PIERLUIGI SULLO
A NCHE I PIU' CINICI,
distratti o assuefatti devono ammetterlo: c' una sproporzione nel fatto che i
media italiani dedichino grandi titoli e tre o quattro pagine agli errori della
lotteria, e nulla a un nau-fragio che costato la vita a decine, forse
centinaia di emigranti, a poche miglia dalle nostre coste. E che ci sono due
pesi, nel dibattere ossessivamente sulle pene (corporali, capitali) da
infliggere ai lanciatori di sassi, e nel delegare agli "esperti",
occasionalmente, di discutere come affrontare l'"inva-sione": sempre
citando correnti, flussi, masse umane, mai persone, fratelli, amici d'infanzia,
compagni di scuola, tutti gli appellativi che alludono ai legami, alle
famiglie, all'umanit di chi emigra.
Faceva
impressione per questo, sul manifesto di marted, leggere di Reginold Thureiregesigem e
di suo fratello Peeveen, tamili dello Sri Lanka, il primo emigrato a Milano e
il secondo presumibilmente annegato di fronte alla Sicilia, o alla Grecia, dopo
aver pagato seimila dollari (nove milioni di lire) per arrivare in Germania via
Alessandria d'Egitto e via Sicilia. Colpiva leggere del traffico telefonico tra
l'Italia e lo Sri Lanka, tra l'Italia e la Grecia, dove forse Peeveen era
sbarcato, se non annegato. L'idea stessa di emigrare cos lontano, il
viaggiare in aereo, il parlarsi a continenti di distanza: non questa la
famosa mondializzazione, il "villaggio globale"? Non qui la
possibilit - per noi occidentali - di fare le vacanze al sole anche d'inverno,
mangiare un mango fuori stagione o leggere un giornale messicano su Internet?
E allora,
perch impossibile, proibito, in qualche caso mortale fare il percorso
inverso? Domanda retorica, che ha una ovvia risposta: noi siamo ricchi e
potenti, loro sono poveri e impotenti. Ma questa verit semplice che non si
mostra, che al di l del nostro orizzonte di lettori e telespettatori. Perch
l'informazione obiettiva dei grandi media ad essere massimamente faziosa:
quando appunto ignorano quel che accade ai nostri confini, quando si accorgono
degli zapatisti solo perch ci va un politico italiano, o quando nemmeno notano
che un intero paese, la Corea del Sud, si sta ribellando al dogma liberista
della flessibilit del lavoro: proprio ci che la nostra Confindustria reclama.
E d'altra parte
hanno bisogno di questa faziosit: un analgesico della coscienza. Se si
andassero a contare i morti annegati nello Stretto di Gibilterra (tra Spagna e
Marocco) o nel Canale di Sicilia (tra Tunisia e Italia) o nel Canale di Otranto
(tra Albania e Italia) sarebbe difficile sostenere un dibattito
sull'immigrazione come quello che - tra "esperti" appunto - si svolge
sui giornali e nella politica. Si dice: si deve aiutare a integrarsi chi gi
qui; in cambio, si deve essere pi inflessibili sulle espulsioni e alle
frontiere. Come se le migrazioni fossero un rubinetto che si pu aprire o
chiudere. Come se questa politica - "flussi programmati" zero, dal
'90 a oggi - non avesse prodotto le sofferenze di chi vive da clandestino e
quelle di chi morto nel tentativo di diventarlo. Ma si obietta: le
"frontiere aperte" sono pura demagogia. Forse. Anzi s, a queste
condizioni della societ e dell'economia in Europa lo sono di certo. Ma
demagogia molto peggiore evitare di guardare al problema per la dimensione e le
implicazioni che ha.
- da Atene PAVLOS
NERANTZIS
L A COLLISIONE tra due
navi cariche di clandestini nel canale di Sicilia, che avrebbe provocato la
morte di 283 persone, un fatto reale e non una storia inventata dagli
immigrati arrestati nel Peloponneso per ottenere l'asilo. Ieri il ministero
dell'ordine pubblico ad Atene, poche ore dopo l'incriminazione di undici
persone accusate di aver provocato il naufragio della nave Friendship all'alba di Natale, ha ammesso che la
collisione effettivamente avvenuta.
Il presunto
colpevole di questa drammatica storia che per due settimane ha interssato a
vario titolo l'Interpol e le autorit greche, italiane, maltesi ed egiziane,
mettendo ancora una volta in luce l'esistenza di uno spregiudicato traffico di
schiavi contemporanei, il libanese Yusef El Halal, 39 anni, abitante ad
Atene, dove da anni sposato con una cittadina greca. Yusef El Halal il
capitano della nave Yioham (o Johan, secondo altri) che ha colpito volutamente, secondo le prime
indagini, la nave Friendship per motivi ancora non chiariti.
