Europa e immigrazione: verso ladozione di un metodo aperto di coordinamento a livello UE

 

 

 

Olga Rymkevitch (*)

1. Le competenze dellUnione Europea in materia di immigrazione: dal Trattato di Roma del 1957 al Trattato di Amsterdam del 1997. 2. Le competenze di cui allart. 63 del Trattato di Amsterdam e le prospettive aperte dal Consiglio Europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999. 3. Verso ladozione di un metodo aperto di coordinamento delle politiche comunitarie in materia di immigrazione. 4. Limplementazione delle linee guida per limmigrazione mediante lelaborazione del Piano Nazionale per limmigrazione.

 

1. Le competenze dellUnione Europea in materia di immigrazione: dal Trattato di Roma del 1957 al Trattato di Amsterdam del 1997.

Nonostante il fenomeno migratorio abbia assunto in Europa una rilevanza politica, economica e sociale da almeno un trentennio ([1]), raggiungendo dimensioni ed aspetti per taluni versi preoccupanti ad inizio degli anni Novanta, tanto da mettere in forse la resistenza delle varie giunture dei deboli sistemi di welfare occidentali (Caruso B., 2000, p.1), solo nel corso degli ultimi anni che si cominciato a discutere di una armonizzazione e/o coordinamento a livello comunitario delle politiche per e della immigrazione (cfr. per tutti: Baldwin-Edwards M., 1997, Caruso B., 2000, spec. 2) ([2]).

La circostanza si spiega agevolmente, almeno da un punto di vista strettamente giuridico-istituzionale, in ragione del fatto che solo con il Trattato di Amsterdam del 1997 sono state attribuite specifiche competenze allUnione Europea in materia di immigrazione e asilo (capitolo IV del Trattato CE). Non che, in precedenza, lordinamento giuridico comunitario fosse del tutto reticente rispetto al tema dellimmigrazione. Ma le diverse basi giuridiche astrattamente disponibili in materia non (risultavano) accomunate da una coerente linea ispiratrice (Lo Faro A., 1999, 24; per le competenze comunitarie cfr. Hailbronner K., 2000).

Nel diritto comunitario il cittadino extracomunitario non mai stato titolare di diritti esplicitamente definiti.  Solo recentemente, con la promulgazione della Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea (Nizza, dicembre 2000), sono stati in linea di principio estesi, seppure in modo da taluno definito fuorviante (Weiss M., 2001, 349), i diritti sociali fondamentali anche ai cittadini di Paesi terzi che legittimamente risiedono allinterno della Comunit, in considerazione del loro carattere di diritti universali.

Nellambito dellimpianto originario del Trattato di Roma, la Comunit Europea non aveva infatti una competenza formale in materia di politiche di immigrazione. La questione migratoria veniva affrontata solo indirettamente, nellambito delle strategie di realizzazione del mercato interno, e, in particolare, della libera circolazione delle persone, nonch nel quadro della cooperazione con i Paesi terzi (Neri S., 1982; Hailbronner K., 2000). Le norme in materia di ingresso, stabilimento e accesso al lavoro dei cittadini extracomunitari (e i relativi diritti politici e sociali) rimanevano pertanto di competenza esclusiva degli Stati membri. In questo contesto, la situazione giuridica dellimmigrante non poteva che variare, anche in modo rilevante, da Paese a Paese.

La spiegazione di tutto questo si rinviene nella finalit essenzialmente economica che ha sempre caratterizzato, come noto, il progetto dellintegrazione europea. Lobiettivo originario del Trattato di Roma stato quello della realizzazione del mercato comune, cos come lobiettivo dellAtto Unico del 1986 stato il mercato interno.

Il Trattato di Roma del 1957 riconosceva esplicitamente tra i suoi principi fondamentali il diritto alla libera circolazione delle persone (art.3), ma ne condizionava poi leffettivo godimento allo svolgimento di una attivit lavorativa e al possesso di una cittadinanza comunitaria (artt.48-66). La legislazione di implementazione del Trattati aveva consentito di superare il primo dei due limiti, estendendo il diritto di libera circolazione anche ai non lavoratori (studenti, pensionati e ogni altro cittadino dellUnione Europea), ma non quello della cittadinanza comunitaria, nonostante fossero state adottate cinque risoluzioni del Consiglio in materia, soprattutto con riferimento a immigrati legalmente soggiornanti  nella Comunit per un periodo prolungato (Gaja G., 1984, 123 ss.; ampia sintesi, ora, in House of Lords, 2001).

LAtto Unico europeo del 1986 ribadiva il principio della libera circolazione (art. 7A), eliminando cos ogni dubbio, almeno secondo la Commissione Europea, sulla legittimazione attiva di tutte le persone, extracomunitari compresi. La Commissione aveva infatti fornito uninterpretazione del nuovo articolo interpretazione invero non unimamente  da tutti gli Stati membri secondo la quale la libera circolazione delle persone riguarderebbe tutti gli individui legalmente presenti nellUnione, indipendentemente dalla loro nazionalit. Agli extracomunitari, in ogni caso, veniva riconosciuto solo il diritto dingresso, visto che quelli di soggiorno e di accesso al lavoro  erano prerogativa esclusiva dei cittadini europei.

Il principio di libera circolazione delle persone  stato tuttavia oggetto di contrastanti interpretazioni nel corso di un ampio dibattito avvenuto nel corso degli anni Ottanta. Alcuni Stati membri sostenevano infatti la tesi che il principio di libera circolazione avrebbe dovuto riguardare  i soli  cittadini europei; questi Stati erano cio propensi  a mantenere i  controlli alle frontiere allo scopo di controllare laccesso dei soggetti provenienti da Paesi terzi. Altri Stati membri sostenevano una tesi contrapposta, e cio che quello di libera circolazione fosse un principio valevole per tutti e che quindi i suddetti controlli alle frontiere non avevano pi ragione di esistere.

In considerazione dell'impossibilit di giungere a un accordo comune tra tutti i Paesi della Comunit Europea, Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi nel 1985 raggiunsero un accordo al fine  di creare fra di essi un territorio senza frontiere, il cosiddetto  spazio Schengen  (dal nome della citt lussemburghese nella quale sono stati firmati i primi accordi. Il testo dellaccordo in http://www.lex.unict.it/dml-online/corrente/online/dossier/dossier.htm).

Dopo il primo accordo tra i cinque Paesi fondatori, firmato il 14 giugno 1985, il 19 gennaio 1990 venne siglata una nuova intesa (entrata in vigore nel 1995) avente per oggetto leliminazione delle frontiere interne tra gli Stati firmatari e la creazione di una frontiera esterna unica con la contestuale previsione di una disciplina unitaria  in materia di visti, diritto d'asilo e controllo alle frontiere esterne, in modo da consentire la libera circolazione delle persone all'interno dei Paesi firmatari senza turbare l'ordine pubblico.

