siffatta verifica serve a contrastare il fenomeno dei matrimoni fittizi tra cittadini dell'Unione e cittadini di Stati terzi già entrati nel territorio di uno Stato membro. Se le autorità competenti di uno Stato membro constatano che un matrimonio è fittizio, di regola il permesso di residenza o di soggiorno derivante dal matrimonio del cittadino dello Stato terzo viene revocato, ritirato o non prorogato. Queste misure possono essere adottate indipendentemente dall'esistenza di un pericolo per l'ordine pubblico.

44.
In taluni Stati membri (Germania, Belgio, Spagna, Francia, Portogallo e Regno Unito) ha luogo una verifica preventiva. In questi Stati membri l'impiegato dello stato civile può, o deve, rifiutarsi di celebrare il matrimonio in presenza di seri indizi che i promessi sposi non hanno l'intenzione di vivere insieme. In seguito, in tutti gli Stati membri ha luogo un controllo successivo. Le autorità competenti verificano, ove esistano fondati sospetti, se si tratti di un matrimonio fittizio. La risoluzione del Consiglio 4 dicembre 1997 fornisce alcuni criteri di cui dette autorità possono avvalersi (12).

45.
Oltre al controllo del matrimonio, gli Stati membri si avvalgono di alcuni altri criteri, per cui non è rilevante se le persone siano sposate oppure no. Nella maggior parte degli Stati membri l'interruzione del soggiorno sul territorio di uno Stato membro (13), la frode e il pericolo per l'ordine pubblico e la pubblica sicurezza costituiscono motivi di giustificazione per la revoca o per il rifiuto di proroga del titolo di soggiorno o per l'espulsione di una persona dal territorio di uno Stato membro. In alcuni Stati membri può essere disposto un provvedimento di espulsione dal territorio a titolo di pena, o di pena accessoria alla pena detentiva. Se un cittadino di uno Stato terzo ha fornito informazioni false o ingannevoli, ha utilizzato documenti falsi o contraffatti, o ha commesso frode in altro modo, in ogni Stato membro il suo titolo di soggiorno può essere revocato o non rinnovato. Tutti gli Stati membri hanno recepito nella normativa nazionale la possibilità di espellere o di allontanare cittadini di uno Stato terzo se esiste un rischio per l'ordine pubblico o la pubblica sicurezza. In Austria, Danimarca e Germania l'espulsione per questi motivi è obbligatoria. Diversi paesi prevedono nella loro normativa che, le condanne per taluni reati (delitti di droga in Danimarca) o di una certa gravità (pena detentiva superiore ad un anno in Finlandia) siano accompagnate da un provvedimento di espulsione.

46.
Nell'adottare un provvedimento di espulsione dal loro territorio, gli Stati membri devono tenere conto della situazione specifica dell'interessato. Ciò in considerazione del fatto che un provvedimento di espulsione può avere conseguenze molto gravi per le persone coinvolte, soprattutto se l'interessato ha legami stretti con la sua famiglia e con altri parenti. I limiti da rispettare sono dettati dalla Convenzione Europea dei diritti dell'uomo, e in particolare dal suo art. 8. Quando valuta la possibilità di rifiutare la concessione o il rinnovo del titolo di soggiorno o di ordinare l'espulsione dal territorio, l'autorità nazionale competente deve operare un raffronto tra gli interessi dello Stato e quelli dell'interessato e dei suoi familiari. Taluni criteri emergono dalla giurisprudenza della Corte europea per i diritti dell'uomo (14):

- il livello di integrazione sociale e culturale nel paese ospitante;

- i legami con familiari residenti nel paese ospitante;

- i legami con il paese ospitante, e segnatamente la circostanza che un cittadino di un paese terzo sia emigrato nel paese ospitante già in gioventù;

- la durata del soggiorno dell'interessato nel paese ospitante;

- la salute, l'età e la situazione familiare ed economica dell'interessato;

- l'entità dei legami che l'interessato ha con il paese di origine;

- il rischio di un cattivo trattamento dell'interessato nel caso di ritorno al paese d'origine.

47.
Come in precedenza rilevato, per i cittadini di Stati terzi esistono solo possibilità limitate di entrare nel territorio dell'Unione europea. I motivi che giustificano l'espulsione di una persona dal territorio di uno Stato membro previsti dalla normativa degli Stati membri sono invece attualmente ampi. In taluni Stati membri la normativa nazionale diventa inoltre sempre più rigorosa e viene continuamente modificata. Quando uno Stato membro inasprisce la propria normativa sull'immigrazione, gli Stati confinanti non tardano ad imitarlo. I requisiti stabiliti dagli Stati membri all'ingresso di cittadini di Stati terzi diventano più severi man mano che gli Stati incontrano maggiori difficoltà per contenere i flussi di immigrazione.

48.
Faccio ancora riferimento ad alcune nuove direttive nel campo dell'immigrazione e della libera circolazione (15). Per risolvere le questioni sollevate dal giudice del rinvio queste proposte di normativa comunitaria, di cui è ancora incerto in che misura saranno adottate dal Consiglio, non hanno alcun rilievo.

C - La libera circolazione delle persone

1. La competenza

49.
Le competenze dell'Unione europea nel campo della libera circolazione interna delle persone sono pressoché totali. Esse riguardano l'ingresso e il soggiorno di cittadini degli Stati membri dell'Unione europea negli Stati membri di cui non sono cittadini. Gli artt. 18, 39, 43 e 49 CE si rivolgono esplicitamente ai cittadini degli Stati membri (16), che da questi articoli del Trattato traggono direttamente un diritto d'ingresso e di soggiorno. In questo campo agli Stati membri spetta solo una competenza molto limitata. Essi possono infatti rifiutare l'ingresso e il soggiorno a cittadini di altri Stati membri soltanto per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità. Inoltre, nel caso di cittadini di altri Stati membri non economicamente attivi, gli Stati membri possono esigere che essi non costituiscano un onere sproporzionato per le pubbliche risorse.

50.
Siffatta competenza è stata conferita alla Comunità europea al fine di garantire l'effettiva realizzazione dell'integrazione europea, in primo luogo per mezzo di un mercato comune senza confini interni. Cito l'art. 14, n. 2, CE: « Il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del presente trattato.»

2. Il contenuto e la tendenza

51.
Come ho delineato più particolareggiatamente nelle mie conclusioni per la causa Baumbast e R (17), nel campo della libera circolazione delle persone esistono due complessi di normative comunitarie, ossia le norme per l'immigrazione, in essere da molto tempo, relative allo svolgimento di un'attività economica, e le disposizioni successive che conferiscono ai cittadini dell'Unione europea un diritto di soggiorno - tuttavia non illimitato - anche se essi sono economicamente inattivi.

52.
Le norme per le attività economiche - mi limito qui, nel contesto della presente causa, alla libera circolazione dei lavoratori - sono contenute tra l'altro negli artt. 39 e seguenti del Trattato, nel regolamento n.1612/68 e nelle direttive 64/221 e 68/360 (18). L'art. 39 CE conferisce al cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea il diritto di spostarsi liberamente all'interno dell'Unione europea e di soggiornare nel territorio di un altro Stato membro, al fine di svolgervi un'attività lavorativa. Nella normativa derivata ad ambedue questi diritti garantiti dal Trattato sono stati aggiunti diritti accessori, tra cui il menzionato diritto di farsi accompagnare da familiari nel soggiorno in un altro Stato membro. Questo diritto accessorio è formulato dal regolamento n. 1612/68 come un diritto proprio dei familiari del lavoratore. La direttiva 68/360 deve garantire che questo diritto non venga frustrato da restrizioni formali al momento dell'effettivo ingresso. I familiari - e naturalmente anche il lavoratore stesso - vengono ammessi sul territorio previa esibizione di un documento di identità o di un passaporto validi e, eventualmente, di un visto. Si esclude così qualsiasi verifica individuale preventiva (19).

53.
Per le persone non attive vale un diritto di soggiorno in forza della direttiva 90/364 (20). Siffatto diritto spetta ai cittadini degli Stati membri a cui non venga conferito da altre disposizioni comunitarie e ai loro familiari, a condizione che essi abbiano per se stessi e per i familiari un'assicurazione contro le malattie che copra tutti i rischi nel paese ospitante e dispongano di sufficienti mezzi per garantire che durante il loro soggiorno non debbano dipendere da sussidi concessi dal paese ospitante.

54.
La normativa europea nel campo della libera circolazione delle persone è completata dal diritto di spostarsi e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri, conferito al cittadino dell'Unione dall'art. 18 CE. Nella sentenza Baumbast e R (21) la Corte ha ammesso esplicitamente un'efficacia diretta dell'art. 18, anche se siffatto diritto è vincolato a limitazioni che trovano origine nell'ordinamento comunitario. A questo proposito, la Corte non ha dovuto interrogarsi sulla questione se dei diritti conferiti al cittadino dell'Unione europea dall'art. 18 faccia parte anche quello di farsi accompagnare da familiari.

55.
Giungo così ad esaminare i diritti dei familiari che non siano essi stessi cittadini di uno Stato membro. L'art. 10 del regolamento n. 1612/68 conferisce diritti a cittadini di Stati terzi che possano invocare la loro qualità di coniuge o di figli di un lavoratore comunitario. Per il loro diritto di soggiorno non è rilevante il fatto che essi non siano cittadini dell'Unione; l'essenziale è il vincolo che hanno con il lavoratore. Sul coniuge il regolamento non dice nulla di più.

56.
Esamino adesso lo sviluppo del diritto. La libertà di soggiornare in un altro Stato membro, garantita dal Trattato, diventa sempre più completa. L'esercizio del diritto da parte del cittadino dell'Unione non può essere ostacolato da restrizioni opposte ai suoi familiari. Ciò vale segnatamente per la libera circolazione dei lavoratori. Per cominciare, in virtù del regolamento n. 1612/68, il lavoratore ha sempre il diritto di stabilirsi con il proprio coniuge in uno Stato membro. Siffatto diritto, ai sensi del preambolo del regolamento, deve essere considerato come un diritto fondamentale, sia per il lavoratore sia per la sua famiglia. Non vengono controllate né la natura né la continuità del matrimonio. L'unica eccezione riguarda il rifiuto di ingresso per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza (ai sensi della direttiva 64/221). Deve in ogni caso trattarsi di una minaccia seria: una condanna penale come tale non può essere automaticamente considerata una minaccia. I diritti dei familiari si spingono poi oltre il mero ingresso: essi devono poter lavorare e seguire corsi di studio, e conservare addirittura taluni diritti anche dopo il ritorno del lavoratore nello Stato membro d'origine (22).

57.
Occorre tuttavia domandarsi se il legislatore comunitario, nell'adozione del regolamento n. 1612/68, abbia preso in considerazione tutte le ipotesi possibili. L'essenza del regolamento n. 1612/68 mi sembra essere che il lavoratore che si stabilisce in un altro Stato membro debba poter portare con sé il proprio coniuge a condizioni per quest'ultimo favorevoli. Ciò è nell'interesse della libera circolazione ed è conforme all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Sono tuttavia concepibili anche situazioni diverse, che rientrano pur esse nell'ampia formulazione dell'art. 10 del regolamento n. 1612/68. Per cominciare mi riferisco al caso in cui, al momento del trasferimento, non sussisteva ancora alcun vincolo familiare. Un cittadino dell'Unione si sposa con una persona proveniente da un paese terzo solo dopo che si è stabilito in un altro Stato membro come lavoratore. E' poi concepibile la situazione in cui il vincolo con il lavoratore migrante era già in essere, ma ad un certo momento si estingue, come nella causa Baumbast e R (23), che riguardava due diverse fattispecie, ossia il venir meno del vincolo con il lavoratore migrante a seguito di divorzio e la perdita dello status di lavoratore comunitario da parte del cittadino comunitario con cui l'interessato era sposato (e continuava ad esserlo).

58.
Esiste poi l'ipotesi che si presenta nel caso ora in esame. Il sig. Akrich, coniuge di una cittadina comunitaria, soggiorna illegalmente nel territorio dell'Unione europea. Anzi, non solo non gli è stato concesso l'ingresso, ma nei suoi confronti è addirittura in vigore un ordine di espulsione emanato dal Regno Unito. Ciononostante egli invoca il diritto comunitario per entrare nel territorio dell'Unione europea in un altro Stato membro - nella fattispecie l'Irlanda . Tale diritto gli viene conferito ed egli, di conseguenza, lo invoca, nonostante l'ordine di espulsione ancora in vigore contro di lui, per entrare nello Stato membro che in precedenza gli ha rifiutato l'ingresso.

D - In sintesi

59.
La normativa sull'immigrazione mira a stabilire regole per l'ingresso negli Stati membri dell'Unione europea. Queste regole tendono a diventare sempre più severe. La normativa comunitaria sulla libera circolazione delle persone mira a liberalizzare lo spostamento e il soggiorno in altri paesi. Il diritto a soggiornare in un altro Stato membro tende a diventare sempre più ampio.

60.
Ambedue questi sviluppi di per sé non sono necessariamente contrastanti tra loro. E' addirittura inevitabile che lo sviluppo del diritto sostanziale nei due settori di competenza diverga sempre di più. Infatti, dato che l'Unione europea diventa sempre più uno spazio nel cui interno ci si può spostare liberamente, occorre esercitare un controllo al momento dell'ingresso in siffatto spazio. La libera circolazione delle persone vale per coloro che in questo spazio sono stati ammessi.

61.
Orbene, la normativa nel settore della libera circolazione delle persone conferisce diritti ai coniugi di cittadini comunitari anche se questi non sono stati ammessi nell'Unione europea, o non sono stati ancora ammessi. Ciò è tanto più curioso in quanto ormai le rispettive norme, come ho già osservato, mostrano divergenze sempre più rilevanti. Inoltre l'ambito di applicazione ratione personae sembra invece coincidere maggiormente. Da un lato i cittadini di Stati terzi che possono avvalersi delle norme relative alla libera circolazione delle persone costituiscono un gruppo sempre più importante, adesso che il diritto di soggiorno all'interno dell'Unione europea conferisce benefici sempre maggiori ai cittadini dell'Unione stessa e pertanto anche benefici (derivati) ai loro familiari. D'altro canto, considerando il continuo inasprimento della normativa sull'immigrazione, la formazione della famiglia e il ricongiungimento familiare costituiscono un fondamento la cui importanza per l'immigrazione legale nell'Unione europea è in continuo aumento. Proprio ai familiari di cittadini comunitari migranti spettano diritti in virtù delle norme sulla libera circolazione delle persone. Siffatti diritti diventano sempre più forti, se si considera anche l'importanza riconosciuta dalla Corte alla tutela della vita familiare dei cittadini dell'Unione europea (24).

