S. Palidda

(SdF-Unige)

 

Questione criminale, questione sociale e migranti all'epoca dello sviluppo liberista globale.

 

 

Premessa

Questo testo Ðancora provvisorio- riassume solo alcuni aspetti teorici e metodologici e qualche elemento empirico che considero essenziali per affrontare la discussione sul rapporto fra criminalitˆ e migrazioni, sulla criminalitˆ, la devianza, la criminalizzazione, l'autocriminalizzazione fra i migranti e anche su questi come vittime.

 

 

1. Riferimenti storici

            Non esiste una vera e propria storia del rapporto fra criminalitˆ e migrazioni, nŽ della criminalitˆ, della devianza, della criminalizzazione, dell'autocriminalizzazione fra i migranti e di questi come vittime. Tuttavia, al di lˆ della letteratura criminologica, le ricerche storiche, e in particolare quelle che riguardano la storia sociale di quasi tutti i paesi di emigrazione e di immigrazione, forniscono abbastanza informazioni e descrizioni di questi fenomeni.

Mi pare innanzi tutto indispensabile ricordare che la definizione o trasformazione della questione sociale in questione criminale stata continuamente al centro del processo di sviluppo dell'organizzazione politica della societˆ lungo il XIX e il XX secolo. Il governo della miseria, il trattamento della marginalitˆ e della delinquenza, la chirurgia sociale atta a separare le classi pericolose (sovversivi e criminali) dalle classi laboriose, sono necessitˆ che si impongono come decisive per lo sviluppo della societˆ industriale che fu soprattutto un processo di urbanizzazione di massa, cio di migrazione dalle campagne ai centri urbani[1]. Non un caso che la concezione della polizia, dell'amministrazione della giustizia e del trattamento sociale si sviluppano in Inghilterra, in Francia, in Germania, cos“ come la scuola di Chicago nasce appunto in questa cittˆ  particolarmente segnata non giˆ dall'immigrazione in quanto tale ma dalle conseguenze negative di una assenza di gestione a dal cattivo governo di questo fenomeno.

            In altre parole, a rischio di una semplificazione che gli storici rigorosi non tollerano, si pu˜ forse dire che il governo della societˆ Ðin particolare dal XIX sec.- ha sempre dovuto confrontarsi con la povertˆ, la marginalitˆ, la devianza, oltre che con la criminalitˆ e la sovversione, tutti fenomeni strettamente connessi allo sviluppo economico e politico. La declinazione di questi fenomeni come questione criminale tout court stata pi volte sperimentata conducendo a qualche successo effimero, ma soprattutto alla necessitˆ di rinnovare tentativi di pacificazione sociale, anche se quasi sempre ridotti a tamponare i "buchi" pi pericolosi della disorganizzazione o del disordine sociale. Dal punto di vista della difesa dell'ordine sociale e politico, le minacce o le esplosioni di conflitti effettivamente gravi non sono mai venuti dagli immigrati in quanto tali, ma sempre dalle rivolte di parte delle classi subalterne fra le quali a volte c'erano anche i migranti, ma solo come componenti di tali classi subalterne. Lo stesso si pu˜ dire anche per i movimenti collettivi e notoriamente le lotte sindacali o sociali conosciute sino agli anni '80.

            Al di lˆ dei rari studi criminologici, che non a caso, spesso, ne facevano di fatto dei casi patologici o clinici, gli studi sulle migrazioni hanno quasi sempre trascurato o del tutto ignorato la devianza o la delinquenza dei migranti proprio perchŽ il paradigma apparso dominante era quello della riuscita del processo di inserimento o d'integrazione se non dell'assimilazione. In effetti, se da un lato il migrante in quanto tale pu˜ configurarsi come sovversivo rispetto all'ordine nazionale e lo statu quo locale (ancor di pi lo -da sempre- il nomade), dall'altro il processo concreto di interazione quotidiana lo conduce all'adattamento e quindi all'integrazione -consapevole o inconsapevole- nella realtˆ locale in cui costruisce il suo futuro. E' stato anche osservato che per certi versi, assai spesso, l'"etica" del migrante si sempre combinata perfettamente con lo "spirito del capitalismo". Al di lˆ delle periodiche, ma momentanee, congiunture di crisi e di repressione violenta, lo sviluppo economico e politico si nutriva della crescita della manodopera. La possibilitˆ di passare da una condizione marginale o deviante (per esempio chi usciva dal carcere) all'inserimento regolare era alla portata di tutti i soggetti disposti a dimostrare di voler lavorare. Un esempio fra i tanti, durante la crisi di metˆ degli anni '50 molti immigrati italiani arrivati in Francia clandestinamente furono incarcerati ed espulsi; ma neanche un mese dopo, la ripresa economica fu tale da richiamarli per essere assunti nelle miniere della Lorena.

            Un'altra considerazione mi sembra opportuna anche perchŽ mai discussa: gli studi sulla devianza da parte dei ricercatori della prima scuola di Chicago e in particolare quelli sulle bande giovanili(Trasher), non consideravano l'origine immigrata come caratteristica propria al divenire deviante di tali giovani, ma consideravano il fenomeno come una conseguenza di quello sviluppo della cittˆ (insomma potevano essere di origine immigrata o no, ma erano diventati tali per il processo di socializzazione che avevano vissuto e se a volte in maggioranza erano di origine immigrata appunto perchŽ buona parte degli immigrati era destinata a inserirsi in tale processo che conduceva alla marginalitˆ e alla devianza. La stessa teoria dell'anomia nell'accezione mertoniana pu˜ essere meglio ri-compresa alla luce della teoria interazionista della devianza cos“ come la propone H. Becker e altri della seconda scuola di Chicago. E' anche in questa prospettiva interpretativa che mi sembra molto utile capire che il fenomeno della devianza o delinquenza dei migranti di oggi riguarda soprattutto dei giovani che non sono molto diversi da quelli delle periferie delle grandi cittˆ europee, insomma sono spesso i giovani della periferia d'Europa che venendo nel cuore di questa agiscono secondo i meccanismi che potremmo chiamare mertoniani-howardiani. Lo scandalo o l'intolleranza assoluta nei loro confronti (e in genere nei confronti di ogni comportamento giovanile considerato "incivile") corrisponde peraltro alla paura e all'incertezza del cittadinismo perbenista di perdere i suoi privilegi ammantati da un'accezione di moralitˆ, del decoro e della pace sociale ancora pi radicali di quelli auspicati dai pi bigotti di qualche decennio passato[2]. Appare peraltro evidente che nella rivendicazione di punizioni severe nei confronti dei giovani immigrati si scarica l'intolleranza per tanti comportamenti dei giovani autoctoni, spesso innescati dal processo di destrutturazione sociale dovuto allo sviluppo liberista[3].

            In altri termini, il "fallimento" o la "riuscita" della migrazione e della "posteritˆ" dei migranti, o, se si preferisce, l'inserimento deviante (con quasi sempre epiloghi tragici) o l'integrazione pacifica, dipendono -banalmente- dalle interazioni positive e negative fra il migrante e tutti gli attori e contesti o frames che incontra lungo il suo percorso di vita (esperienza che peraltro non per nulla diversa da quella di qualsiasi essere umano, ma che nel caso del migrante si situa in una variazione continua di questi elementi).