Al fine di  evitare che il principio di libera circolazione tra gli Stati partecipanti allaccordo Schengen si scontrasse con la necessit di assicurare la  sicurezza  degli Stati firmatari, vennero anche previste le cosiddette misure compensative, e precisamente dei provvedimenti volti a migliorare il coordinamento tra polizia, dogane e amministrazioni giudiziarie nonch a combattere, in particolare, il terrorismo e la criminalit organizzata. A tale scopo, venne istituito il Sistema d'informazione Schengen (SIS), che consente di scambiare dati sull'identit delle persone e sulla descrizione degli oggetti ricercati.

Lo spazio Schengen si progressivamente esteso a quasi tutti gli Stati membri, tranne il Regno Unito e l'Irlanda. Gli accordi sono stati firmati dall'Italia il 27 novembre 1990, dalla Spagna e dal Portogallo il 25 giugno 1991, dalla Grecia il 6 novembre 1992, dall'Austria il 28 aprile 1995 e da Danimarca, Finlandia e Svezia il 19 dicembre 1996.

Scopo fondamentale dellAccordo di Shengen leliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni. Il titolo stesso dei due trattati internazionali, oltre che il preambolo ove sono elencati gli scopi perseguiti dalle parti contraenti, contiene due precisi riferimenti. Il primo, che il presupposto dellazione perseguita dagli stati, lesistenza di frontiere comuni, intende, per le quali si ritiene necessaria una disciplina comune ovvero armonizzata, consistente nelleliminazione dei controlli alle frontiere. Il secondo riguarda la gradualit dellintervento che gli stati concordano di attuare: leliminazione dei controlli alle frontiere non pu essere  graduale, poich si tratta di processo complesso iniziato nellambito delle Comunit europee e, ancor prima, dellUnione economica Benelux (1958) , proseguito con le modifiche appropriate dallAtto Unico europeo (1986) e dal Trattato di Maastricht sullUnione europea (1992) (Nascimbene B., 1998, 1).

Fra le misure di maggiore rilievo adottate in riferimento allarea Shengen vanno segnalate: a) l'abolizione dei controlli alle frontiere comuni e il loro trasferimento alle frontiere esterne; b) la definizione comune delle condizioni di attraversamento delle frontiere esterne; c) la separazione, negli aeroporti e nei porti, dei viaggiatori che si spostano all'interno dello spazio Schengen da quelli di diversa provenienza; d) l'armonizzazione delle condizioni di ingresso e di concessione dei visti per i brevi soggiorni;  e) l'avvio di un coordinamento fra le diverse amministrazioni per la sorveglianza delle frontiere (ufficiali di collegamento, armonizzazione delle istruzioni e della formazione impartite al personale); f) la definizione del ruolo dei trasportatori nella lotta contro l'immigrazione clandestina; g) la dichiarazione obbligatoria per tutti i cittadini di paesi terzi che circolino da un paese all'altro; h) la definizione di norme sulla responsabilit delle domande di asilo (convenzione di Dublino); i) l'instituzione di un diritto di pedinamento e di inseguimento da un paese all'altro; l) il rafforzamento della cooperazione giudiziaria mediante un sistema di estradizione pi rapido e una migliore trasmissione dell'esecuzione delle sentenze penali; m) la creazione del sistema d'informazione Schengen (SIS).

Tutte queste misure costituiscono "l'acquis di Schengen" unitamente alle decisioni e alle dichiarazioni adottate dal comitato esecutivo istituito dalla convenzione di applicazione del 1990, agli atti adottati ai fini dell'attuazione della convenzione dagli organi a cui il comitato esecutivo ha affidato poteri decisionali, all'accordo firmato il 14 giugno 1985, alla convenzione di applicazione dell'accordo, firmata il 19 giugno 1990, nonch ai successivi protocolli e accordi di adesione.

Sebbene non si possano negare i progressi compiuti con laccordo di Shengen (sullo stato di attuazione dellaccordo di Schengen cfr. Comitato Shengen, 2000), il quadro normativo emerso in seguito alla promulgazione dellAtto Unico Europeo, in definitiva, non ha fatto altro che confermare lassenza dal Trattato di una politica di immigrazione, con il solo merito di aver definitola base normativa ed istituzionale in cui tale materia andava trattata e cio gli accordi intergovernativi (nel quadro dunque del Terzo Pilastro). Questo ha significato che sono stati direttamente gli Stati, senza mediazione alcuna delle istituzioni comunitarie, a conformare le politiche dellimmigrazione  in ambito europeo ispirandole ad una rigorosa logica di difesa  della sovranit (Caruso B., 2000).

Il problema della definizione di una politica di immigrazione a livello comunitario non sarebbe probabilmente stato mai affrontato se non si fossero nel contempo registrati drammatici cambiamenti geopolitici a livello mondiale. Prima di tutto il crollo dellUnione Sovietica, un impero demograficamente gigantesco, la cui disgregazione  ha causato lapertura di nuovi flussi di immigrazione dallEst dEuropa diretti principalmente verso i Paesi europei occidentali. Poi la guerra in Iugoslavia, linstabilit politica ed economica in Afganistan, Iran, Iraq e in molti altri Paesi ha contribuito allintensit dei flussi migratori. Senza dimenticare che lEuropa di oggi registra un netto declino demografico e quindi limmigrazione in questo contesto assume una funzione indispensabile, sia dal punto di vista demografico, sia dal punto di vista delle necessit del mercato del lavoro (cfr., puntualmente, Blanpain R., 1999, spec. 14. Sulle determinanti demografiche, politico-sociali, economiche, ambientali e naturali delle migrazioni cfr., da ultimi, Censis, 2000; Fondazione De Benedetti 2001. Per un quadro di sintesi cfr. anche Sassen S., 2000).

I dati empirici sono quantomai emblematici (cfr. le Tavole n. 1, n. 2 e n. 3 qui di seguito  allegate). Dal 1989, la migrazione netta (e cio il saldo annuale tra immigrazione ed emigrazione valutato tenendo conto anche degli effetti di nascite e morti nellanno interessato) stata la componente principale dei cambiamenti annuali della popolazione allinterno dellUnione Europea. Nel 1999, in particolare, il tasso annuale di migrazione netta stato dell1.9 per cento per mille della popolazione, rappresentando circa il 70 per cento della crescita totale della populazione (Eurostat, 2001, 7). Nel 1999 nei 15 Paesi della Comunit registrati circa 350 000 richieste di asilo (Eurostat, 2001, 7). I dati Eurostat dimostrano che dopo un picco di circa un milione di  persone lanno nei primi anni Novanta, la migrazione netta nellUnione Europea successivamente diminuita rapidamente, per iniziare a risalire fino a 700.000 nel 1999. Mediamente negli anni 1990-1998 il tasso migratorio netto nellUE stato del 2,2 per mille persone contro il 3 degli USA, il 6 del Canada e lapprossimato a 0 del Giappone. I flussi sono attualmente composti da una combinazione  di persone: richiedenti asilo, sfollati e richiedenti protezione  temporanea, famigliari  che si ricongiungono  con immigrati gi stabiliti nellUE, lavoratori migranti e immigranti per attivit economiche, che sono in aumento. Il ricongiungimento famigliare e lesistenza di comunit  etniche dei paesi di origine  in un determinato paese sono diventati fattori importanti in riferimento allentit e alla direzione dei processi. I flussi sono diventati pi flessibili in particolare  si sono registrati aumenti degli spostamenti di breve durata e transfrontalieri con configurazioni complesse in entrata ma anche in uscita dallUnione (Commissione Europea 2000,  22-23).