Oltre a lui, il
procuratore presso la questura di Nafplio Jannis Provatas, ha incriminato altre
10 persone, (4 greci e 6 di varie nazionalit) di omicidio colposo, di traffico
di immigrati clandestini e di altri reati minori. Il magistrato ha preso il
provvedimento dopo aver esaminato un voluminoso dossier pieno di testimonianze
dei sopravvissuti e di altri documenti ritenuti estremamente importanti per la
ricostruzione della vicenda.
Tra gli
accusati figura anche, Eftichios Zervoudakis, 42 anni, considerato il cervello
di una rete internazionale di trafficanti privi di scrupoli che vendono sogni
ai disperati dell'Asia. L'uomo una vecchia conoscenza degli inquirenti greci.
In passato stato coinvolto infatti in inchieste su dei traffici di droga. Nel
settembre dell'88 era stato arrestato insieme ad un agente della polizia e ad
un altro presunto complice per aver portato dal Libano 33,5 chili di canapa
indiana.
Due degli
incriminati per il naufragio di Natale, Michalis Fanourakis e Antonis
Sfakianakis, originari di Creta, lavorano come macchinisti della Yioham , mentre altri due marinai sono abitanti
di Malta. I loro nomi sono Marchel Barbara (di origine pakistana) e Dionissis
Avgerinos, di origine greca. La ricerca di quest'ultimo potrebbe per risultare
vana. Secondo una prima ricostruzione, Avgerinos viaggiava infatti sulla nave
affondata insieme a sua moglie e non da escludere che entrambi siano
annegati. Nessuno ha pi avuto loro notizie dalla vigilia di natale.
La magistratura
greca non escludere la possibilit che nelle prossime ore altre persone possano
essere incriminate. Gli investigatori contano molto sulle testimonianze di due
pakistani e di un indiano, inquisiti pure loro, che si trovano tuttora insieme
ai clandestini arrestati nella stazione di polizia a Nafplio. Per questo motivo
ieri gli immigrati hanno ricevuto la visita degli ambasciatori di India e
Pakistan ad Atene.
Secondo alcuni
clandestini, Zervoutakis, il cervello della rete internazionale, si salvato
insieme ad altri 28, ma dopo che salito sulla nave Yioham sono state perse le sue tracce.
Interrogativi rimangono anche sulla sorte del capitano Yusef El Halal, il
quale, secondo sua moglie, ha telefonato ai suoi parenti 2 giorni dopo il
naufragio, dicendo che si trovava "in un porto della Romania pronto a
partire per la Tunisia".
Nel frattempo
altri 31 clandestini sono stati trovati in un'isoletta rocciosa vicino a Rodi.
Scaricati l da una imbarcazione proveniente dalle coste turche, sono rimasti
senza aiuto per 24 ore, visto che i motoscafi della polizia portuale non
riuscivano ad avvicinarsi a causa delle cattive condizioni del tempo, mentre la
marina di guerra si dichiarava incompetente. Alla fine, dopo l'iniziativa del
sindaco di Simi, un'isoletta vicino a Rodi, sono stati trasferiti con un
peschereccio in un centro abitato, dove hanno ricevuto le prime cure.
Anche la Grecia
sta scoprendo il problema degli immigrati che cercano di passare
clandestinamente in Europa, vittime di solito di reti internazionali di
"merce umana". A questo proposito l'europarlamentare della coalizione
della sinistra Alekos Alavanos ha annunciato l'intenzione di chieder
all'Unione europea di premere sui paesi vicini, e soprattutto sulla Turchia,
per avviare una collaborazione che permetta di affrontare in comune la
questione. Intanto il ministro degli interni greco ha gi preparato un progetto
di legge per il regolamento della permanenza degli immigrati in Grecia.
Ecco l'elenco dei
sessantotto cittadini pachistani coinvolti nel naufragio di Natale. E' stato
stilato dall'ambasciata pachistana in Grecia (vedi articolo qui accanto),
secondo la quale sulla nave viaggia-vano altri venti connazionali non
identificati. Accanto al nome delle vittime del disastro figurano (non sempre)
il nome del padre (dopo la sigla s/o), il villaggio e la regione-stato di provenienza.