E' anche in tale prospettiva interpretativa che si pu˜ meglio capire perchŽ, come, quando e dove un essere sociale conosce un percorso che pu˜ essere approvato o condannato dalla societˆ in cui vive, che per il migrante pu˜ ancora essere quella di partenza, quella dove immigra e, soprattutto, la cerchia di riconoscimento morale e sociale in cui si inserisce e nella quale, quindi, forgia le sue aspirazioni, i suoi criteri di gratificazione o di frustrazione e i suoi comportamenti (al pari di come fa ogni essere umano Ðsi veda sempre di Goffman, La vita quotidiana come rappresentazione, e Berger e Luckman, La costruzione sociale della realtˆ).

Come mostra bene una letteratura varia ma anche rigorosa, se certi soggetti marginali (quali sono sempre stati alcuni Ðma solo alcuni- i neo-inurbati, i migranti o i neri in America) finiscono per figurare fra i delinquenti assai spesso perchŽ "inevitabilmente" sono destinati ad essere le prede facili dei meccanismi di criminalizzazione e/o di auto-criminalizzazione, cos“ come spesso possono essere anche le pi probabili vittime di violenza e reati vari dei loro pari o di altri.

 

            Per quanto riguarda la vera e propria criminalitˆ e il suo rapporto con le migrazioni, ampiamente dimostrato come la trasnazionalizzazione delle mafie o delle diverse organizzazioni criminali sia un fenomeno del tutto complementare o in concorrenza con le transnazionalizzazione di qualsiasi attivitˆ economica. Nulla a che fare con le migrazioni di esseri umani che possono essere dovute a molteplici ragioni impellenti ma innanzi tutto al coraggio di cercare di costruirsi altrove un avvenire migliore, cio l'emancipazione, anche se nell'illusione di spenderla nella societˆ di origine. Non mai esistita e non esiste neanche oggi una transnazionalizzazione o globalizzazione della criminalitˆ organizzata se non con complicitˆ parziali con gli attori o i poteri forti dei vari paesi. E la criminalitˆ organizzata pu˜ inserirsi solo laddove trova spazi o interstizi per poter svolgere le sue attivitˆ appunto come componente complementare o concorrenziale o anche in conflitto con le altre istituzioni economiche e sociali che fanno parte di una data organizzazione politica della societˆ o di un dato settore su scala locale e globale. Un esempio per tutti: se cosa nostra ha potuto avere un certo successo negli Stati Uniti anche perchŽ in quell'assetto economico e politico trovava spazio, poteva vendere le sue prestazioni, sviluppare le sue attivitˆ. Si ricordi che la prima attivitˆ di cosa nostra era appunto il controllo sociale dei migranti italiani e che stato il proibizionismo degli alcolici a favorire l'ascesa di Al Capone. La stragrande maggioranza dei membri di Cosa Nostra negli Stati Uniti non erano giˆ mafiosi in Italia, lo sono diventati l“. I casi Badalamenti e altri si inseriscono in un assetto giˆ dato. Ma quando gli Stati Uniti hanno deciso di spezzare l'ascesa di cosa nostra perchŽ troppo autonomizzata e pericolosamente minacciosa per il dominio ufficiale Ðcio non pi solo servile prestataria di servizi sporchi- subito stata oggetto di un forte ridimensionamento cos“ come stato anche il caso dell'eliminazione di Noriega e altri vecchi ex-supporti del dominio dei grandi gruppi di potere americani. Come disse nella sua prima deposizione in Tribunale il primo pentito di cosa nostra negli Usa, Joe Valachi,  "sto parlando di criminali non di migranti". Altro esempio opposto: alcuni emigrati originari delle stesse famiglie di quelli che negli States sono finiti nei ranghi di cosa nostra, sono invece immigrati nelle miniere della Lorena/Francia. Nessuno di questi diventato mafioso, nŽ s' mai vista la formazione di cosa nostra in Francia; al contrario si sono integrati nel moule ou creuset delle proletariato minerario francese senza abbandonare i riferimenti alle origini, rivalorizzate solo nel recente periodo di sviluppo dell'associazionismo regionale degli italiani all'estero. Insomma, l'inserimento nel contesto minerario francese non poteva che farne dei francesi di origine siciliana, tutti devoti della santa patrona di tutti i minatori ÐS. Barbara/santa che in Sicilia non esiste- e uguali agli altri di qualsiasi origine essi siano ("in fondo alla miniera si era tutti neri"). Diverso il caso di alcuni immigrati nella zona di Bruxelles, dove la congiuntura particolare dello sviluppo degli anni '70 e '80 ha di fatto favorito l'ascesa di una sorta di mafia italo-belga (che per sua censura e limiti di analisi Martiniello ha ignorato optando per una visione edulcorata delle leaderships issues de l'immigration).    

 

 

 