Tranne che nei Paesi dellEuropa meridionale, dove tuttavia i tassi di lavoro nero degli immigrati (clandestini e non) sono tra i pi elevati, e i Paesi che adottano pratiche di naturalizzazione degli abitanti delle ex colonie, la forza-lavoro extracomunitaria rappresenta una quota assai rilevante tra il 5 e il 10 per cento della forza lavoro totale (cfr. la Tavole n. 4).

 

 

 

 

 

Tavola 4: percentuale dei lavoratori stranieri sul totale degli occupati  (fonte OCSE: dati pubblicati da Il Sole 24 Ore del 13 luglio 2001)

 

Austria

Belgio

Francia

Germania

Italia

Olanda

Portogallo

Spagna

Svezia

UK

 

9,9

 

8,8

 

6,1

 

9,1

 

1,7

 

2,9

 

1,8

 

1,2

 

5,1

 

3,9

 

 

In questo scenario diventata subito evidente la necessit di una armonizzazione e/o coordinamento delle legislazioni nazionali in tema di immigrazione di cittadini extracomunitari (Baldwin-Edwards M., 1997; Caruso B., 2000). Anche i pi decisivi sostenitori di una politica di immigrazione zero hanno infatti dovuto ammettere che nellattuale contesto mondiale una siffatta politica non trova pi giustificazione.

La difficolt della definizione di una politica di immigrazione a livello comunitario consiste nel fatto che limmigrazione sempre stata, anche giustamente, considerata un tema molto delicato e complesso che coinvolge direttamente gli interessi nazionali; per questo motivo tutti i Paesi  hanno sempre cercato di  gestire il problema degli immigrati in modo autonomo. Del resto, vero che linsieme delle specificit nazionali, sia con riferimento alla tipologia dei flussi migratori sia al grado e tipo di esposizione al fenomeno (su cui diffusamente Pastore F., 1999), danno corpo a divergenze macroscopiche tra gli obiettivi fondamentali di politica migratoria dei diversi Stati europei e questo a prescindere, in larga misura dai mutamenti delle maggioranze politiche volta a volta prevalenti a livello nazionale (Pastore F., 1999, 8).

Il primo concreto tentativo di affrontare questo problema a livello di un accordo inter-governativo stato, come gi rilevato, lAccordo di Schengen, quando il controllo delle frontiere interne dei Paesi aderenti a tale intesa stato tolto. Alla luce degli scenati geopolitici e demografici sopra sintetizzati, vi tuttavia un consenso assai ampio, se non unanime, tra i Quindici (compresi sembrerebbe, quelli che del sistema Schengen non fanno parte), sul fatto che la disciplina Schengen  oggi non sia pi sufficiente e non possa, quindi, che costituire una base per una costruzione normativa ben pi estesa e articolata. Manca del tutto, invece, il consenso su quali debbano essere le tappe, i ritmi e i contenuti  di questa ulteriore costruzione (Pastore F. 11. Sulle politiche europee di immigrazione cfr, in generale, Hailbronner K., 2000).

Gli ordinamenti nazionali degli Stati membri dellunione Europea riservano tutti indistintamente un trattamento giuridico specifico, e profondamente differenziato (vedi la Tavola n. 5 qui di seguito riprodotta) ai cittadini di paesi terzi che rende particolarmente problematica e poco efficace e la strategia di governo dei flussi migratori.  In particolare, lo status di residente a lungo periodo si concreta spesso in un titolo di soggiorno permanente o di validit illimitata, o in un permesso di stabilimento. Il primo criterio per acquisire questi titoli di soggiorno a tempo indeterminato la durata della regolare permanenza nel territorio, che pu variare dai due ai quindici anni. La validit dello status e quella del titolo di soggiorno che ne consegue hanno spesso durata diversa. Lo status in genere permanente, mentre il titolo va rinnovato.  In tredici Stati membri lo status di residente permanente d accesso al mercato del lavoro senza restrizioni. Nella maggioranza deli Stati membri, i residenti di lungo periodo possono beneficiare della previdenza sociale e dellassistenza sociale allo stesso titolo dei cittadini, salvo in alcuni Stati in cui sono esclusi dal diritto a questultima. Cinque Stati membri riconoscono ai residenti di lungo periodo la capacit di votare e di essere eletti alle elezioni comunali. Due altri Stati riconoscono questo diritto sulla base del principio della reciprocit. Per la stragrande maggioranza degli Stati membri, la disoccupazione o insufficienza del reddito non costituiscono ragioni sufficienti per la revoca. Lo status di residente permanente o di lunga durata garantisce maggiori certezze giuridica al suo titolare, che gode di una maggiore tutela contro lespulsione.

E proprio a partire da queste diversit e relative difficolt - che la Commissione Europea ha recentemente intrapreso un percorso volto a coordinare a livello comunitario le politiche di immigrazione dei singoli stati nazionali. Punto di partenza di questa nuova strategia sono le competenze definite nel Trattato di Amsterdam del 1997.


Tavola 5 Legislazioni Europee sulla concessione dello status di residente agli extracomunitari Fonte: Commissione Europea

 

Status di residente per legge

Anni necessari per lo status di residente

Ottenimento dello status:diritto o discrezione?

Lo status di residente permanente?

Diritto al ricongiungimento con i familiari?

impiego

Sicurezza sociale come gli altri cittadini ?

Esistenza sociale come gli altri  cittadini?

Diritti di voto

Perdita della residenza in caso di reati?

Perdita  perdita di residenza in caso di disoccupaziono indigenza ?

Perdita della residenza in caso di assenza  dal territorio?