Dispersi:
Ghazanfar Ali,
Chak Issa, Jhelum; Pervaiz Iqbal, Chak Issa, Jhelum; Zulfiqar Ali, Guliana, Gujrat; Arshad
Mehmood, Malikpur, Chodo, Gujrat; Azhar Iqbal, Dalla Rijari, Gujrat; Qamar
Abbas, Lalamusa, Gujrat; Ghulam Rasul, Ali Chak, Gujrat; Zafar Iqbal, Dhunni,
Gujrat; Shabbir Hussein Shah, Dhunni, Gujrat; Naveed Akhtar, Kariarwala,
Gujrat; Ahsan Shah, Medina, Gujrat; Asif Mehmood, Mohalla, Kalupura, Gujrat;
Mubashir Ali, Mohalla, Kalupura, Gujrat; Maulvi Mohammad Basharat, Rangra,
Gujrat; Ansar Ali, Bhouch, Gujrat; Akhtar Ali, Dakkhar, Gujrat; Zubair Ahmed,
Chalian Wala, Mandi Bahawuddin; Mohammad Arif, Buzurgwal, Gujrat; Malik Guzar
Ahmed, Dhomeli, Raipur Jhelum; Raja Nadeem, Sadwal, Gujrat; Shahab Khan,
Marghaz, Swab, Peshawar; Ikram Khan Swabi, Peshawar; Ishtiaq Ahmed, Sitra
Chian, Swabi, Peshawar; Rais Khan, Kodhair Swabi, Peshawar; Habib ur Rehman,
Swabi, Peshawar; Zahir Shah, Swabi, Peshawar; Abid Hussain, Swabi, Peshawar;
Iqtadar Ali, Swabi Peshawar; Mohammad Fahim Kahn, Kodhair, Swabi, Peshawar;
Haji Matin Khan, Swabi, Peshawar; Fazal Moula Khan, Swabi, Peshawar.
Superstiti
(detenuti in Grecia a Naufplion, raggiungibili telefonicamente dall'Italia al
003071224847):
Mazhar Iqbal s/o Bahaduz Khan, Tibbi
Chachian, Near Chokar, Gujrat; Shamriaz Ahmed s/o Faiza Ahmed, Dhakkar, Gujrat;
Ghulam Sarwar s/o Allah Ditta, Dhakkar, Gujrat; Munawwar Hussain s/o F.
Mohammad, Dhakkar, Gujrat; Sajjad Ahmed s/o Fazal Dad, Amrab Halan, Gujrat;
Mohammad Nasir s/o Mohammad Yaqub, Bannian, Gujrat; Mohammad Ashfaq Sahi s/o
Ghulam Mohammad, Toor, Jhelum; Sajjad Nayyar s/o Fazal Hussain, Moh. Sial Colony, Gujrat; Amir Maqbool
s/o Maqbool Hussain, Moh. Sial Colony, Gujrat; Ahsan Arshad s/o Arshad Ali,
Rang Pura, Gujrat; Arshad Mahmood s/o Mohammad Shafi, Raia, Jhelum; Mohammad
Arshad s/o Nazir Ahmed, Noor Jamal Shumali, Gujrat; Manzoor Hussain s/o Noor
Mohammad, Noor Jamal Shumali, Gujrat; Khizar Hayat s/o Roshan, K. Kamala,
Gujrat; Asghar Mahmood s/o Mohammad Hussain, Kharian, Gujrat; Mohammad Ashraf
s/o S. Khan, Dhakran Wali, Gujrat; Mohammad Afzal s/o Atta Mohammad, Dhunni,
Gujrat; Mohammad Zubair s/o Karam D., Dhunni, Gujrat; Rizwan Amir s/o Mohammad
Sharif, Bahirwal, Gujrat; Asif Mahmood s/o Allah Ditta, Chak No. 2, Shumali
Sargodha; Ihsan Ellahi s/o Rehmat Khan, Malikpur Chapra, Gujrat; Rukhsar Ahmed
s/o Nadir Khan, Kotla Bilurh, Gujrat; Riaz Ahmed s/o Mian Abdul Ghafoor, Chak
Sikander No. 30, Gujrat; Mohammad Akram s/o Allah Ditta, Chak Purana, Gujrat;
Shahab Ahmed s/o Sher Mohammad, Marghaz Swabi, Peshawar; Pervaiz Akhtar s/o
Mohammad Aslam, Bekianwala, Gujrat; Mohammad Akram s/o Master Mohammad Din,
Bekianwala, Gujrat; Khowaja Tarik Mahmood, Kasmiri Dwakhana, Wazirabad,
Gujranwala; Shakil Khan, Moh. Rahim Pura, Allahbad, Wazirabad, Gujranwala; Riaz
Ahmed, Moh. Rahim Pura, Wazirabad, Gujranwala; Irfan Goundal, Moh. Muslim
Abbad, Gujrat; Naveed Akhtar Kumhar, Dhalian Chowk, Dinga, Gujrat; Asghar Ali,
Dillo, Gujrat; Mohammad Salim, Nathia, Gujar Khan, Rawalpindi; Mohammad Israr,
Nathia, Gujar Khan, Rawalpindi; Mohammad Imran, Nathia, Gujar Khan, Rawalpindi;
Mohammad Afzal, Guliana, Gujrat.