2. Il contesto attuale

            Lo studio dei fenomeni qui trattati nell'attuale contesto richiede innanzitutto il riconoscimento delle caratteristiche salienti dell'attuale congiuntura. In apparenza si tratta di aspetti paradossali, ma si pu˜ constatare che abbiamo a che fare con elementi e aspetti che ben al di lˆ della loro apparente antitesi possono coesistere ben al di fuori di fantomatica regia o razionalitˆ di un grande fratello. L'esempio pi estremo appunto quello delle migrazioni. Da un lato lo sviluppo dell'assetto economico dei paesi ricchi esclude il ricorso alle migrazioni di massa conosciute sino agli anni '70 (e a volte ancora nel corso degli anni '80). Smantellamento delle grandi strutture produttive, innovazioni tecnologiche, decentralizzazione nei paesi terzi delle pi svariate attivitˆ produttive e persino del terziario (si pensi ai call center in India e un p˜ ovunque), insomma uno sviluppo che semmai spinge a favore delle migrazioni sud-sud (non a caso intensissime) e non certo a favore di quello che una certa visione meccanica/idraulica chiamava effetto pull combinato o meno a quello di push. Tuttavia ampiamente dimostrato che i paesi ricchi hanno ancora bisogno di immigrati; ma quali, a che condizioni, per quanto tempo, dove?  Negli Stati Uniti, nel 1999 gli irregolari erano stimati a circa cinque milioni e mezzo (Pastel, in OCSE, 2000). Nel 2004, sono stimati a circa dieci milioni. Eppure gli States hanno regolarizzato ogni anno circa un milione di persone. In aprile 04 Bush ha promesso la pi grande sanatoria della storia (non tanto o non solo per ragioni elettoralistiche). Allo stesso tempo gli Stati Uniti spendono cifre enormi per la militarizzazione della frontiera messicana, per la guerra di ogni sorta all'immigrazione clandestina, che di fatto in correlazione con le altre "guerre" e con i mutamenti e contaminazioni nel campo della sicurezza[4]. Per certi versi l'Italia il paese d'Europa che assomiglia di pi agli Stati Uniti e forse va anche pi in lˆ dell'esperienza americana (che non chiamo modello perch non v' nulla di precisamente coerente). Che vuol dire tutto ci˜? Per capire questi fatti apparentemente antitetici conviene forse pensare che ci troviamo davanti una realtˆ composta da attori, settori, segmenti della societˆ assai diversi o a volte persino in conflitto fra essi: da un lato c' chi ha bisogno di manodopera stabile e regolare e allora reclama la sanatoria e la stabilitˆ dei permessi, dall'altro c' chi invece vuole solo manodopera precaria e opta per permessi molto limitati e facilmente revocabili o destinati a non poter essere + rinnovati; ma c' anche chi vuole solo clandestini per le sue attivitˆ sommerse e vuole anche un dispositivo repressivo forte e violento per poter facilmente sbarazzarsi di quelli che non gli vanno pi a genio o avanzano pretese o sono ormai usurati[5]. Inutile dire che questi ultimi sono in conflitto con gli imprenditori regolari che non sopportano la concorrenza sleale dei primi e non un mistero che il governo cerca di accontentare gli uni e gli altri scegliendo una via mediana (la sanatoria ma non la green card o il permesso duraturo; la regolarizzazione ma lasciando di fatto la possibilitˆ che a pagarne tutti i costi ufficiali e ufficiosi siano gli immigrati e che tutto un mondo di personaggi ne faccia un grande business; una sanatoria continua che di fatto alimenta la riproduzione di irregolari -fenomeno comune agli Stati Uniti e all'Italia). Allo stesso tempo non mancano gli attori interessati al business della guerra alle migrazioni (nuove tecnologie, sistemi di dissuasione, polizie private, carriere brillanti, ecc./ business non diverso da quello del sicuritarismo che porta a recinsioni di ogni sorta e ovunque, sistemi di video-sorveglianza spesso assolutamente inutili, assicurazioni, sistemi di sicurezza sofisticati, proliferazione prestazioni delle vigilanze private Ðnei fatti quasi tutte le amministrazioni locali e nazionali, di destra e di sinistra, hanno adottato queste misure). E non manca neanche uno stuolo di ONG ed esperti che offrono le loro prestazioni per il trattamento dei clandestini, i rimpatri, la gestione dei centri espellendi, ecc. (si veda al proposito l'illuminante relazione specifica della Corte dei Conti, 2004). Tutti questi aspetti mostrano che siamo oggi di fronte a una situazione ben diversa da quella dello sviluppo della societˆ industriale, dove la "questione sociale" veniva trasformata in questione criminale solo nei momenti di crisi cicliche, mentre il trattamento sociale era privilegiato (o avrebbe dovuto esserlo) sia perchŽ l'obiettivo principale del governo della societˆ doveva essere quello della pacificazione e del recupero di tutte le forze di lavoro, sia perchŽ costava di meno (le teorie utilitariste o razionaliste di I. Ehrlich, di G.J. Stigler, G. (non H.S.) Becker  e di altri Ðben riassunte da F. Jenny e rianalizzate da Foucault- sono una sorta di aggiornamento di Bentham e Beccaria e tentano di rispondere alle esigenze del governo della societˆ industriale). Nel contesto attuale, invece, la c.d. repressione del crimine diventata "guerra" all'insicurezza nel senso pi ampio possibile (appunto tolleranza zero sia contro le "inciviltˆ urbane", sia contro il terrorismo) e, al pari della "guerra" contro gli stati canaglia e contro Al Qaeda, terreno di profitti e di benefici diversi per le lobbies poliziesche-militari-industriali. E' infatti evidente a tutti che le vere cause dell'insicurezza, dei malesseri e problemi sociali e della criminalitˆ urbana risiedono in ci˜ che Bauman chiama Unsichereit, ossia in quel misto di incertezza, paure e insicurezza, conseguenza diretta dei processi di destrutturazione sociale. Siamo di nuovo di fronte a ci˜ che Schumpeter chiamava la "distruzione creativa", cio di fronte a quella disorganizzazione o disordine sociale che si produce insieme ai grandi mutamenti economici, sociali e politici, appunto quelli innescati dallo sviluppo del liberismo e della sua globalizzazione. Appare allora molto importante capire la differenza fra il liberismo di oggi e il liberalismo di ieri. Al di lˆ delle teorizzazioni dei neoconservatori americani ed europei, nei fatti lo sviluppo liberista non sembra poter e voler condurre a un assetto economico e sociale stabile regolato secondo norme e pratiche di continua negoziazione pacifica, ossia nel senso di un'integrazione e di una coesione sociale corrispondenti a diritti effettivi (prima) e a doveri della maggioranza che in tal modo quella di cittadini (la storia politica dimostra che non esiste pratica dei doveri se non c' innanzitutto possibilitˆ della pratica dei diritti). Lo sviluppo liberista sembra invece puntare sull'instabilitˆ, sulla famosa flessibilitˆ che investe tutti i campi, sull'asimmetria crescente fra libertˆ d'azione dei dominanti e sempre meno margini di resistenza dei dominanti che in parte sono relegati in una sorta di universo di non-diritto e quindi di nonpersone. La cd "guerra permanente", con i suoi corollari, corrisponde di fatto a una regolazione sociale instabile/flessibile basata sulla violenza e quindi sulla possibilitˆ del dominante di manipolare Ðse necessario- lo stesso stato di diritto a suo piacimento ( anche qui che sta la rivendicazione leghista della devolution come possibilitˆ di dominare la discrezionalitˆ insita nei poteri delle polizie a livello locale: "mi espelli questi perchŽ sono riottosi, non rendono pi, sono in eccesso; ma non ti devi permettere di mettere naso sui miei affari ... ). D'altro canto evidente che il trattamento sociale dei problemi e malesseri di quella parte della societˆ che non riesce ad adeguarsi, rimasta fuori dal nuovo assetto o non vuole adeguarsi, non produce profitto e dal punto di vista degli attori dominanti non che uno spreco del tutto insulso perchŽ si tratta di quel mondo sociale che Bauman chiama "eccedente umano" (l'autore ricorda la metafora della cittˆ di Leonia di Calvino, una sorta di civiltˆ dell'usa-e-getta che produce sempre pi immondizie e rifiuti e che non sa come smaltire). Lo smaltimento di questo eccedente umano (del quale fanno parte solo una minoranza di migranti e buona parte degli esclusi "irrecuperabili" autoctoni delle societˆ ricche e, su scala globale, quella parte delle popolazioni delle diverse zone del mondo che non adatta allo sviluppo liberista globalizzato o ormai usurata) pu˜ avvenire in diversi modi. Nei paesi ricchi sembra prevalere sia la carcerizzazione e in generale l'introduzione nell'area penale (negli Stati Uniti si arrivati a circa 7 milioni di persone di cui pi di 2,2 milioni in carcere, in Francia, Germania e Regno Unito si arrivati a pi di 70 mila detenuti, in Italia a circa 55 mila), sia la cd "guerra" all'immigrazione clandestina. Pi repressione, pi penalitˆ e sempre meno tentativi di recupero o reinserimento (tagli alle spese sociali e sproporzione crescente fra risorse allocate alle prime a discapito del trattamento sociale) garantiscono la riproduzione di quella quota di popolazione oggetto di questo trattamento che corrisponde sicuramente agli interessi del business e delle carriere nel campo del sicuritarismo ma anche a volte nel campo del ritorno al lavoro coatto. Gli altri tipi di smaltimento sinora noti sono le misure o non-misure che lasciano morire o lasciano scannarsi o alimentano le eliminazioni fisiche in vari paesi (si pensi a una delle guerre locali ignorate, quella civile in Congo che ha giˆ fatto quasi 3,5 milioni di morti o ai morti per effetto dell'embargo sull'Iraq e per opera del regime di Saddam prima dell'attuale guerra e si pensi al ruolo ambiguo se non di "umanitarizzazione" dello smaltimento svolto da certe ONG Ðnovemila solo nello Sri-Lanka). Non un mistero che la produttivitˆ di militari e polizie pubbliche e private sia scarsissima e che il calcolo costi-benefici nel campo della repressione e punizione sia assurdamente deludente. Un esempio: come rileva la Corte dei Conti in un suo apposito studio, nel 2002 il totale delle risorse del settore migrazioni ammontava a Û 65.469.100,00 per le attivitˆ di contrasto e a Û 63.404.004,00 per le misure di sostegno; nel 2003 a Û 164.794.066,00 per le attivitˆ di contrasto e Û 38.617.768,00 per le misure di sostegno (la piena svolta leghista-fascista ha quindi portato il cosiddetto contrasto all'81% delle risorse e il "sostegno" al 19% (quello che la CdC non rivela che questi fondi non vengono dalle tasse pagate dai cittadini italiani bens“ in parte direttamente dalle buste paga degli immigrati. Non solo, parte delle stesse misure di sostegno finisce anch'esso nel contrasto. Ebbene, qual' stata la produttivitˆ di cotale investimento? A parte i fondi distribuiti a certe societˆ private e ONG per prestazioni che la stessa CdC sembra considerare di dubbia utilitˆ se non del tutto fantomatiche, osserviamo che gli stranieri effettivamente allontanati sono stati 69.263 (cio 53% del totale stranieri rintracciati in posizione irregolare) nel 2000, 77.699 (58%) nel 2001, 88.501 (59%) nel 2002 e 65.153 (61%) nel 2003. Per allontanarne meno persone nel 2003 si sia speso di pi che negli anni precedenti!!![6]. Ma di questi solo la metˆ all'incirca stata allontanata coattivamente, mentre l'altra metˆ riguarda respinti alla frontiera (azione non particolarmente dispendiosa tranne se le forze armate si fanno pagare care deportazioni come quella dei circa 1200 da Lampedusa alla Libia, un'operazione militare di totale violazione di diverse norme internazionali ed europee senza precedenti dal '45 in poi di cui l'Italia pu˜ vantare il primato). Insomma semplificando il conteggio si ottiene che nel 2003 si speso 2529,34 euro in media per ogni allontanato, in realtˆ meno per i respinti alla frontiera e molto di pi per gli effettivamente allontanati, dopo passaggio nei CPT che restano di fatto carceri speciali per migranti, rei di questa loro condizione. Inoltre, come dice la relazione della Corte dei Conti e anche il prefetto Pansa, questa contabilitˆ non comprende ben altre spese sostenute dalle polizie e dai ministeri e altri apparati coinvolti.