62.
Da questo aspetto consegue una certa incongruenza nel diritto. Ad un cittadino dell'Unione europea che desideri sposarsi e quindi convivere con una persona avente la nazionalità di uno Stato terzo non spetta senz'altro il diritto far entrare il coniuge nel proprio Stato membro. Il coniuge viene ammesso soltanto dopo una verifica individuale, effettuata dalle autorità nazionali preposte all'immigrazione in base a regole severe. Siffatta verifica comprende tra l'altro la natura e la durata della relazione nonché i trascorsi del coniuge. Se un cittadino dell'Unione invece si stabilisce in un qualunque altro Stato membro, queste disposizioni non si applicano. Il coniuge è pertanto sottratto alla normativa nazionale sull'immigrazione e viene ammesso automaticamente in forza della normativa comunitaria. La situazione cambia soltanto se il coniuge costituisce una grave minaccia per l'ordine pubblico (25).

63.
Ad abundantiam osservo anche che lo Stato membro ospitante può controllare se il cittadino dell'Unione - e pertanto non il coniuge proveniente da uno Stato terzo - invochi legittimamente la normativa comunitaria, in quanto lavoratore (o ad esempio prestatore di servizi), o, in quanto persona non attiva, in virtù della direttiva 90/364.

VI - L'orientamento della giurisprudenza della Corte

A - Introduzione

64.
Per la presente causa è rilevante soprattutto la giurisprudenza sulla portata del diritto conferito al lavoratore migrante e ai suoi familiari dall'art. 39 CE e dalla pertinente normativa derivata. Esaminerò siffatta giurisprudenza nel seguente modo. Analizzerò dapprima come sorga il diritto in virtù dell'art. 39, per poi verificare se il lavoratore conservi questo diritto quando ritorna al suo paese d'origine, approfondendo a tale riguardo il principio di non discriminazione. Discuterò successivamente le limitazioni al diritto di soggiorno ammesse dall'ordinamento comunitario per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza. Esaminerò poi la giurisprudenza da un altro punto di vista, segnatamente per accertare quali diritti siano conferiti ai cittadini dall'ordinamento comunitario se essi lo invocano soltanto al fine di aggirare la normativa (nazionale) ad essi sfavorevole. Giungerò infine al cittadino dell'Unione e al suo diritto alla vita familiare. Per diversi elementi ci si dovrà domandare in che misura al coniuge del cittadino migrante spettino, in virtù dell'ordinamento comunitario, gli stessi diritti conferiti allo stesso lavoratore migrante.

65.
Comincerò tuttavia con un'osservazione preliminare: in sostanza l'interpretazione data dalla Corte alle disposizioni relative alla libera circolazione dei lavoratori può riassumersi con la qualifica 'estensiva'. Oltre al testo della normativa, la Corte afferma esplicitamente di considerare anche la ratio della medesima: le restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori devono essere per quanto possibile soppresse. Ciò implica tuttavia una limitazione dell'ambito di applicazione delle disposizioni nazionali, che (potenzialmente) ostacolano siffatta libertà.

B - L'attribuzione del diritto

66.
Per cominciare rinvio alla costante giurisprudenza della Corte, secondo la quale i diritti conferiti dall'art. 39 CE possono nascere soltanto in situazioni comprese nell'ambito di applicazione della normativa comunitaria. Essi pertanto non sorgono in situazioni che non mostrano alcuna analogia con quelle considerate dal diritto comunitario, ossia in cui tutti gli elementi riguardano la sfera interna di un solo Stato membro (26). Di conseguenza, detto articolo non può essere applicato alla posizione di persone che non hanno mai goduto della libertà di circolazione. Altrettanto vale, mutatis mutandis, per i diritti conferiti ad un cittadino dall'art. 43 CE o dall'art. 49 CE, relativi rispettivamente allo stabilimento e alla libera circolazione dei servizi (27).

67.
Perché sorga un diritto in virtù dell'art. 39 CE occorre pertanto la sussistenza di un elemento transfrontaliero. In una determinata situazione, chi avanza la pretesa deve avere punti di riferimento in almeno due Stati membri. La situazione classica contemplata dall'art. 39 CE riguarda il cittadino di uno Stato membro che si trova in un altro Stato membro per svolgervi un'attività lavorativa. A costui l'ordinamento comunitario conferisce il diritto di soggiornare nell'altro Stato membro. Questa è la regola principale dell'art. 39 CE.

68.
Secondo la sentenza Levin (28) il lavoratore può invocare la libera circolazione dei lavoratori soltanto se svolge un'attività reale ed effettiva in uno Stato membro di cui non è cittadino, o almeno se è seriamente intenzionato a farlo. Il lavoro non può essere di portata tanto ridotta da dover essere considerato solo marginale ed accessorio. Può trattarsi di lavoro a tempo parziale, e la retribuzione corrisposta può essere inferiore alla retribuzione minima garantita per il relativo settore. Così la Corte non esclude che un impiego a tempo parziale, che di norma non superi le dieci ore settimanali, presenti il carattere di serietà richiesto. Altrettanto vale per uno stage nell'ambito di una formazione professionale (29).

69.
A questo proposito osservo che la nozione di 'lavoratore' è una nozione di diritto comunitario (30)il cui effetto non può dipendere da criteri stabiliti dalle normative nazionali che impongano, ad esempio, requisiti relativi alla portata del lavoro o ad un periodo minimo di attività lavorativa (31).

70.
Per garantire concretamente la libera circolazione dei lavoratori, la giurisprudenza ha attribuito vari diritti integrativi, anche in forza di normativa comunitaria derivata. La Corte ha così tradotto in pratica il presupposto che sono qui in gioco le libertà fondamentali garantite dal Trattato, che non possono in quanto tali essere interpretate restrittivamente (32). L'integrazione avviene sotto due aspetti: la Corte interpreta spesso estensivamente il diritto del lavoratore stesso, e riconosce inoltre diritti analoghi anche ai suoi familiari.

71.
Per cominciare esamino la portata del diritto del lavoratore stesso. In primo luogo il rapporto di lavoro non è vagliato secondo criteri troppo severi. La Corte - ad esempio - ha ammesso già nella sentenza Levin, del 1982, il lavoro a tempo parziale. Ciò è curioso in quanto nel 1982 il lavoro a tempo parziale era notevolmente meno diffuso che oggi. In secondo luogo, non occorre che un cittadino di uno Stato membro si stabilisca fisicamente in un altro Stato membro. Nella sentenza Carpenter - che riguarda la libera prestazione di servizi - la Corte dichiara applicabile il diritto comunitario ad una situazione in cui una persona presta i suoi servizi prevalentemente dallo Stato membro di cui è cittadino a favore di clienti che si trovano in altri Stati membri. La Corte si spinge forse ancora oltre nella sentenza Deliège (33), in cui consente di invocare l'ordinamento comunitario ad un atleta che partecipa ad una gara in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede. Ovviamente occorre che la partecipazione a tornei internazionali costituisca un'attività economica ai sensi dell'art. 2 del Trattato. In terzo luogo il lavoratore, in determinate circostanze, può continuare ad invocare l'ordinamento comunitario qualora ritorni nel proprio paese dopo un soggiorno in un altro Stato membro. Considerata la sua importanza per la causa in esame, approfondirò separatamente questo aspetto in prosieguo.

72.
I diritti per i familiari dei lavoratori migranti si basano in prevalenza sul regolamento n. 1612/68 (34). Il diritto di stabilimento è loro conferito dall'art. 10 del medesimo. I familiari possono pertanto far valere diritti propri che però dipendono dal loro vincolo con un lavoratore migrante. Il carattere derivato di siffatti diritti implica che non occorre che il coniuge sia un cittadino dell'Unione né che egli abbia elementi di contatto con più di uno Stato membro. Ciò che importa è che il lavoratore stesso abbia un elemento che lo collega con un'altro Stato membro, come emerge tra l'altro dalla sentenza Morson e Jhanjan (35), secondo la quale siffatto nesso mancava in un caso in cui lavoratori che non avevano mai lavorato in un altro Stato membro volevano trasferirvi familiari da uno Stato terzo.

73.
Ricollegandosi all'interpretazione estensiva attribuita al diritto del lavoratore, la Corte stabilisce requisiti non troppo severi alla natura del vincolo con il lavoratore migrante. Non occorre ad esempio che i coniugi convivano durevolmente (36). Neppure il venir meno del vincolo con un lavoratore migrante implica automaticamente la cessazione del diritto di un familiare a soggiornare in uno Stato membro. La sentenza Baumbast e R (37) riguardava sia la fattispecie in cui il vincolo familiare era stato spezzato a causa di divorzio, sia quella in cui era venuto meno lo status di lavoratore di colui che poteva vantare il diritto in virtù dell'art. 39 CE. Per entrambe le fattispecie la Corte ha dichiarato che, ai sensi dell'art. 12 del regolamento n. 1612/68, il diritto di soggiorno dei figli del(l'ex-) lavoratore restava in essere, come anche il diritto di soggiorno del genitore affidatario, a sua volta derivato dal diritto dei figli.

74.
Infine, e ciò vale sia per il lavoratore sia per il suo familiare, queste persone non possono essere assoggettate a formalità precedenti l'ingresso in uno Stato membro. Può essere respinto al confine soltanto chi non sia in grado di dimostrare la propria identità (38). La Corte, nella sentenza BRAX, ha addirittura dichiarato che la mancanza di un visto valido di per sé non può giustificare l'allontanamento (39). Secondo questa sentenza, neppure il mancato rispetto di formalità può giustificare l'allontanamento.

C - Decade il diritto in caso di ritorno?

75.
In linea di massima una persona perde la qualità di lavoratore comunitario quando non possiede più i requisiti necessari per ottenere questo titolo (40). Per dirlo in altri termini, quando il rapporto di lavoro è cessato, l'interessato perde di norma la qualità di lavoratore ai sensi dell'art. 39 CE. Ciò non toglie, tuttavia, che siffatta qualità possa produrre, dopo la cessazione del rapporto di lavoro(41), taluni effetti che continuano a sussistere anche dopo il ritorno del lavoratore nello Stato membro d'origine.

76.
Nella sentenza Singh (42) la Corte ha dichiarato:« Un cittadino di uno Stato membro potrebbe essere dissuaso dal lasciare il suo paese d'origine per esercitare un'attività lavorativa subordinata o autonoma, ai sensi del Trattato CEE, nel territorio di un altro Stato membro se non potesse fruire, allorché ritorna nello Stato membro di cui ha la cittadinanza per esercitare un'attività lavorativa subordinata o autonoma, di agevolazioni in fatto di entrata e di soggiorno almeno equivalenti a quelle di cui può disporre, in forza del Trattato CEE o del diritto derivato, nel territorio di un altro Stato membro». In sintesi, la Corte presuppone che un lavoratore migrante, dopo essere rientrato nel suo Stato membro di origine, continua a godere di diritti conferitigli dal Trattato. In questa sentenza la Corte afferma che siffatti diritti sono equivalenti a quelli direttamente conferiti ad un lavoratore subordinato o autonomo dal Trattato CE.

77.
Sottolineo che il rientro nel proprio paese non fa sorgere alcun diritto nuovo in forza della normativa comunitaria, ma che taluni benefici continuano a derivare da un diritto precedentemente attribuito. In questo senso interpreto le sentenze Angonese, Kraus e D'Hoop (43), tutte vertenti sul trattamento riservato a cittadini dell'Unione europea nel proprio paese dopo che avevano seguito corsi di studio in un altro Stato membro. Senza scendere in particolari, osservo che essi si erano avvalsi del diritto alla libera circolazione, il che li faceva rientrare nell'ambito di applicazione del diritto comunitario. Dopo il loro rientro essi potevano continuare a fruire di benefici conferiti dal Trattato: segnatamente non poteva essere loro imputato il fatto di non aver compiuto (tutti) gli studi nel proprio paese. Occorre pertanto che sussista un elemento di collegamento tra l'esercizio del diritto alla libera circolazione e il diritto invocato dall'interessato (44).

78.
Segnatamente la Corte approfondisce poi, nella sentenza Singh, il diritto del coniuge proveniente da uno Stato terzo. Questi può accompagnare il lavoratore subordinato o autonomo, alle condizioni specificate nel regolamento n. 1612/68, nella direttiva 68/360 o nella direttiva 73/148. I suoi diritti non sono diversi da quelli del lavoratore stabilitosi in un altro Stato membro.

79.
Per i figli del lavoratore siffatto diritto si spinge oltre. Nella sentenza Echternach e Moritz (45), la Corte ha dichiarato che un figlio di un lavoratore che ha svolto un'attività in un altro Stato membro mantiene la qualità di familiare del lavoratore ai sensi del regolamento n. 1612/68 quando la famiglia ritorna nello Stato membro di origine e il figlio - anche non immediatamente - resta nel paese ospitante per continuarvi gli studi, che non poteva continuare nello Stato di origine. In merito la Corte ha considerato che i vantaggi attribuiti ai familiari di un lavoratore contribuiscono al loro inserimento nella vita sociale del paese ospitante, in armonia con gli scopi della libera circolazione dei lavoratori. Perché l'inserimento abbia successo - prosegue la Corte - è indispensabile che i figli di un lavoratore comunitario abbiano la possibilità di intraprendere studi di ogni livello nel paese ospitante, come espressamente previsto dall'art. 12 del regolamento n. 1612/68, al fine di portarli a termine con successo (46).

80.
I vantaggi per i figli non sono tuttavia illimitati. La sentenza Echternach e Moritz riguarda una situazione specifica. In generale l'accesso indiscriminato ai benefici sociali dello Stato membro ospitante non può essere esteso - fatte salve circostanze eccezionali (47) - a lavoratori che hanno cessato le loro attività professionali nello Stato membro ospitante ed hanno deciso di ritornare nello Stato membro di origine. Non va riconosciuto pertanto un sussidio agli studi quando il lavoratore rientra facendosi accompagnare dal figlio che aveva diritto a tale sussidio (48).

