Europa
e immigrazione: verso ladozione di un metodo aperto di coordinamento a livello
UE
Olga Rymkevitch (*)
1. Le
competenze dellUnione Europea in materia di immigrazione: dal Trattato di Roma
del 1957 al Trattato di Amsterdam del 1997. 2. Le competenze di cui allart. 63 del Trattato di Amsterdam
e le prospettive aperte dal Consiglio Europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre
1999. 3. Verso ladozione di un metodo
aperto di
coordinamento delle politiche comunitarie in materia di immigrazione. 4. Limplementazione delle linee guida per limmigrazione
mediante lelaborazione del Piano Nazionale per limmigrazione.
1. Le competenze dellUnione Europea in materia di
immigrazione: dal Trattato di Roma del 1957 al Trattato di Amsterdam del 1997.
Nonostante il
fenomeno migratorio abbia assunto in Europa una rilevanza politica, economica e
sociale da almeno un trentennio ([1]),
raggiungendo dimensioni ed aspetti per taluni versi preoccupanti ad inizio
degli anni Novanta, tanto da mettere in forse la resistenza delle varie
giunture dei deboli sistemi di welfare occidentali (Caruso B., 2000, p.1),
solo nel corso degli ultimi anni che si cominciato a discutere di una
armonizzazione e/o coordinamento a livello comunitario delle politiche per e della immigrazione (cfr. per tutti: Baldwin-Edwards M.,
1997, Caruso B., 2000, spec. 2) ([2]).
La circostanza si
spiega agevolmente, almeno da un punto di vista strettamente
giuridico-istituzionale, in ragione del fatto che solo con il Trattato di
Amsterdam del 1997 sono state attribuite specifiche competenze allUnione
Europea in materia di immigrazione e asilo (capitolo IV del Trattato CE). Non
che, in precedenza, lordinamento giuridico comunitario fosse del tutto
reticente rispetto al tema dellimmigrazione. Ma le diverse basi giuridiche
astrattamente disponibili in materia non (risultavano) accomunate da una
coerente linea ispiratrice (Lo Faro A., 1999, 24; per le competenze
comunitarie cfr. Hailbronner K., 2000).
Nel diritto
comunitario il cittadino extracomunitario non mai stato titolare di diritti
esplicitamente definiti. Solo
recentemente, con la promulgazione della Carta dei diritti fondamentali
dellUnione Europea (Nizza, dicembre 2000), sono stati in linea di principio
estesi, seppure in modo da taluno definito fuorviante (Weiss M., 2001, 349),
i diritti sociali fondamentali anche ai cittadini di Paesi terzi che
legittimamente risiedono allinterno della Comunit, in considerazione del loro
carattere di diritti universali.
Nellambito
dellimpianto originario del Trattato di Roma, la Comunit Europea non aveva
infatti una competenza formale in materia di politiche di immigrazione. La
questione migratoria veniva affrontata solo indirettamente, nellambito delle
strategie di realizzazione del mercato interno, e, in particolare, della libera
circolazione delle persone, nonch nel quadro della cooperazione con i Paesi
terzi (Neri S., 1982; Hailbronner K., 2000). Le norme in materia di ingresso,
stabilimento e accesso al lavoro dei cittadini extracomunitari (e i relativi
diritti politici e sociali) rimanevano pertanto di competenza esclusiva degli
Stati membri. In questo contesto, la situazione giuridica dellimmigrante non
poteva che variare, anche in modo rilevante, da Paese a Paese.
La spiegazione di
tutto questo si rinviene nella finalit essenzialmente economica che ha sempre
caratterizzato, come noto, il progetto dellintegrazione europea. Lobiettivo
originario del Trattato di Roma stato quello della realizzazione del mercato
comune, cos come lobiettivo dellAtto Unico del 1986 stato il mercato
interno.
Il Trattato di
Roma del 1957 riconosceva esplicitamente tra i suoi principi fondamentali il
diritto alla libera circolazione delle persone (art.3), ma ne condizionava poi
leffettivo godimento allo svolgimento di una attivit lavorativa e al possesso
di una cittadinanza comunitaria (artt.48-66). La legislazione di
implementazione del Trattati aveva consentito di superare il primo dei due
limiti, estendendo il diritto di libera circolazione anche ai non lavoratori
(studenti, pensionati e ogni altro cittadino dellUnione Europea), ma non
quello della cittadinanza comunitaria, nonostante fossero state adottate cinque
risoluzioni del Consiglio in materia, soprattutto con riferimento a immigrati
legalmente soggiornanti nella
Comunit per un periodo prolungato (Gaja G., 1984, 123 ss.; ampia sintesi, ora,
in House of Lords, 2001).