 

Cpt Internati e effettivamente rimpatriati

 

1999

2000

2001

2002

2003

Internati

8.847

9.768

14.993

18.625

14.223

effettivamente rimpatriati

3.893

3.134

4.437

6.372

6.830

effettivamente rimpatriati

44%

31,1%

29,6%

34,2%

48%

Fonte: dati forniti dal dip. P.S. - ministero interno / pubbl. della Corte dei Conti, 2004

 

Cpt, Internati e rimaptriati per nazionalitˆ principali

 

albanesi

algerini

marocchini

tunisini

rumeni

nigeriani

Internati 2002

1.017

1.363

3.256

1.898

1.682

1.042

% sul totale

5,4 %

7,3 %

17,5 %

10,1 %

9 %

5,6 %

rimpatriati 2002

873

179

809

993

1.344

453

% sul totale intern.

85,8

13,1 %

24,8 %

52,3 %

79,9 %

43,4%

 

 

 

 

 

 

 

Internati 2003

268

753

2.227

1.042

3.077

961

% sul totale intern.

1,9%

5,3 %

15,7 %

7,3 %

21,6 %

6,7 %

rimpatriati 2003

211

146

942

523

2.661

537

% sul totale intern.

78,7

19,4 %

42,3 %

50,2 %

86,5 %

55,9%

Fonte: dati forniti dal dip. P.S. - ministero interno / pubbl. della Corte dei Conti, 2004

 

            Questi dati raffrontati ai costi mostrano che inutile cercare una qualche logica razionale/utilitaristica. In realtˆ i cpt servono innanzitutto a due scopi: uno quello del luogo allo stesso tempo simbolico e concreto che mostra il trattamento dell'eccedente umano (cfr: Rahola, 2003); l'altro quello di disporre di un carcere speciale per chi non ha commesso alcun reato Ðe allora la magistratura non vuole che si metta in galera- ma dal punto di vista del "pensiero di stato" "fuori posto" (nell'accezione di Sayad).  In realtˆ, lo stesso vale per le carceri che nei fatti servono a rinchiudere soprattutto quella parte dell'umanitˆ che la societˆ non vuole gestire.  Se si fa un'analisi dettagliata dei detenuti sia italiani che stranieri si pu˜ osservare che la maggioranza in realtˆ composta da due categorie principali: quelli che in realtˆ non hanno commesso alcun reato e quelli che hanno commesso reati di lieve gravitˆ (chissˆ perchŽ il doping alla Juventus non punito con la stesse solerzia e pena destinata allo spacciatore !). 

 

Leghisti e fascisti di ogni sorta diranno che il governo Berlusconi non ha potuto cacciare via subito tutti i delinquenti e altri immigrati non docili servi del cittadino italico o padano per colpa del solito garantismo e lassismo, ecc. Da parte loro alcuni leaders del centrosinistra non perdono l'occasione per tornare alla vocazione poliziesca-giustizialista arrivando a dire che il governo avrebbe tagliato i fondi della sicurezza e guardandosi bene dal dire che siamo il paese che spende di pi in questo settore. In realtˆ, il governo Berlusconi, e ancor pi i leghisti, non hanno alcuna intenzione di espellere tutti perchŽ la manodopera clandestina il bene pi prezioso per i loro padroncini basa elettorale sicura a condizione che sia assicurata la libertˆ di supersfruttare, di evadere le tasse, dell'abusivismo, della violazione delle norme ambientali. Le norme anti-immigrati sono quindi la migliore garanzia per tenere lontano l'accesso ai diritti.