D - Il significato del divieto di discriminazione

81.
Per cominciare, secondo un costante orientamento della giurisprudenza della Corte, il principio di pari trattamento, sancito sia dall'art. 39 CE sia dall'art. 7 del regolamento n. 1612/68, vieta non soltanto una discriminazione palese a causa della nazionalità, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata, che, pur applicando criteri di distinzione diversi, porti sostanzialmente agli stessi risultati. Gli interessati possono invocare tale divieto, interpretato estensivamente, a condizione, tuttavia, che essi non esulino dall'ambito di applicazione materiale del diritto comunitario, come ha affermato la Corte nella sentenza Morson e Jhanjan (49).

82.
Il divieto di discriminazione svolge un ruolo importante nella giurisprudenza della Corte relativa alla libera circolazione delle persone. Molti dei diritti conferiti dall'ordinamento comunitario derivano dal divieto di riservare a cittadini dell'Unione migranti e ai loro familiari un trattamento meno favorevole di quello accordato ad una persona con cui essi vengono raffrontati.

83.
Nell'ambito della libera circolazione delle persone il divieto presenta due sfumature. Da un lato la Corte talvolta ammette che uno Stato membro tratti il proprio cittadino meglio del cittadino di un altro Stato membro. Questa distinzione deriva dal fatto che, allo stato attuale dell'ordinamento comunitario, non esiste un diritto di soggiorno incondizionato di cittadini di uno Stato membro sul territorio di un altro Stato membro (50). La differenza di trattamento può anche ripercuotersi in una differenza di trattamento tra il coniuge del proprio cittadino e il coniuge del cittadino di un altro Stato membro. Segnatamente uno Stato membro, a giudizio della Corte, è legittimato ad esigere dal coniuge di persone che non godono esse stesse di un diritto di soggiorno a tempo indeterminato un periodo di soggiorno più lungo sul suo territorio di quello prescritto nel caso di coniugi di persone che tale diritto hanno già, prima di concedergli lo stesso diritto (51).

84.
D'altro lato la discriminazione alla rovescia svolge un ruolo importante. Uno Stato membro può assoggettare i propri cittadini a norme che non può imporre a cittadini di altri Stati membri, in quanto siffatte norme ostacolerebbero l'esercizio di una libertà di questi ultimi garantita dal Trattato. Siffatto potere dello Stato membro non opera però in modo così assoluto. I cittadini di uno Stato membro, in situazioni rientranti nell'ambito di applicazione materiale del diritto comunitario, indipendentemente dalla cittadinanza e fatte salve le eccezioni a tal riguardo espressamente previste, ha uno diritto ad un medesimo trattamento giuridico (52). Se ci si ritrova in un siffatto ambito di applicazione, occorrerà constatare che anche i cittadini dello Stato membro interessato risultano ostacolati nell'esercizio di una libertà garantita dal Trattato. Ciò significa che uno Stato membro può discriminare il proprio cittadino soltanto se tutti gli elementi rilevanti di una determinata causa sono collocati all'interno dello Stato. Una simile fattispecie è considerata dalla Corte come una circostanza meramente interna di uno Stato membro, per la mancanza di qualsivoglia elemento di collegamento con situazioni rientranti nel diritto comunitario (53). E' comunque bene sottolineare anche sotto tale profilo che la Corte interpreta estensivamente l'ambito di applicazione materiale del diritto comunitario.

85.
Ho così sufficientemente illustrato il divieto di discriminazione, per quanto rileva ai fini della presente causa. Ciò mi porta adesso ad esaminare il contenuto della discriminazione: pari trattamento nei confronti di chi? La discriminazione classica riguarda il cittadino comunitario migrante, che si stabilisce in un altro Stato membro e che deve ricevere lo stesso trattamento riservato ai cittadini di quello Stato. Un esempio classico è rappresentato dalla sentenza Reed (54), in cui è stata negata ad uno Stato membro che, nel concedere taluni benefici ai propri cittadini, parificava i partners coniugati e quelli non coniugati, la facoltà di riconoscere questi benefici soltanto al coniuge del lavoratore migrante comunitario.

86.
La presente causa non riguarda tuttavia questa situazione classica, ma piuttosto una forma di discriminazione alla rovescia: quella del cittadino che ritorna nel suo paese dopo essersi avvalso di una libertà garantita dal Trattato. Nella giurisprudenza trovo i seguenti termini di paragone:

- il raffronto con chi rimane nello Stato membro in cui ha esercitato la libertà di circolazione (sentenza Fahmi e Esmoris Cerdeiro-Pinedo Amado);

- il raffronto con il cittadino dello Stato membro interessato che non si è avvalso del diritto comunitario (sentenza D'Hoop);

- il raffronto con chi si sposta ancorain un altro Stato membro (un terzo Stato membro) (sentenza Singh).

87.
La sentenza Fahmi e Esmoris Cerdeiro-Pineido Amado (55) suffraga un precedente orientamento della Corte relativo al mantenimento, dopo il ritorno nel proprio paese, dei benefici sociali spettanti ad un lavoratore migrante in forza del regolamento n. 1612/68. Era in discussione tra l'altro il mantenimento del diritto ad un sussidio di studio a favore dei figli del lavoratore (56). Non si può interpretare l'art. 7, n. 2, del regolamento n. 1612/68 nel senso che esso garantisca il mantenimento di un vantaggio sociale a favore di lavoratori migranti che abbiano cessato di svolgere le loro attività professionali nello Stato membro ospitante e che siano rientrati nello Stato membro di origine (57). Interpreto siffatta giurisprudenza estensivamente. Dopo il ritorno nello Stato membro di origine non vi è più alcun motivo di operare un raffronto con chi è rimasto nel paese ospitante. Ciò vale sia per quanto riguarda i diritti inerenti ad un soggiorno in loco, come il sussidio agli studi, sia per quanto riguarda altri diritti. L'interessato ritorna nella sfera giuridica del proprio Stato membro ed è pertanto nei confronti di quest'ultimo che deve far valere i propri diritti.

88.
Il secondo raffronto relativo al divieto di discriminazione si trova nella sentenza D'Hoop (58). Sarebbe incompatibile con il principio della libera circolazione applicare ad una persona, nello Stato di cui ha la cittadinanza, un trattamento meno favorevole di quello di cui godrebbe se non avesse usufruito delle facilitazioni concesse dal Trattato in materia di libera circolazione. La sentenza nega così che questa persona possa essere trattata in modo diverso dai concittadini che non si sono avvalsi della libertà di circolazione. Nessuno può subire uno svantaggio per aver fatto uso di una libertà contemplata nel Trattato.

89.
Questa sentenza tuttavia non chiarisce se il divieto di discriminazione implichi anche che un singolo possa avvantaggiarsi del fatto di essersi avvalso dell'ordinamento comunitario. E' proprio un'interpretazione in tal senso che potrebbe aiutare i coniugi Akrich nella presente causa.

90.
Siffatta interpretazione si trova nella sentenza Singh. Da questo raffronto la Corte fa derivare conseguenze anche per la posizione giuridica del coniuge di un cittadino comunitario che si è avvalso del diritto comunitario, quando quest'ultimo ritorna nel suo paese di origine. Il coniuge ha diritti di ingresso e di soggiorno per lo meno uguali a quelli che gli verrebbero conferiti dall'ordinamento comunitario se l'altro coniuge decidesse di spostarsi in un altro Stato membro, di cui non possiede la nazionalità, e di restarvi.

E - I limiti fissati dall'ordine pubblico e dalla pubblica sicurezza

91.
Secondo la giurisprudenza della Corte i provvedimenti nazionali che possono ostacolare o limitare l'esercizio di libertà fondamentali garantite dal Trattato devono soddisfare quattro condizioni: essi devono applicarsi in modo non discriminatorio, essere giustificati da ragioni imperative di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello scopo perseguito e non esorbitare da quanto necessario per il raggiungimento di questo (59). La Corte interpreta pertanto restrittivamente tale limitazione di una libertà fondamentale contemplata dal Trattato.

92.
L'art. 46 CE indica l'ordine pubblico e la pubblica sicurezza come ragioni imperative di interesse pubblico. L'ordine pubblico - e lo stesso vale per la pubblica sicurezza - può essere invocato per espellere cittadini di altri Stati membri dal territorio nazionale o per negare loro l'ingresso. Conformemente alla giurisprudenza della Corte, si può ricorrere alla nozione di ordine pubblico soltanto in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave ad uno degli interessi fondamentali della collettività (60). La giurisprudenza della Corte si fonda direttamente sul Trattato, attenendosi per questo punto ad un criterio più rigido di quanto stabilito dalla direttiva 64/221. Talvolta la Corte rinvia esplicitamente a siffatta direttiva (61), affermando che l'esistenza di una condanna penale è rilevante soltanto quando dalle circostanze che l'hanno determinata emerga un comportamento personale costituente una minaccia effettiva per l'ordine pubblico. Una deroga per motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza è tuttavia prevista anche dalla direttiva 68/360. Presuppongo che l'interpretazione di questa deroga non differisca da quanto descritto nel presente paragrafo.

93.
Il divieto di discriminazione in base alla nazionalità non implica, nel caso di specie, che lo Stato membro debba applicare le medesime sanzioni anche nei riguardi dei propri cittadini. Gli Stati membri possono infatti adottare, per motivi di ordine pubblico, nei confronti di cittadini di altri Stati membri provvedimenti che non potrebbero applicare ai propri cittadini, giacché non hanno il potere di espellere questi ultimi dal proprio territorio o di vietare loro di accedervi (62). Ciò non significa, tuttavia, che ai cittadini dello Stato membro interessato si possano applicare sanzioni completamente diverse da quelle applicabili ai cittadini di altri Stati membri. Un buon esempio è fornito dalla sentenza Olazabal (63), in cui la Corte subordina l'ammissibilità di un provvedimento con cui uno Stato membro vieta, per motivi di ordine pubblico, ad un cittadino di un altro Stato membro l'ingresso in una determinata parte del territorio nazionale alla condizione che, in casi analoghi, provvedimenti repressivi possano essere adottati anche nei confronti dei cittadini del primo Stato.

94.
Nella giurisprudenza relativa al rifiuto di ingresso ad un cittadino di uno Stato terzo svolge un ruolo importante anche il criterio di proporzionalità. Ricordo a questo proposito la sentenza BRAX (64), dove la Corte ha così giudicato: il respingimento al confine è in ogni caso sproporzionato, e, dunque, vietato, se il cittadino di un paese terzo, coniugato con un cittadino di uno Stato membro, che si avvalga del suo diritto di spostamento o di soggiorno derivante dalla normativa comunitaria, può provare la sua identità nonché il legame coniugale e se non esistono elementi atti a stabilire che egli rappresenti un pericolo per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sanità pubblica. Altrettanto vale per il rifiuto di rilasciare un permesso di soggiorno, qualora sia motivato esclusivamente dall'inosservanza da parte dell'interessato di formalità di legge relative al controllo degli stranieri, e per l'espulsione dal territorio per il solo motivo della scadenza di un visto.

95.
Nella sentenza Carpenter la Corte adotta come criterio per la proporzionalità l'equilibrio tra il rispetto della vita familiare, da un lato - in relazione all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo - e la difesa dell'ordine pubblico e della pubblica sicurezza, dall'altro. L'interesse all'esercizio di una libertà fondamentale garantita dal Trattato non fa pertanto parte del controllo di proporzionalità.

F - Possibile abuso della normativa comunitaria

96.
Secondo una costante giurisprudenza della Corte (65), le possibilità offerte dal Trattato non devono consentire a coloro che se ne avvantaggiano di sottrarsi abusivamente all'effetto del loro diritto nazionale. Si ha abuso del diritto comunitario quando concorrono due condizioni cumulative, come si deduce dalla sentenza Emsland-Stärke (66). La prima condizione è costituita da un insieme di circostanze oggettive «dalle quali risulti che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa comunitaria, l'obiettivo perseguito dalla detta normativa non è stato raggiunto». La seconda condizione è di natura soggettiva, e consiste nella volontà dell'interessato di acquisire un vantaggio derivante dalla normativa comunitaria mediante la creazione artificiosa delle condizioni necessarie per il suo ottenimento.

97.
Le libertà garantite dal Trattato non impediscono agli Stati membri di prendere i provvedimenti necessari a prevenire siffatti abusi. Secondo la giurisprudenza della Corte uno Stato membro può adottare misure volte ad impedire che, grazie alle possibilità offerte dal Trattato, taluni dei suoi cittadini tentino di sottrarsi in maniera inaccettabile all'impero delle leggi nazionali, e che gli interessati possano avvalersi abusivamente o fraudolentemente del diritto comunitario (67).

98.
Un esempio di una normativa accettata dalla Corte che mirava a prevenire abusi del diritto comunitario si rinviene nella sentenza Veronica Omroep Organisatie (68), in cui la Corte ha riconosciuto lecita una normativa nazionale che vietava agli enti olandesi di radiodiffusione di favorire la creazione di società commerciali di radio e di televisione all'estero, allo scopo di prestarvi servizi destinati al mercato olandese. Siffatta normativa impediva infatti che detti enti, sfruttando le libertà garantite dal Trattato, si sottraessero abusivamente agli obblighi derivanti dalla normativa nazionale, relativi al contenuto pluralistico e non commerciale dei programmi. Il predetto orientamento è stato confermato dalla sentenza TV10 (69), che forse si è spinta ancora oltre, considerando come un abuso la costituzione di un'impresa radiotelevisiva, di diritto lussemburghese e con sede nel Granducato del Lussemburgo, che intendeva tuttavia trasmettere programmi destinati ai Paesi Bassi.

99.
Se l'abuso del diritto comunitario può pertanto essere ostacolato per mezzo di provvedimenti nazionali, ciò non dice ancor nulla in merito alla discrezionalità di cui godono in proposito gli Stati membri. Tale discrezionalità è invero limitata.

100.
In primo luogo la lotta agli abusi non deve limitare le libertà fondamentali garantite dal Trattato ed interpretate estensivamente dalla Corte. L'applicazione di norme nazionali finalizzate a tale scopo non può infatti pregiudicare la piena efficacia e l'applicazione uniforme delle disposizioni comunitarie negli Stati membri (70). Più specificamente, la limitazione non deve riguardare un elemento inerente all'esercizio di una libertà garantita dal Trattato, come afferma la Corte nella sentenza Centros (71), che riguardava un cittadino di uno Stato membro che desiderava creare una società e che aveva scelto di farlo in uno Stato membro le cui norme di diritto societario gli sembravano meno severe, creando succursali in altri Stati membri - tra cui lo Stato di appartenenza. Questa circostanza non può costituire di per sé un abuso del diritto di stabilimento in quanto, prosegue la Corte, il diritto di costituire una società in conformità alla normativa di uno Stato membro e di creare succursali in altri Stati membri è inerente all'esercizio, nell'ambito di un mercato unico, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato.

