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Indagine conoscitiva sulla gestione comune delle frontiere e sul contrasto all’immigrazione clandestina in Europa

Intervento del Ministro

Data: 14/12/2004

Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen, di vigilanza sull’attività di Europol, di controllo e vigilanza in materia di immigrazione

Indagine conoscitiva sulla gestione comune delle frontiere
e sul contrasto all’immigrazione clandestina in Europa

Orientamenti e decisioni in ambito comunitario

Signor Presidente e Onorevoli colleghi,

io cercherò di rispondere in maniera organica alle numerose domande che mi sono state poste or ora riferendomi ai due livelli, quello internazionale e quello nazionale, e lasciando poi eventualmente alle vostre domande lo spazio che riterrete opportuno riservandomi io naturalmente di dare eventualmente risposte più puntuali di quella complessiva che ora mi accingo a dare.

Vorrei, sul piano generale, ricordare qui che, durante il semestre di Presidenza Europea, l’Italia ha proposto una politica per l’immigrazione di ampio respiro impostata sostanzialmente su tre assi:
- l’aiuto allo sviluppo dei Paesi di origine e di transito dei flussi migratori;
- la regolazione dei flussi legali di immigrati attraverso appropriati  accordi tra gli Stati di origine, di transito e di arrivo dei migranti;
- la gestione integrata dei confini terrestri, marittimi ed aerei europei, il contrasto all’immigrazione clandestina e la lotta - ma io  parlerei di guerra vera e propria - alle organizzazioni criminali che la sfruttano spietatamente.

Questa impostazione nasce dall’esigenza di affrontare in maniera globale il tema della immigrazione, non limitandosi al semplice contrasto  dell’immigrazione clandestina, ma cercando la soluzione a questo problema appunto nel contesto di una risposta complessiva di una politica per l’immigrazione.

Questo approccio che aveva inizialmente trovato notevoli resistenze - soprattutto in alcuni Paesi nord-europei, e un sostanziale disinteresse nei Paesi europei, specialmente in quelli di recente adesione che non sono investiti dal fenomeno - alla fine invece è diventato un approccio comune tanto è vero che il Programma pluriennale de L’Aja, approvato lo scorso novembre dal Consiglio d’Europa, recepisce, e lo dico con una certa soddisfazione, integralmente questa linea.

La nuova Commissione Europea sarà impegnata, nei prossimi mesi, a tradurre questa linea in un Piano d’azione operativo e da parte italiana ovviamente si sta lavorando con molta alacrità per arrivare ad una politica europea per l’immigrazione equilibrata e realmente condivisa.

Tra l’altro, con l’abbandono del principio dell’unanimità e l’introduzione del regime di codecisione con il Parlamento Europeo, entro il 1° aprile 2005, pensiamo che si potranno fare progressi maggiori in questo settore. Durante il semestre di Presidenza italiana era risultato evidente, a fronte di diverse riserve che emergevano alla nostra proposta in seno alla Commissione e al Consiglio dei Ministri dell’Interno, c’era invece una adesione quasi totalitaria del Parlamento europeo tanto è vero che nella Commissione parlamentare apposita, sia la mia relazione di apertura al semestre, sia quella conclusiva, furono accolte praticamente all’unanimità. Naturalmente nell’affrontare il problema dobbiamo sempre tener presente che nella Commissione e anche in Parlamento, diciamo in Europa, resta comunque ferma la convinzione che mentre si deve procedere unitariamente nella politica di controllo dell’immigrazione clandestina, nella gestione dei flussi migratori  regolari devono prevalere le competenze nazionali in materia.

In ogni caso debbo dire che uno dei principi, che ormai si sono consolidati in Europa, è quello dell’equa ripartizione degli oneri tra i Paesi membri nelle politiche che riguardano il controllo delle frontiere sia terrestri, che aeree, che marittime.
E proprio nell’ambito di questa convinzione è maturata la proposta, il progetto italiano dell’Agenzia europea per le Frontiere - che entrerà praticamente in funzione col 1° maggio dell’anno prossimo - doveva entrare in funzione alla fine di questo anno. Il nuovo organismo - penso di rispondere così, almeno per ora, ad uno dei quesiti del Presidente De Luca - fatta salva la sovranità di ciascuno Stato nel controllo delle proprie frontiere, si farà uno sforzo per dare all’impegno di ciascuno Stato il valore aggiunto di un sostegno comune dell’Unione.