I signori della guerra alle migrazioni come alla cd insicurezza urbana per la tolleranza zero non solo certo soli, hanno un buon sostegno fra chi direttamente o indirettamente ne trae benefici a cominciare da chi vende certe prestazioni, chi fa carriera in questo campo, chi ne fa terreno di rendibilitˆ economica e politica, sia a livello mediatico sia a livello elettorale. Comunque un mercato che tira anche perchŽ copre bene l'assenza di risposte adeguate ed efficaci ai veri problemi e malesseri sociali dello sviluppo liberista.

Chiunque abbia conoscenza delle popolazione detenuta o che stata in carcere sa bene che nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di persone non difficilmente recuperabili alle quali comunque il carcere non pu˜ che dare ancor pi male e incitamento verso il peggio (non a caso non mancano gli immigrati che riconoscono che solo da quando sono in carcere riescono a mandare qualcosa a casa ... insomma il carcere e in particolare la tossicodipendenza sono spesso esiti del "fallimento migratorio").

 

Al di lˆ delle diverse elucubrazioni di esperti e tecnici delle politiche migratorie, nei fatti come si concretizza la gestione pratica delle migrazioni contemporanee ?

Abbiamo giˆ visto anche se sommariamente cos' la guerra alla migrazioni, ma opportuno capire bene cosa effettivamente c' dietro l'impegno proibizionista adottato da tutti i paesi dominanti. Ovviamente tutti sanno quali sono le conseguenze di ogni sorta di proibizionismo, ma business is business(come sempre non solo per gli attori legittimi, ma anche per la criminalitˆ che pu˜ approfittare sia della repressione Ðvedi scambio fra servizi segreti e mafie italo-balcaniche- sia dell'ascesa dei prezzi del trasporto). Le ormai migliaia di morti nei tentativi di migrazione non fanno testo, cos“ come quelle delle pi numerose in Iraq e nelle diverse periferie del mondo. Inoltre, la pratica concreta della gestione delle migrazioni produce una fortissima riduzione dell'accesso alla condizione stabile e regolare e una selezione informale crescente. Se si guarda bene dietro le statistiche ufficiali si pu˜ infatti constatare che l'Italia il paese che incita meno alla sedentarizzazione  e che ha di fatto favorito un alto turnover (nel '91 i titolari di permesso da + di 5 anni erano 222.288, nel 2001 erano 693.450). Dal '92 al 2002 sono stati concessi 1.983.250 permessi e non sono stati rinnovati 1.129.356. Come sappiamo da alcune ricerche qualitative, il turnover alto anche fra nazionalitˆ considerate come le meglio inserite (vedi Filippini). La durata troppo corta dei permessi, la galera del rinnovo dei permessi che di fatto garantisce la riproduzione di irregolari, l'inferiorizzazione sistematica sia nel mercato del lavoro, sia nell'inserimento sociale, un'ostilitˆ frequente che predilige alcuni ma non risparmia nessuno, insomma tutti questi aspetti inducono molti a scappare dall'Italia per tornare al paese d'origine o per cercare fortuna altrove. I fortunati sono non solo i pi dotati di capitale culturale e sociale e quindi i pi capaci di adattarsi e arricchire queste loro doti, ma soprattutto quelli che hanno saputo evitare o non hanno avuto a che fare con l'ostilitˆ e il dominio violento dei migranti, mentre hanno beneficiato di interazioni "positive".

 

            Rimandando a una mia prossima pubblicazione dell'Ismu riguardante in particolare la riuscita e i fallimenti dell'immigrazione dei nordafricani in Italia (cfr. X Rapporto Ismu sulle migrazioni, in stampa), mi limito qui a osservare che sino agli inizi degli anni '90 e, secondo altri, persino sino al '98, non s'era ancora innescato quel meccanismo che a numerosi nuovi arrivati di fatto apparso come un dispositivo di esclusione e di rigetto (migliaia sono gli immigrati che non solo erano arrivati clandestinamente, ma erano stati pi volte intimati di espulsione se non addirittura arrestati per piccoli reati e che oggi sono regolari esemplari). In effetti, negli anni '90 e ancor di pi in quest'inizio del nuovo secolo, sembrano cambiate non solo la congiuntura economica e politica nei paesi di origine, in Europa e a livello mondiale, ma anche le caratteristiche dei migranti. Si tratta sempre pi spesso di giovani e per una minoranza di giovanissimi, provenienti da zone urbane o comunque da zone affette da gravi processi di destrutturazione sociale (fenomeno di fatto generalizzato a tutti i paesi d'emigrazione come conseguenza della globalizzazione liberista). Ma si tratta anche di giovani che di fatto non sono pi i migranti di prima bens“ delle persone inserite in una forte mobilitˆ transnazionale che fa parte dell'intensa diffusione globale di merci e saperi. Da questo punto di vista il turnover corrisponde a una nuova mobilitˆ, frustrata quando incappa nel cappio di essere trattata come migrazione. Allo stesso tempo, l'orientamento che di fatto s' affermato, non solo in Italia ma un po' in tutti i paesi d'immigrazione, ha accentuato le difficoltˆ di inserimento regolare e stabile. In effetti, sembra essersi prodotto un paradosso in realtˆ solo apparente: da un lato c' palesemente sempre pi bisogno di manodopera immigrata (regolare, stabile, precaria e anche irregolare per le economie sommerse) -e non a caso s' imposta la necessitˆ delle sanatorie-, e dall'altro lato, si riproducono e si accentuano i meccanismi di precarizzazione continua soprattutto degli immigrati pi recenti. Il rinnovo del permesso notoriamente diventato un incubo, tanto pi che il mantenimento dei requisiti necessari per ottenerlo diventato sempre pi difficile, data la generalizzazione degli impieghi in attivitˆ instabili se non sommerse e a causa della difficoltˆ di accedere e mantenere regolarmente un alloggio decente. Allora, come dicono alcuni immigrati, "tanti non ce la fanno pi e mollano". Allo stesso tempo, assai evidente che nei fatti s' imposto il privilegio per gli originari dei paesi dell'Est e in generale dei paesi considerati "cattolici" e, in particolare, per le donne. D'altro canto, gli stereotipi negativi che hanno segnato l'immagine dei giovani magrebini e dei Balcani non sono stati cancellati o soppiantati da quelli che si sono avvicendati nel corso degli anni '90 (dopo la "stagione" del magrebino "violento"/"spacciatore"/"delinquente" Ðle cui tracce non sono mai dimenticate, si ricordi il periodo dell'"albanese/criminale", poi quello del "rumeno-delinquente", dei "rom/ladri e sfruttatori di bambini", ecc.). Come purtroppo avevamo previsto, la criminalizzazione e l'autocriminalizzazione si sono riprodotte assicurando costantemente una buona quota degli ospiti delle carceri italiane e fra questa, in particolare, un'alta percentuale di nordafricani (pi del 41 % dei detenuti stranieri in carcere al 30/6/04). Ci si potrebbe persino stupire che lo scivolamento nella devianza e nella delinquenza da parte di alcuni migranti non si sia ancor pi aggravato (per esempio, forse la narcotizzazione continua dei detenuti Ðvia psicofarmaci continuamente somministrati- ad aver assicurato sinora la relativa "calma" nelle carceri, ma c' anche il buon senso di chi sa gestire pacificamente le regole del disordine e, a volte, la delega al controllo sociale endogeno). Le analisi approfondite, oltre che le conoscenze di tanti operatori del campo, mostrano che si tratta quasi esclusivamente di una delinquenza soprattutto giovanile, facilmente riconducibile al "fallimento migratorio" o all'inserimento deviante, spesso provocato da una criminalizzazione/discriminatoria iniziale e da scarse opportunitˆ d'interazioni "positive". Tale fenomeno particolarmente accentuato fra i giovani maschi algerini che raggiungono un tasso di carcerazione trentadue volte superiore a quello degli italiani (ventitrŽ volte per i nigeriani, sedici volte per i tunisini, tredici per gli jugoslavi, dieci volte per i marocchini, e-sorpresa- solo sette volte per gli albanesi e cinque per i rumeni). Ovviamente questo rapporto fra il tasso degli italiani e quello delle diverse nazionalitˆ di immigrati pu˜ essere per alcuni la prova della maggiore criminositˆ dei secondi: che continuino a farne oggetto di successo mediatico, di guadagni o di carriere.