101.
E' curioso che la Corte non abbia seguito un ragionamento analogo nella sentenza TV10; anche in quella causa infatti veniva invocato un diritto inerente alla libertà di stabilimento, ossia quello di costituire una società in un altro Stato membro. Io ritengo che la sentenza TV10 debba essere considerata nel suo contesto specifico. La costituzione della società in un altro Stato membro mirava solo ed esclusivamente ad eludere una normativa nazionale che perseguiva un obiettivo di interesse generale nel campo della politica culturale ammesso dalla Corte ed avrebbe reso impossibile la realizzazione di tale obiettivo.

102.
In secondo luogo le intenzioni di chi si è avvalso della normativa comunitaria non possono essere oggetto di valutazione. Nella sentenza Levin (72) la Corte stabilisce esplicitamente che i motivi che possono avere spinto un lavoratore sono irrilevanti e non vanno presi in considerazione. Decisivo è accertare se la libertà di circolazione venga usata in conformità del Trattato. Come sostenuto dall'avvocato generale Slynn nelle conclusioni presentate per questa sentenza, è difficile stabilire con esattezza quali siano le intenzioni di un lavoratore che vuole lavorare in un altro Stato membro. Ciò che gli importa può essere veramente il lavoro, ma, ad esempio, anche il fatto di andare ad abitare vicino a familiari o il clima. La Corte sottolinea comunque, nella sentenza, l'importanza del fatto che il diritto di stabilimento conferito dall'art. 39, n. 3, spetta solo a colui che si trova in un altro Stato membro al fine di svolgervi un'attività lavorativa. Il termine «al fine» secondo la Corte non ha nulla a che vedere con la reale motivazione del soggiorno nell'altro Stato membro. Nei limiti in cui questo termine esprime un'intenzione si tratta - così interpreto la sentenza - dell'intenzione di svolgere anche effettivamente un'attività lavorativa durante il soggiorno.

103.
Nonostante la chiara formulazione della sentenza Levin, la successiva giurisprudenza della Corte ha tuttavia preso in esame l'intenzione dell'interessato. Nella sentenza Lair (73) la Corte afferma che vi è abuso del diritto comunitario quando elementi oggettivi consentano di stabilire che un lavoratore entra in uno Stato membro al solo scopo di fruirvi di una determinata agevolazione dopo un brevissimo periodo di attività lavorativa.

104.
Nella sentenza Knoors la Corte relativizza ancora in modo particolare il potere degli Stati membri di opporsi ad abusi. Essa precisa infatti che nella direttiva 64/427 (74) sono previste norme per la durata minima del soggiorno in un altro Stato membro di taluni lavoratori autonomi ed inoltre che la Comunità ha il potere di adottare a livello comunitario provvedimenti idonei a eliminare la causa di eventuali frodi alla legge.

105.
In conclusione, osservo che la Corte ammette la lotta agli abusi sulla base del seguente iter logico: una normativa nazionale che si giustifichi con il richiamo a ragioni imperative di interesse pubblico può essere applicata a cittadini del relativo Stato membro che utilizzino l'ordinamento comunitario solo ed esclusivamente per sottrarsi a siffatta normativa.

G - Il cittadino e la sua famiglia

106.
Per cominciare richiamo alla memoria la cittadinanza dell'Unione, che non è di per sé in discussione nella presente causa, ma che fornisce tuttavia un'indicazione per l'ampia tutela conferita dall'ordinamento comunitario a chi si sposta all'interno dell'Unione. Nella sentenza Baumbast e R, come ho già osservato, la Corte ha ammesso l'efficacia diretta dell'art. 18 CE, che conferisce al cittadino dell'Unione un diritto d'ingresso e di soggiorno (75). Tale sentenza corona uno sviluppo della giurisprudenza della Corte che attribuisce sempre maggior valore alla cittadinanza. Un importante passo in questa direzione è rappresentato dalla sentenza Grzelczyk. Secondo la Corte, lo status di cittadino dell'Unione è destinato ad essere lo status fondamentale dei cittadini degli Stati membri (76). E questo cittadino, sembra sottolineare la Corte, è spesso accompagnato da una famiglia.

107.
Nella giurisprudenza la Corte ribadisce esplicitamente che il legislatore comunitario ha ammesso l'importanza di garantire la tutela della vita familiare dei cittadini degli Stati membri, al fine di eliminare gli ostacoli all'esercizio delle libertà fondamentali enunciate dal Trattato, come emerge in particolare dai regolamenti e dalle direttive del Consiglio relativi alla libera circolazione dei lavoratori subordinati e autonomi all'interno della Comunità (77). Si deve ad esempio interpretare il regolamento n. 1612/68 tenendo presente l'esigenza del rispetto della vita familiare, menzionato all'art. 8 della Convenzione di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Dal sistema e dall'obiettivo di siffatto regolamento consegue che il Consiglio, al fine di facilitare la libera circolazione dei familiari dei lavoratori, ha preso in considerazione l'importanza che riveste per il lavoratore, dal punto di vista umano, la riunione al suo fianco della famiglia (78).

108.
L'art. 8 della detta Convenzione non è solo rilevante per interpretare le intenzioni del legislatore comunitario, ma diventa sempre più importante anche in altri settori, come quadro di riferimento per la Corte. Ritengo pertanto che detto articolo delimiti l'interpretazione e l'applicazione del Trattato stesso - in relazione al caso di specie mi riferisco segnatamente all'art. 39 CE. Rinvio anche alla sentenza Carpenter (79), in cui la Corte raffronta direttamente al menzionato art. 8 della Convenzione un provvedimento di uno Stato membro e così statuisce: «Benché la convenzione non garantisca, a favore di uno straniero, alcun diritto ad entrare o risiedere nel territorio di un paese determinato, l'esclusione di una persona da un paese in cui vivono i suoi congiunti può rappresentare un'ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare come tutelato dall'art. 8, n. 1, della convenzione. Una simile ingerenza viola la convenzione a meno che essa non corrisponda ai requisiti di cui al n. 2 dello stesso articolo, cioè a meno che essa non sia prevista dalla legge, dettata da uno o più scopi legittimi ai sensi della disposizione citata e necessaria in una società democratica (...). »

H - Sintesi

109.
Al precedente paragrafo 65, ho premesso che la giurisprudenza della Corte nel campo della libera circolazione dei lavoratori ha un carattere estensivo, che può meglio comprendersi con un'analisi della medesima.

110.
Comincio con la consolidata giurisprudenza relativa all'ambito di applicazione della libera circolazione del lavoratori. Per far sorgere un diritto, un cittadino dell'Unione deve compiere un atto che rientri nell'ambito di applicazione dell'ordinamento comunitario e deve essere un lavoratore. L'ordinamento comunitario si applica non appena sia ravvisabile un elemento transfrontaliero, senza che sia necessario il trasferimento del lavoratore in un altro Stato membro. Per essere considerato lavoratore basta un'attività lavorativa di durata e portata limitate.

111.
Anche il contenuto del diritto del lavoratore comunitario è interpretato estensivamente dalla Corte. In primo luogo: si tratta di un diritto oggettivizzato, per cui in linea di massima non rilevano affatto le intenzioni del lavoratore. In secondo luogo: il diritto d'ingresso e di soggiorno in un altro Stato membro deve poter essere pienamente esercitato, e va pertanto integrato con una serie di diritti accessori, intesi estensivamente, tra cui quello di farsi accompagnare dal coniuge. Questo diritto è di tale portata che la normativa comunitaria conferisce diritti autonomi anche al coniuge stesso. In terzo luogo: anche se una persona perde la qualità di lavoratore comunitario, al ritorno nel proprio paese mantiene taluni diritti acquisiti in siffatta qualità. In quarto luogo: le possibilità per il lavoratore di invocare il divieto di discriminazione sono molto ampie. A volte il lavoratore comunitario che rientra nel proprio paese ha più diritti dei suoi concittadini che non hanno mai lasciato il paese. In quinto luogo: l'interpretazione estensiva del diritto del lavoratore comunitario è ulteriormente rafforzata dall'importanza attribuita dalla Corte all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

112.
Le possibili limitazioni del diritto del lavoratore vengono invece interpretate restrittivamente. Ciò vale sia per l'interpretazione della nozione di ordine pubblico come motivo di limitazione, sia per il riconoscimento di un abuso del diritto comunitario.

VII - Valutazione

A - Premessa

113.
Comincio con un'osservazione di metodo. Il governo del Regno Unito chiede alla Corte una soluzione chiara, che consenta al giudice nazionale di stabilire se l'invocazione dell'ordinamento comunitario sia legittima o se sia invece decisivo l'elemento di abuso o di frode. Nel proporre la soluzione delle questioni sollevate dal giudice del rinvio terrò presente questa richiesta del governo del Regno Unito. Concordo con questo governo quando esso afferma che una risposta formulata in termini generici non favorisce la certezza del diritto. Ciò significa anche che non condivido la tesi del governo greco secondo cui il giudice nazionale è il più adatto a fornire una siffatta valutazione (80).

114.
In sostanza, il governo del Regno Unito afferma che i provvedimenti che uno Stato membro è libero di adottare in forza della direttiva 64/221 sono insufficienti ed esprime il timore che, se la Corte dichiarasse che il sig. Akrich può soggiornare nel Regno Unito in virtù della normativa comunitaria, tutti i coniugi extracomunitari di cittadini di uno Stato membro potrebbero eludere impunemente il diritto nazionale ed acquisire un diritto di soggiorno. Diverrebbe così marginale il diritto degli Stati membri di adottare provvedimenti contro gli abusi.

115.
La Commissione fa invece valere che l'applicazione della normativa nazionale sull'immigrazione farebbe prevalere il diritto nazionale, anche se una persona è tutelata dalla normativa comunitaria. Nella presente causa l'interessato non ha nulla a che fare con il diritto nazionale, argomenta la Commissione rinviando alla sentenza Centros (81). A suo avviso non sussiste alcun interesse nazionale cogente che giustifichi l'applicazione della normativa nazionale.

116.
Il sig. Akrich argomenta in modo analogo. A suo parere, nel campo della libera circolazione delle persone esisterebbe un'armonizzazione totale e pertanto uno Stato membro non avrebbe più alcun diritto di adottare provvedimenti unilaterali in questo settore. Se uno Stato membro esclude una determinata categoria di persone dai diritti relativi alla libera circolazione delle persone, aggiungendo un requisito ulteriore alla nozione di lavoratore, ciò ostacola la libera circolazione delle persone in sé. Egli afferma anche che il governo del Regno Unito non può adottare provvedimenti più severi di quelli che possono essere adottati in virtù della direttiva 64/221. Ogni provvedimento più restrittivo è per definizione sproporzionato.

117.
Secondo il sig. Akrich, l'aspetto curioso della presente causa è che il Secretary of State ammette che un altro Stato membro, in forza del diritto comunitario, non possa impedirgli l'ingresso e il soggiorno sul proprio territorio, mentre invece il Regno Unito lo può fare. Ecco l'incongruenza di cui parlavo al paragrafo 62.

B - Il dilemma

118.
Concludo l'introduzione delle presenti conclusioni con il seguente dilemma: deve dedursi dalla copiosa giurisprudenza della Corte, espressa tra l'altro nella sentenza Singh, che la normativa nazionale sull'immigrazione non deve mai applicarsi ai coniugi di cittadini comunitari che provengono dal di fuori dell'Unione e che permangono illegalmente sul territorio dell'Unione? Su questo dilemma verte la presente causa.

119.
Da un lato si pone la normativa sull'immigrazione, che disciplina l'ingresso di cittadini di Stati terzi nell'Unione europea. La caratteristica principale di siffatta normativa, stabilita ancora in prevalenza a livello degli Stati membri, è quella di porre un argine all'ingresso di cittadini di Stati terzi nel territorio dell'Unione europea, argine che consiste di due elementi. In primo luogo infatti l'ingresso è autorizzato solo dopo una verifica individuale preventiva da parte delle autorità; in secondo luogo, i motivi che consentono l'ingresso sono tassativi. Si aggiunge ancora che siffatto argine è stato alzato man mano che aumentava la pressione dell'immigrazione su(gli Stati membri de)ll'Unione Europea.

120.
Dall'altra parte c'è la circolazione delle persone all'interno dell'Unione europea stessa, disciplinata quasi completamente a livello di Unione e la cui caratteristica principale è quella di sopprimere, per quanto possibile, eventuali restrizioni all'ingresso in un altro Stato membro. La soppressione di restrizioni significa questo: in primo luogo, una persona può entrare in un altro Stato membro senza una verifica individuale preventiva; in secondo luogo, i motivi che consentono l'ingresso sono in linea di massima illimitati. L'ordinamento comunitario ammette solo determinati limiti, elencati tassativamente, all'esercizio del diritto d'ingresso e di soggiorno. Si aggiunge che le restrizioni residue all'ingresso in un altro Stato membro sono state gradatamente soppresse dal legislatore comunitario e dalla Corte.

121.
Come si è già detto, una normativa sull'immigrazione attuabile e mantenibile costituisce un presupposto essenziale per la realizzazione di un mercato interno in cui si possano abolire i controlli ai confini interni e le persone possano circolare liberamente nell'intera Unione. Proprio quest'ultimo interesse - la realizzazione di un mercato interno con libera circolazione delle persone - costituisce uno dei motivi per cui il legislatore e il giudice comunitario hanno scelto di interpretare estensivamente l'ambito di applicazione dell'art. 39 CE. Il nesso tra la disciplina dell'immigrazione verso l'Unione europea e la libera circolazione all'interno della stessa emerge tra l'altro dall'art. 61, lett. a), CE, in cui il controllo alle frontiere esterne viene definito come misura collegata alla libera circolazione interna delle persone. Anche l'accordo di Schengen del 14 giugno 1985 presupponeva già che l'abolizione dei controlli ai confini interni sarebbe stata possibile soltanto contestualmente all'inasprimento del controllo alle frontiere esterne.

122.
Fin qui il sistema funziona. I cittadini dell'Unione europea - che, grazie alla loro qualità di cittadini dell'Unione, sono legittimati a spostarsi e a soggiornare in altri Stati membri - e i cittadini di Stati terzi a cui, dopo una verifica individuale preventiva, è stato consentito l'ingresso nell'Unione in virtù della normativa sull'immigrazione, possono profittare dei diritti loro conferiti dalla libera circolazione delle persone.