Perciò l’Agenzia si dovrà dotare delle necessarie risorse finanziarie. E’ già concordato che entro il 2006 si istituisca un apposito Fondo comunitario che dovrà essere poi adeguato con lo sviluppo dell’attività dell’Agenzia.
Inoltre, in considerazione della debolezza dei nuovi confini orientali e anche del verificarsi di emergenze migratorie ai confini mediterranei, già  nel 2005 la Commissione dovrà presentare una proposta per l’istituzione e il finanziamento di gruppi di squadre di esperti nazionali a disposizione di qualsiasi Paese che ne faccia richiesta.

Pur tenendo presente che il maggior numero di immigrati clandestini, in Italia come in Europa, arriva via terra e via aerea e non via mare, si riconosce in tutta Europa che l’Italia è particolarmente esposta a flussi migratori clandestini via mare: una forma di immigrazione clandestina che è la più povera, la più disperata, la più soggetta a forme spietate di sfruttamento sia alla partenza, sia nel corso di trasferimenti, quando questi non si concludono tragicamente, sia all’arrivo quando questi poveri immigrati vengono consegnati nella migliore delle ipotesi al mercato turpe del lavoro nero.
Perciò si riconosce, a livello europeo, la necessità di misure particolari che già durante il semestre della Presidenza italiana sono state approvate per la tutela delle frontiere marittime ed è stata anche incentivata la cooperazione attraverso una serie di attività congiunte tra diversi Paesi per la realizzazione di progetti-pilota anche in collaborazione con Paesi terzi. Cito  per esempio alcune iniziative di pattugliamento marittimo che hanno visto in alcuni casi l’Italia, la Grecia, il Regno Unito, Malta collaborare con la Libia e la Tunisia.

Ricordo anche che per il controllo marittimo sono stati istituiti due Centri, uno per le frontiere marittime occidentali a Madrid, e l’altro per le frontiere marittime orientali ad Atene-Pireo. Ora noi ci stiamo adoperando perché con la creazione della Agenzia europea delle frontiere questi due Centri vengano meglio coordinati ed a questi si possa anche aggiungere un terzo Centro da stabilire eventualmente a Malta per il controllo del Mediterraneo centrale.

Un’altra delle misure importanti che è stata adottata per il controllo della immigrazione clandestina riguarda la sicurezza dei documenti di viaggio e di soggiorno; e a questo proposito si è lavorato per cercare di bilanciare le esigenze della sicurezza con le garanzie di libertà, che sono diritti umani inalienabili degli immigrati. Ed a questo fine è stata data una forte accelerazione per introdurre gli identificatori biometrici nei documenti di viaggio e di soggiorno. Si è concordato innanzitutto sulle impronte digitali, ma con l’idea di aggiungere ad esse anche le impronte facciali e più in là, quando la tecnologia darà il massimo di garanzie, eventualmente anche l’impronta dell’iride, che sembra essere teoricamente tra gli elementi biometrici più sicuri, ma le applicazioni pratiche presentano ancora qualche problema.

Un’altra misura importante che è stata concertata  è quella di realizzare via via una politica comune in materia di  rimpatrio dei clandestini individuati sui territori nazionali; e già sono state fatte esperienze positive per esempio di voli congiunti tra due o più Paesi europei per il rimpatrio di clandestini nei loro Paesi di origine, naturalmente non con azioni di forza ma in base ad accordi di rimpatrio esistenti tra Paesi europei e Paesi di origine degli stessi migranti.

Proprio di recente il Parlamento europeo ha sbloccato una somma di 15 milioni di euro stanziati dalla Commissione, proprio per finanziare questo tipo di attività. Io ritengo che in tempi rapidi si possa arrivare alla istituzione di un fondo ad hoc per queste operazioni.

Altro aspetto di grande importanza è la stipula di accordi non soltanto bilaterali, ma anche multilaterali con i Paesi di origine e di transito dei migranti al fine della regolazione del fenomeno. L’Italia aveva già da tempo imboccato positivamente questa strada. Se non sbaglio a questo momento abbiamo almeno 29 accordi bilaterali; ce n’è un’altra decina che sta trattando la comunità e naturalmente sulla elaborazione di quelli non possiamo in alcun modo interferire; intanto cerchiamo di gestire al meglio quelli che abbiamo stabilito.