Anni di residenza necessari per la citadinanza

Austria

Si

5

Diritto

Si

Si, ma con quote

 

Con permesso di lavoro

Si con alcune  eccezioni

No

No

Si

No solo non  cՏ autosufficienza

No

10

Belgio

Si

5

Diritto

Si

Si

Accesso libero

Si,con alcune accessioni

Si

Dopo il  2001

S i

No

Si,

 dopo 1 anno

3

Danimarca

Si

3

Diritto

Si

Dopo 3 anni con permesso permanente

Accesso libero

Si

Si

Elezioni locali dopo 3 anni

Si

No

Si, dopo 1 anno

7

Finlandia

Si

2

Diritto

Si

Si

Accesso libero

Si

Si

Elezioni locali dopo 2 anni

Si

No

Si, dopo 2 anni

5

Francia

Si

Dopo 3, 5 o 10

Diritto/discrezione

10 anni

Si

Accesso libero

Si

Si

No

Si

No

Si, dopo 3 anni

5

Germania

Si, 2 permessi

-

Diritto

Si

Si

Accesso libero

Si

Si

No

Si

No

Dopo 6 mesi

8

Grecia

Si

15

Diritto

Si

Dopo 5 anni

Accesso libero

Si

No, solo in base a trattati

No

Si

-

No

10

Irlanda

No , gestione amministrativa

5  o 10

Discrezione

Si

Si

Permesso di lavoro

Si

Si

Solo per elezioni locali

Si

Si

Dopo circa 18 mesi

5

Italia

Si

5

Diritto

Si

Si

Accesso libero

Si

Si

No

Si

No

No

10

Lussemburgo

Si

5 anni di impiego regolare

Discrezione

5 anni

Si

Permesso di lavoro

Si

No

No

Si

Si

Dopo 6 mesi

10

Paesi Bassi

Si

5

Diritto

Si

Si

Accesso libero

Si, con una eccezione

Si

A livello locale dopo 5 anni

Si

No

Dopo 9 mesi

5

Portogallo

Si

10

Diritto

Si

Si

Accesso libero

Si

Si

Dopo 5 anni su basse reciproca

Si

Nd

Dopo 2 anni o 30 mesi nellarco di 3 anni

10

Regno unito

Si

4

Consuetudine amministrativa

Si

Si

Accesso libero

Si

Si

Solo  cittadini Commonwealth

Si

No

Dopo 2 anni

5

Spagna

Si

5

Diritto

Si

Si

Accesso  libero

Si

Si

A livello locale su base reciproca

Nessuna norma esplicita

No

Nd

10

Svezia

Si

4

Discrezione

Si

Si

Accesso libero

Si

Si

A livello locale dopo 3 anni

Si

Nd

Si se domiciliato allestero

5


2. Le competenze di cui allart. 63 del Trattato di Amsterdam e le prospettive aperte dal Consiglio Europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999.

 

E nel Trattato di Amsterdam del 1997 che la competenza della Comunit in materia di asilo e immigrazione viene stabilita, per la prima volta, in modo specifico. Da materia oggetto di coordinamento intergovernativo nel quadro del c.d. Terzo Pilastro, le politiche di immigrazione  rientrano da questo momento nel programma dazione comunitario che deve essere adottato dal Consiglio per istituire progressivamente nellarco di cinque anni dallentrata in vigore del Trattato uno spazio di libert, sicurezza e giustizia (artt. 61-63). 

Larticolo 63 del Trattato individua, in particolare, quattro distinte linee di intervento in materia di immigrazione e asilo, articolate in:

I) misure in materia di asilo nei seguenti settori:

a)     criteri e meccanismi per determinare quale Stato membro competente per lesame della domanda di asilo presentata da un cittadino di un paese terzo in uno degli Stati membri;

b)     norme minime relative allaccoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri;

c)     norme minime sulle procedure applicabili negli Stati membri per la concessione o la revoca dello status  di rifugiato;

II) misure applicabili ai rifugiati ed agli sfollati nei seguenti settori:

d)     norme minime per assicurare protezione temporanea agli sfollati  di paesi terzi che non possono ritornare nel paese di origine e per le persone che altrimenti necessitano di protezione internazionale;

e)     promozione di un equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono i rifugiati e sfollati e subiscono le conseguenze dellaccoglienza degli stessi;

III) misure in materia di politica di immigrazione  nei seguenti settori:

f)     condizioni di ingresso e di soggiorno e norme sulle procedure per il rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine e di permessi di soggiorno, compresi quelli rilasciati a scopo di ricongiungimento familiare;

g)     immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare;

IV) misure che definiscono con quali diritti e a quali condizioni  i cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro possono soggiornare in altri Stati membri.

Sulla scorta di questa base giuridica, il Consiglio Europeo di Tampere ha adottato, nellottobre 1999, nelle proprie conclusioni ([3]) gli elementi di una politica comune nellUnione Europea in materia di asilo e immigrazione che, insieme al piano dazione approvato dal Consiglio di Vienna nel 1998 ([4]), costituisce ora il punto di partenza di un programma di lavoro della Commissione e degli Stati membri che viene reso operativo mediante un Quadro di controllo ([5]).

In particolare, il Consiglio Europeo di Tampere ha riconosciuto che gli aspetti separati, ma strettamente connessi, dellasilo e della migrazione richiedono la definizione di una politica comune a livello comunitario, secondo le seguenti quattro linee di intervento:

A) Partenariato con i paesi di origine: LUnione europea ha bisogno di un approccio generale al fenomeno della migrazione che abbracci le questioni connesse alla politica, ai diritti umani e allo sviluppo dei paesi e delle regioni di origine e transito. () Un altro elemento fondamentale per il successo di queste politiche sar il partenariato con i paesi terzi interessati, nella prospettiva di promuovere lo sviluppo comune (punto 11 delle Conclusioni).

B) Regime europeo comune in materia di asilo: Il Consiglio europeo ribadisce limportanza che lUnione e gli Stati membri  riconoscono al rispetto assoluto del diritto di chiedere asilo. Esso ha convenuto di lavorare allistituzione di un regime europeo comune in materia di asilo, basato sullapplicazione della Convenzione della Ginevra in ogni sua componente, garantendo in tal modo che nessuno venga esposto nuovamente alla persecuzione, ossia mantenendo il principio di non-refoulment. ()  Nel lungo periodo, le norme comunitarie dovrebbero indirizzarsi verso una procedura comune in materia di asilo e uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto lasilo, valido in tutta lUnione (punto 13 e 15).

C) Equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi: LUnione europea deve garantire lequo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente  nel territorio degli Stati membri. Una politica di integrazione pi incisiva dovrebbe   mirare a garantire loro diritti e obblighi analoghi  a quelli dei cittadini dellUE. Essa dovrebbe inoltre rafforzare la non discriminazione nella vita economica, sociale e culturale e prevedere lelaborazione di misure  contro il razzismo e la xenofobia. () Occorre ravvicinare lo status giuridico dei cittadini dei paesi terzi a quello dei cittadini degli Stati membri. Alle persone che hanno soggiornato legalmente in uno Stato membro per un periodo di tempo da definire e che sono in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata dovrebbe essere garantita in tale Stato membro una serie di diritti uniformi il pi possibile simili a quelli di cui beneficiano i cittadini dellUE, ad esempio il diritto a ottenere la residenza, ricevere unistruzione, esercitare unattivit in qualit di lavoratore dipendente o autonomo; va inoltre riconosciuto il principio della non discriminazione rispetto ai cittadini dello Stato di soggiorno (punto 18 e 21).