MASSIMO GIANNETTI
- ROMA
L A LISTA dei fantasmi
comincia a circolare verso le due del pomeriggio alla stazione Termini,
tradizionale luogo di incontro degli immigrati a Roma. Passa di mano in mano
tra i pachistani che da giorni aspettano notizie certe della sorte dei loro
amici e parenti spariti nel nulla nelle acque del Mediterraneo la notte di
Natale. Due fogli pieni di nomi, cognomi e citt di provenienza di 68 delle
circa 300 persone (tra indiani, pachistani e Tamil dello Sri Lanka) maufragati
nel canale di Sicilia: tra i cittadini del Pakistan 31 sono i dispersi, 37 i superstiti
(questi ultimi tutt'ora trattenuti in Grecia).
E' la conferma
di ci che la comunit pachistana (poco pi di 1500 persone a Roma, 13 mila in
tutta Italia) non avrebbe mai voluto sapere. La lista, fino a ieri ignota, ora
ufficiale ed stata resa nota dall'ambasciata del Pakistan. E' stata
trasmessa l'altro ieri dai diplomatici del paese asiatico in Grecia, che nei
giorni scorsi hanno visitato i superstiti attraverso i quali sono riusciti a
dare un'identit a tutte quelle persone ancora disperse e che vengono date
ormai per morte. All'appello mancherebbero anco-ra una ventina di pachistani,
tutti quelli che, secondo le testimonianze raccolte sempre tra i superstiti, si
sarebbero imbarcati sulla nave maledetta partita presumibilmente ai primi di dicembre
da Alessand-ria d'Egitto. Complessivamente i clandestini pachistani diretti in
Europa sarebbero stati infatti 88.
Appena si
sparsa la voce dell'esistenza dell'elenco ufficiale dei dispersi, la sede
dell'associazione romana dei pachistani di piazza Vittorio, dove stata
improvvisata una sorta di unit di crisi, stata tempestata di telefonate, di
gente che va e viene, che scorre la lista e chiama i propri familiari per
rassicurarli o, nella peggiore delle ipotesi, per dare la brutta notizia. Nel tardo
pomeriggio Hazhar, presidente dell'associazione, racconta che sono arrivate
telefonate da diverse citt italiane, molte da Modena, dove risiedono molti
asiatici: "Ci ha chiamato anche un nostro concittadino da New York dice
- al quale ho dovuto dare la notizia della morte di suo fratello, era il quinto
della lista dei dispersi".
Gulmir, sui 40
anni, risiede a Roma dove ha sposato una donna italiana. Nel naufragio,
racconta con voce concitata, "ho perso 11 amici, abitavano tutti nel mio
paese, a Todher nella provincia di Swabi. L'altro giorno mi ha telefonato dalla
Grecia Shakurd, un mio amico che vissuto a Roma tre anni fa, e mi ha
raccontato quello che era successo. Anche lui stava sulla nave, voleva tornare
in Italia ma non aveva il permesso di soggiorno, quindi ha tentato di arrivare
da clandestino. Si salvato per miracolo: stato tirato su con una corda
mentre l'altra imbarcazione sulla quale erano stati scaricati stava
affondando".
I pachistani
romani sono in agitazione da una settimana. Le scarne notizie del naufragio
sono arrivate per lo pi nel modo in cui le racconta Gulmir, attraverso amici,
o per sentito dire. Anche l'ambasciata del Pakistan a Roma ha faticato non poco
per sapere la verit. Dalla sede diplomatica sono costernati soprattutto del
disinteresse delle autorit italiane per la tragedia dei clandestini. La
diplomazia del paese asiatico intervenuta con insistenza presso il ministero
degli esteri e la marina militare. Ma fino ad ora non hanno avuto nessuna
risposta. In Pakistan invece la notizia della tragedia ha avuto molto spazio
sulla stampa. Del naufragio ne ha discusso anche il senato chiedendo al governo
di adoperarsi verso le proprie ambasciate dei paesi del Mediterraneo. Cosa che
poi stata fatta.