LAtto Unico
europeo del 1986 ribadiva il principio della libera circolazione (art. 7A),
eliminando cos ogni dubbio, almeno secondo la Commissione Europea, sulla
legittimazione attiva di tutte le persone, extracomunitari compresi. La
Commissione aveva infatti fornito uninterpretazione del nuovo articolo
interpretazione invero non unimamente
da tutti gli Stati membri secondo la quale la libera circolazione
delle persone riguarderebbe tutti gli individui legalmente presenti
nellUnione, indipendentemente dalla loro nazionalit. Agli extracomunitari, in
ogni caso, veniva riconosciuto solo il diritto dingresso, visto che quelli di
soggiorno e di accesso al lavoro
erano prerogativa esclusiva dei cittadini europei.
Il principio di libera circolazione delle
persone stato tuttavia oggetto di contrastanti interpretazioni nel
corso di un ampio dibattito avvenuto nel corso degli anni Ottanta. Alcuni Stati
membri sostenevano infatti la tesi che il principio di libera circolazione
avrebbe dovuto riguardare i
soli cittadini europei; questi Stati
erano cio propensi a mantenere
i controlli alle frontiere allo
scopo di controllare laccesso dei soggetti provenienti da Paesi terzi. Altri
Stati membri sostenevano una tesi contrapposta, e cio che quello di libera
circolazione fosse un principio valevole per tutti e che quindi i suddetti
controlli alle frontiere non avevano pi ragione di esistere.
In considerazione dell'impossibilit di
giungere a un accordo comune tra tutti i Paesi della Comunit Europea, Francia,
Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi nel 1985 raggiunsero un accordo al
fine di creare fra di essi un
territorio senza frontiere, il cosiddetto spazio Schengen (dal
nome della citt lussemburghese nella quale sono stati firmati i primi accordi.
Il testo dellaccordo in
http://www.lex.unict.it/dml-online/corrente/online/dossier/dossier.htm).
Al fine
di evitare che il principio di
libera circolazione tra gli Stati partecipanti allaccordo Schengen si
scontrasse con la necessit di assicurare la sicurezza degli
Stati firmatari, vennero anche previste le cosiddette misure compensative, e
precisamente dei provvedimenti volti a migliorare il coordinamento tra polizia,
dogane e amministrazioni giudiziarie nonch a combattere, in particolare, il
terrorismo e la criminalit organizzata. A tale scopo, venne istituito il Sistema
d'informazione Schengen (SIS), che consente di
scambiare dati sull'identit delle persone e sulla descrizione degli oggetti
ricercati.
Lo
spazio Schengen si progressivamente esteso a quasi tutti gli Stati membri,
tranne il Regno Unito e l'Irlanda. Gli accordi sono stati firmati dall'Italia
il 27 novembre 1990, dalla Spagna e dal Portogallo il 25 giugno 1991, dalla
Grecia il 6 novembre 1992, dall'Austria il 28 aprile 1995 e da Danimarca,
Finlandia e Svezia il 19 dicembre 1996.
Scopo
fondamentale dellAccordo di Shengen leliminazione graduale dei controlli
alle frontiere comuni. Il titolo stesso dei due trattati internazionali, oltre
che il preambolo ove sono elencati gli scopi perseguiti dalle parti contraenti,
contiene due precisi riferimenti. Il primo, che il presupposto dellazione
perseguita dagli stati, lesistenza di frontiere comuni, intende, per le
quali si ritiene necessaria una disciplina comune ovvero armonizzata,
consistente nelleliminazione dei controlli alle frontiere. Il secondo riguarda
la gradualit dellintervento che gli stati concordano di attuare:
leliminazione dei controlli alle frontiere non pu essere graduale, poich si tratta di processo
complesso iniziato nellambito delle Comunit europee e, ancor prima,
dellUnione economica Benelux (1958) , proseguito con le modifiche appropriate
dallAtto Unico europeo (1986) e dal Trattato di Maastricht sullUnione europea
(1992) (Nascimbene B., 1998, 1).