D) Gestione comune dei flussi migratori: Il Consiglio europeo sottolinea la necessit di una gestione pi efficace dei flussi migratori in tutte le fasi. Esso richiede che siano sviluppate, in stretta cooperazione con i paesi di origine e transito, campagne di informazione  sulle effettive possibilit di immigrazione legale e che siano adottate misure per prevenire qualsiasi forma di tratta di essere umani. Dovrebbe essere ulteriormente sviluppata unattivit politica comune in materia  di visti e documenti falsi, che preveda anche una pi stretta cooperazione  fra i consolati dellUE nei paesi terzi e, se necessario, la creazione di servizi comuni dellUE preposti al rilascio dei visti (punto 22).

In tale contesto, il Consiglio Europeo di Tampere ha in particolare riconosciuto la necessit di un ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi, in base a una valutazione comune sia degli sviluppi economici e demografici allinterno dellUnione sia della situazione nei paesi di origine, A tal fine, esso richiede al Consiglio decisioni rapide, sulla base di proposte della Commissione. Tali decisioni dovrebbero tenere conto non solo della capacit di accoglienza dei singoli Stati membri ma anche dei loro legami storici e culturali con i paesi di origine (punto 20).

 

Tenuto conto della natura complessa della politica dellimmigrazione  e dei suoi effetti su numerosi versanti sociale, economico, giuridico e culturale la Commissione, sviluppando le indicazioni contenute nelle Conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere, ha opportunamente precisato che per implementare il programma legislativo previsto allart. 63 del Trattato CE, non ci si possa semplicemente affidare al metodo di un pezzo alla volta ma occorre una strategia complessa, A questo fine la Commissione ha delineato un programma di intervento per conseguire lobiettivo di una politica comune in materia di immigrazione efficacemente sintetizzato nella Comunicazione su una politica comunitaria in materia di immigrazione ([6]).

 

 

3. Verso ladozione di un metodo aperto di coordinamento delle politiche comunitarie in materia di immigrazione.

Nella Comunicazione su una politica comunitaria in materia di immigrazione la Commissione ha evidenziato chiaramente limportanza di una ridefinizione dellaccostamento alla questione dei flussi migratori e, in particolare, lurgenza di adottare una politica comune rispetto allammissione di cittadini di Paesi terzi per motivi economici. Secondo la Commissione, il successo di una tale politica dipende tuttavia dalla adozione di strumenti che garantiscano un coordinamento effettivo di tutte le parti interessate e dalladozione ed implementazione di misure appropriate sia a livello comunitario che a livello nazionale dei singoli Stati membri per assicurare la effettiva collaborazione in una prospettiva di lungo termine. 

Le prospettive per la definizione di uno spazio  di libert, sicurezza e giustizia allinterno dellUnione, delineate nel Consiglio Europeo di Tampere, si sono gi in parte concretizzate nellelaborazione di proposte (vuoi nella forma della direttiva, vuoi nella forma della semplice comunicazione), che, una volta formalmente approvate potranno concorrere a costituire i primi elementi del quadro legislativo comune nelle quattro aree di intervento indicate dal Consiglio di Tampere (supra 2).

Rispetto al regime europeo comune in materia di asilo la Commissione ha presentato nel maggio del 2000 una proposta sulla protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e nel settembre 2000 ha avanzato una  proposta relativa alle procedure applicabile negli Stati membri per la concessione e la revoca dello status di rifugiato. La Commissione intende completare entro la fine del 2001 il pacchetto di misure legislative nei seguenti settori: condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo, criteri e meccanismi per la determinazione  dello Stato competente per lesame delle domande di asilo (strumento comunitario che costituisce la convenzione di Dublino), norme sul ricongiungimento ed il contenuto dello status di rifugiato e forme sussidiarie di protezione che offrano uno status adeguato. Allinizio del 2001 sono state presentate ulteriori proposte sulle condizioni di accoglienza per i richiedenti asilo, e su un sistema per determinare con chiarezza e praticit lo stato  competente per lesame delle domande di asilo.

Rispetto alla questione del rispetto del principio di equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi la Commissione ha presentato nel novembre del 1999 un pacchetto di proposte per combattere la discriminazione basata sulla razza o sullordine etnica, che si applicher nel campo delloccupazione, della formazione professionale, della protezione sociale (incluse la sanit e la sicurezza sociale), dellistruzione e della fornitura di beni e servizi, incluso lalloggio. Con riferimento alla proposta della Commissione di un programma dazione comunitaria per combattere la discriminazione, il Consiglio ha raggiunto un accordo politico il 17 ottobre 2000. Il programma avr una durata di 6 anni a partire del 1 gennaio 2001 e disporr di un bilancio di quasi 100 milioni di euro per azioni di lotta alle discriminazioni fondate sulla razza etnica, la religione o le convenzioni personali, gli handicap, let o le tendenze sessuali.  Di particolare importanza, a questo riguardo, la recente direttiva contro le discriminazioni per motivi di ..([7]).

In questa prospettiva, si deve peraltro ricordare che la Carta dei diritti fondamentali dellUnione Europea, adottata a Nizza nel dicembre del 2000, ha stabilito una serie di principi che per luniversalit di determinati si applicano anche ai cittadini dei paesi terzi. E un aspetto che assume particolare importanza in riferimento a vari diritti sociali, quali la tutela in caso di licenziamento ingiustificato e lapplicazione della legislazione nazionale e comunitaria relativa alle condizioni di lavoro. La Carta prevede anche la possibilit alle condizioni stabilite dal Trattato di Amsterdam di libera circolazione e dimora per i cittadini dei paesi terzi che soggiornano in un Stato membro.

Nel settore dellimmigrazione legale, stata predisposta una proposta di direttiva sul ricongiungimento familiare ([8]), visto quale strumento necessario per permettere la vita familiare: esso contribuisce a creare una stabilit socioculturale che facilita lintegrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo daltra parte di promuovere la coesione economica e sociale, obbiettivo fondamentale della Comunit, enunciato agli art. 2 e 3, par. 1, punto k) del trattato CE. In tale prospettiva si rilevato che Ǐ necessario istituire un diritto al ricongiungimento famigliare riconosciuto dagli Stati membri nonch il quadro dei criteri comuni e condizioni materiali per esercitarlo eliminando le restrizioni che impediscono al godimento di questo diritto fondamentale riconosciuto dallarticolo 8 della convenzione europea dei diritti delluomo.