Allo stato
impossibile sapere quante siano state realmente le persone che hanno perso la
vita per l'affondamento della piccola imbarcazione sulla quale erano stati
ammassati circa 300 clandestini scaricati durante il tragitto dalla nave che li
avrebbe dovuti portare in Europa. In pochi, sembra, erano diretti in Italia. La
maggior parte speravano di arrivare probabilmente in Spagna. Sulla Friendship (il nome tutto un programma) battente
bandiera panamense, i clandestini, dicevamo, sarebbero partiti dall'Egitto ai
primi di dicembre.
Il naufragio,
in base alle testimonianze dei sopravvissuti, avvenuto dopo varie peripezie.
Gli immigrati sarebbero stati scaricati almeno quattro volte da altrettante
imbarcazioni. L'ultima, quella fatale, poteva contenere al massimo un'ottantina
di persone. Subito dopo il naufragio, gli organizzatori del viaggio hanno
chiesto soccorso via radio. Ma per molti ormai non c'era pi nulla da fare.
Sempre secondo
testimonianze che arrivano frammentarie, da parte dei membri dell'equipaggio
del peschereccio naufragato vi sarebbe stato anche il tentativo di disfarsi del
pi alto numero di clandestini. Uno dei sopravvissuti, portato poi insieme ad
altri in Grecia da una nave battente bandiera dell'Honduras (intervenuta
successivamente), avrebbe scritto una lettera alla madre in cui raccontava di
aver visto sparare contro chi tentava di mettersi in salvo.
RINO CASCIO -
PALERMO "In Grecia 140 Tamil dentro il mare". Il titolo a piena
pagina dell'edizione straordinaria del mensile "Ill Emursu", l'organo
di stampa delle comunit Tamil in Europa, campeggia sul muro a fianco del
negozio di Babu Kandya, uno dei primi immigrati con passaporto dello Sri Lanka
arrivati a Palermo una decina di anni fa. Vende cereali e farinacei sfusi,
salse e scatole di alimenti preconfezionati, ed anche oggetti da campeggio e
prodotti di artigianato, quasi tutti rigorosamente "made" in paesi
orientali. E' il punto di riferimento certo per molti Tamil che abitano a
Palermo, insieme alla sede della comunit ed ad alcune parrocchie e piazze
della citt. Quella pagina di giornale, ricavata dall'assemblaggio di due fax
diversi arrivati da Parigi, il termometro dello stato d'animo dei
connazionali di Kandya che vivono in citt. Gente semplice, che "non d
noie" - assicurano alla questura - quasi tutti impiegati come collaboratori
domestici. Da quando si sparsa la notizia del naufragio di connazionali tra
la Sicilia e Malta nella notte di Natale, quel muro di via Dante, a due passi
dal centro elegante della citt, meta di centinaia di visi e coloriti
orientali che cercano negli elenchi pubblicati dal giornale il nome di
possibili parenti, amici o possibili conoscenti. Alla sede della comunit
Tamil, la pi grande d'Italia con 2.500 persone, si danno il turno per essere
sempre presenti e rispondere al telefono. Da quando arrivata la prima
chiamata dalla Svizzera che informava del naufragio nessuno si pi
allontanato, almeno durante il giorno. Era stato Jeh Chanran, nato in Sri Lanka
e cittadino elvetico da alcuni anni, a comporre per primo quel numero di
Palermo. Nel naufragio ha perso il fratello che stava venendo per la prima
volta in Europa ed aveva ricevuto da alcuni amici, scampati alle onde e
arrestati in Grecia, le prime informazioni su quanto sarebbe avvenuto nella
notte di Natale nel Canale di Sicilia. Poi sono arrivate le telefonate di Tamil
che abitano in Germania, in Inghilterra, in Francia. La voce del naufragio
circolata subito anche tra le famiglie che abitano a Palermo. E' bastato che
ognuno chiamasse casa, nello Sri Lanka, per sapere se qualcuno dei parenti si
era messo in viaggio per l'Europa nelle settimane precedenti. Sono cinque le
famiglie che abitano a Palermo e che temono di avere qualcuno sulla nave andata
a fondo. Alcuni nomi vengono tenuti segreti con discrezione, come se la
riservatezza fosse garanzia di speranza. Altri vengono comunicati senza remore
insieme ai numeri di telefono perch c' un via libera dato dagli stessi
interessati. E' cos per la famiglia Chen che avrebbe perso nel naufragio un
fratello di 22 anni, o per la famiglia Moses, che attende da Natale un nipote.