123.
Tuttavia il sistema contiene un'incongruenza sostanziale. Talvolta, infatti, anche persone non ancora ammesse nell'Unione europea possono attingere un diritto di soggiorno dalle disposizioni relative alla libera circolazione interna. Ciò vale tra l'altro, in virtù dell'art. 10 del regolamento n. 1612/68, per il coniuge di un lavoratore migrante. Proprio la qualità di coniuge viene invocata dal sig. Akrich. Questi coniugi sono legittimati ad entrare nell'Unione europea senza una verifica individuale preventiva da parte delle autorità preposte all'immigrazione. E, nel caso del sig. Akrich, risulta che l'ingresso può essere consentito addirittura ad una persona in precedenza espulsa dell'Unione europea in forza della normativa sull'immigrazione di uno Stato membro. Questa persona può pertanto invocare l'ordinamento comunitario per acquisire un diritto di soggiorno in uno Stato membro diverso da quello che lo ha espulso.

124.
Nella presente causa la Corte non può ovviare a questa incongruenza, in quanto non è in discussione in questa sede l'entrata del sig. Akrich in Irlanda senza una verifica individuale preventiva.

125.
Le questioni proposte alla Corte non vertono sull'incongruenza di per sé: si tratta piuttosto di stabilire fino a dove si spingano le conseguenze di siffatta incongruenza. Più concretamente, se la sig.ra Akrich in Irlanda venisse considerata come un lavoratore migrante ella, al suo ritorno nel Regno Unito, in base alla giurisprudenza nel settore della libera circolazione delle persone, e segnatamente della sentenza Singh, manterrebbe taluni diritti che le spettano in quanto lavoratore migrante, tra cui quello di farsi accompagnare dal marito.

126.
La Corte deve ora chiarire se questa formulazione generica della sentenza Singh si applichi anche in un caso in cui il coniuge che accompagna il lavoratore nel suo paese era stato ammesso sul territorio dell'Unione europea a prescindere dalle normali disposizioni sull'immigrazione - ovvero senza una verifica individuale preventiva. In questo caso, uno Stato membro è tuttavia tenuto ad accettare che il coniuge di un suo cittadino si sottragga alle disposizioni della normativa sull'immigrazione? Di norma nessuno contesta il potere di uno Stato membro di assoggettare ad un accertamento il coniuge di un proprio cittadino che abbia la nazionalità di un paese terzo, in virtù della propria normativa nazionale sull'immigrazione. La normativa comunitaria nel campo della libera circolazione delle persone non si applica a tale fattispecie, come emerge dalla sentenza Morson e Jjanjhan. Il controllo dei coniugi provenienti da Stati terzi costituisce infatti un elemento essenziale della politica sull'immigrazione, tra l'altro a causa del rischio di matrimoni fittizi.

127.
Se la risposta a questa domanda è positiva, l'ordinamento comunitario può essere utilizzato per eludere la normativa nazionale. Non soltanto ciò si ripercuote sull'efficienza utile della normativa nazionale sull'immigrazione - viene così sanata una manovra mirante ad aggirare siffatta normativa - ma pregiudica altresì una condizione essenziale per la libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione europea.

128.
Le conseguenze dell'incongruenza derivante da un'applicazione integrale della sentenza Singh al caso di specie vanno oltre. Uno Stato membro che, dopo una verifica individuale preventiva ai sensi della propria normativa sull'immigrazione, abbia deciso di espellere un cittadino di un paese terzo in forza di siffatta normativa, sarebbe poi obbligato ad autorizzarne l'ingresso senza una nuova verifica all'interno dell'Unione europea.

129.
Si aggiunge anche un ulteriore elemento. Anche grazie alle dichiarazioni degli interessati è pacifico che i coniugi Akrich hanno configurato la loro situazione di vita e di lavoro in modo tale da acquisire, ai sensi della normativa comunitaria, un diritto di soggiorno che non può essere limitato dalla normativa nazionale sull'immigrazione. Il sig. Akrich si avvale pertanto della libera circolazione delle persone come strumento per entrare nell'Unione europea, allorché non ne avrebbe alcun diritto sulla base delle norme in materia di immigrazione che dovrebbero essergli applicate.

C - Valutazione del dilemma

130.
E' pertanto utile accertare se la portata della sentenza Singh non debba essere ridefinita più precisamente. La Commissione, comunque, si dichiara al riguardo preoccupata che la formulazione di criteri volti a contrastare l'abuso del diritto comunitario possa sminuire la sostanza della sentenza Singh. Personalmente temo invece il contrario: se la sentenza Singh dovesse essere intesa senza alcuna sfumatura, la normativa sull'immigrazione potrebbe - come ho già osservato - diventare meno efficace.

131.
Sono dell'avviso che, nelle circostanze specifiche della causa principale, il diritto comunitario non vada interpretato in modo tale da lasciare priva di applicazione la normativa sull'immigrazione di uno Stato membro.

132.
Ai sensi della sentenza Singh, un cittadino di uno Stato membro che abbia lavorato in un altro Stato membro al ritorno del proprio paese ha il diritto di farsi accompagnare dal coniuge. A mio avviso, tuttavia, questa sentenza non implica che il suddetto diritto sussista in ogni circostanza. In primo luogo, nella sentenza Singh la Corte non ha dovuto pronunciarsi sulla questione se tale diritto esista anche se il coniuge non ha un proprio titolo di soggiorno nell'Unione europea, rilasciato dopo una verifica individuale preventiva ai sensi della normativa sull'immigrazione di uno Stato membro. In secondo luogo, la Corte sembra consapevole del fatto che il diritto del cittadino dello Stato membro non esclude qualsiasi accertamento individuale. Essa sottolinea infatti che nella causa Singh non si sosteneva che il matrimonio dei coniugi Singh fosse un matrimonio fittizio (82). In terzo luogo la Corte fonda il suo giudizio sull'argomento secondo cui un ostacolo oppostogli al ritorno nel proprio paese può dissuadere un cittadino di uno Stato membro dall'esercizio del suo diritto di andare a lavorare in un altro Stato membro. Questo argomento non vale per il caso in cui il coniuge del lavoratore non sia stato ammesso nello Stato membro di origine. Tenendo conto della menzionata incongruenza del sistema, infatti, per il cittadino comunitario ciò costituirebbe proprio una ragione determinante per andare a lavorare in un altro Stato membro.

133.
La sentenza Singh crea un diritto sia per il cittadino comunitario - quello di farsi accompagnare dal coniuge al ritorno nel proprio paese - sia per il coniuge con la nazionalità di un paese terzo - quello di stabilirsi in tale Stato membro senza essere soggetto alla normativa sull'immigrazione ivi vigente. Siffatti diritti vanno considerati nel contesto della libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione europea. Un cittadino dell'Unione che sia sposato con un cittadino di un paese terzo, quando si avvale del diritto conferitogli di stabilirsi in un altro Stato membro, deve poter portare con sé il proprio coniuge. Egli deve anche poter contare sul fatto che, quando più tardi farà ritorno nel proprio paese, il suo coniuge non verrà assoggettato a nessuna verifica individuale preventiva ai sensi della normativa sull'immigrazione, con il rischio che l'ingresso gli sia rifiutato. Ciò di norma non cambia se il matrimonio è celebrato durante il soggiorno in un altro Stato membro.

134.
La sentenza Singh, tuttavia, non crea per il cittadino di un paese terzo un diritto di ingresso nel territorio dell'Unione europea. Per questo aspetto si applica la normativa sull'immigrazione degli Stati membri, in virtù della quale è richiesta una verifica individuale preventiva. L'incongruenza insita nel sistema, che implica che il coniuge di un lavoratore migrante possa soggiornare sul territorio di uno Stato membro senza siffatta verifica, non significa che questa persona abbia un diritto illimitato d'ingresso e di soggiorno nell'Unione europea.

135.
Un'interpretazione restrittiva di siffatto diritto di ingresso e di soggiorno è conforme alla giurisprudenza della Corte nel campo della libera circolazione delle persone. Il carattere in generale estensivo di siffatta giurisprudenza deriva infatti dall'essenza della libera circolazione delle persone. I diritti conferiti dal Trattato ai cittadini dell'Unione possono essere esercitati pienamente solo se si aboliscono il più possibile le restrizioni. Per realizzare pienamente la libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione è anche importante che possano essere efficacemente effettuati i controlli al momento dell'ingresso, alle frontiere esterne dell'Unione stessa. La libera circolazione interna delle persone non può operare pienamente se i cittadini di paesi terzi possono avvalersi dell'ordinamento comunitario per entrare più facilmente nell'Unione, senza subire alcun controllo al momento dell' ingresso. In altri termini, una limitazione di siffatte possibilità per i cittadini di paesi terzi rappresenta una condizione indispensabile - viste le considerazioni che precedono - per un'indistrubata circolazione delle persone all'interno dell'Unione europea. Non importa, a questo riguardo, che l'ingresso di cittadini di paesi terzi sia ora disciplinato a livello degli Stati membri. Anche se in futuro la Comunità europea si avvarrà del potere ad essa conferito dall'art. 63 CE, la condizione sopra menzionata dovrà essere soddisfatta.

136.
Ciò mi porta alla seguente conclusione: il diritto conferito al coniuge del lavoratore migrante dall'art. 10 del regolamento n. 1612/68 può essere limitato qualora esso riguardi un coniuge che sia cittadino di un paese terzo e che non sia stato ammesso nell'Unione europea in conformità della normativa sull'immigrazione. In sostanza non si tratta infatti di un diritto rientrante nella libera circolazione delle persone, ma di un titolo di ingresso nell'Unione europea per cittadini di Stati terzi. Ciò rimane fermo anche se il preambolo del regolamento n. 1612/68 definisce il diritto di soggiorno del coniuge come un diritto fondamentale che fa parte della libera circolazione interna delle persone.

137.
Ciò significa che uno Stato membro - nel caso descritto nel paragrafo precedente - in linea di principio ha il potere di subordinare l'ingresso del suddetto cittadino nel suo territorio ad una verifica individuale preventiva. Questo potere è necessario per attuare e per mantenere la normativa sull'immigrazione.

D - Effetti di tale valutazione

138.
In primo luogo, una normativa sull'immigrazione attuabile e mantenibile, che disciplini l'ingresso nell'Unione europea di persone provenienti da paesi terzi, è un presupposto essenziale per la realizzazione del mercato comune con libera circolazione delle persone al suo interno. Allo stato attuale del diritto comunitario, il controllo sull'immigrazione dall'esterno è un compito degli Stati membri. L'ordinamento comunitario non può essere inteso in modo tale da frustrare lo svolgimento di questo compito.

139.
In secondo luogo: la verifica individuale preventiva sugli immigranti cittadini di Stati terzi, secondo criteri stabiliti dal diritto nazionale, rientra nell'essenza della competenza nazionale. Se la normativa nazionale dovesse invece ritirarsi, ciò significherebbe che lo Stato membro non è legittimato a subordinare l'ingresso di un cittadino di un paese terzo ad una verifica individuale, indipendentemente dal fatto che alla fine l'ingresso venga consentito o meno. Una siffatta verifica è infatti ammessa soltanto in presenza di un rischio per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la salute pubblica. Un controllo ulteriore apparirà facilmente sproporzionato e verrà pertanto vietato, considerati i requisiti a cui lo subordina la Corte, ad esempio nella sentenza BRAX (83).

140.
In terzo luogo: occorre evitare che la normativa comunitaria possa essere utilizzata per eludere le normative nazionali sull'immigrazione degli Stati membri - e segnatamente l'accertamento individuale preventivo. Ciò vale a maggior ragione per la fattispecie in esame nella causa principale, in cui l'ordinamento comunitario viene invocato per aggirare un precedente provvedimento di espulsione adottato da uno Stato membro. Nel caso specifico, il sig. Akrich era stato espulso dal Regno Unito ed impedito successivamente di ritornarvi in qualità di coniuge di una cittadina britannica, perché aveva commesso un reato.

141.
In quarto luogo: la portata dei rischi per l'attuabilità e per la mantenibilità della normativa nazionale sull'immigrazione non deve essere sottovalutata.

Infatti:

- gli ambiti di applicazione personali del diritto comunitario e della normativa nazionale sull'immigrazione mostrano una tendenza convergente; (84)

- la Corte garantisce un'ampia tutela alla libera circolazione delle persone, che costituisce uno dei diritti fondamentali del Trattato;

- ogni ampliamento della giurisprudenza della Corte può favorire nuove costruzioni finalizzate all'elusione. I coniugi Akrich si fondano infatti esplicitamente sulla sentenza Singh.

142.
A questo proposito osservo che la situazione specifica dei coniugi Akrich in futuro probabilmente non si presenterà molto spesso. Si possono tuttavia immaginare altre costruzioni con cui dei singoli cerchino di sottrarsi alla normativa sull'immigrazione avvalendosi della normativa comunitaria. Infatti, se un motivo di giustificazione non viene accettato dalla Corte, è facile presumere che ciò ne sarà la conseguenza. E può essere vantaggioso per gli interessati, visto che, ad esempio, una verifica individuale del matrimonio sulla base dei criteri elencati nella risoluzione del Consiglio 4 dicembre 1997 (85) - anche in caso di buona fede - può essere penosa per chi la subisce e non è, a priori, di esito sicuro. Ritengo pertanto plausibile che gli interessati cercheranno sempre più spesso di eludere la normativa nazionale sull'immigrazione, scegliendo l'ordinamento comunitario come mezzo per assicurarsi il soggiorno nel proprio Stato membro.

143.
Ciò non significa, tuttavia, che la verifica individuale preventiva sopra menzionata non sia vincolata a condizioni. La presenza di una ragione imperativa di interesse pubblico non significa di per sé che ogni provvedimento sia accettabile. Ai sensi della giurisprudenza della Corte, il provvedimento deve essere idoneo a garantire la realizzazione dell'obiettivo perseguito e non esorbitare da quanto necessario per garantirne l'attuazione.

144.
L'idoneità del provvedimento nella fattispecie è pacifica, data l'accettabilità dell'obiettivo da esso perseguito: la verifica individuale preventiva sull'immigrazione di cittadini di paesi terzi. L'ordinamento comunitario, nel suo stato attuale, consente agli Stati membri di configurare come meglio credono la loro normativa nazionale sull'immigrazione, nei limiti in cui questa riguarda l'ingresso di cittadini di Stati terzi. Il legislatore britannico ha recepito nella sua normativa taluni criteri oggettivi volti a facilitare l'adozione di decisioni.