Fra le
misure di maggiore rilievo adottate in riferimento allarea Shengen vanno segnalate:
a) l'abolizione dei controlli alle frontiere comuni e il loro trasferimento
alle frontiere esterne; b) la definizione comune delle condizioni di
attraversamento delle frontiere esterne; c) la separazione, negli aeroporti e
nei porti, dei viaggiatori che si spostano all'interno dello spazio Schengen da
quelli di diversa provenienza; d) l'armonizzazione delle condizioni di ingresso
e di concessione dei visti per i brevi soggiorni; e) l'avvio di un coordinamento fra le diverse
amministrazioni per la sorveglianza delle frontiere (ufficiali di collegamento,
armonizzazione delle istruzioni e della formazione impartite al personale); f)
la definizione del ruolo dei trasportatori nella lotta contro l'immigrazione
clandestina; g) la dichiarazione obbligatoria per tutti i cittadini di paesi
terzi che circolino da un paese all'altro; h) la definizione di norme sulla
responsabilit delle domande di asilo (convenzione di Dublino); i)
l'instituzione di un diritto di pedinamento e di inseguimento da un paese all'altro;
l) il rafforzamento della cooperazione giudiziaria mediante un sistema di
estradizione pi rapido e una migliore trasmissione dell'esecuzione delle
sentenze penali; m) la creazione del sistema d'informazione Schengen (SIS).
Tutte
queste misure costituiscono "l'acquis di
Schengen" unitamente alle decisioni e alle dichiarazioni adottate dal
comitato esecutivo istituito dalla convenzione di applicazione del 1990, agli
atti adottati ai fini dell'attuazione della convenzione dagli organi a cui il
comitato esecutivo ha affidato poteri decisionali, all'accordo firmato il 14
giugno 1985, alla convenzione di applicazione dell'accordo, firmata il 19
giugno 1990, nonch ai successivi protocolli e accordi di adesione.
Sebbene non si
possano negare i progressi compiuti con laccordo di Shengen (sullo stato di
attuazione dellaccordo di Schengen cfr. Comitato Shengen, 2000), il quadro
normativo emerso in seguito alla promulgazione dellAtto Unico Europeo, in
definitiva, non ha fatto altro che confermare lassenza dal Trattato di una
politica di immigrazione, con il solo merito di aver definitola base normativa
ed istituzionale in cui tale materia andava trattata e cio gli accordi
intergovernativi (nel quadro dunque del Terzo Pilastro). Questo ha
significato che sono stati direttamente gli Stati, senza mediazione alcuna
delle istituzioni comunitarie, a conformare le politiche dellimmigrazione in ambito europeo ispirandole ad una
rigorosa logica di difesa della
sovranit (Caruso B., 2000).
Il problema della
definizione di una politica di immigrazione a livello comunitario non sarebbe
probabilmente stato mai affrontato se non si fossero nel contempo registrati
drammatici cambiamenti geopolitici a livello mondiale. Prima di tutto il crollo
dellUnione Sovietica, un impero demograficamente gigantesco, la cui
disgregazione ha causato
lapertura di nuovi flussi di immigrazione dallEst dEuropa diretti
principalmente verso i Paesi europei occidentali. Poi la guerra in Iugoslavia,
linstabilit politica ed economica in Afganistan, Iran, Iraq e in molti altri
Paesi ha contribuito allintensit dei flussi migratori. Senza dimenticare che
lEuropa di oggi registra un netto declino demografico e quindi limmigrazione
in questo contesto assume una funzione indispensabile, sia dal punto di vista
demografico, sia dal punto di vista delle necessit del mercato del lavoro
(cfr., puntualmente, Blanpain R., 1999, spec. 14. Sulle determinanti
demografiche, politico-sociali, economiche, ambientali e naturali delle
migrazioni cfr., da ultimi, Censis, 2000; Fondazione De Benedetti 2001. Per un
quadro di sintesi cfr. anche Sassen S., 2000).