E' Raja Moses, 39 anni di cui 15 a Palermo, il pi loquace. Insieme al fratello
Conson lavora come collaboratore domestico. Sulla nave affondata era
sicuramente imbarcato Rem Moses, 24 anni, figlio di un terzo fratello. In Sri
Laka frequentava il primo anno della facolt di Economia a Jaffa. Aveva dovuto
abbandonare universit e citt dopo l'occupazione delle milizie governative
avversarie della comunit Tamil. Si era trasferito a Colombo, ma qui era stato
raggiunto da una sentenza. "O si arruolava nell'esercito governativo o
sarebbe stato ucciso", racconta lo zio Raja. "Ha deciso di scappare e
raggiuncerci per lavorare e vivere in pace". In Sri Lanka ha lasciato i
genitori ed una sorella pi piccola. E' partito con un amico. Dopo il naufragio
quest'ultimo ha chiamato gli zii di Rem a Palermo ed ha raccontato ogni
particolare del viaggio maledetto. "Sono stati contattati a Colombo da
un'organizzazione che si occupa di realizzare i viaggi per l'Europa. Il costo,
13 milioni di lire - racconta Raja - ogni organizzazione raccoglie da 10 a 15
richieste. Poi tutte le prenotazioni vengono dirette ad un'organizzazione pi
grande che si occupa materialmente del viaggio. Sono partiti da Colombo per il
Cairo a novembre. Da qui sono stati trasferiti ad Alessandra d'Egitto e poi
sono stati imbarcati diretti a Siracusa. Dovevano sbarcare a Natale. La nave si
sarebbe fermata a 30 chilometri dalla costa e sarebbero arrivati sulla spiaggia
con delle piccole barche". Secondo il racconto dei Moses sulla nave si
trovavano 148 Tamil, 150 indiani e 150 pakistani. In tutto 448 uomini di cui,
superstiti, forse 160. Tra i 288 morti ci sarebbero 40 Tamil. Le cifre sono
diverse da quelle che vengono pubblicate dal mensile ""Ill
Emursu", fa notare qualcuno, ma di poco. Secondo i giornalisti Tamil del
periodico, infatti, i Tamil dispersi sono 140. "Non riusciamo ad avere
dati certi - spiegano alla sede dell'associazione - ci hanno dato un numero di
telefono della capitaneria di Bari. Chiamiamo continuamente, ma non troviamo
nessuno che ci sappia rispondere".
LIVIO QUAGLIATA -
MILANO
P ERCHE' ancora nessun
cadavere, nessuna vittima del naufragio avvenuto la notte di Natale, stato
trovato? E chi ci dice che l'incidente sia avvenuto effettivamente a largo
della Sicilia? Le nuove testimonianze che abbiamo raccolto rispondono a questi
e ad altri interrogativi, rivelando particolari inediti e putroppo drammatici.
Le
testimonianze dei superstiti fino ad oggi pubblicate avevano infatti tutte un
grosso handicap: la lingua. Oltre ad essere naturalmente scioccate per la
tragica esperienza vissuta, quasi nessuna di queste persone parla un inglese
tale da permetterci di capire in modo dettagliato che cosa esattamente fosse successo la notte tra il 24 e il 25
dicembre nel canale di Sicilia. Di qui una certa vaghezza nelle nostre domande
e molta approssimazione nel rendere in italiano le loro risposte. Ma grazie
all'aiuto di due persone che si sono prestate a farci da traduttori simultanei
ora siamo in grado di confermare ancora una volta l'incidente e il naufragio
che sono costati la vita a forse pi di duecento persone. E anche di spiegare i
molti aspetti "oscuri" di una vicenda che non ha sollevato la bench
minima reazione da parte di governi e media.
