MINISTERO DELLA GIUSTIZIA TEDESCO
COLLOQUIO TEDESCO- FRANCESE – ITALIANO
IN TEMA DI DIRITTO D’ASILO
WUSTRAU SETTEMBRE 2003
DIRITTO D’ASILO E STATUS DI RIFUGIATO NELL’ORDINAMENTO ITALIANO
Relazione di Carlo Taglienti
La presente
relazione ha il limitato scopo di fornire un quadro generale dell’ordinamento
italiano in materia di diritto d’asilo e di status di rifugiato; non può
pertanto avere l’ambizione di essere puntuale ed esaustiva su ogni aspetto
dell’articolata disciplina nazionale.
I vari argomenti
verranno pertanto esposti in maniera descrittiva, senza approfondimenti
problematici riguardanti la coerenza delle norme ed i contrasti
giurisprudenziali; approfondimenti che potranno essere rimessi, se del caso, al
dibattito.
1. Le Fonti
Gli istituti giuridici
del diritto d’asilo e dello status di rifugiato, riguardanti i cittadini
stranieri presenti sul territorio nazionale, trovano la loro fonte di
disciplina in primo luogo nella Costituzione Repubblicana, e quindi in leggi
ordinarie e regolamenti di attuazione ed esecuzione.
1.1 L’articolo
10 comma 3 della Carta costituzionale italiana, fornisce la definizione del diritto d’asilo, laddove prevede,
come di seguito meglio si vedrà, una tutela per lo straniero che non possa
godere nel proprio paese di garanzie di libertà democratiche quali quelle
assicurate presso lo Stato italiano.
L’articolo 117,
nella nuova formulazione introdotta dalla legge costituzionale n.3 del 18
ottobre 2001, dettata in particolare per disciplinare l’autonomia normativa
regionale, mantiene allo Stato la competenza esclusiva in materia di diritto
d'asilo e tutela degli stranieri.
1.2 Le
principali fonti ordinarie, in vero orientate essenzialmente a disciplinare lo
status di rifugiato, sono costituite in primo luogo da due leggi di ratifica di
Convenzioni internazionali: legge 24 luglio 1954 n. 722, di ratifica della
Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, relativa allo statuto dei
rifugiati; legge 23 dicembre 1992 n.
523, di ratifica della Convenzione di Dublino del 15 giugno 1990, relativa alla
determinazione dello Stato competente per l’esame di una domanda di asilo
presentata in uno degli Stati della Comunità europea.
Il Parlamento
italiano è intervenuto anche con una
normativa d’urgenza, costituita dal decreto legge 30 dicembre 1989 n. 416,
convertito in legge 28 febbraio 1990 n. 39: di essa resta in vigore solo il
primo articolo, sostanzialmente integrato e modificato con gli articoli 31 e 32
della legge 30 luglio 2002 n. 189. Il D.P.R. 15 maggio 1990 n. 136 detta poi
norme regolamentari di attuazione dell’articolo 1 comma 2 del suddetto decreto
legge, che tuttavia risultano sostanzialmente superate dalle disposizioni
contenute nel citato articolo 32 della legge n.189/02.
Esiste poi
nell’ordinamento italiano un Testo Unico delle disposizioni concernenti la
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero,
approvato con decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, che contiene alcune
disposizioni utili da esaminare, anche se non espressamente dettate per la materia
qui in esame; nonché il regolamento di attuazione del suddetto testo unico,
approvato con DPR 31 agosto 1999 n. 394.
Può essere
infine utile ricordare il recente decreto legislativo 7 aprile 2003 n. 85, di
attuazione della Direttiva comunitaria 2001/55/CE relativa alla concessione
della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati ed alla
cooperazione in ambito comunitario, nel quale viene tra l'altro affermato il
principio (art.7) che l'ammissione alle misure di protezione temporanea non
preclude la presentazione dell'istanza per il riconoscimento dello status di
rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra .
2. Nozione ed ambito soggettivo di applicazione
2.1 Si deve principalmente alla giurisprudenza l’elaborazione di
una chiara nozione del diritto d’asilo e la precisa distinzione con lo status
di rifugiato.
In una nota
vicenda giudiziaria della fine degli anni novanta (causa Ocalan c/ Presidenza
del Consiglio), il Tribunale di Roma (sentenza 1 ottobre 1999) ha avuto modo di
precisare che, ai sensi dell’articolo 10 comma 3 della Costituzione, il diritto
di asilo si configura come un diritto soggettivo perfetto che sorge in capo
allo straniero allorchè venga accertato l’impedimento nel Paese d’origine
all’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione
italiana; in tale occasione il tribunale ritenne che in Turchia esisteva
all’epoca una diffusa compressione delle libertà fondamentali dell’individuo ed
in particolare, per gli appartenenti all’etnia curda, un impedimento
all’esercizio effettivo delle libertà democratiche che la Costituzione italiana
garantisce.
La qualità di
rifugiato si differenzia da quella di
avente diritto all’asilo perché postula, quale fattore determinante, il
presupposto del fondato timore di essere perseguitato (Corte di Cassazione,
sez. I^ civile, 9 aprile 2002 n. 5055).
Lo status di
rifugiato deve essere accordato qualora l’interessato abbia subito la
violazione di quei diritti umani fondamentali sanciti da documenti internazionali
che indichino chiaramente l’assenza di protezione da parte del paese d’origine;
il carattere della persecuzione, in atto o temuta, deve risultare personale e
diretta (Tribunale Amministrativo regionale Veneto, sez.III^ 31 luglio 2001 n.
2354).
Pertanto per
ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato è necessario un requisito
che non viene richiesto per l’accertamento del diritto d’asilo, e cioè la
sussistenza almeno di fondati motivi per ritenere che lo straniero subirebbe
nel proprio Paese una persecuzione; laddove per il diritto d’asilo è
sufficiente l’oggettiva mancanza di libertà democratiche nel Paese di
provenienza ( Tribunale Amministrativo Regionale Friuli Venezia Giulia, 18
dicembre 1991 n. 531; 23 gennaio 1992 n. 15).
Per quanto riguarda
poi il diritto d’asilo la giurisprudenza ordinaria, dopo una prima pronuncia
negativa (Tribunale di Roma 13 febbraio 1997) di inammissibilità della domanda
di riconoscimento del diritto d’asilo per mancanza di norme applicative della
Costituzione, ha poi decisamente ammesso che l’art. 10 comma 3 della
Costituzione ha carattere
immediatamente precettivo ed il diritto può essere esercitato anche in assenza
di leggi ordinare che diano attuazione al principio costituzionale (Tribunale
di Roma 1 ottobre 1999).
Su tali
posizioni si erano invece già da tempo orientati i Tribunali amministrativi
(T.AR Friuli Venezia Giulia 19 febbraio 1992 n. 91; TAR Lazio, sez.I^, 15
maggio 1986 n. 659), ammettendo una capacità di immediata applicazione della
norma costituzionale.
Appare evidente
che la mancanza di una legge ordinaria di attuazione del principio
costituzionale comporta interpretazioni giurisprudenziali che possono avere
conseguenze aberranti in ordine all’ambito soggettivo di applicazione.
Mentre quindi è
chiaro, per quanto sin qui detto, che la giurisprudenza desume la nozione di
diritto d’asilo dal disposto dell’art. 10 comma 3 della Costituzione italiana,
(il quale appunto prevede che lo straniero, al quale sia inibito nel proprio
Paese l’effettivo esercizio delle garanzie democratiche assicurate in Italia
dalla Costituzione, ha diritto di asilo nel territorio della Repubblica,
secondo le condizioni previste dalla legge), resta da precisare la principale
fonte normativa dello status di rifugiato.