Per altri, il loro contributo alla costruzione sociale della criminalitˆ e dell'autocriminalizzazione dei migranti si traduce bene in possibilitˆ di rendibilitˆ economica e politica della guerra alle migrazioni e all'eccedente umano in generale, quindi nel forgiare consenso al razzismo che serve bene al dominio violento dell'assetto liberista.  Resta il fatto che tale scarto fra tassi di italiani e di stranieri appare assai simile a quello riguardante i giovani nordafricani e francesi di origine nordafricana in Francia, cos“ come i giovani neri negli Stati Uniti[7]. 

Ecco divisi fra i + cattivi o + criminali e i + buoni, cos“ come li considerano tanti benpensanti.

 

 

Stranieri in carcere e tassi maschili al 30/6/2004

 

I    +   C A T T I V I

nazionalitˆ

Donne

Uomini

Totale

% su tot.

tasso maschi

rapp con italiani

Algerini

3

1.286

1.289

2,3

89,51

32

Nigeriani

188

441

629

1,1

62,90

23

Tunisini

25

1.928

1.953

3,5

43,34

16

Jugoslavi

141

775

916

1,6

36,64

13

Marocchini

33

3.982

4.015

7,1

26,69

10

Albanesi

62

2.744

2.806

5,0

20,63

7

Rumeni

127

1.240

1.367

2,4

13,67

5

 

                                                   I    +    B U O N I

nazionalitˆ

Donne

Uomini

Totale

% su tot.

tasso maschi

rapp con italiani

Filippine

19

34

53

0,1

2,04

1

 

India

 

35

35

0,1

1,25

-1

 

Sri Lanka

 

37

37

0,1

1,61

- 1

 

Bangladesh

1

37

38

0,1

1,17

- 1

 

Pakistan

 

40

40

0,1

1,67

- 1

 

Ucraina

20

99

119

0,2

1,83

- 1

 

Polonia

23

121

144

0,3

7,58

3

 

Cina Popolare

14

206

220

0,4

4,23

2

 

Senegal

1

210

211

0,4

4,91

2

 

Ecuador

25

126

151

0,3

10,62

4

 

Egitto

 

153

153

0,3

4,43

2

 

Brasile

47

83

130

0,2

4,84

2

 

Ghana

13

109

122

0,2

5,29

2

 

Croazia

32

165

197

0,3

9,23

3

 

Totale stranieri

1.143

16.640

17.783

31,5

15,89

6

 

% su Tot. glob

43%

31%

31%

 

 

 

 

Totale globale

2.660

53.872

56.532

100,0

3,85

1,3

 

italiani

1.517

37.232

38.749

 

2,8

1

 

fonte : www.ristretti.it /nb: il tasso (per mille) calcolato usando solo i dati sui maschi e per il denominatore del totale globale solo i maschi di pi di 15 anni  e di meno di 65 anni (fonte Istat) la differenza o scarto quella che si ottiene dividendo il tasso della singola nazionalitˆ per il tasso globale. Il tasso delle donne italiane pari a 1/1000.

 

I tassi sono comunque un buon indicatore di come certi luoghi comuni negativi siano assolutamente infondati: basti pensare non solo al caso dei rumeni e degli albanesi, ma anche a quello dei cinesi. Allo stesso tempo mostrano bene come possa funzionare il meccanismo di costruzione sociale dell'immigrato criminale. Da notare anche che mentre la popolazione immigrata in Italia ha ormai raggiunto due milioni e mezzo (pi chissˆ quanti "clandestini") la percentuale di stranieri nelle carceri non aumentata ma non si pu˜ dire che questo sia dovuto alla crescita delle espulsioni effettive che non c' stata! Peraltro dal '90 si assiste ad un aumento continuo delle persone arrestate e incarcerate mentre c' stato un evidente calo dei reati a fronte di una chiara crescita dell'attitudine denunciatoria in particolare dei cittadini zelanti e quindi della capacitˆ delle polizie di arrestare autori di reato o sospetti. Come mostrano alcuni studi classici e recenti sulle pratiche della discrezionalitˆ insita nell'azione delle polizie come dell'amministrazione della giustizia, la produttivitˆ di quest'azione si nutre inevitabilmente delle "prede facili", ossia i migranti che figurano "fuori posto" o non conformi alla stereotipo del buon immigrato, oltre che quelli effettivamenti devianti siano essi migranti o autoctoni. Si constata infatti un aumento degli stranieri denunciati, soprattutto giovani e fra questi non solo i soliti ma anche i giovani senegalesi che qualcuno credeva avessero meno "propensione a delinquere". Tuttavia, si tratta sempre degli stessi reati abitualmente attribuiti ai giovani immigrati inseriti nello spaccio, nelle attivitˆ predatorie e di piccola ricettazione, nei cd falsi, mentre una buona parte dei denunciati sono vittime di retate (si veda in particolare la differenza fra gli italiani e gli stranieri in attesa di giudizio Ðosservatorio Antigone, Ass. ristretti). Una nota utile: assai noto negli ambienti delle polizie che gli informatori nei pi diversi gruppi d'immigrati sono numerosi e che il controllo sugli immigrati senza pari rispetto ai cd gruppi a rischio autoctoni. Pochi sono per˜ i casi in cui le polizie si impegnano a tutelare gli immigrati rispetto alle violenze, le angherie, la schiavizzazione o il supersfruttamento o lo strozzinaggio da parte di padroncini e affitta tuguri. Peraltro solo eccezionalmente sono stati scoperti i pluri-assassini di prostitute straniere (classificati come serial killer), mentre si continuato ad affermare che "si ammazzano fra di loro" (a tale proposito sarebbe anche utile ristudiare la prima ricerca di H. Garfinkel). 

