P.A. vietata agli extracomunitari.
Parere del DFP del 27 settembre 2004
LUfficio per il personale delle pubbliche
amministrazioni del Dipartimento della Funzione Pubblica, con un recente
parere, e intervenuto a dare precise indicazioni alle pubbliche amministrazioni
in materia di acceso dei cittadini extracomunitari al lavoro pubblico.
Il tema si e sempre presentato di estrema
complessita a causa dei diversi interventi normativi susseguitisi nel tempo e
che hanno generato perplessita interpretative, con conseguente aumento del
contenzioso per le amministrazioni.Ne puo essere trascurato il fatto che
rispetto a tale questione si intersecano i piani del diritto nazionale e quelli
del diritto comunitario.
Nel partire da queste considerazioni, il Dipartimento
procede ad una disanima puntuale delle singole disposizioni normative,
delineando il diverso regime previsto per i cittadini dei paesi membri
dellUnione europea e per quelli extracomunitari.
Il Dipartimento, nel ricostruire il quadro normativo
vigente, coglie loccasione per sottolineare la rispondenza di tali norme ai
principi dettati dalla Costituzione. In primo luogo dallarticolo 51, che e
stato, peraltro, recentemente integrato per i profili delle pari opportunita
fra uomo e donna senza che il Parlamento abbia sentito il bisogno di
intervenire per altri aspetti[1].
In particolare, sul principio di uguaglianza fra il
cittadino italiano e il cittadino extracomunitario, il parere fa espresso
riferimento alla giurisprudenza della Corte costituzionale che vede larticolo
tre della Carta fondamentale strettamente connesso agli art. 2 e 10, secondo
comma, e che in virtu di tale chiave di lettura riconosce a tutti i soggetti i
c.d. diritti inviolabili, mentre la condizione giuridica degli stranieri e
demandata alla legge, in conformita con le norme ed i trattati internazionali.
Su questo punto in tempi recenti la giurisprudenza ha
avuto modo di esprimersi, anche su posizioni antitetiche.In particolare, ci si
riferisce alla sentenza TAR Liguria, sez. II, n.399/2001[2] ed allordinanza della Corte dAppello di
Firenze del 2 luglio 2002[3]
.Questultima asserisce che la vigente disciplina in materia di immigrazione
determina una perfetta equiparazione, ai fini dellaccesso ai pubblici
concorsi, tra cittadini di Stati membri dellUnione europea e cittadini
extracomunitari, purche in possesso di regolare permesso di soggiorno in
Italia e che ogni qualvolta la pubblica amministrazione precluda o renda
piu difficile ai cittadini extracomunitari laccesso al settore pubblico o la
partecipazione ai pubblici concorsi, compromettendo lesercizio di un diritto
fondamentale, esclusivamente per ragioni di cittadinanza, pone in essere una
discriminazione che puo essere denunciata al giudice per ottenere un
provvedimento che la faccia cessare.
Entrambi i giudici sembrano, pero, non aver tenuto
conto dellesistenza di una riserva di rango costituzionale, il gia citato
articolo 51 della Costituzione.
In senso contrario si sono espressi altri giudici, in
particolare il TAR Toscana, sez.II, sent. N.38/2003, il quale ha escluso che
lart. 2 del Dpr n.487 del 1994 sia stato abrogato dal Dlgs n. 286/1998 e
cio non solo perche un contesto normativo non appena incompatibile con il
secondo ma comunque perche tale effetto non si determina allorche la legge
precedente riveste carattere di specialita (regolando nel caso la specifica
materia dei concorsi) rispetto a quella posteriore (che attiene alla posizione
dei cittadini extracomunitari) .
Sempre secondo il TAR Liguria, lavvenuta
privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica
Amministrazione avrebbe fatto
venir meno la differenza fra cittadino italiano e cittadino extracomunitario.