Siamo riusciti, in questo contesto, a richiamare l’attenzione dell’Europa sul collasso economico e demografico del Continente africano che riversa sulle sponde mediterranee ondate crescenti di immigranti, con rischi anche gravi, non soltanto per il traffico di esseri umani e la prostituzione, ma anche per quanto riguarda il terrorismo, essendosi Al Qaeda, dopo l’Afghanistan, insediata massicciamente in alcuni Paesi africani e soprattutto nella zona del Corno d’Africa ed essendosi per altro anche l’estremismo islamico sviluppato nell’aerea sub-sahariana e nel Sahel; il che ci obbliga ad una più accentuata vigilanza sui flussi migratori provenienti da quelle zone. Ma noi abbiamo spinto soprattutto in direzione in un dialogo euro-africano che assuma come obiettivo generale quello di controllare il complesso dei fenomeni migratori, garantendo il regolare svolgimento dei flussi legali e proteggendo il nostro Continente, ma lo stesso Continente africano, dalle insidie molteplici della immigrazione clandestina.

In questo contesto noi abbiamo operato con molta determinazione per la rimozione dell’embargo dalla Libia, Paese che è diventato la testa di ponte dell’emigrazione africana. In Libia si valuta che vi siano oggi tra un milione mezzo (a seconda delle fonti) fino a due milioni di africani che, voglio chiarirlo per l’ennesima volta, non sono lì pronti a partire, ma che possono avere in programma la partenza verso l’Europa, che resta il sogno, l’aspirazione più grande di ogni migrante europeo. Quando mesi addietro, sul finire dell’estate, noi abbiamo risposto con molta energia a quella ondata migratoria proveniente dalla Libia, lo abbiamo fatto perché in Libia c’erano, probabilmente, secondo stime nostre, almeno 6/8mila persone, già contattate dalle organizzazioni criminali che organizzano le partenze, pronte a partire. Quella risposta così massiccia che comportava certamente problemi di carattere umano delicati; avevo detto allora e lo ripeto qui, che decisioni di quel genere non si prendono a cuor leggero; però quella risposta massiccia aveva trasmesso in Africa immagini assai dissuasive nei confronti delle organizzazioni criminali e soprattutto dei migranti tentati di affrontare l’avventura dell’emigrazione via mare.

Debbo dire che la nostra politica per la Libia è stata anche riconosciuta dalla Commissione dal 27 novembre al 6 dicembre scorso. C’è stata una visita della Commissione in Libia che ha preso atto della situazione e ha  riconosciuto la necessità di attuare progetti concreti di sostegno alla Libia nel lavoro di contenimento dell’immigrazione clandestina. Noi abbiamo insistito, anche in questo caso, sull’idea della cooperazione, del partenariato tra l’Europa e Paesi terzi - possibilmente gruppi di Paesi se non tutto il Continente africano - e perciò abbiamo sostenuto la necessità di approntare risorse adeguate dell’Unione nel Programma 2007-2013.
Intanto abbiamo anche ottenuto che si possa ricorrere alle risorse attualmente esistenti presso il Fondo AENEAS, un Fondo limitato a 250 milioni di euro per il periodo 2004-2008, ma che comunque ci può consentire di attingere risorse da destinare ai Paesi di origine dei flussi migratori per piccoli progetti di sostegno allo sviluppo. Qui per avere un’idea delle cose voglio dirvi che i costi che un Paese europeo sostiene per rimandare a casa 5/6 clandestini rintracciati nel proprio territorio, di provenienza africa sub-sahariana, con quei soldi si può scavare un pozzo in grado di dissetare un’intera comunità e magari di irrigare decine di ettari. Faccio questo esempio soltanto per mostrare come una politica saggia per l’immigrazione possa finanziarsi con risorse limitate. Qui va detto che ogni Paese povero da cui hanno origine i flussi migratori è tutto sommato interessato a favorire l’immigrazione, perché col migrante che parte quel Paese esporta povertà e si accinge a importare ricchezza sotto forma di rimessa del migrante.  Sempre per dare un’idea di questo aspetto del tutto particolare vi ricordo che, secondo analisi attendibili, la totalità delle rimesse dei migranti verso i Paesi di origine è superiore di almeno 4 volte alla totalità degli aiuti allo sviluppo economico del Terzo Mondo da parte del Primo Mondo. Cosicché possiamo dire che i maggiori aiuti allo sviluppo del Terzo Mondo vengono dati dai più poveri del Primo Mondo che sono appunto i migranti. Però dobbiamo anche tener presente che i Paesi del Terzo Mondo generalmente si privano con l’immigrazione delle risorse umane migliori, più intraprendenti: non scappano i più sprovveduti, vanno via i più coraggiosi, i più ardimentosi, i più aperti diciamo anche culturalmente. E questo alla lunga è un altro dramma perché quei Paesi si impoveriscono del fattore fondamentale dello sviluppo che è il fattore umano.
Tornando a noi, noi  abbiamo insistito molto per l’apertura di canali legali di immigrazione. L’Europa non si può limitare a controllare o respingere l’immigrazione clandestina, deve aprire canali di immigrazione legale in rapporto alle esigenze del sistema economico - produttivo di ciascun Paese per compensare il deficit enorme di natalità che il nostro Paese, in particolare l’Europa, ma in genere tutto l’Occidente manifesta.