I dati empirici
sono quantomai emblematici (cfr. le Tavole n. 1, n. 2 e n. 3 qui di
seguito allegate). Dal 1989, la
migrazione netta (e cio il saldo annuale tra immigrazione ed emigrazione
valutato tenendo conto anche degli effetti di nascite e morti nellanno
interessato) stata la componente principale dei cambiamenti annuali della
popolazione allinterno dellUnione Europea. Nel 1999, in particolare, il tasso
annuale di migrazione netta stato dell1.9 per cento per mille della
popolazione, rappresentando circa il 70 per cento della crescita totale della
populazione (Eurostat, 2001, 7). Nel 1999 nei 15 Paesi della Comunit
registrati circa 350 000 richieste di asilo (Eurostat, 2001, 7). I dati
Eurostat dimostrano che dopo un picco di circa un milione di persone lanno nei primi anni Novanta,
la migrazione netta nellUnione Europea successivamente diminuita
rapidamente, per iniziare a risalire fino a 700.000 nel 1999. Mediamente negli
anni 1990-1998 il tasso migratorio netto nellUE stato del 2,2 per mille
persone contro il 3 degli USA, il 6 del Canada e lapprossimato a 0 del
Giappone. I flussi sono attualmente composti da una combinazione di persone: richiedenti asilo, sfollati
e richiedenti protezione
temporanea, famigliari che
si ricongiungono con immigrati gi
stabiliti nellUE, lavoratori migranti e immigranti per attivit economiche,
che sono in aumento. Il ricongiungimento famigliare e lesistenza di
comunit etniche dei paesi di
origine in un determinato paese
sono diventati fattori importanti in riferimento allentit e alla direzione
dei processi. I flussi sono diventati pi flessibili in particolare si sono registrati aumenti degli
spostamenti di breve durata e transfrontalieri con configurazioni complesse
in entrata ma anche in uscita dallUnione (Commissione Europea 2000, 22-23).
Tranne che nei
Paesi dellEuropa meridionale, dove tuttavia i tassi di lavoro nero degli immigrati
(clandestini e non) sono tra i pi elevati, e i Paesi che adottano pratiche di
naturalizzazione degli abitanti delle ex colonie, la forza-lavoro
extracomunitaria rappresenta una quota assai rilevante tra il 5 e il 10 per
cento della forza lavoro totale (cfr. la Tavole n. 4).
Tavola 4: percentuale
dei lavoratori stranieri sul totale degli occupati (fonte
OCSE: dati pubblicati da Il Sole 24 Ore del 13 luglio 2001)
Austria |
Belgio |
Francia |
Germania |
Italia |
Olanda |
Portogallo |
Spagna |
Svezia |
UK |
9,9 |
8,8 |
6,1 |
9,1 |
1,7 |
2,9 |
1,8 |
1,2 |
5,1 |
3,9 |
In questo scenario
diventata subito evidente la necessit di una armonizzazione e/o
coordinamento delle legislazioni nazionali in tema di immigrazione di cittadini
extracomunitari (Baldwin-Edwards M., 1997; Caruso B., 2000). Anche i pi
decisivi sostenitori di una politica di immigrazione zero hanno infatti
dovuto ammettere che nellattuale contesto mondiale una siffatta politica non
trova pi giustificazione.
La difficolt
della definizione di una politica di immigrazione a livello comunitario
consiste nel fatto che limmigrazione sempre stata, anche giustamente,
considerata un tema molto delicato e complesso che coinvolge direttamente gli
interessi nazionali; per questo motivo tutti i Paesi hanno sempre cercato di gestire il problema degli immigrati in modo autonomo. Del
resto, vero che linsieme delle specificit nazionali, sia con riferimento
alla tipologia dei flussi migratori sia al grado e tipo di esposizione al
fenomeno (su cui diffusamente Pastore F., 1999), danno corpo a divergenze
macroscopiche tra gli obiettivi fondamentali di politica migratoria dei diversi
Stati europei e questo a prescindere, in larga misura dai mutamenti delle
maggioranze politiche volta a volta prevalenti a livello nazionale (Pastore
F., 1999, 8).
Il primo concreto
tentativo di affrontare questo problema a livello di un accordo
inter-governativo stato, come gi rilevato, lAccordo di Schengen, quando il
controllo delle frontiere interne dei Paesi aderenti a tale intesa stato
tolto. Alla luce degli scenati geopolitici e demografici sopra sintetizzati, vi
tuttavia un consenso assai ampio, se non unanime, tra i Quindici (compresi
sembrerebbe, quelli che del sistema Schengen non fanno parte), sul fatto che
la disciplina Schengen oggi non
sia pi sufficiente e non possa, quindi, che costituire una base per una
costruzione normativa ben pi estesa e articolata. Manca del tutto, invece, il
consenso su quali debbano essere le tappe, i ritmi e i contenuti di questa ulteriore costruzione
(Pastore F. 11. Sulle politiche europee di immigrazione cfr, in generale,
Hailbronner K., 2000).