La Commissione ha altres preso in esame i diritti connessi con la libera circolazione e il soggiorno dei cittadini dellUnione in vista del nuovo contesto giuridico e politico posto in essere dalla cittadinanza dellUnione. Lintento permettere ai cittadini dellUnione di circolare da uno  Stato allaltro a condizioni sostanzialmente analoghe a quelle cui sottostanno i cittadini di uno Stato membro che circolano e cambiano residenza o attivit allinterno del loro paese. Gli eventuali obblighi supplementari di tipo amministrativo o giuridico dovrebbero limitarsi allo stretto necessario richiesto dalla specifica qualit di non nazionale. A tale proposito, nel rispetto  dellimpegno assunto nella comunicazione sul seguito riservato alle raccomandazioni del gruppo ad alto livello sulla libera circolazione delle persone e in conformit con il quadro  di controllo per lesame dei progressi compiuti nella creazione di uno spazio di libert, sicurezza e giustizia, la Commissione presenter una proposta di direttiva fondendo in un unico testo gli atti legislativi attualmente in vigore, i cui obiettivi principali saranno agevolare lesercizio del diritto di libera circolazione  e soggiorno, ridurre le formalit amministrative, definire meglio la situazione giuridica dei famigliari cittadini di paesi terzi e la possibilit di negare il soggiorno o mettervi un termine. Tale proposta sar presentata nel primo semestre del 2001.

Tenendo presente lo fatto della mutazione continua del mercato di lavoro bisogna prevedere le possibilit di maggior flessibilit nellimpiego di lavoratori extarcomunitari. E importante stabilire le condizioni ai quali i cittadini dei paesi terzi residenti di lungo periodo potrebbero trasferirsi in un altro Stato membro senza compromettere i diritti acquisiti in un altro Stato membro per un legittimo riconoscimento delle loro capacit professionali o per mettere fine a una situazione di disoccupazione   nello Stato membro di dimora. La mobilit dei residenti di lungo periodo potrebbe contribuire a un migliore utilizzo della mano dopera esistente  nei vari Stati membri.

Di particolare importanza, a questo proposito, la proposta di direttiva relativa allammissione di cittadini extracomunitari per motivi economici ([9]), contenente le condizioni dellentrata e residenza dei cittadini di Paesi terzi per motivi dello svolgimento di attivit di  lavoro dipendente e di lavoro autonomo. Nel caso di adozione di  questa proposta saranno definite le condizioni comuni per lammissione e residenza dei lavoratori dei paesi terzi che in prospettiva verr integrata dalle altre direttive che dovrebbero definire e regolarizzare lo status degli studenti, persone svolgenti formazione professionale e altre attivit non retribuite.

E forte peraltro la consapevolezza dei limiti di siffatti provvedimenti, nella misura in cui non vengano ricondotti in un quadro unitario e coordinato di gestione delle politiche migratorie a livello comunitario e nazionale ([10]). Questo spiega perch, al di l di questi singoli (seppur importanti) provvedimenti, la Commissione si sia ora posta nella prospettiva di delineare, sullesempio di quanto avvenuto in materia di occupazione (cfr. Biagi M., 2001a; Id. 1998), un metodo aperto di coordinamento nel campo della politica migratoria in modo da affrontare tale tematica in una prospettiva globale e il pi possibile esauriente (Commissione Europea 2000).  Come ancora recentemente confermato nel Consiglio Europeo di Stoccolma del 23-24 marzo 2001 la c.d. procedura del coordinamento aperto (open coordination) rappresenta la strada da seguire dalla Comunit nelle materie di interesse comune che rientrano nelle competenze nazionali tra cui appunto la materia della immigrazione (sul punto cfr. Tiraboschi M., 2001, cap II, sez. III, e ivi ulteriori riferimenti bibliografici).

Come dimostrano i successi ottenuti dalle azioni coordinate in materia di occupazione (ancora Biagi, 2001a), la Commissione giustamente ritiene che ladozione del metodo aperto di coordinamento costituisce lo strumento pi appropriato per promuovere lo sviluppo della politica comunitaria di immigrazione nel rispetto dei principi generali di sussidiariet e proporzionalit. Attraverso questo metodo, incentrato sulla logica della legislazione leggera (c.d. soft-law) (v. Biagi 2001b), pare infatti possibile superare le resistenze degli Stati membri a cedere quote di sovranit rispetto ad una materia, quella dellimmigrazione, che ha sempre sollevato delicate questioni di ordine pubblico e di gelosa conservazione delle prerogative nazionali come anche testimoniato dalla crescente sfiducia dei cittadini degli Stati membri verso una politica comune in materia di immigrazione (cfr. i dati relativi al 1993-2000 forniti della Fondazione De Benedetti, 2001, e riportati nella Tavola 6).

 

Tavola 6. Percentuale di persone in favore di una politica comune a livello comunitario in materia di immigrazione

 

 

 

In questa prospettiva, gli Stati membri rimangono infatti responsabili di un gran numero di questioni importanti, tra cui, in particolare, lammissione degli immigrati per motivi economici e lo sviluppo e implementazione delle politiche di integrazione, prevedendo a un coordinamento funzionale delle singole legislazioni nazionali, nel rispetto delle esigenze e delle peculiarit di ciascun singolo Paese. Luso del metodo aperto di coordinamento adattato allambito dellimmigrazione e come complemento al quadro legislativo nazionale consentir, inoltre, un approccio graduale della politica dellUE basata prima di tutto sullidentificazione e sullo sviluppo degli obiettivi comuni per poi individuare in una seconda fase gli strumenti legali idonei al perseguimento di detti obiettivi.

Un passo importante, in questa prospettiva, rappresentato dalla recente Comunicazione della Commissione su un open method of coordination delle politiche di immigrazione (COM(2001)387 final, Brussels, 11.7.2001), dove vengono definite, analogamente a quanto avvenuto in materia di occupazione, le linee guida per gli Stati nazionali in material di politiche migratorie.

Elemento principale del metodo aperto di coordinamento infatti lapprovazione da parte del Consiglio (su proposta della Commissione) di guide lines annuali alla luce delle prospettive pluriennali di politica di immigrazione, a cui si affiancheranno specifici piani dazioni per interventi e obiettivi di breve, medio e lungo periodo. Queste linee saranno poi impiantate nelle politiche nazionali dei Paesi membri tenendo presenti i tratti specifici e le diversit nazionali e regionali di ogni Paese.

Secondo la Comunicazione della Commissione (Commissione Europa, 2001) le linee guida dovranno interessare le seguenti aree: gestione dei flussi migratori, ammissione degli immigrati economici, partenariato con i paesi terzi e integrazione dei cittadini extracomunitari.  Le prime linee guida dovrebbero essere approvate dal Consiglio nel 2001 e saranno poi oggetto di revisione annuale (possibilit anche questa garantita dal metodo aperto di coordinamento, come del resto avvenuto in materia di occupazione a partire dal Consiglio Straordinario sulloccupazione di Lussemburgo del 1997), anche alla luce delle rilevazioni comparative in merito ai flussi di immigrazione e alle procedure di asilo che consentiranno di effettuare con pi effettivit il monitoraggio e la valutazione della politica migratoria, garantendo al contempo la diffusione delle best practices.