Oltretutto una politica di ingressi legali potrebbe avere come contropartita una più attiva partecipazione dei Paesi di origine e di transito al controllo delle proprie frontiere e quindi dell’immigrazione clandestina. Così come una buona politica di immigrazione legale può diventare lo strumento più efficace per combattere l’immigrazione clandestina. Questo ha insegnato a noi italiani l’esperienza dell’Albania, l’esperienza della Tunisia, dell’Egitto e di tanti altri Paesi: offrendo a questi Paesi, mediante accordi bilaterali, aiuti tecnici a controllo delle frontiere e flussi legali di immigrazione relativamente modesti, abbiamo avuto una partecipazione molto efficace al controllo dell’immigrazione clandestina. Tanto è vero che quella proveniente dalla Tunisia nel giro di pochi anni si è ridotta ad un decimo; e oggi è quasi azzerata e annullata quella proveniente dall’Albania, dall’area balcanica in generale.  Si è di molto ridotta quella proveniente dallo Sri-Lanka che passava attraverso l’Egitto, dove la collaborazione del Governo ci ha consentito di esercitare controlli accurati su talune imbarcazioni e di evitare molte tragedie del mare.

Da ultimo vorrei sottolineare un elemento di ulteriore complessità che è rappresentato per l’Europa dalla presenza di circa diciassette milioni di immigrati di religione islamica.
Ora noi abbiamo sempre sostenuto - e mi pare che anche la stragrande maggioranza dei Paesi investiti dal fenomeno si stia orientando in questa direzione - che dobbiamo puntare ad una integrazione senza assimilazione degli islamici nelle nostre realtà guardando in faccia alle difficoltà che ci sono soprattutto in tema di diritti delle donne, diritti della famiglia e così via. Ma partendo dalla ovvia considerazione che comunque 17 milioni di islamici ci sono e che con loro dobbiamo trovare forme di pacifica convivenza, senza nulla sacrificare dei nostri ordinamenti democratici, delle nostre leggi e della nostra identità religiosa e culturale.
Proprio con questa convinzione noi ci siamo fatti promotori del dialogo tra persone di fedi religiose diverse; non che noi vogliamo, con una visione clericale delle cose, entrare nel merito del dialogo tra le religioni, assolutamente no, ma vogliamo promuoverlo, convinti che, dialogando tra loro, donne e uomini di diverse religioni imparino a conoscersi, a rispettarsi e a convivere serenamente. Per questo io ho sostenuto, con particolare convinzione, la “Dichiarazione  europea sul dialogo interreligioso”, che poi è stata adottata dai capi di Stato e di governo, e successivamente - lo dico con una certa soddisfazione - è entrata nel Piano di azione per la lotta al terrorismo varato dopo l’11 marzo; poi è entrata nella Dichiarazione Unione Europea – Stati Uniti d’America sul terrorismo; e, ultimamente, è entrata nelle Conclusioni sull’integrazione messe a punto dalla Presidenza olandese.
In Italia abbiamo iniziato a lavorare in questa direzione, in alcune Prefetture, promuovendo gruppi di dialogo interreligioso. E’ un cammino avviato, arriveremo piano piano anche alla costituzione di una Consulta islamica presso il Ministero dell’Interno. Ma partendo da una premessa sulla quale non debbono esserci equivoci di nessun genere: si dialoga avendo un minimo comune denominatore rappresentato dai nostri ordinamenti democratici, dalle nostre leggi. Se non ti piace il nostro ordinamento democratico, se non ti piacciono le nostre leggi te ne vai. Ma se le accetti c’è possibilità di dialogare nel rispetto delle diverse identità. Per questo ho trovato a dir poco o miserevoli o stravaganti talune iniziative che pretendono di corrispondere alle esigenze del dialogo annullando la nostra identità.