Si deve ritenere
che tuttora la disciplina sostanziale più compiuta sia contenuta nella
Convenzione di Ginevra, recepita dalla legge italiana 24 luglio 1954 n. 722, il
primo articolo della quale attribuisce la qualità di rifugiato a colui che
abbia fondate ragioni di ritenersi perseguitato a motivo della sua razza, della
sua religione, della sua nazionalità, della sua appartenenza ad un certo gruppo
sociale o per le sue opinioni politiche , e non possa ricevere tutela nel
proprio paese.
La
giurisprudenza del Consiglio di Stato ha precisato che la posizione di
rifugiato si pone come “species” rispetto al “genus” costituito dal diritto
d’asilo (Sez. IV^ 11 luglio 2002 n. 3874); ed infatti nelle norme
dell’ordinamento positivo italiano le due figure giuridiche vengono spesso
usate promiscuamente: si veda ad es. il citato articolo 7 del decreto
legislativo 7 aprile 2003 n. 85 che reca la rubrica “istanze di asilo” e si
riferisce poi, nel testo, esclusivamente alla procedura di riconoscimento dello
status di rifugiato ai sensi della convenzione di Ginevra. Ma soprattutto si
consideri, come di seguito meglio si dirà, l’articolo 1 della legge n.523/92
cit., che definisce domanda di asilo l’istanza tesa ad ottenere il
riconoscimento dello status di rifugiato.
Lo straniero al
quale viene riconosciuta la posizione di rifugiato gode quindi di una
particolare tutela che l’ordinamento italiano ha specificato nell’ambito
dell’istituto generale del diritto d’asilo, previsto direttamente dalla
Costituzione. I contenuti della tutela, come si vedrà, in un primo tempo diversi, avendo in comune solo il diritto a
non essere espulsi dal territorio italiano, possono considerarsi attualmente
unificati..
2.2 Per quanto
riguarda l’ambito soggettivo di applicazione, deve in primo luogo ritenersi che il diritto d’asilo, e quindi anche
lo status di rifugiato, riguardino i cittadini extracomunitari; ciò sia perché
nell’ambito dell’Unione europea esiste una omogeneità di tutela costituzionale
delle garanzie democratiche tale che non può risultare applicabile il terzo
comma dell’articolo 10 della Costituzione italiana; sia per un dato letterale,
contenuto nell’articolo 1 del Testo unico sull’immigrazione e sulla condizione
dello straniero (D.Legs n. 286/98), il quale, in attuazione del secondo comma dell’art.10
della Costituzione ( “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla
legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali”), qualifica
sostanzialmente come straniero il cittadino di Stato non appartenente
all’Unione europea e l’apolide. Peraltro per i cittadini comunitari il secondo
comma del suddetto art.1 contiene una norma di salvaguardia che rende
applicabili anche ad essi le
disposizioni del testo unico se si tratti di “norme più favorevoli”.
Per quanto
concerne poi in particolare lo status di rifugiato, limiti soggettivi sono specificamente delineati dalla stessa
Convenzione di Ginevra, che esclude la sua applicabilità ad una serie di persone che si trovino in
determinate condizioni (cfr. art.1) quali ad es. soggetti considerati dalle
competenti autorità del paese nel quale essi hanno stabilito la loro residenza,
come aventi diritti ed obblighi propri di chi abbia la nazionalità di quel
paese (punto E), ovvero persone per le
quali vi siano seri motivi di ritenere che abbiano commesso un crimine contro
la pace, un crimine di guerra o un delitto contro l’umanità , o un reato grave
di diritto comune nei confronti del paese d’accoglienza, prima di essere
ammesse come rifugiate, o si siano rese colpevoli di azioni contrarie alle
finalità ed ai principi delle Nazioni Unite ( punto F).