Gli ordinamenti
nazionali degli Stati membri dellunione Europea riservano tutti
indistintamente un trattamento giuridico specifico, e profondamente
differenziato (vedi la Tavola n. 5 qui di seguito riprodotta) ai cittadini di
paesi terzi che rende particolarmente problematica e poco efficace e la
strategia di governo dei flussi migratori. In particolare, lo status di residente a lungo periodo si concreta spesso in un
titolo di soggiorno permanente o di validit illimitata, o in un permesso di
stabilimento. Il primo criterio per acquisire questi titoli di soggiorno a
tempo indeterminato la durata della regolare permanenza nel territorio, che
pu variare dai due ai quindici anni. La validit dello status e quella del titolo di soggiorno che ne
consegue hanno spesso durata diversa. Lo status in genere permanente, mentre il titolo va
rinnovato. In tredici Stati membri
lo status di residente
permanente d accesso al mercato del lavoro senza restrizioni. Nella
maggioranza deli Stati membri, i residenti di lungo periodo possono beneficiare
della previdenza sociale e dellassistenza sociale allo stesso titolo dei
cittadini, salvo in alcuni Stati in cui sono esclusi dal diritto a
questultima. Cinque Stati membri riconoscono ai residenti di lungo periodo la
capacit di votare e di essere eletti alle elezioni comunali. Due altri Stati
riconoscono questo diritto sulla base del principio della reciprocit. Per la
stragrande maggioranza degli Stati membri, la disoccupazione o insufficienza
del reddito non costituiscono ragioni sufficienti per la revoca. Lo status di residente permanente o di lunga durata
garantisce maggiori certezze giuridica al suo titolare, che gode di una
maggiore tutela contro lespulsione.
E proprio a
partire da queste diversit e relative difficolt - che la Commissione
Europea ha recentemente intrapreso un percorso volto a coordinare a livello
comunitario le politiche di immigrazione dei singoli stati nazionali. Punto di
partenza di questa nuova strategia sono le competenze definite nel Trattato di
Amsterdam del 1997.
Tavola 5 Legislazioni Europee sulla concessione
dello status di residente agli extracomunitari Fonte: Commissione Europea
|
Status di
residente per legge |
Anni necessari
per lo status di residente |
Ottenimento dello
status:diritto o discrezione? |
Lo status di
residente permanente? |
Diritto al
ricongiungimento con i familiari? |
impiego |
Sicurezza sociale
come gli altri cittadini ? |
Esistenza sociale
come gli altri cittadini? |
Diritti di voto |
Perdita della
residenza in caso di reati? |
Perdita perdita di residenza in caso di
disoccupaziono indigenza ? |
Perdita della
residenza in caso di assenza dal
territorio? |
Anni di residenza
necessari per la citadinanza |
Austria |
Si |
5 |
Diritto |
Si |
Si, ma con quote |
Con permesso di lavoro |
Si con alcune
eccezioni |
No |
No |
Si |
No solo non cՏ autosufficienza |
No |
10 |
Belgio |
Si |
5 |
Diritto |
Si |
Si |
Accesso libero |
Si,con alcune accessioni |
Si |
Dopo il 2001 |
S i |
No |
Si, dopo 1 anno |
3 |
Danimarca |
Si |
3 |
Diritto |
Si |
Dopo 3 anni con permesso permanente |
Accesso libero |
Si |
Si |
Elezioni locali
dopo 3 anni |
Si |
No |
Si, dopo 1 anno |
7 |
Finlandia |
Si |
2 |
Diritto |
Si |
Si |
Accesso libero |
Si |
Si |
Elezioni locali
dopo 2 anni |
Si |
No |
Si, dopo 2 anni |
5 |
Francia |
Si |
Dopo 3, 5 o 10 |
Diritto/discrezione |
10 anni |
Si |
Accesso libero |
Si |
Si |
No |
Si |
No |
Si, dopo 3 anni |
5 |
Germania |
Si, 2 permessi |
- |
Diritto |
Si |
Si |
Accesso libero |
Si |
Si |
No |
Si |
No |
Dopo 6 mesi |
8 |
Grecia |
Si |
15 |
Diritto |
Si |
Dopo 5 anni |
Accesso libero |
Si |
No, solo in base a trattati |
No |
Si |
- |
No |
10 |
Irlanda |
No , gestione amministrativa |
5 o 10 |
Discrezione |
Si |
Si |
Permesso di lavoro |
Si |
Si |
Solo per elezioni
locali |
Si |
Si |
Dopo circa 18
mesi |
5 |
Italia |
Si |
5 |
Diritto |
Si |
Si |
Accesso libero |
Si |
Si |
No |
Si |
No |
No |
10 |
Lussemburgo |
Si |
5 anni di impiego regolare |
Discrezione |
5 anni |
Si |
Permesso di lavoro |
Si |
No |
No |
Si |
Si |