145.
Il controllo di proporzionalità riguarda l'applicazione concreta dei criteri al singolo caso. La Corte accerta se essa rispetti il giusto equilibrio tra gli interessi in gioco. Siffatta valutazione riguarda da un lato l'interesse legittimo all'attuabilità e alla mantenibilità della normativa nazionale sull'immigrazione, interesse che qui sopra ho estesamente descritto. D'altro canto ci sono gli interessi individuali dei coniugi Akrich. Gli interessi individuali riconosciuti che devono essere presi in considerazione sono di duplice natura:

- il diritto di una persona come la sig.ra Akrich di esercitare senza restrizioni il diritto di libera circolazione, che le spetta ai sensi del diritto comunitario.

- il rispetto del diritto alla vita familiare.

146.
E' pacifico che la sig.ra Akrich e suo marito sono ostacolati nell'esercizio di un diritto di libera circolazione loro conferito dall'ordinamento comunitario, come spiegato nella sentenza Singh. Ritengo tuttavia che il provvedimento contestato non vada oltre quanto necessario alla realizzazione dell'obiettivo che persegue. A mio avviso è decisiva la circostanza che l'interesse invocato dal Regno Unito, ossia la necessità di un accertamento individuale, non può essere garantito da un provvedimento che rappresenti una restrizione meno grave della libera circolazione. Si aggiunga anche che ritengo accettabile che il diritto spettante al coniuge del lavoratore migrante, ai sensi dell'art. 10 del regolamento n. 1612/68, venga limitato in un caso riguardante un coniuge cittadino di un Stato terzo e non ancora ammesso nell'Unione europea in conformità della normativa sull'immigrazione.

147.
Ciò mi porta al diritto al rispetto della vita familiare, come inteso dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. A mio avviso tale articolo è rilevante soprattutto per l'applicazione della normativa nazionale sull'immigrazione da parte delle autorità britanniche. Siffatta applicazione non è soggetta a controllo da parte della Corte. Solo in casi molto particolari l'art. 8 è rilevante ai fini della valutazione della proporzionalità, come avveniva nella sentenza Carpenter, in cui la Corte ha dichiarato (86) che la mancata ammissione della sig.ra Carpenter nel Regno Unito avrebbe causato la separazione dei coniugi. Nel caso di specie però il rischio che i coniugi siano obbligati a separarsi non esiste. I sig.ri Akrich abitano in Irlanda e possono restarvi. Ciò che viene loro negato è il diritto di libera circolazione, ossia il diritto di stabilirsi insieme nel Regno Unito.

148.
Concludo che l'applicazione, da parte di uno Stato membro, della normativa nazionale sull'immigrazione ad un cittadino di uno Stato terzo sposato con un suo cittadino può essere giustificata da una ragione imperativa di interesse pubblico, rappresentato dall'attuabilità e dalla mantenibilità della normativa nazionale sull'immigrazione. L'applicazione che ne è stata fatta nelle circostanze in esame nel procedimento principale è idonea e proporzionata.

E - Le conseguenze di questa valutazione per la fattispecie in esame

149.
Considerata la conclusione sopra esposta, non mi sembra utile risolvere le questioni sollevate dal giudice del rinvio nell'ordine da questi indicato. L'intenzione dei coniugi Akrich, aspetto su cui si concentra l'attenzione di detto giudice, non rappresenta invero l'elemento essenziale, in quanto il potere di uno Stato membro di applicare la normativa nazionale sull'immigrazione non dipende da siffatta intenzione.

150.
Ciò mi induce a precisare quanto segue: io giustifico la suddetta applicazione in forza di una ragione imperativa di interesse pubblico, ossia l'attuabilità e la mantenibilità della normativa nazionale sull'immigrazione. Questo motivo di giustificazione non è stato sinora riconosciuto esplicitamente dalla Corte, ma io vi devo ricorrere in quanto altri motivi in precedenza riconosciuti dalla Corte non sono applicabili al caso di specie.

151.
Nel presente procedimento dinanzi alla Corte sono state prospettate tre considerazioni sulla cui base il Regno Unito, alla luce delle circostanze accertate nella causa principale, potrebbe negare al sig. Akrich l'ingresso sul suo territorio, applicando la sua normativa nazionale sull'immigrazione:

- i coniugi Akrich esulano dall'ambito di applicazione del diritto comunitario;

- essi rientrano nell'ambito di applicazione del diritto comunitario, ma l'intervento dello Stato membro è giustificato da una ragione imperativa di interesse pubblico che deriva dalla necessità di tutelare l'ordine pubblico e la pubblica sicurezza, ai sensi dell'art. 46 CE o della direttiva 64/221;

- idem, ma la giustificazione non si trova nell'ordine pubblico o nella pubblica sicurezza bensì, in una ragione imperativa ammessa dalla giurisprudenza della Corte, ossia nel potere di opporsi ad un abuso del diritto comunitario.

Spiegherò in seguito, esaminandole una per una, che nessuna di queste tre considerazioni, può giustificare nel caso di specie, l'applicazione della normativa nazionale britannica sull'immigrazione. Dimostrerò così la mancanza per tale applicazione, di un fondamento che sia già stato riconosciuto dal diritto comunitario.

F - L'ambito di applicazione del diritto comunitario

152.
Il governo del Regno Unito è dell'avviso che il diritto comunitario nel caso di specie non si applichi. Esso sostiene che una persona che cerca di avvalersi dell'ordinamento comunitario per eludere il diritto nazionale non può avanzare pretese derivanti dalla normativa comunitaria. Una siffatta persona non rientra nell'ambito di applicazione del diritto comunitario. Non occorre pertanto valutare se, secondo detta normativa, lo Stato membro possa vietarle l'ingresso nel suo territorio per motivi di ordine pubblico. Secondo questo governo, pertanto, nella presente causa non occorre accertare se la sig.ra Akrich sia un lavoratore comunitario.

153.
La Commissione fa invece valere che i cittadini dell'Unione europea, in forza dell'art. 39 CE, sono liberi di spostarsi in un altro Stato membro per svolgervi un'attività lavorativa e di ritornare nello Stato membro di origine, insieme al loro coniuge, per godervi dei medesimi diritti di cui avevano goduto nell'altro Stato membro. Il ritorno nello Stato membro di origine è pertanto disciplinato dalla normativa comunitaria e non da quella nazionale. La sig.ra Akrich è un lavoratore comunitario. Tenendo conto della loro natura e portata, i diritti inerenti allo status di lavoratore comunitario non sono stati esercitati in modo sproporzionato.

154.
Anche a giudizio del sig. Akrich sua moglie deve essere considerata come un lavoratore comunitario, in quanto si è trasferita in Irlanda con l'intenzione di svolgervi un'attività lavorativa reale ed effettiva e di tornare dopo un certo periodo nel Regno Unito. Il governo del Regno Unito non può sostenere che la sig.ra Akrich sia un lavoratore in Irlanda e che cessi di esserlo al ritorno nel Regno Unito.

155.
Esaminerò in primo luogo la nascita di un diritto spettante ad un lavoratore comunitario. Parlerò poi delle circostanze in cui un cittadino dell'Unione, che ritorni nel proprio paese dopo aver lavorato per un determinato periodo in un altro Stato membro, continua a rientrare nell'ambito di applicazione materiale del diritto comunitario. In merito occorre anche considerare il significato del divieto di discriminazione. Esaminerò infine i diritti conferiti al coniuge di siffatto cittadino in virtù della normativa comunitaria. Che cosa significa che questi diritti sono derivati dai diritti del coniuge?

156.
La giurisprudenza della Corte non stabilisce requisiti molto severi per l'attribuzione di un diritto di soggiorno ad un lavoratore migrante. Si tratta di una libertà fondamentale garantita dal Trattato, che deve essere tutelata nel modo migliore. In primo luogo, la Corte dà un'interpretazione estensiva della durata, della portata, del livello e del luogo delle attività subordinate. In secondo luogo, le intenzioni del lavoratore in linea di principio sono irrilevanti. Come ha osservato la Commissione nel presente procedimento, conta ciò che una persona fa, e non perché lo fa. Né può essere altrimenti, in quanto in individuo può avere i motivi più svariati per stabilirsi in un altro Stato membro come lavoratore: siffatti motivi possono consistere nel lavoro, ma possono anche essere di natura personale. Non si esige neppure l'intenzione di stabilirsi in un altro paese per un lungo periodo o definitivamente. E' pacifico che l'imposizione dell'obbligo di impegnarsi a soggiornare per un periodo prolungato avrebbe un effetto deterrente sulla libera circolazione dei lavoratori.

157.
In terzo luogo, il diritto di un cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea di stabilirsi in un altro Stato membro si è sempre più ampliato. Il culmine di tale sviluppo è stato il riconoscimento esplicito di effetto diretto all'art. 18, a cui la Corte è giunta per la prima volta nella sentenza Baumbast e R. Lo scopo del soggiorno in un altro Stato membro cessa così di avere rilevanza per accertare se esista un diritto di stabilimento in un altro Stato membro.

158.
Lo scopo del soggiorno è invece rilevante per il fondamento giuridico del soggiorno stesso, fondamento che può essere importante in relazione ai benefici derivanti dal diritto di soggiorno per i familiari e in relazione ai benefici che continuano a sussistere dopo il rientro nello Stato membro di origine.

159.
Queste considerazioni mi portano alla fattispecie in esame nel procedimento principale, in cui non è controverso che la sig.ra Akrich, durante il suo soggiorno in Irlanda, abbia lavorato per più di sei mesi in una banca. Non è dubbio, di conseguenza, che ella, per questo motivo, avesse diritto, in virtù della normativa comunitaria, di soggiornare in Irlanda e che durante siffatto soggiorno rivestisse la qualità di lavoratore comunitario. E' del pari pacifico che le autorità irlandesi l'hanno trattata come tale. Orbene, considerato che le intenzioni degli interessati sono irrilevanti, non vedo elementi a favore della tesi del Regno Unito, secondo la quale i coniugi Akrich non rientrerebbero nell'ambito di applicazione del diritto comunitario.

160.
L'interpretazione estensiva data dalla Corte alla nascita del diritto si ripercuote anche sulla portata delle pretese spettanti ad un - ex - lavoratore comunitario dopo il rientro nel suo Stato membro (87). La sentenza Singh, determinante ai fini della presente causa, formula siffatte pretese in modo piuttosto assoluto. Essi si fondano sul divieto di discriminazione e sono equivalenti a quelli che possono essere conferiti ad una persona quando questa si stabilisce in un altro Stato membro. Concretamente, questa persona mantiene i diritti di un lavoratore comunitario, diritti di cui fa parte anche quello di farsi accompagnare sul territorio del suo paese dal proprio coniuge che sia cittadino di un paese terzo, alle condizioni descritte per i lavoratori dal regolamento n. 1612/68 e dalla direttiva 68/360 (88).

161.
In virtù del divieto di discriminazione, pertanto, il cittadino di uno Stato membro dell'Unione europea che abbia soggiornato in un altro Stato membro e si sia così avvalso dell'ordinamento comunitario ottiene una posizione migliore del suo concittadino che di quel diritto non si è avvalso. Altrettanto vale per il coniuge del cittadino di uno Stato membro che abbia soggiornato in un altro Stato membro. Nella sentenza Singh la Corte non raffronta siffatto cittadino con il suo concittadino, ma con colui che si stabilisce in un altro (terzo) Stato membro. Considerando così la questione, la sig.ra Akrich è legittimata a portare suo marito nel Regno Unito. Il sig. Akrich mantiene il proprio diritto di soggiorno, conferitogli dal regolamento n. 1612/68. Entrambi mantengono pertanto i benefici loro conferiti in Irlanda dalla normativa comunitaria.

162.
A questo proposito nel presente procedimento è stato osservato che il diritto del sig. Akrich di soggiornare nel Regno Unito in virtù della normativa comunitaria è derivato dal diritto della moglie. Inoltre, non solo il suo diritto deriva da quello di lei, ma il fondamento del medesimo si trova non nel Trattato stesso, ma nella normativa derivata, segnatamente nel regolamento n. 1612/68. Si aggiunge che il diritto del sig. Akrich non può essere desunto dal testo stesso del regolamento n. 1612/68, ma piuttosto dall'interpretazione che ne dà la sentenza Singh.

163.
In altre parole, il diritto del sig. Akrich sarebbe un diritto meno forte. Non condivido tale interpretazione. Il diritto spettante al sig. Akrich in virtù della normativa comunitaria è un diritto pienamente fondato sulla medesima. Il suo carattere derivato significa soltanto che esso deriva dal vincolo esistente tra lui e un lavoratore comunitario, e che deve soddisfare due requisiti: tra i coniugi Akrich deve esistere un vincolo e la sig.ra Akrich deve poter attingere dalla normativa comunitaria dei diritti grazie alla sua qualità di lavoratore comunitario. Nel caso di specie non esiste alcun dubbio che entrambe le condizioni siano soddisfatte.

164.
Non attribuisco valore neppure alla circostanza che il sig. Akrich tragga il suo diritto non dalla normativa comunitaria primaria, ma da quella derivata. In primo luogo, il regolamento n. 1612/68 è stato adottato come uno dei provvedimenti che, ai sensi dell'art. 40 CE, erano necessari per realizzare la libera circolazione dei lavoratori. Questa normativa, insieme a normative analoghe, costituisce pertanto un presupposto per la realizzazione della libera circolazione dei lavoratori e non può essere considerata inferiore. A questo riguardo, nel preambolo del regolamento n. 1612/68 si usa il termine «diritto fondamentale», sia per il lavoratore sia per la sua famiglia. In secondo luogo, l'ordinamento comunitario non prevede una gerarchia di norme, in cui la forza di un diritto dipenda dal livello a cui questo è stabilito. Per questo motivo non è rilevante neppure il fatto che siffatto diritto derivi dall'interpretazione fornita dalla Corte e non dal testo del regolamento.