La proposta della Commissione si articola attorno alle seguenti sei linee guida:

 

1. Elaborare unimpostazione generale e coordinata per la gestione dellimmigrazione a livello nazionale.

La Commissione invita gli Stati membri a valutare lo stretto legame e le interazioni tra le diverse categorie dei flussi migratori: immigrazioni per motivi umanitari, immigrazioni per lavoro subordinato e autonomo, immigrazioni per lo svolgimento di altre attivit non remunerate, immigrazione per motivi di studio e formazione professionale, immigrazione per turisti o per motivi di culto. Questa valutazione pu aiutare a comprendere meglio gli effetti che limmigrazione economica pu avere sulle richieste di asilo e sui tassi di immigrazione illegale. Gli Stati membri sono invitati a potenziare le rilevazioni statistiche sullimmigrazione al fine di implementare il Piano di Azione che verr adottato dal Consiglio.

 

2. Migliorare la diffusione delle informazioni sulle possibilit legali dellingresso nellUE e sulle conseguenze dellutilizzo di canali clandestini

Gli Stati membri sono chiamati a sviluppare servizi di informazione presso i Paesi terzi circa le procedure legali di ammissione e di entrata nei paesi UE e i rischi di sfruttamento e traffico di manodopera clandestina (istituzione di websites, uffici informativi e pubblicit in merito). La Commissione sollecita, in particolare, la promozione della cooperazione e gli scambi di informazione tra gli uffici consolari dei Paesi membri situati nei Paesi terzi, in particolare a riguardo della politica di visti per assicurare maggiore  trasparenza, efficienza e coerenza tra le prassi adottate nei vari Stati membri.

 

3. Rafforzare la lotta contro limmigrazione clandestina e la tratta degli esseri umani

La Commissione sollecita gli Stati membri a promuovere un approccio basato su un bilanciamento ragionevole  tra responsabilit umanitarie e necessit di contrastare immigrazione legale  e la tratta di esseri umani. Questo richiede ladozione di misure preventive contro il traffico clandestino dai Paesi di origine via Paesi di transito ai Paesi di destinazione, nonch la promozione della cooperazione pre-frontaliera e altre misure del controllo alle frontiere esterne dellUE nei limiti e standard concordati. La Commissione ritiene altres necessari interventi legislativi che prevedano la penalizzazione del reato di tratta di essere umani (cfr. anche la Comunicazione della Commissione su Lotta alla tratta degli esseri umani, allo sfruttamento sessuale dei bambini e alla pornografia infantile, COM(2000)854 def. del 22 gennaio 2000).

 

4. Instaurare una politica e procedure coerenti e trasparenti per lapertura del mercato del lavoro ai cittadini  dei paesi terzi nellambito della strategia europea delloccupazione

In relazione alla mancanza progressiva di manodopera molti Stati membri hanno cominciato ad assumere i c.d. economic migrants, inclusi quelli altamente qualificati (cfr. Blanpain R., 1999). A questo riguardo la Commissione  ritiene opportuno rivedere i canali legali di tale immigrazione anche per evitare leffetto di drenaggio che limmigrazione genera per i Paesi di origine. La Commissione sottolinea la necessit di collaborazione con i Paesi di origine in modo trasparente e in coerenza con  le linee di intervento stabilite nellambito della Strategia Europea per loccupazione. E necessaria la consultazione con tutte le parti sociali a livello nazionale, regionale  e locale, nonch con le organizzazioni non governative, associazioni degli immigrati e altri organizzazioni. Bisogna tenere presente la capacit e risorse disponibili per accogliere  gli immigrati dai paesi terzi, la situazione interna nei paesi terzi e anche il numero degli immigrati gi presenti sul territorio di uno o altro stato membro compresigli ingressi per ricongiungimento familiare,  protezione temporanea, ecc. Nella prospettiva delle parti opportunit, particolare deve essere prestata alle necessit delle donne desiderose di svolgere le attivit lavorative nei Paesi dellUE il cui numero sta progressivamente crescendo.

I Paesi membri mantengono il loro diritto di scegliere quanti e quali immigrati per motivi hanno bisogno per soddisfare le necessit  nazionali. In armonia con il principio di preferenza per i movimenti di manodopera comunitaria allinterno del mercato unico di cui allart. 1.2. del Regolamento CE del 15 ottobre 1968, n. 1612, la Commissione ha tuttavia recentemente elaborato una proposta di direttiva ([11]) in base alla quale la concessione del permesso per motivi di lavoro a un cittadino di un Paese terzo subordinata alla verifica di indisponibilit a svolgere la prestazione lavorativa da parte di un cittadino europeo nellarco di un mese (secondo un modello che richiama la legislazione previgente italiana di cui allart. 8, l. n. 943/1986, che, come noto, conteneva una preferenza della manodopera autoctona rispetto al quella extracomunitaria: cfr. Garofalo M.G., McBritton M., 2000, 491).

 

5. Integrare le questioni relative allimmigrazione nelle relazioni con i paesi terzi e soprattutto con i paesi dorigine

La Commissione suggerisce di implementare i programmi di collaborazione con i Paesi terzi in merito allistruzione e formazione ([12]), nel rispetto delle pari opportunit tra uomini e donne.

Gli Stati membri sono altres chiamati a elaborare misure dirette a massimizzare leffetto positivo delle migrazioni come fattore per lo sviluppo dei Paesi di origine (trasferimenti monetari di coloro che lavorano allestero) e minimizzare leffetto negativo (fuga dei cervelli) cercando di incoraggiare i migranti a mantenere i legami con il proprio Paese di origine e promovendo i programmi di reintegrazione sociale ed economica nel caso limmigrato desideri fare ritorno nel proprio Paese.

 

6. Garantire che siano elaborate politiche di integrazione per i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro

Gli Stati membri dovranno infine promuovere lo sviluppo delle politiche di integrazione per i cittadini dai Paesi terzi legalmente soggiornanti sul territorio dellUnione Europea, anche al fine di evitare eventi socialmente negativi come discriminazione, razismo e xenofobia. A questo fine gli Stati membri dovranno identificare le priorit e le risorse per lo sviluppo delle politiche dirette allintegrazioni degli immigrati alla societ. Questo dovr avvenire mediante lelaborazione di un quadro volto a coinvolgere gli attori locali e regionali, le parti sociali, la societ civile e le comunit di immigrati.

 

 

4. Limplementazione delle linee guida per limmigrazione mediante lelaborazione del Piano Nazionale per limmigrazione.

In perfetta simmetria con quanto previsto dal Processo di Lussemburgo in materia di occupazione, al fine di implementare le linee guida per limmigrazione della Comunit gli Stati membri sono inviatati a redigere un Piano Nazionale per limmigrazione soggetto a revisione su base annuale.