Dopo 6 mesi |
10 |
Paesi Bassi |
Si |
5 |
Diritto |
Si |
Si |
Accesso libero |
Si, con una eccezione |
Si |
A livello locale
dopo 5 anni |
Si |
No |
Dopo 9 mesi |
5 |
Portogallo |
Si |
10 |
Diritto |
Si |
Si |
Accesso libero |
Si |
Si |
Dopo 5 anni su
basse reciproca |
Si |
Nd |
Dopo 2 anni o 30
mesi nellarco di 3 anni |
10 |
Regno unito |
Si |
4 |
Consuetudine amministrativa |
Si |
Si |
Accesso libero |
Si |
Si |
Solo cittadini Commonwealth |
Si |
No |
Dopo 2 anni |
5 |
Spagna |
Si |
5 |
Diritto |
Si |
Si |
Accesso
libero |
Si |
Si |
A livello locale
su base reciproca |
Nessuna norma
esplicita |
No |
Nd |
10 |
Svezia |
Si |
4 |
Discrezione |
Si |
Si |
Accesso libero |
Si |
Si |
A livello locale
dopo 3 anni |
Si |
Nd |
Si se domiciliato
allestero |
5 |
E nel Trattato di
Amsterdam del 1997 che la competenza della Comunit in materia di asilo e
immigrazione viene stabilita, per la prima volta, in modo specifico. Da materia
oggetto di coordinamento intergovernativo nel quadro del c.d. Terzo Pilastro,
le politiche di immigrazione
rientrano da questo momento nel programma dazione comunitario che deve
essere adottato dal Consiglio per istituire progressivamente nellarco di
cinque anni dallentrata in vigore del Trattato uno spazio di libert,
sicurezza e giustizia (artt. 61-63).
Larticolo 63 del
Trattato individua, in particolare, quattro distinte linee di intervento in
materia di immigrazione e asilo, articolate in:
I)
misure in materia di asilo nei seguenti settori:
a) criteri e meccanismi per determinare quale Stato membro competente per
lesame della domanda di asilo presentata da un cittadino di un paese terzo in
uno degli Stati membri;
b) norme minime relative allaccoglienza dei richiedenti asilo negli Stati
membri;
c) norme minime sulle procedure applicabili negli Stati membri per la
concessione o la revoca dello status
di rifugiato;
II)
misure applicabili ai rifugiati ed agli sfollati nei seguenti settori:
d) norme minime per assicurare protezione temporanea agli sfollati di paesi terzi che non possono
ritornare nel paese di origine e per le persone che altrimenti necessitano di
protezione internazionale;
e) promozione di un equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono
i rifugiati e sfollati e subiscono le conseguenze dellaccoglienza degli
stessi;
III) misure in materia
di politica di immigrazione nei
seguenti settori:
f) condizioni di ingresso e di soggiorno e norme sulle procedure per il
rilascio da parte degli Stati membri di visti a lungo termine e di permessi di
soggiorno, compresi quelli rilasciati a scopo di
ricongiungimento familiare;
g) immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone
in soggiorno irregolare;
IV) misure che definiscono con quali diritti e a quali
condizioni i cittadini di paesi
terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro possono soggiornare in
altri Stati membri.
Sulla
scorta di questa base giuridica, il Consiglio Europeo di Tampere ha adottato,
nellottobre 1999, nelle proprie conclusioni ([3]) gli elementi di una politica comune nellUnione Europea in materia di
asilo e immigrazione che, insieme al piano dazione approvato dal Consiglio di
Vienna nel 1998 ([4]), costituisce ora il punto di partenza di un programma di lavoro della
Commissione e degli Stati membri che viene reso operativo mediante un Quadro
di controllo ([5]).
In
particolare, il Consiglio Europeo di Tampere ha riconosciuto che gli aspetti
separati, ma strettamente connessi, dellasilo e della migrazione richiedono la
definizione di una politica comune a livello comunitario, secondo le seguenti
quattro linee di intervento:
A) Partenariato con i paesi di origine: LUnione europea ha bisogno
di un approccio generale al fenomeno della migrazione che abbracci le questioni
connesse alla politica, ai diritti umani e allo sviluppo dei paesi e delle
regioni di origine e transito. () Un altro elemento fondamentale per il
successo di queste politiche sar il partenariato con i paesi terzi
interessati, nella prospettiva di promuovere lo sviluppo comune (punto 11 delle Conclusioni).