165.
Considerato quanto precede, concludo che ad un cittadino di uno Stato membro, che abbia lavorato come lavoratore comunitario in un altro Stato membro, anche dopo il ritorno nel paese di origine continuano a spettare diritti in forza della normativa comunitaria e segnatamente dell'art. 39 CE. Di siffatti diritti fa parte anche quello che il suo coniuge si stabilisca con lui nel paese di origine. L'applicazione della normativa nazionale sull'immigrazione da parte delle autorità britanniche è in contrasto con tale diritto. Occorre pertanto verificare se sussista un interesse nazionale imperativo che giustifichi l'applicazione del provvedimento nazionale. Ho in precedenza constatato che siffatta giustificazione nel caso di specie esiste.

166.
Per concludere osservo ancora quanto segue. Il sig. Akrich fa valere che nel campo della libera circolazione dei lavoratori, in conseguenza di una totale armonizzazione, gli Stati membri non avrebbero più alcun potere di adottare provvedimenti unilaterali. Questa tesi è infondata. Per cominciare, il regolamento n. 1612/68, su cui dovrebbe fondarsi il diritto di soggiorno del sig. Akrich, non va considerato come un provvedimento di armonizzazione. Esso non mira a riavvicinare le normative degli Stati membri, ma dà attuazione all'art. 39 CE, segnatamente per mezzo di taluni provvedimenti volti ad abolire ogni discriminazione in base alla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri. E' poi rilevante la direttiva 64/221, che armonizza le normative degli Stati membri, ma riguarda soltanto la circolazione delle persone all'interno dell'Unione europea in relazione ad un aspetto specifico: il rifiuto di ingresso sul territorio di uno Stato membro a talune persone per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e salute pubblica. Siffatta direttiva nulla dice sull'ingresso delle persone nell'Unione europea.

G - Ordine pubblico ai sensi dell'art. 46 CE e della direttiva 64/221

167.
Se ci si avvale della nozione di ordine pubblico per giustificare un'eccezione alla libera circolazione delle persone all'interno della Comunità europea, occorre interpretarla restrittivamente. Nell'interpretazione dell'art. 46 CE la Corte esige la sussistenza di un pericolo grave, che minacci un interesse fondamentale della società. La valutazione ai sensi della direttiva 64/221 avviene sulla base dell'esistenza di comportamento personale che costituisca una minaccia reale per l'ordine pubblico.

168.
E' utile ricordare la circostanza specifica per cui il sig. Akrich non viene ammesso nel Regno Unito: le autorità britanniche rifiutano di revocare l'ordine di espulsione emesso nei suoi confronti, perché egli ha in precedenza commesso un reato. Non è stato sostenuto, né provato, che la sua presenza nel Regno Unito rappresenti un pericolo per l'ordine pubblico, che consenta pertanto di invocare quest'ultimo come motivo di giustificazione. Le autorità britanniche ritengono infatti che in un caso come quello in esame il diritto comunitario non possa essere invocato. Dai fatti e dalle circostanze del caso di specie risulta che non si può presumere che esista un pericolo per l'ordine pubblico. Senza un'indagine approfondita sui fatti - posto che siffatta indagine spetti alla Corte - giungo alla conclusione che in un caso come il presente l'ordine pubblico non può costituire un motivo cogente di giustificazione.

H - Abuso del diritto comunitario

169.
Nel procedimento dinanzi alla Corte si è fatta valere l'esistenza di un abuso del diritto comunitario. Ciò emerge dalle osservazioni presentate ed è anche logico, considerate le questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte. La Commissione ritiene che i motivi o le intenzioni degli interessati non siano determinanti. Il fatto che i coniugi si avvalgano delle possibilità offerte dalla giurisprudenza, avvantaggiandosi così della normativa comunitaria, non implica un abuso di quest'ultima. Anche il sig. Akrich sostiene che la giurisprudenza non consente di prendere in considerazione i motivi degli interessati. Il fatto che sua moglie si sia trasferita in Irlanda con l'intenzione di svolgervi un'attività lavorativa e di rientrare dopo un certo periodo di tempo nel Regno Unito, e che essa pertanto non intendesse restare per sempre in Irlanda, di per sé non può essere definito un abuso.

170.
Il governo del Regno Unito ritiene che, nel caso di specie, si sia abusato del diritto comunitario, in quanto la sig.ra Akrich è andata a Dublino soltanto per approfittare del diritto comunitario al fine di eludere la normativa nazionale. A giudizio del governo del Regno Unito, per valutare se sussista abuso della normativa comunitaria occorre considerare la ragione per cui la signora si è trasferita in Irlanda.

171.
Il governo greco afferma che i singoli in linea di principio sono legittimati a configurare le circostanze come meglio credono, in modo da ricadere nell'ambito di applicazione di un determinato sistema normativo, nel caso di specie l'ordinamento comunitario, e di poterne trarre vantaggio. Tuttavia, ove si riscontri un abuso, è il giudice nazionale il più adatto a decidere se occorra negare all'interessato i vantaggi del diritto comunitario. Questo governo sostiene poi che si possono considerare le intenzioni dei coniugi, esaminando la volontà dichiarata dalle parti. Il foro interno e i motivi dell'agire non hanno alcun rilievo.

172.
Comincio con un'osservazione preliminare. Il caso di specie offre una buona occasione per analizzare in modo approfondito la nozione di abuso del diritto comunitario. I coniugi Akrich dichiarano infatti di essersi stabiliti in Irlanda al solo scopo di eludere la normativa nazionale britannica sull'immigrazione. Essi hanno così effettuato una manovra diversiva che lascerebbe presumere un abuso del diritto comunitario. Le loro dichiarazioni dimostrano tuttavia anche la debolezza della teoria dell'abuso. Se l'intenzione di stabilirsi in Irlanda fosse determinante, in futuri casi analoghi gli interessati non saranno più franchi come i coniugi Akrich e menzioneranno uno scopo diverso.

173.
Dalla giurisprudenza citata (v. paragrafi 96 e segg.) e dalle osservazioni presentate nel presente procedimento emerge, a mio avviso, quanto sia difficile applicare in un caso concreto la teoria dell'abuso del diritto comunitario. In sostanza si tratta di questo:

- i criteri soggettivi non sono ragionevoli;

- i criteri oggettivi - se conoscibili - possono essere elusi;

- il confine tra abuso e uso per uno scopo non perseguito dal legislatore è difficile da stabilire.

174.
In primo luogo: i criteri soggettivi. La giurisprudenza è molto restia ad attribuire valore a siffatti criteri. In linea di principio, come risulta dalla sentenza Levin, le intenzioni del lavoratore sono irrilevanti. Dalla mia osservazione preliminare deriva che la cautela della Corte è inevitabile, in quanto i criteri soggettivi, e segnatamente l'intenzione degli interessati, sono facilmente manipolabili. Non serve neppure avvalersi della volontà dichiarata, come vuole il governo greco, o di una volontà oggettivizzata.

175.
In secondo luogo: i criteri oggettivi. La sentenza Emsland-Stärke subordina infatti la sussistenza di un abuso, oltre che a condizioni soggettive, anche a condizioni oggettive. Nel caso di specie la durata del soggiorno in Irlanda potrebbe costituire una condizione oggettiva. Sia nella sentenza Lair sia nella sentenza Knoors si dà rilievo alla durata del soggiorno. Nella sentenza Lair, la Corte fa giocare il fatto che il lavoro in un altro Stato membro è stato di durata molto breve. Nella sentenza Knoors essa dichiara che, quando il legislatore comunitario ha fissato una durata minima di soggiorno in un altro Stato membro, lo Stato membro di cui trattasi non ha più alcun giustificato interesse ad esercitare una competenza volta a prevenire abusi. Se ne potrebbe argomentare a contrario che, in mancanza di una durata minima stabilita dall'ordinamento comunitario, tale interesse potrebbe invece sussistere.

176.
Ma i criteri oggettivi si prestano ad essere elusi. La certezza del diritto richiede, a mio avviso, che i fattori presi in considerazione dalle autorità nazionali nell'accertare la sussistenza di un abuso siano conoscibili. Siffatta conoscibilità presenta però il rischio che gli interessati possano adattare le circostanze in cui si trovano in modo tale da soddisfare le condizioni richieste. Ricordo in merito la dichiarazione rilasciata dalla sig.ra Akrich da cui risulta che ella aveva previsto di soggiornare in Irlanda, insieme al marito, almeno sei mesi. In ogni caso l'esigere una durata minima per il soggiorno in un altro Stato membro è assolutamente contrario alla giurisprudenza della Corte, in forza della quale la qualità di lavoratore comunitario si ottiene già dopo un periodo molto breve di attività in un altro Stato membro.

177.
Il governo del Regno Unito sembra ammettere siffatta possibilità di elusione e opta per una combinazione di criteri soggettivi ed oggettivi, in base ai quali un abuso può essere accertato (89). Io non vedo come una siffatta combinazione di criteri possa ovviare alle obiezioni sopra formulate. Infatti sui criteri soggettivi - i motivi - gli interessati non sono tenuti a pronunciarsi, mentre possono ingegnarsi per soddisfare i criteri obiettivi

178.
Arrivo così al terzo punto: il confine tra l'abuso del diritto comunitario ed il suo uso per uno scopo non previsto dal legislatore comunitario, ma reso possibile dalla normativa comunitaria. In relazione a ciò considero il criterio invocato dalla Corte nella sentenza Centros, ossia la nozione di «elemento inerente» (90).

179.
Illustro siffatto criterio come segue. L'ordinamento comunitario consente che il cittadino di uno Stato membro si stabilisca in un altro Stato membro. Un cittadino dell'Unione può avere svariate ragioni per stabilirsi in un altro Stato membro, una delle quali può essere che nell'altro Stato è in vigore un regime legislativo che gli è più favorevole. Ciò è accaduto nella causa Centros, in cui l'interessato aveva scelto uno Stato membro con un diritto societario a lui più favorevole, ed avviene ancor più spesso quando vi sono differenze nella normativa fiscale degli Stati membri. L'ordinamento comunitario non giudica in modo negativo tale mobilità, anzi mira precisamente a favorirla.

180.
Lo stabilimento dei coniugi Akrich in Irlanda può essere considerato come un uso del diritto comunitario per uno scopo che, se non è stato perseguito dal legislatore comunitario, è tuttavia inerente alla normativa comunitaria. Il legislatore, infatti, non ha inteso far sorgere un diritto che possa essere utilizzato per eludere la normativa nazionale sull'immigrazione, ma ha ben attribuito al cittadino di uno Stato membro il diritto di stabilirsi in un altro Stato membro insieme al proprio coniuge. Proprio siffatto stabilimento in un altro Stato membro costituisce l'essenza della libertà conferita dall'ordinamento comunitario ai cittadini dell'Unione.

181.
In altri termini, il fatto che un lavoratore si stabilisca in un altro Stato membro per approfittare di una legislazione più favorevole non costituisce in quanto tale abuso del diritto comunitario.

182.
Detto ciò, occorre domandarsi se questo valga anche per il ritorno del lavoratore comunitario nel suo Stato membro. Considerando la sentenza Singh (91), ritengo che la risposta non possa essere che affermativa. Infatti, secondo detta sentenza, le condizioni per il suo ingresso e il suo soggiorno devono essere almeno equivalenti a quelle di cui il lavoratore comunitario può disporre nel territorio di un altro Stato membro, in forza del Trattato o del diritto derivato. E' pertanto irrilevante che la sig.ra Akrich, lasciata l'Irlanda, si stabilisca con il marito in un terzo Stato membro - in tal caso non può naturalmente esserci alcun abuso - o ritorni invece nel Regno Unito, come avviene nel caso di specie.

183.
Non intendo affrontare la questione se i diritti che i coniugi Akrich, traggono dalla normativa comunitaria continuino a sussistere dopo il loro rientro nel Regno Unito, né ho bisogno di farlo. Mi sembra semplicemente palese che il ritorno nello Stato membro di origine alle condizioni previste dall'ordinamento comunitario è inerente alla libera circolazione delle persone. Non può pertanto parlarsi di abuso del diritto comunitario se gli interessati, in quel momento, invocano i benefici loro conferiti dall'ordinamento comunitario.

184.
Giungo alla conclusione che, nella situazione su cui verte la causa principale, non sussiste alcun abuso del diritto comunitario.

185.
Qualunque sia il significato della teoria dell'abuso nel diritto comunitario in generale (92), concludo che, nella situazione oggetto della causa principale, non vi è abuso del diritto comunitario.

VIII - Conclusione

186.
In base alle considerazioni che precedono suggerisco alla Corte di risolvere come segue le questioni pregiudiziali poste dall'Immigration Appeal Tribunal:

- Qualora un cittadino di uno Stato membro abbia lavorato in un altro Stato membro come lavoratore ai sensi dell'art. 39 CE, anche dopo il ritorno nello Stato membro di cui è cittadino può continuare a far valere i diritti attribuitigli dalla normativa comunitaria, e segnatamente dall'art. 39 CE. Di questi fa parte il diritto che il coniuge, indipendentemente dalla sua cittadinanza, si stabilisca con lui nel paese d'origine del lavoratore stesso. Al coniuge del lavoratore spetta in questo caso un proprio diritto di soggiorno nello Stato membro di cui il lavoratore è cittadino, in virtù dell'art. 10 del regolamento (CEE) del Consiglio 15 ottobre 1968, n. 1612/68, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità.

- Ciononostante, lo Stato membro di cui il lavoratore è cittadino può invocare un interesse nazionale cogente per impedire l'ingresso al coniuge del lavoratore, dopo una verifica individuale preventiva in base ai criteri previsti dalla sua normativa nazionale sull'immigrazione, in un caso in cui il coniuge sia cittadino di un paese terzo e non sia stato ammesso in uno Stato membro dell'Unione europea ai sensi della relativa normativa sull'immigrazione.

- Il suddetto potere dello Stato membro deriva dal suo legittimo interesse all'attuabilità e alla mantenibilità della sua normativa sull'immigrazione.

- Le intenzioni con cui il lavoratore e il suo coniuge si avvalgano dei benefici loro conferiti dall'ordinamento comunitario, e segnatamente dalla normativa relativa alla libera circolazione dei lavoratori, sono irrilevanti.


1: - Lingua originale: l'olandese.


2: - Sentenza 7 luglio 1992, causa C-370/90 (Racc. pag. I-4265).


3: - GU L 257, pag. 2.


4: - GU L 56, pag. 850.


5: - House of Commons Paper 395; norme sull'immigrazione stabilite dal Parlamento del Regno Unito nel 1994.


6: - Citata alla nota 2.