In particolare, nella citata sentenza del Tar Liguria
si afferma come il limitare, come prospettato dallintimata amministrazione,
tale astratta possibilita solamente nei confronti dei datori di lavoro privati
risulta essere palesemente illogico per violazione del fondamentale principio
di eguaglianza, nonche in aperto contrasto con levoluzione normativa in
materia di privatizzazione del rapporto del pubblico impiego.Tuttavia tale
prospettazione non tiene conto del fatto che la privatizzazione attiene alle
vicende relative al rapporto di lavoro e non alle modalita relative
allaccesso. Inoltre, la giurisprudenza della Corte costituzionale ha sempre
affermato che le norme relative allaccesso nella pubblica amministrazione ed
alla costituzione del relativo rapporto di lavoro differenziano profondamente
il lavoro pubblico da quello privato, in quanto poste a garanzia del
perseguimento dei principi fondamentali di imparzialita e del buon andamento
(art. 97 Costituzione [4]).
Laver sottolineato la rispondenza delle norme
vigenti ai principi costituzionali riveste una particolare importanza in
relazione al mutato assetto delle competenze, dovuto alla riforma del Titolo V
della Costituzione. Infatti, in un quadro dacceso dibattito sulle ricadute
della riforma sulla disciplina del personale alle dipendenze della pubblica
amministrazione e sul nuovo ruolo attribuito alle autonomie locali, lelemento
unificante costituito dalla rispondenza ai principi costituzionali. Infatti
larticolo 123, nella sua nuova formulazione, attribuisce la potesta
statutaria alle Regioni in armonia con la Costituzione. Pur in assenza di una
specifica previsione, puo ritenersi che la materia statutaria degli enti
locali possa disegnarsi sulla falsariga di quella indicata dallart. 123, anche
se vi sono differenze fra gli enti dovute alla diversa capacita normativa e al
diverso ruolo rivestito[5]
.Cio comporta limpossibilita per le Regioni e gli enti locali di prevedere
laccesso al lavoro pubblico dei cittadini dei paesi terzi allUnione europea,
anche alla luce degli orientamenti della Corte richiamati nel citato parere dal
Dipartimento.
Levoluzione normativa
Il parere procede, inoltre, ad illustrare
levoluzione normativa che ha portato alla redazione dellarticolo 38 del Dlgs
30 marzo 2001, n. 165, sullaccesso dei cittadini degli Stati membri
dellUnione europea, che, basata sulla giurisprudenza del Consiglio di Stato e
della Corte di giustizia europea, ha portato alla realizzazione di un diverso
regime per gli stranieri membri dei paesi dellUnione.Tale evoluzione prende le
mosse dallart. 48 del Trattato istitutivo della Comunita, da una lettura del
quale scaturisce la considerazione che il lavoro privato pubblico sia ritenuto
dal legislatore comunitario altro rispetto al lavoro privato, tanto da
operare una distinzione fra cittadini dello Stato e cittadini di altro Stato,
seppur appartenenti alla Comunita. Anche linterpretazione estensiva della
Corte in realta conferma tale impostazione, poiche pur riconoscendo
implicitamente al cittadino comunitario uno status di quasi cittadino
rispetto allo Stato membro, tuttavia non lo ritiene completamente equiparabile.
Poiche il Trattato ai fini dellaccesso allimpiego pubblico opera una
distinzione fra cittadino dello Stato e cittadino di altro Stato, anche se
membro della Comunita, si deve dedurre che laccesso del cittadino del paese
terzo, rispetto alla Comunita, sia escluso.
Fonte : Sole 24 ore- ottobre 2004 Guida al Pubblico
Impiego locale n. 9
Stefania De Paulis
Funzionario del Dipartimento della Funzione pubblica
[1] Si veda lart.1 della legge costituzionale 30 maggio 2003, n.1.
[2] Si veda IL Diritto del lavoro , rivista di dottrina e giurisprudenza, gennaio-aprile 2002, commento di Virgilio Notari
[3] In Diritto, immigrazione e Cittadinanza, 2003, fasc. 2, p.103.
[4] Si veda, fra gli altri, Corte Costituzionale, sent. 13 marzo 2003, n.89, sul giudizio di legittimita costituzionale dellart. 36, comma 2 del Dlgs 286/98.
[5] Si veda Vincenzo Cetulli Itrlli e Cesare Pinelli, Normazione e amministrazione nel nuovo assetto costituzionale dei pubblici poteri.