B) Regime europeo comune in materia di asilo: Il Consiglio europeo
ribadisce limportanza che lUnione e gli Stati membri riconoscono al rispetto assoluto del
diritto di chiedere asilo. Esso ha convenuto di lavorare allistituzione di un
regime europeo comune in materia di asilo, basato sullapplicazione della
Convenzione della Ginevra in ogni sua componente, garantendo in tal modo che
nessuno venga esposto nuovamente alla persecuzione, ossia mantenendo il
principio di non-refoulment. () Nel lungo periodo, le norme comunitarie
dovrebbero indirizzarsi verso una procedura comune in materia di asilo e uno
status uniforme per coloro che hanno ottenuto lasilo, valido in tutta
lUnione (punto 13 e 15).
C) Equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi: LUnione europea
deve garantire lequo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano
legalmente nel territorio degli
Stati membri. Una politica di integrazione pi incisiva dovrebbe mirare a garantire loro diritti e
obblighi analoghi a quelli dei
cittadini dellUE. Essa dovrebbe inoltre rafforzare la non discriminazione
nella vita economica, sociale e culturale e prevedere lelaborazione di
misure contro il razzismo e la
xenofobia. () Occorre ravvicinare lo status giuridico dei cittadini dei paesi
terzi a quello dei cittadini degli Stati membri. Alle persone che hanno
soggiornato legalmente in uno Stato membro per un periodo di tempo da definire
e che sono in possesso di un permesso di soggiorno di lunga durata dovrebbe
essere garantita in tale Stato membro una serie di diritti uniformi il pi
possibile simili a quelli di cui beneficiano i cittadini dellUE, ad esempio il
diritto a ottenere la residenza, ricevere unistruzione, esercitare unattivit
in qualit di lavoratore dipendente o autonomo; va inoltre riconosciuto il
principio della non discriminazione rispetto ai cittadini dello Stato di
soggiorno (punto 18 e 21).
D) Gestione comune dei flussi migratori: Il Consiglio europeo
sottolinea la necessit di una gestione pi efficace dei flussi migratori in
tutte le fasi. Esso richiede che siano sviluppate, in stretta cooperazione con
i paesi di origine e transito, campagne di informazione sulle effettive possibilit di
immigrazione legale e che siano adottate misure per prevenire qualsiasi forma
di tratta di essere umani. Dovrebbe essere ulteriormente sviluppata unattivit
politica comune in materia di
visti e documenti falsi, che preveda anche una pi stretta cooperazione fra i consolati dellUE nei paesi terzi
e, se necessario, la creazione di servizi comuni dellUE preposti al rilascio
dei visti (punto 22).
In tale contesto, il Consiglio Europeo di Tampere ha in particolare riconosciuto
la necessit di un ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle
condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini dei Paesi terzi, in base
a una valutazione comune sia degli sviluppi economici e demografici allinterno
dellUnione sia della situazione nei paesi di origine, A tal fine, esso
richiede al Consiglio decisioni rapide, sulla base di proposte della
Commissione. Tali decisioni dovrebbero tenere conto non solo della capacit di
accoglienza dei singoli Stati membri ma anche dei loro legami storici e
culturali con i paesi di origine (punto 20).
Tenuto conto della
natura complessa della politica dellimmigrazione e dei suoi effetti su numerosi versanti sociale,
economico, giuridico e culturale la Commissione, sviluppando le indicazioni
contenute nelle Conclusioni del Consiglio Europeo di Tampere, ha opportunamente
precisato che per implementare il programma legislativo previsto allart. 63
del Trattato CE, non ci si possa semplicemente affidare al metodo di un pezzo
alla volta ma occorre una strategia complessa, A questo fine la Commissione ha
delineato un programma di intervento per conseguire lobiettivo di una politica
comune in materia di immigrazione efficacemente sintetizzato nella Comunicazione su
una politica comunitaria in materia di immigrazione ([6]).
Tavola 6. Percentuale di persone in favore di una politica
comune a livello comunitario in materia di immigrazione
Secondo la Comunicazione della Commissione (Commissione
Europa, 2001) le linee guida dovranno interessare le seguenti aree: gestione
dei flussi migratori, ammissione degli immigrati economici, partenariato con i
paesi terzi e integrazione dei cittadini extracomunitari. Le prime linee guida dovrebbero essere
approvate dal Consiglio nel 2001 e saranno poi oggetto di revisione annuale
(possibilit anche questa garantita dal metodo aperto di coordinamento, come
del resto avvenuto in materia di occupazione a partire dal Consiglio
Straordinario sulloccupazione di Lussemburgo del 1997), anche alla luce delle
rilevazioni comparative in merito ai flussi di immigrazione e alle procedure di
asilo che consentiranno di effettuare con pi effettivit il monitoraggio e la
valutazione della politica migratoria, garantendo al contempo la diffusione
delle best
practices.