La prima
intervista stata fatta gioved 9 gennaio alle 20. A parlare il signor
Thavathyrai, 38 anni, tamil dello Sri Lanka, citt di Accyvali-Jaffna, ora
detenuto presso la stazione di polizia di Tripoli (Grecia). "La nostra
nave si chiamava Ioahan. Circa all'una di notte del 24 dicembre ci siamo fermati, in lontananza
vedevamo le luci della terra. Il comandante ci ha detto che eravamo a 30
chilometri dall'Italia. Molta gente, troppa, stata fatta scendere dentro un roler, s un peschereccio, per raggiungere la
costa e poi tornare a prendere gli altri. Il roler partito ma dopo poco ha
chiamato via radio la nave per dire che imbarcava acqua. Allora il comandante
della Ioahan gli ha
detto di tornare subito indietro. Il roler tornato a tutta velocit, ma c'era
il tempo brutto e non ci ha visto, cos ci venuto addosso. Allora noi abbiamo
buttato gi delle corde, e siamo riusciti a salvare qualcuno: nove ragazzi,
cinque dello Sri Lanka e quattro indiani, pi il capitano del roler. Altri
erano gi in mare e mentre il roler era un po' sotto l'acqua tantissimi non
potevano pi uscire".
Uscire da dove,
domandiamo: "La gente era stata messa dove di solito si mette il pesce,
nei freezer, e quando li hanno messi l dentro hanno chiuso i portelloni sopra
cui c'erano altre persone. La grande maggioranza rimasta chiusa dentro. Poi
subito la Iohan
partita verso la Grecia verso le 3 e mezza del mattino del 25". Quanto
tempo passato prima di toccare la terra?: "Ci hanno fatto scendere dalla
nave il 29 dicembre di sera, verso le 20,30". Un'altra intervista, fatta
ieri mattina al signor Gerat J. Caramban, 37 anni, anche lui tamil e detenuto
nella stessa stazione di polizia, conferma totalmente il racconto del suo
compagno.
La seconda
intervista invece al ventenne Belvender Sing, indiano, detenuto in un'altra
stazione di polizia, quella di Nafplion. "Quando c' stato l'incidente io
mi trovavo sulla barca piccola, sul roler". Gli chiediamo in particolare di
descriverci com'era fatto: "E' una grande barca che usano i pescatori non
per pescare ma per trasportare il pesce, molto grande sotto, un grande
freezer.
L dentro hanno
messo tanta gente, forse 150 persone o di pi. Tanti erano anche sopra, sul
tetto del freezer, io ero fra questi. Forse quelli sotto non riuscivano a
aprire il portellone perch noi eravamo sopra. Ho preso una corda e mi hanno
tirato sulla Ioahan.
Quando ero sul roler
per andare verso la Sicilia sotto gridavano e piangevano che entrava l'acqua,
noi dicevamo al capitano di chiamare la nave grande ma lui diceva sempre no
problem, no problem. Poi
quando anche lui ha capito che era pericoloso, ha chiamato via radio ed
tornato indietro troppo veloce perch anche lui aveva paura. E cos c'
l'incidente contro la nave grande". Anche nel racconto del giovanissimo
indiano sono confermati l'ora e il giorno dell'incidente e dello sbarco in
Grecia. Diverso invece il numero delle persone che secondo lui sarebbero state
tratte in salvo sulla Ioahan: 29.
Il terzo
racconto, infine, del ventenne Schakurd, pachistano, detenuto in un'altra
stazione di polizia: Skale, sempre in Grecia. Anche lui si trovava sul roler al momento dell'incidente, "noi
eravamo sopra, forse 20, forse di pi, non lo so ora, sotto erano tanti".
Anche lui racconta la stessa dinamica del "crash" tra il peschereccio
e la Ioahan, come pure
l'ora e il giorno. Aggiunge un unico particolare alle altre due interviste,
importante per capire dove avvenuto l'incidente: "La sera prima del 24 eravamo molto vicino a
Malta, Malta country".
Ossia nell'estremo opposto del canale di Sicilia, aspettando la sera di Natale:
ovvero meno sorveglianza della guardia costiera e meno peschereggi in giro.
Queste sono
alcune delle testimonianze raccolte tra ieri e l'altro ieri. La loro importanza
ai fini delle ricerche dei dispersi (praticamente mai neppure cominciate) che
ci sono state rese in lingua madre da persone di nazionalit diversa e che pi
o meno dal 31 dicembre sono chiuse in prigioni di diverse citt: non una, anche
inconsapevolmente, concordata versione dei fatti, ma le testimonianze dirette
di chi quella notte era in mezzo a quel mare. E che ci dicono innanzitutto una
cosa: molte persone (quante nessuno lo pu dire fino a quando nessuno le andr
a cercare) presumibilmente giacciono in quel freezer, in fondo al mare. Quale
mare? E' vero che a volte i comandanti di questo tipo di navi abbandonano i
"clandestini" in luoghi diversi da quelli per cui i poveretti avevano
pagato milioni: ma i cinque giorni passati in mare sulla Ioahan, dall'incidente al definitivo approdo,
giustificano ampiamen-te un lungo e guardingo navigare tra il canale di Sicilia
e il Peloponneso. Quanto al fatto che neppure i corpi di chi non era dentro ma sopra il peschereccio non siano stati trovati, potremmo
dire che nessuno li ha cercati. Ma potremmo anche pensare che siano stati
salvati tutti o in gran parte: purtroppo appare difficile, ma pur vero che la
polizia greca aveva avuto notizia nei giorni scorsi di un gruppo di 65 persone
scampate alla tragedia che vagavano per le campagne: tre di questi (o forse
altri tre) sono stati poi fermati. E infine da ricordare che il canale di
Sicilia noto per avere fortissime correnti: non sarebbe certo questa la prima
volta che corpi di naufragi vengono trovati anche mesi dopo il naufragio.