La prima parte del Piano Nazionale dovr contenere informazioni statistiche sul numero e sulla nazionalit dei cittadini dei Paesi terzi ammessi nellanno precedente. In questa sezione del piano dovranno essere fornire anche indicazioni sulla cooperazione tra le autorit nazionali, regionali e locali, associazioni non governative e immigrati, nonch dettagliate informazioni sullo stato di trasposizione e sullimplementazione delle direttive comunitarie nelle legislazioni nazionali.

La seconda parte del Piano Nazionale dovr invece essere riservata alle proposte da parte dei Stati membri su come implementare le linee guida a livello nazionale, regionale e locale.

In questo contesto, la Commissione assumer un ruolo attivo nel  sostenere  e promuovere  la politica migratoria comune tramite la preparazione di proposte per le linee guida europee e per la promozione della cooperazione, lo scambio delle pratiche migliori, la valutazione e il monitoraggio delle politiche nazionali e dello stato di recezione delle direttive comunitarie. Per conseguire questi obiettivi la Commissione si propone di costituire comitati e gruppi di lavoro composti da esperti in materia di immigrazione, rappresentanti delle parti sociali, autorit regionali  e locali, esperti in materie connesse. A questi gruppi di lavoro saranno ammessi anche rappresentanti dei Paesi candidati allingresso nella comunit, in considerazione del fatto che i cittadini di detti Paesi non beneficeranno inizialmente del diritto di libera circolazione e stabilimento nella sua interezza.

Le attivit della Commissione includeranno, in particolare, il monitoraggio delle applicazioni pratiche della legislazione a tale riguardo, lavanzamento delle proposte per le nuove iniziative legislative  per implementare la politica comune, la promozione degli scambi di informazione, esperienze e buone pratiche, la preparazione delle linee guida europee soggetti allulteriore approvazione dal Consiglio. Il monitoraggio e valutazione dello stato di implementazione delle linee guida  avverr tramite la presentazione al Consiglio di un Joint Report basato allanalisi delle Piani Nazionali, proprio come avviene in materia di occupazione

La Commissione dovr inoltre garantire la complementariet e lintegrazione delle politiche migratorie con le altre aree di competenza della Comunit e, in particolare, con le azioni per lo sviluppo della economia europea, per il sostegno alloccupazione, per linclusione sociale la lotta alle discriminazioni. A questo fine il Comitato per limmigrazione dovr collaborare strettamente con il Comitato per lOccupazione e il Comitato per la Protezione Sociale.

Quando la proposta di adozione del metodo della open coordination sar adottata dal Consiglio plausibilmente al vertice di Laeken nel dicembre  2001 , la prima priorit della Commissione consister nel rivedere le proposte in merito alle linee guida per limmigrazione, dopo di che i singoli Stati nazionali saranno chiamati plausibilmente nel 2002 alla redazione del primo Piano Nazionale per limmigrazione.

Gli sviluppi pi recenti dei rapporti tra Europa e immigrazione sembrano dunque orientarsi verso un deciso salto di qualit nelle politiche nazionali e comunitarie in materia di immigrazione e asilo. Come infatti rilevato da Guido Bolaffi  (2001), con riferimento allItalia ma con considerazioni estensibili a tutta lUnione Europea, quando un Paese decide di aprire consapevolmente le sue frontiere agli immigrati lo deve fare in base ad un progetto sopportato da dati precisi sulle tendenze della demografie, sulle esigenze delleconomie, sulle domande  sociali, rispettando da un lato i vincoli geo-politici e dallaltro le sue tradizioni culturali. E questo proprio quello che si potr fare con ladozione a livello comunitario del metodo del coordinamento aperto.

 

 

 

 



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* Il presente saggio costituisce una breve sintesi di un pi ampio lavoro in tema di Problemi e prospettive delle politiche di immigrazione in Italia e in Europa, svolto dallA., in qualit di borsista della Facolt di Relazioni Internazionali della Sankpeterburgsky Gosudarstvenny Universitet (Russia), durante un periodo di soggiorno presso il Centro Studi Internazionali e Comparati dellUniversit di Modena e Reggio Emilia, diretto dal prof. Marco Biagi, che qui si intende ringraziare per lospitalit. Ringrazio anche il prof. Michele Tiraboschi che ha letto varie versioni del presente scritto fornendomi prezioni consigli per la redazione del testo finale.

[1] Giustamente Caruso B., 2000, ricorda che per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta il fenomeno della immigrazione  ha interessato unicamente i Paesi Europei economicamente pi solidi, bisognosi di manodopera, rilevando dunque, semplicemente, alla stregua di un fenomeno economico (non sociale e neppure politico), puramente legato alle dinamiche del mercato del lavoro.

[2] Per la distinzione concettuale tra politiche per limmigrazione e politiche della immigrazione, come noto risalente alla immigration law nord-americana, cfr., nella letteratura italiana, DAuria G., 1997, 141. In sintesi: mentre le prime contemplano tutte le misure nei confronti degli immigrati gi presenti sul territorio nazionale, le seconde riguardano gli interventi per fronteggiare la pressione migratoria e regolare i flussi in ingresso dei nuovi immigrati.

[3] SN 200/99 (Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Tampere, 15 & 16 ottobre 1999) 

[4] GU C 19 del 23.1.1999

[5] COM (2000) 167 (Quadro di controllo per lesame dei progressi compiuti nella creazione di uno spazio di libert, sicurezza e giustizia nellUnione europea).

[6] COM(2000) 755 def.

[7] Direttiva 2000/43, OJ L 180 del 19.7.2000 e la Direttiva 2000/78 OJ L 303 del 2.12.2000

[8] COM(1999)638 def. del 1.12.1999. La proposta attualmente allesame del Consiglio (COM(2000)624 versione modificata del 10 ottobre 2000.

[9]

[10] Particolarmente significativa, a questo proposito, anche la scelta di intervenire contestualmente in materia di immigrazione e asilo: scelta che garantisce indubbiamente organicit e completezza allintervento delle istituzioni comunitarie. La scissione tra queste due tematiche invece un dato caratterizzante e da questo punto di vista negativo della legislazione italiana. Il D.lgs. n. 286/1998, che pure costituisce il Testo Unico in materia di immigrazione non affronta la questione dellasilo (oggetto di uno specifico disegno di legge allesame del Parlamento) e questo priva la legge della sua organicit. Cos Bonetti P., 1998, 138.

[11] ???..

[12] In questa prospettiva, con riferimento allItalia ma con considerazioni estensibili alle politiche comunitarie, v. gi Biagi M., 2001b, secondo cui appare adecisivo pervenire a forme di pre-selezione e formazione della manodopera extracomunitaria gi nel Paese dorigine, valorizzando adeguatamente intese e accordi bilaterali con i Paesi di tradizionale immigrazione verso il nostro.