Quanto alla condizione di clandestini di quasi tutti i detenuti, come osservano alcuni operatori delle polizie, si tratta di un'osservazione da polli! Se in precedenza avevano avuto il permesso questo non risulta pi ! Chi ha mai fatto l'incrocio fra i dati dei detenuti e quelli -anche degli anni passati- dei permessi? PoichŽ non neanche possibile farlo, solo arbitrario se non assai poco onesto affermare simili categorizzazioni che hanno solo l'effetto di spingere a considerare i "clandestini" come probabili criminali. Ovviamente, sulle nonpersone chiunque pu˜ dire quel che vuole: fa parte della libertˆ del cittadino dominante !  Cos“, nulla impedisce di dire che i clandestini che stanno per sbarcare sono probabilmente terroristi di Al Qaeda, che il terrorismo islamista sta reclutando in massa nelle carceri, che in Italia ci sono migliaia di terroristi in sonno o che preparano attentati.

 

Dopo l'11 settembre 2001, le periodiche esplosioni di allarmismo attribuite alla criminalitˆ degli immigrati sembrano rarefarsi se non sparire, ma possono sempre riproporsi cos“ come ogni sorta di allarme per la criminalitˆ in genere. L'agitazione per la minaccia criminale non risparmia nessuno e sembra condurre sempre alle stesse ricette sia la destra che gran parte del centrosinistra: pi polizia, pi repressione, pi penalitˆ (la recente "crisi napoletana" Ðnov. 2004- eloquente: non si parla del fallimento clamoroso di un pseudo modello di risanamento della cittˆ che si limita a farne bella la facciata da mostrare al turista, a innescare un certo darwinismo sociale (espulsione dei poveri e marginali da certe zone del vecchio centro storico) a favore di una nuova speculazione edilizia/immobiliare in cui non guadagnano solo i soliti noti (ci si ricordi di "le mani sulla cittˆ" immagine del boom italiano degli anni '60-70) ma anche una parte dei ceti abbienti, infine, riproduzione e radicalizzazione inevitabile delle sacche di devianza (non c' pi la vendita delle sigarette di contrabbando? Si passa ad attivitˆ illecite pi gravi: un classico della facile profezia che si autoavvera!).

Sul fronte della criminalitˆ attribuita agli immigrati la scena sembra cambiata: ormai la minaccia islamista dominante e parte degli operatori delle polizie tende a adottarne il clichŽ al punto da temere prima di ogni altra cosa di incappare nel terrorista islamista; ma, siccome non sa neanche come possa essere e non si pu˜ assolutamente capire gran che, allora del tutto inevitabile che qualsiasi faccia da arabo minimamente sospetto sia percepita come quella di un terrorista. Da parte loro certi media non mancano di alimentare tale facile amalgama, mentre certe personalitˆ politiche non perdono occasione per importare la doxa neoconservatrice: ogni atto deviante (dall'esproprio proletario al sit-in pacifista, sino al centro sociale occupato sono un continuum del terrorismo; lo spaccio di droga serve a finanziare al Qaeda e cos“ ogni raccolta di soldi nelle moschee).

La mediatizzazione del discorso sul cosiddetto "scontro di civiltˆ", ha fatto breccia un p˜ in tutti gli ambienti: la gerarchia della chiesa cattolica s' sentita in dovere di lanciare l'appello contro i matrimoni misti (cio fra italiane/i e "arabi" apriori classificati "musulmani" i "islamici", come propone regolarmente la Caritas nel suo dossier annuale Ðalla faccia della libertˆ di identificazione e di variazione delle appartenenze che insita nella migrazione). Sebbene nella maggioranza dei casi (se non in tutti e si vedrˆ bene alla fine di tutti i gradi della giustizia) le operazioni di polizia nel quadro della lotta al terrorismo islamista si siano rivelate del tutto infondate[8], il sospetto di una certa crescita degli affiliati ad Al Qaeda fra gli immigrati e fra i migranti che cercano di arrivare in Italia ha purtroppo avuto una certa diffusione. Sia subito dopo l'attentato dell'11 settembre 2001, sia a seguito degli arresti per terrorismo e ancora dopo l'attentato di Madrid, gli immigrati "arabi" si sono sentiti oggetto di una crescente diffidenza, del sospetto e dell'ostilitˆ. Come sempre in questi casi, l'effetto perverso (ma ben prevedibile) della stigmatizzazione negativa ha spinto, a volte, alcuni immigrati a chiudersi e a identificarsi come arabi musulmani, mentre per la stragrande maggioranza di essi sembra essersi diffusa l'idea che le prospettive di inserimento pacifico in Italia e in Europa saranno sempre pi incerte. E' importante osservare che questo fatto spesso percepito come un'insopportabile infamia e ingiustizia, proprio perchŽ la stragrande maggioranza degli immigrati "arabi" non frequenta le moschee -che peraltro non c'entrano gran che con il terrorismo islamista- (dato ben noto agli stessi servizi segreti), non praticante e si dichiara musulmana, cos“ come la maggioranza degli italiani si dichiarano cattolici. Tutto ci˜ non pu˜ che incidere sfavorevolmente sul processo di inserimento pacifico e regolare degli immigrati, sebbene una buona parte di essi abbia investito tutto in un futuro italiano.

           

           

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Alcune opere sulla storia delle migrazioni

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Fofi, G., L'immigrazione meridionale a Torino, Feltrinelli, Milan, 1964

 

Montaldi, D., Autobiografie della leggera, Vagabondi, ex-carcerati, ladri, prostitute raccontano la loro vita, Einaudi, Torino, 1961

 

Noiriel, G., 1999, RŽfugiŽ  et sans-papiers. La RŽpublique franaise face au droit dÕasile. XIXe-XXe sicle, Paris, Hachette

Noiriel, G., 2001, Etat, nation et immigration. Vers une histoire du pouvoir, Belin, Parigi

 

Angelini M., Suonatori ambulanti e ÒgarzoniÓ a Manchester nel 1857: due contratti di ingaggio, in ÒVentesimo SecoloÓ, n. 2 Ð 3/1991

Duroselle, J:B:-Serra, E. (a cura di), LÕimmigrazione italiana in Francia prima del 1914, Milano, F. Angeli

Ferrari M. E., I mercanti di fanciulli nelle campagne e la tratta dei minori, una realtˆ sociale dellÕItalia fra Ô800 e Ô900, in ÒMovimento Operaio e socialistaÓ, n. 1/ 1983

Guerzoni G. (1868) La tratta dei fanciulli. Rapporto della commissione della Societˆ Italiana di Beneficienza residente a Parigi, in ÒNuova antologia di  scienze, lettere e artiÓ, vol. VIII

Geremek B. (1986), La pietˆ e la forca. Storia della miseria e della caritˆ in Europa, Bari, Laterza, 1986.

Levi G. (1985) Centro e periferia di uno stato assoluto, Torino, Einaudi.

Lequin Y., a cura di, La mosa•que France, Histoire des Žtrangers et de lÕimmigration en France, Larousse, Parigi, 1988

Noiriel G. (1988) : Le creuset franais, Paris, Seuil

Pizzorusso G, M. Sanfilippo (1990) Rassegna storiografica sui fenomeni migratori a lungo raggio in Italia dal basso medioevo al secondo dopoguerra, in ÒBollettino di Demografia StoricaÓ, n. 13.