La posizione vera è quella dell’Imam della George Town University, il quale dice: “la presenza del crocefisso nelle scuole di Paesi cattolici è per me una garanzia di rispetto della mia identità. Io il crocefisso lo voglio, perché è una affermazione di una identità che io voglio rispettare”. Per non citare da ultimo l’episodio dell’Imam che dice “no, il presepe oltretutto rappresenta nel Cristo uno dei simboli riconosciuti dalla fede islamica e condivisi”. Gesù come profeta”. Ma non è questa la motivazione che deve valere, la motivazione che deve valere è: difendo il presepe perché simbolo della mia identità e della mia cultura e per esso esigo lo stesso rispetto che io ho per la tua identità.
Ecco su questo piano noi ci siamo mossi a livello internazionale. Sul piano interno - salvo poi rispondere a quesiti più precisi che vorrete porre - io ritengo che con la piena attuazione della legge Bossi-Fini, la politica complessiva per l’immigrazione diventerà più efficiente ed efficace. Vi ricordo semplicemente che i principali provvedimenti di attuazione sono ormai fatti, quello generale è all’esame della Corte dei Conti, cioè all’ultimo esame. Il regolamento di attuazione delle nuove norme sull’asilo è già stato registrato dalla Corte dei Conti ed è in corso di pubblicazione.  Il regolamento per la razionalizzazione e la interconnessione delle comunicazioni tra amministrazioni pubbliche in fatto di immigrazione è stato emanato il 27 luglio del 2004 ed è già pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale. Così anche per il regolamento per definire le modalità di coordinamento delle attività del gruppo tecnico, istituito presso il Ministero dell’Interno, con le strutture della Presidenza del Consiglio. E’ occorso tanto tempo perché si trattava di regolamenti molto complessi da definire e che poi sono dovute passare attraverso vagli successivi assai impegnativi. Anche i decreti di attuazione sono tutti completati.
Posso dunque dire che ormai la Bossi-Fini può dispiegare compiutamente tutti i suoi effetti, anche se occorre approfondire diversi aspetti. Questa legge non è nata con la pretesa di essere definitiva, ma di essere una legge complessa e impegnativa che cammin facendo avremmo valutato nei suoi effetti. Occorre anche considerare, e rispondo all’ultima domanda del Presidente, che bisogna anche adeguare alcune strutture. Su questo argomento vi chiedo un supplemento di attenzione perché vorrei essere il più possibile chiaro. I Centri di Permanenza, di cui si è detto tanto male, sono stati di recente sottoposti ad una verifica piuttosto minuziosa da un organismo internazionale, il “Comitato di prevenzione tortura”, istituito ai sensi dell’art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, il quale comitato è venuto in Italia per una visita che si è tenuta dal 21 novembre al 3 dicembre del 2004 in tutti i Centri di permanenza temporanea della Sicilia.
A conclusione della visita il Comitato ha ritenuto tutte le strutture di trattenimento visionate funzionali, in buono stato e idonee all’uso. Ad eccezione del centro di permanenza di Agrigento - che peraltro noi avevamo già chiuso ad ottobre per lavori di ristrutturazione - ma avendolo il Comitato dichiarato inadeguato noi abbiamo deciso di chiuderlo immediatamente in via definitiva.
Questo è lo stato dei centri di permanenza temporanea tanto contestati. Sarei curioso di sapere quanti altri Paesi sono in grado di superare, come noi, esami così severi. Lo dico a merito del nostro Paese, di chi ha inizialmente concepito e realizzato queste strutture e di chi successivamente ha continuato ad usarle senza mai perdere di vista i diritti umani e i valori della persona umana. Queste strutture sono necessarie, anzi sono indispensabili. Oggi più di ieri, perché dopo le modifiche apportate alla Bossi-Fini, a seguito della sentenza nota della Corte, e dopo altre innovazioni introdotte da questo governo, si