Inoltre. Si
tratta di testimonianze che concordano anche su altri punti, rendendoci pi
chiari ulteriori particolari. A cominciare dai diversi nomi dati alla grande
nave (in un primo momento sembrava che l'incidente ne avesse coinvolte
addirittura quattro o cinque) per finire con le diverse date indicate per la
partenza da Alessandria d'Egitto. Non tutti, infatti, sono partiti da qui,
probabilmente solo gruppi di indiani e cingalesi. Questi, sempre a piccoli
gruppi, hanno raggiunto il porto di Alessandria in camion dopo essere atterrati
all'aeroporto di Il Cairo. E lo hanno lasciato il 9 dicembre su una prima nave,
la Friendship. Il 10
dicembre, in mezzo al mare, sono stati trasbordati su una seconda, la Sealine. Il giorno dopo ancora, "alle 16 del
pomeriggio" ricorda uno degli intervistati, sono stati fatti salire sulla Ioahan: e solo qui si sono uniti ai gruppi di
pachistani che gi erano su quell'imbarcazione. Non chiaro invece dove questi
ultimi si siano imbarcati sulla nave che drammaticamente li porter poi verso
la morte, o in Grecia. Certo che prima di arrivarci anche loro ne hanno
cambiate molte. Uno dei pachistani intervistati, infatti, dice di essere stato
in mare per ben tre mesi, avendo lasciato casa sua, la sua famiglia, il 7
settembre.
Pi chiara,
ora, appare anche la dinamica dell'approdo in Grecia. Su questo punto, per,
abbiamo solo le testimonianze di un gruppo di venti sopravvissuti tamil. Giunti
la sera del 29 in vista di una costa, con alcune barche sono stati fatti
arrivare sulla terraferma mentre la Ioahan si teneva a debita distanza. Qui sono stati tutti
raccolti vicino a una spiaggia, in una casa abbandonata e poi divisi per
gruppetti a seconda della nazionalit. Cinquantasette tamil, in camion, sono
stati portati dai "mercanti" in campagna aperta, dopo essere passati
durante la notte dalla citt di Argo. "Eravamo sorvegliati a vista da un
pachistano armato di fucile e siamo rimasti l due giorni, mangiando e bevendo
quello che ci avevano dato da mangiare e da bere anche sulla nave per tante
settimane: pane e acqua, pane e acqua. Per qui in campagna c'erano anche degli
alberi di arance, e allora noi mangiavamo anche quelle. Poi il terzo giorno ci
hanno detto di andare via, dove volevamo, ma di andare via". Sono cos
ritornati ad Argo, "abbiamo riconosciuto il distributore di benzina che
avevamo visto qualche notte prima". E qui si sono presentati alla stazione
di polizia.
Ora venti di
loro si trovano in stato di arresto, e presumibilmente in attesa di essere
rimpatriati, nella stazione di polizia di una citt al centro del Peloponneso,
Tripoli. Gli altri trentasette si trovano molto probabilmente in altri
commisariati di citt greche. Dai racconti che ci hanno fatto non sembra che
qui le loro condizioni di vita siano migliorate di molto rispetto a quelle
delle ultime settimane: "Noi stiamo in venti tutti in una stanza senza
letti, si mangia poco, non sappiamo che cosa far di noi la polizia".
Alcuni di loro sono stati interrogati, probabilmente anche da un magistrato:
forse Jannis Provotas, lo stesso che ha poi emesso 11 mandati di cattura contro
altrettanti latitanti per omicidio colposo e traffico di immigrati clandestini.
Uno degli intervistati, il ventenne indiano Belvender Sing, era convinto che
tutto il mondo stesse parlando di quello che a lui e ai suoi tanti compagni
successo la notte di Natale.