Sponza L. , Italian immigrants in Nineteenth Ð Century Britain, Leicester, Leicester University Press, 1988

Temime E., Migrance. Histoire des migrations ˆ Marseille, Aix-en-Provence, Edisud, 1989-1991 (4 volumi)

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Woolf S. J., Porca miseria. Poveri e assistenza nellÕetˆ moderna, Laterza, Bari, 1988

 

 

Documentazione

Caritas/Migrantes, a cura di, Immigrazione. Dossier statistico 2004, XIV Rapporto, Roma, 2004

 

Min. dell'Interno, Lo stato della sicurezza in Italia, agosto 2004, scaricabile dal sito del miniterno

 

Relazioni del prefetto Pansa del 4-6 e del 18 giugno 2004, scaricabili dal sito del miniterno

 

Corte dei Conti, Relazione. Esiti dell'indagine sulla "Gestione delle risorse previste in connessione al fenomeno dell'immigrazione - Regolamento e sostegno, controllo immigrazione clandestina", scaricabile da http://www.corteconti.it/Ricerca-e-1/Gli-Atti-d/Controllo-/Documenti/Sezione-ce1/Anno-2004/Adunanza-c/Documenti/allegati-d1/CHimmigrazionecfRELAZIONE.doc_cvt.htm) data 21 maggio 2004



[1] La conoscenza della letteratura a carattere storico, ma anche filosofico-politico, mi sembra assolutamente indispensabile per lo studio delle migrazioni contemporanee. L'analisi delle similitudini e delle differenze fra passato e presente e fra i diversi aspetti delle migrazioni permette meglio di capire l'attuale congiuntura e di superare tante semplificazioni fuorvianti. Come suggeriva Sayad (2002), la scienza delle migrazioni fa parte del pensiero di stato (lo stato di partenza o quello di arrivo) o del punto di vista del dominante. Fra altri, segnalo in particolare di Foucault, Sorvegliare e punire, Bisogna difendere la societˆ e le sue lezioni pubblicate a pp. 319-340 e pp. 341-370 in SŽcuritŽ,Territoire, Population e pp. 245-270 in Naissance de la biopolitique. Si veda anche L. Chevalier, Classi lavoratrici e classi pericolose. Parigi nella rivoluzione industriale, J.A. Davis, Legge e ordine. Autoritˆ e conflitti nell'Italia dell'800, J. Delumeau, La paura in occidente, D. Montaldi, Autobiografie della leggera, Vagabondi, ex-carcerati, ladri, prostitute raccontano la loro vita, G. Fofi, L'immigrazione meridionale a Torino. Per quanto riguarda il governo della povertˆ si vedano le note opere di Geremek e Woolf. Sulla storia delle migrazioni italiane, fra altri, segnalo le opere di Vecoli per gli Stati Uniti, di Sponza per l'Inghilterra, il volume curato da Duroselle e Serra e le opere di Noiriel, di Lequin per la Francia. Per quanto riguarda la prima e la seconda scuola di Chicago si vedano le opere di Thomas, Anderson, Goffman, H. Becker, il volume curato da Rauty e quello curato da Giglioli e Dal Lago.

[2] Si vedano di Dal Lago, Nonpersone, e La cittˆ e le ombre (in coll. con Quadrelli) e il mio Per una lettura dei mutamenti nell'agglomerazione urbana milanese fra prima e seconda grande trasformazione, in N. Recupero (a cura di) Atti del Seminario di studi del Centro Studi Storici, Classi. Generi.Generazioni, Comune di Cinisello B., 2003

[3] A proposito dei comportamenti giovanili devianti sono assai illuminanti alcune recenti tesi di laurea e tesine che ho diretto a Genova e a Milano (uso e abuso di stupefacenti, anamorfosi del genere, hooliganismo, sette sataniche, ecc.).

[4] Come osserva bene Anyse Ceyhan (Cultures &Conflits /53/04), "Aussi convient-il de rappeler que la problŽmatisation de la sŽcuritŽ et des frontires a commencŽ ds les annŽes quatre-vingts avec la guerre contre la drogue ˆ laquelle ont ŽtŽ reliŽes la lutte contre l'immigration clandestine et la criminalitŽ transnationale. C'est dans ce cadre que la frontire avec le Mexique a ŽtŽ transformŽe en un laboratoire des technologies les plus sophistiquŽes de surveillance et de contr™le avec le dŽploiement d'environ 54 agences de sŽcuritŽ, y compris des militaires sous forme d'un Joint Task Force (JTF6), dont la mission Žtait d'empcher l'entrŽe des personnes Ç indŽsirables È sur le territoire amŽricain et de surveiller les mouvements. .... l'avion de surveillance sans pilote (Predator) est dŽployŽ non seulement en Irak mais aussi ˆ la frontire avec le Mexique pour dŽtecter les passages clandestins".

[5] Secondo stime piuttosto credibili dell'Osservatorio austriaco, pi del trenta per cento del PNL italiano sarebbe dovuto alle economie sommerse. A questa percentuale corrisponderebbero circa otto milioni di persone che oscillano fra il sommerso totale, il semi-sommerso e le varie forme di precariato (cfr. http://www.economics.uni-linz.ac.at/Members/Schneider/default.htm).

[6] Secondo il prefetto Pansa (2004 / relaz. al convegno SIDI), per il rimpatrio nel 2003 di 65.957 stranieri rintracciati in posizione irregolare, il costo relativo ai trasporti per il stato di circa 16 milioni e 500.000 euro. A ci˜ vanno aggiunte altre spese consistenti, in particolare quelle relative al trattenimento degli stranieri nei centri di accoglienza e quelle per il personale impiegato nei

servizi di vigilanza e di scorta.

[7] Si vedano L. Bonelli, G. Sainati, a cura di, La machine ˆ punir, L'esprit Frappeur, Parigi, 2004; L. Wacquant, Punir la misre, Agone, Parigi, 2004; M. D'Eramo, "Sette milioni di prigionieri. Stati uniti a stelle e sbarre", il manifesto - 09 Maggio 2004 p. 20

[8] Fra queste operazioni rivelatesi fondate su vere e proprie bufale, ricordiamo l'arresto di quattro marocchini per sospetta preparazione di un attentato alla basilica di Bologna, gli arresti per il presunto piano di attacco contro l'ambasciata americana di Roma e ancora altri arresti effettuati in particolare in Lombardia dove le condanne non sono andate oltre il reato di documenti falsi (reato corrente in periodo di sanatorie).  Fra i pi recenti casi di repressione assolutamente ingiustificata ricordiamo quello di un tunisino, operaio regolare da 10 anni in Italia con famiglia e figli, stimatissimo dal suo datore di lavoro, ma arrestato ed espulso nel giro di un giorno (cfr. C. Gubbini, Slimane, rapito e rimpatriato, il Manifesto del 19 settembre 2004. Per un'analisi della lotta al terrorismo fra prima e dopo l'11 settembre, cfr. Italian Team, Elise First Report, www.eliseconsortium.org, 2003