è resa ancor più necessaria la disponibilità di strutture adeguate a svolgere alcune funzioni. Cosìcché io mi sono persuaso che è necessario aggiornare, adeguare i vecchi CPT, Centri di permanenza temporanea, facendoli diventare Centri polifunzionali per l’immigrazione dove si possano innanzitutto apprestare le prime opere di assistenza umanitarie; secondo dove possano insediarsi, volta volta, le commissioni territoriali che abbiamo creato per l’esame delle domande di asilo; terzo dove possano avere eventualmente sede i giudici di pace che dovranno prendere in esame le proposte di espulsione.
Ora qui si dice: non vogliamo centri di permanenza temporanea, non vogliamo strutture di questo genere. Si tratti di questo o dei nuovi centri polifunzionali per l’immigrazione, che naturalmente nascerebbero sulla trasformazione o sull’adeguamento, quando necessario, dei vecchi centri, e comporterebbero anche la nascita di centri nuovi.
Io insisto sulla necessità di avere strutture adeguate in tutte le regioni italiane perché senza queste strutture non si può affrontare l’immigrazione clandestina, o meglio il problema dei clandestini individuati non allo sbarco, ma individuati sul territorio nazionale. E vi ricordo qui che i clandestini che arrivano in Italia via mare sono al massimo il 15% della immigrazione clandestina complessiva, anche se poi non tutti i clandestini che arrivano qui rimangono in Italia. Anzi è accertato che siamo anche noi un Paese di transito per il 70-75% dei clandestini che arrivano: cioè su 100 clandestini che arrivano in Italia, 75 poi procedono verso altri Paesi europei. E questa, se ce ne fosse bisogno, è l’ennesima dimostrazione di come il problema dell’immigrazione clandestina sia, anche nella sua consistenza statistica,  un problema integralmente europeo.
Ora io voglio chiarire che l’immigrazione clandestina alimenta due drammatici problemi sociali: il primo, il mercato turpe, come ho detto poco fa, del lavoro nero e come si diceva una volta dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo; il secondo, la creazione di sacche di reclutamento per la criminalità diffusa. Vi ricordo che oggi il 90% della popolazione carceraria extracomunitaria è costituita in Italia da immigrati clandestini. Dobbiamo avere ben chiari questi due fenomeni e allora chi si oppone ideologicamente ai centri polifunzionali di immigrazione deve sapere che accetta tutti i rischi connessi all’ immigrazione clandestina e che comunque la sua convinzione ideologica o umanitaria deve fare i conti con questo dato di fatto. Ma di chi ha posizioni ideologiche di questo genere io mi preoccupo poco, perché no ci posso far nulla; mi preoccupo invece delle istituzioni che rifiutano i centri di permanenza. Allora io debbo dire chiaramente al Presidente di Regione, al Sindaco che rifiuta il centro polifunzionale per l’immigrazione che egli sta accettando l’idea che la sua città o le città amministrate sono città aperte all’ immigrazione clandestina, che i clandestini sono liberi di circolare a piacimento in queste città, alimentando lavoro nero e manovalanza criminale. Ma da qui non si scappa: è un dato terribilmente reale che non può essere ignorato o sottovalutato da nessuno. Allora io dico capisco le posizioni ideologiche perché hanno, comunque le si consideri, una loro plausibilità. Non capisco, non posso condividere le posizioni invece istituzionali perché queste implicano a priori l’accettazione di comportamenti comunque deviati, che possono incidere pesantemente sulla convivenza civile, sull’ordine pubblico, sulla sicurezza generale delle comunità investite da questo fenomeno.
Mi rendo conto di avere abusato troppo della vostra pazienza e me ne scuso e, Presidente, mi metto a vostra disposizione per tutte le puntualizzazioni che vorrete chiedermi.