7: - L'art. 63, n. 3, costituisce, tra l'altro, il fondamento normativo per il regolamento (CE) del Consiglio 28 maggio 2001, n. 1091, relativo alla libera circolazione dei titolari di un visto per soggiorno di lunga durata (GU L 150, pag. 4) e per la direttiva del Consiglio 28 maggio 2001, 2001/40/CE, relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento di cittadini di paesi terzi (GU L 149, pag. 34).


8: - V. tra l'altro la proposta modificata di direttiva del Consiglio relativa al diritto di ricongiungimento familiare (GU 2002, C 203 E, pag. 136) e la proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni per l'ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi con finalità di lavoro subordinato e indipendente (GU 2002, C 332 E, pag. 248).


9: - V. segnatamente le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere, 15 e 16 ottobre 1999, e la comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, 22 novembre 2000, su una politica comunitaria in materia di immigrazione (COM/2000/0757 def.).


10: - V. paragrafo 16 delle presenti conclusioni.


11: - Entro certi limiti i cittadini di paesi terzi possono entrare legalmente sul territorio dell'Unione a fini di studio, per svolgervi attività economiche o in qualità di rifugiati. Anche il ricongiungimento familiare può costituire un titolo di ingresso o di soggiorno. Più avanti esaminerò soltanto il matrimonio come motivo di ingresso e di soggiorno.


12: - Risoluzione del Consiglio 4 dicembre 1997 sulle misure da adottare in materia di lotta contro i matrimoni fittizi (GU C 382, pag. 1). Il punto 2 di siffatta risoluzione recita, per quanto qui ci interessa:

I fattori che consentono di presumere che un matrimonio sia fittizio sono in particolare:

- il mancato mantenimento del rapporto di convivenza,

- l'assenza di un contributo adeguato alle responsabilità che derivano dal matrimonio,

- il fatto che i coniugi non si siano mai incontrati prima del matrimonio,

- il fatto che i coniugi commettano errori sui loro rispettivi dati personali (nome, indirizzo, nazionalità, occupazione), sulla circostanze in cui si sono conosciuti o su altre informazioni importanti di carattere personale che li riguardano,

- il fatto che i coniugi non parlino una lingua comprensibile per entrambi,

- il fatto che venga corrisposta una somma di denaro affinché il matrimonio sia celebrato (eccettuate le somme corrisposte a titolo di dote, qualora si tratti di cittadini dei paesi terzi nei quali l'apporto di una dote è una prassi normale),

- il fatto che dai precedenti di uno o dei due coniugi risultino indicazioni di precedenti matrimoni fittizi o irregolarità in materia di soggiorno.

In questo contesto, tali informazioni possono risultare:

- da dichiarazioni degli interessati o di terzi,

- da informazioni tratte da documenti scritti,

- da informazioni ottenute nel corso di un'indagine.


13: - In dieci Stati membri l'interruzione del soggiorno sul territorio può costituire motivo di revoca o di rifiuto di proroga del titolo di soggiorno. Questo criterio non ha alcun rilievo nel caso di specie.


14: - Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), 18 febbraio 1991, serie A, n. 193, Moestaquim c. Belgio, CEDU 13 luglio 1995, serie A, n. 320-B, Narsi c. Francia, CEDU 24 aprile 1996, Reports 1996-II, Boughanemi c. Francia, CEDU 7 agosto 1996, Reports 1996-III, C. c. Belgio, CEDU 29 gennaio 1997, Reports 1997-I, Bouchelkia c. Francia.


15: - V. ad esempio la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (GU 2001, C 270 E, pag. 150). V. anche la proposta modificata di direttiva del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare (citata alla nota 8). Queste proposte trovano origine nel Consiglio europeo di Tampere, 15 e 16 ottobre 1999.


16: - Non ha nessuna importanza in merito il fatto che l'art. 18 CE parli dei cittadini dell'Unione, mentre l'art. 39 CE parla dei lavoratori degli Stati membri.


17: - Conclusioni presentate per la sentenza 17 settembre 2002, causa C-413/99 (Racc. pag.

I-0000, a partire dal paragrafo 28).


18: - Direttiva del Consiglio 15 ottobre 1968, 68/360/CEE, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati membri e delle loro famiglie all'interno della Comunità (GU L 257, pag. 13).


19: - La Corte si spinge ancora oltre nella sentenza BRAX, v. il paragrafo 74 in prosieguo.


20: - Direttiva del Consiglio 28 giugno 1990, 90/364/CEE, relativa al diritto di soggiorno (GU L 180, pag. 26).


21: - Citata alla nota 17.


22: - V. sentenza Echternach e Moritz, che verrà discussa al paragrafo 79.


23: - V. paragrafo 73.


24: - V. ad esempio le recenti sentenze 11 luglio 2002, causa C-60/00, Carpenter (Racc. pag.

I-6279, punti 38-42), e 25 luglio 2002, causa C-459/99, BRAX (Racc. pag. I-6591, punti 53 e 61). V. inoltre i paragrafi 106 e segg. delle presenti conclusioni.


25: - O la pubblica sicurezza o la sanità pubblica.


26: - V., ad esempio, sentenza 16 dicembre 1992, causa C-206/91, Koua Poirrez (Racc. pag. I-6685, punti 10 e 11).


27: - V. sentenza 25 luglio 2002, BRAX, citata alla nota 24, punto 39.


28: - Sentenza 23 marzo 1982, causa 53/81 (Racc. pag. 1035, punto 21).


29: - Nelle mie conclusioni presentate in data odierna per la causa Ninni Orasche, causa C-413/01, presento un quadro più ampio di siffatta giurisprudenza.


30: - I requisiti che vengono stabiliti per il rapporto tra il datore di lavoro e il lavoratore sono discussi più particolareggiatamente, tra l'altro, nella sentenza 31 maggio 1989, causa 344/87, Bettray (Racc. pag. 1621).


31: - V., oltre alla sentenza Levin, anche la sentenza 21 giugno 1988, causa 39/86, Lair (Racc. pag. 3161, punti 41 e 42).


32: - V. tra l'altro sentenza Levin, citata alla nota 28, punto 13.


33: - Sentenza 11 aprile 2000, cause riunite C-51/96 e C-191/97 (Racc. pag. I-2549, punti 58 e 59).


34: - Questo regolamento è integrato dalla direttiva 68/360/CEE, citata alla nota 18, con alcuni obblighi per gli Stati membri di rilasciare documenti di viaggio e di soggiorno.


35: - Sentenza 27 ottobre 1982, cause riunite 35/82 e 36/82 (Racc. pag. 3723).


36: - Sentenza 13 febbraio 1985, causa 267/83, Diatta (Racc. pag. 567).


37: - Citata alla nota 17.


38: - Salvo che esista un rischio per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o sanità pubblica, come illustrerò a partire dal paragrafo 91.


39: - Citata alla nota 24, punto 61.


40: - Nelle mie conclusioni presentate per la sentenza Baumbast e R., citate alla nota 17, a partire dal paragrafo 45, mi sono trattenuto più diffusamente su siffatta tesi, rinviando ancora alle conclusioni presentate dall'avvocato generale La Pergola per la sentenza 12 maggio 1998, causa C-85/96, Martínez Sala (Racc. pag. I-2691).


41: - V. sentenza 12 maggio 1998, Martínez Sala, citata alla nota 40, punto 32.


42: - Citata alla nota 2, punto 19.


43: - Sentenze 31 marzo 1993, causa C-19/92, Kraus (Racc. pag. I-1663, tra l'altro punto 32); 6 giugno 2000, causa C-281/98, Angonese (Racc. pag. I-4139, v. in particolare i punti 38 - 41), e 11 giugno 2002, causa C-224/98, D'Hoop (Racc. pag. I-6191).


44: - V. le conclusioni dell'avvocato generale Tesauro, presentate per la sentenza Singh, citata alla nota 2, paragrafo 5.


45: - Sentenza 15 marzo 1989, cause riunite 389/87 e 390/87 (Racc. pag. 723).


46: - V. i punti 20 e 21 della sentenza.


47: - V. in merito a quelle circostanze particolari soprattutto la sentenza 27 novembre 1997, causa C-57/96, Meints (Racc. pag. I-6689), vertente su un sussidio il cui riconoscimento dipendeva da un rapporto di lavoro appena cessato e che era inscindibilmente connesso alla qualifica oggettiva di lavoratore dei beneficiari.


48: - Sentenza della Corte 20 marzo 2001, causa C-33/99, Fahmi e Esmoris Cerdeiro-Pinedo Amado (Racc. pag. I-2415, punto 47).


49: - Citata alla nota 35, punti 15-17.


50: - Siffatto diritto non può fondarsi neppure sul riconoscimento dell'efficacia diretta dell'art. 18 CE nella sentenza Baumbast e R.


51: - Sentenza 11 aprile 2000, causa C-356/98, Kaba (Racc. pag. I-2623, punti 30-32).


52: - Sentenza 11 luglio 2002, D'Hoop (citata alla nota 43, punti 28 e 29), dove la Corte rinvia esplicitamente alla cittadinanza dell'Unione, già enunciata nella sentenza Grzelzcyk (paragrafo 106 qui di seguito).


53: - V. più in esteso le mie conclusioni, presentate per la sentenza 5 marzo 2002, cause riunite C-515/99, da C-515/99 a C-524/99 e da C-526/99 a C-540/99, Reisch e a. (Racc. pag. I-2157, punti 77 e segg.), in cui esaminavo la ricevibilità delle questioni pregiudiziali proposte dal giudice del rinvio, alla luce dell'eventuale mancanza di un nesso con il diritto comunitario.


54: - Sentenza 17 aprile 1986, causa 59/85 (Racc. pag. 1283, punti 25 e segg.)


55: - Citata alla nota 48.


56: - V. anche il precedente paragrafo 80. Analogo è anche la fattispecie in esame nella sentenza 30 settembre 1975, causa 32/75, Cristini (Racc. pag. 1085), vertente sulle riduzioni per biglietti ferroviari concesse ai lavoratori.


57: - Sentenza Fahmi e Esmoris Cerdeiro-Pineedo Amado, citata alla nota 48, punto 46.


58: - Citata alla nota 43, punto 30. E' del resto degno di nota che la Corte in precedenti cause analoghe (v., fra l'altro, la sentenza Angonese, citata alla nota 43, punti 37 e segg.) si sia richiamata ad una discriminazione indiretta di cittadini di altri Stati membri.


59: - V. tra l'altro sentenza 30 novembre 1995, causa C-55/94, Gebhard (Racc. pag. I-4165, punto 37).


60: - V. l'orientamento costante a partire dalla sentenza 4 dicembre 1974, causa 41/74, Van Duyn (Racc. pag. 1337, punti 22 e 23), e attraverso la sentenza 19 gennaio 1999, causa C-348/96, Calfa (Racc. pag. I-11, punti 20 e 21), sino alla sentenza 26 novembre 2002, causa C-100/01, Olazabal (Racc. pag. I-0000, punto 39).


61: - V. ad esempio sentenza Calfa, citata alla nota 60, punto 24.


62: - V. ad esempio sentenza Olazabal, citata alla nota 60, punto 40.


63: - Citata alla nota 60, segnatamente punto 45.


64: - Citata alla nota 24, segnatamente i punti 61, 78 e 90.


65: - La sentenza di riferimento in proposito è quella pronunciata il 7 febbraio 1979, nella causa 115/78, Knoors (Racc. pag. 399, punto 25).


66: - Sentenza della Corte 14 dicembre 2000, causa C-110/99 (Racc. pag. I-11569, punti 52 e 53). Questa sentenza riguarda però un altro settore del diritto comunitario, ossia quello delle restituzioni all'esportazione nell'agricoltura.


67: - V., tra l'altro, sentenza 9 marzo 1999, causa C-212/97, Centros (Racc. pag. I-1459, punto 24). Questa giurisprudenza risale alla sentenza 3 dicembre 1974, causa 33/74, Van Binsbergen (Racc. pag. 1299).


68: - Sentenza 3 febbraio 1993, causa C-148/91 (Racc. pag. I-487, punto 13).


69: - Sentenza 5 ottobre 1994, causa C-23/93, TV10 (Racc. pag. I-4795, punti 14 e 21).


70: - V. tra l'altro sentenza 12 maggio 1998, causa C-367/96, Kefalas e a. (Racc. pag. I-2843, punto 22).


71: - Citata alla nota 67, punto 27.


72: - Citata alla nota 28, punto 22.


73: - Citata alla nota 31, punto 43.


74: - Direttiva del Consiglio 7 luglio 1964, 64/427/CEE, relativa alle modalità delle misure transitorie nel settore delle attività non salariate di trasformazione delle classi 23 - 40 C.I.T.I. (Industria ed artigianato) (GU P 117, pag. 1863).


75: - V. punto 54 delle presenti conclusioni.


76: - Sentenza 20 settembre 2001, causa C-184/99, Grzelczyk (Racc. pag. I-6193, punto 31).


77: - V. ad esempio sentenza BRAX, citata alla nota 24, punto 53, e sentenza Carpenter, citata alla nota 24, punto 38.


78: - Sentenza 18 maggio 1989, causa 249/86, Commissione/Germania (Racc. pag. 1263, punti 10 e 11).


79: - Citata alla nota 24, punti 41 e segg. Cito il punto 42.


80: - V. il paragrafo 172, in prosieguo.


81: - Citata alla nota 67; v. più estesamente il punto 100.


82: - V. sentenza Singh, citata alla nota 2, punto 12.


83: - V. precedente paragrafo 74.


84: - V. precedente paragrafo 61.


85: - V. nota 12 delle presenti conclusioni.


86: - V. punto 39 della sentenza. Anche nella giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell'Uomo è considerato determinante il fatto che i coniugi possano vivere regolarmente insieme in un altro paese. V. sentenza 29 agosto 2001, Boultif/Svizzera, Reports 2001-IX, par. 52-55


87: - V. paragrafi 75 e segg.


88: - V. più in esteso i precedenti paragrafi 89 e 90.


89: - L'elenco di tali criteri - che non riporto in queste conclusioni - mira a mettere a disposizione della Corte uno strumento per un caso come quello in esame, in cui una coppia si è trasferita temporaneamente in un altro Stato membro.


90: - V. precedente paragrafo 100.


91: - Citata alla nota 2, punto 19.


92: - Al paragrafo 98 ho citato, ad esempio, la sentenza TV10, in cui la Corte ha dichiarato legittima una normativa nazionale specifica mirante a contrastare l'abuso del diritto comunitario, anche se questa ostacolava la libera circolazione all'interno dell'Unione europea.