4. Limplementazione delle linee guida per
limmigrazione mediante lelaborazione del Piano Nazionale per limmigrazione.
Gli sviluppi pi recenti dei rapporti tra Europa e
immigrazione sembrano dunque orientarsi verso un deciso salto di qualit nelle
politiche nazionali e comunitarie in materia di immigrazione e asilo. Come
infatti rilevato da Guido Bolaffi
(2001), con riferimento allItalia ma con considerazioni estensibili a
tutta lUnione Europea, quando un Paese decide di aprire consapevolmente le
sue frontiere agli immigrati lo deve fare in base ad un progetto sopportato da
dati precisi sulle tendenze della demografie, sulle esigenze delleconomie,
sulle domande sociali, rispettando
da un lato i vincoli geo-politici e dallaltro le sue tradizioni culturali. E
questo proprio quello che si potr fare con ladozione a livello comunitario
del metodo del coordinamento aperto.
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* Il presente saggio
costituisce una breve sintesi di un pi ampio lavoro in tema di Problemi e
prospettive delle politiche di immigrazione in Italia e in Europa, svolto dallA.,
in qualit di borsista della Facolt di Relazioni Internazionali della Sankpeterburgsky
Gosudarstvenny Universitet (Russia), durante un periodo di soggiorno presso il
Centro Studi Internazionali e Comparati dellUniversit di Modena e Reggio
Emilia, diretto dal prof. Marco Biagi, che qui si intende ringraziare per
lospitalit. Ringrazio anche il prof. Michele Tiraboschi che ha letto varie
versioni del presente scritto fornendomi prezioni consigli per la redazione del
testo finale.
[1] Giustamente
Caruso B., 2000, ricorda che per tutti gli anni Cinquanta e Sessanta il
fenomeno della immigrazione ha
interessato unicamente i Paesi Europei economicamente pi solidi, bisognosi di
manodopera, rilevando dunque, semplicemente, alla stregua di un fenomeno
economico (non sociale e neppure politico), puramente legato alle dinamiche
del mercato del lavoro.
[2] Per la
distinzione concettuale tra politiche per limmigrazione e
politiche della immigrazione, come noto risalente alla immigration law nord-americana,
cfr., nella letteratura italiana, DAuria G., 1997, 141. In sintesi: mentre le
prime contemplano tutte le misure nei confronti degli immigrati gi presenti
sul territorio nazionale, le seconde riguardano gli interventi per fronteggiare
la pressione migratoria e regolare i flussi in ingresso dei nuovi immigrati.
[3] SN 200/99
(Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Tampere, 15 & 16
ottobre 1999)
[4] GU C 19 del
23.1.1999
[5] COM (2000) 167
(Quadro di controllo per lesame dei progressi compiuti nella creazione di uno spazio
di libert, sicurezza e giustizia nellUnione europea).
[6] COM(2000) 755
def.
[7] Direttiva
2000/43, OJ L 180 del 19.7.2000 e la Direttiva 2000/78 OJ L 303 del 2.12.2000
[8] COM(1999)638
def. del 1.12.1999. La proposta attualmente allesame del Consiglio
(COM(2000)624 versione modificata del 10 ottobre 2000.
[10] Particolarmente
significativa, a questo proposito, anche la scelta di intervenire
contestualmente in materia di immigrazione e asilo: scelta che garantisce
indubbiamente organicit e completezza allintervento delle istituzioni
comunitarie. La scissione tra queste due tematiche invece un dato
caratterizzante e da questo punto di vista negativo della legislazione
italiana. Il D.lgs. n. 286/1998, che pure costituisce il Testo Unico in materia
di immigrazione non affronta la questione dellasilo (oggetto di uno specifico
disegno di legge allesame del Parlamento) e questo priva la legge della sua
organicit. Cos Bonetti P., 1998, 138.
[11] ???..
[12] In questa
prospettiva, con riferimento allItalia ma con considerazioni estensibili alle
politiche comunitarie, v. gi Biagi M., 2001b, secondo cui appare adecisivo
pervenire a forme di pre-selezione e formazione della manodopera
extracomunitaria gi nel Paese dorigine, valorizzando adeguatamente intese e
accordi bilaterali con i Paesi di tradizionale immigrazione verso il nostro.