3. Oggetto della tutela e procedura
3.1 La
giurisprudenza che aveva chiaramente distinto la fattispecie del diritto
d’asilo da quella specifica dello status di rifugiato, aveva anche avuto modo
di precisare, peraltro prima dell’entrata in vigore del Testo Unico
sull’immigrazione, come i contenuti della tutela fossero diversi, essendo
dettagliatamente previsti nella Convenzione di Ginevra solo quelli relativi al
rifugiato ( si vedano ad es. quelli relativi al divieto di discriminazioni per
ragioni di razza, religione o paese d’origine –artt.3 e 4- ovvero le tutele
accordate dal capo secondo sullo stato giuridico personale, i diritti di
proprietà , di libertà di associazione e di difesa in giudizio, dal capo terzo
sui diritti in tema di lavoro) e dovendosi quindi ritenere che il contenuto del
diritto d’asilo fosse sostanzialmente solo quello di non poter essere espulso
dallo Stato italiano (TAR Friuli Venezia Giulia 23 gennaio 1992 n.15).
Questo evidentemente
perché non esisteva, e tuttora non esiste come attuazione specifica, una
normativa primaria che dia esecuzione al disposto costituzionale dell’art.10
comma 3, sul diritto d’asilo.
Tuttavia il
Testo Unico sull’immigrazione e sulla condizione dello straniero (D.Leg.vo 25 luglio 1998 n. 286) contiene delle
disposizioni di carattere generale che, pur non facendo esplicito riferimento
né al diritto d’asilo né allo status di rifugiato, consentono di ritenere che
l’ordinamento italiano abbia sostanzialmente unificato la tutela concreta dello
straniero residente sul proprio territorio.
Ed infatti il
primo comma dell’art. 2 così testualmente recita “ Allo straniero comunque
presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i
diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto
interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto
internazionale generalmente riconosciuti”.
L’articolo
prosegue riconoscendo allo straniero presente sul territorio nazionale tutti i
diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano, salve disposizioni
specifiche particolari, parità di
trattamento con il cittadino in materia di lavoro, diritto alla partecipazione
alla vita pubblica, parità di accesso alla tutela giurisdizionale rispetto al
cittadino, e nei rapporti con la pubblica amministrazione.
Ovviamente “lo
straniero presente nel territorio italiano è comunque tenuto all’osservanza
degli obblighi previsti dalla normativa vigente” (Comma 9).
Convince per una
unificazione della tutela anche il primo comma dell’art. 5 del T.U. citato, il
quale stabilisce che possono soggiornare in Italia solo gli stranieri muniti di
carta di soggiorno o permesso di soggiorno; pertanto, a prescindere dalla più
diversa natura della ragione per la quale lo straniero richieda di soggiornare
in Italia ( turismo, lavoro, studio, ed anche verosimilmente asilo),in ogni
caso è necessario osservare la disciplina dettata per ottenere tali titoli
autorizzatori, ai quali è poi collegata la tutela precedentemente indicata, che
presuppone, in linea di principio, la regolarità amministrativa della
permanenza.
Completa in
certo senso la tutela dello straniero la previsione del combinato disposto
degli articoli 43 e 44 del T.U. cit riguardanti discriminazioni per motivi
razziali, etnici, nazionali o religiosi; è considerato atto discriminatorio,
nei confronti del quale si può chiedere tutela al giudice, “ogni comportamento
che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione,
restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o
l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose e che
abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento,
il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle
libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in
ogni altro settore della vita pubblica”.
Per affinità con
la materia qui in esame, si ricorderà infine l’art. 18 del T.U. cit il quale si
preoccupa di disciplinare un particolare tipo di permesso di soggiorno,
concesso per assicurare protezione sociale a stranieri assoggettati alla
violenza o allo sfruttamento da parte di associazioni criminali dedite allo
spaccio di stupefacenti o allo sfruttamento della prostituzione.
3.2 Rilevanti
novità sono state introdotte recentemente per la procedura riguardante il
riconoscimento del diritto d’asilo: il capo II^ della legge 30 luglio 2002
n.189, di modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo,
interviene pesantemente nella disciplina esplicita esistente, contenuta nel
decreto legge 30 dicembre 1989 n. 416,
convertito in legge 28 febbraio 1990 n.39, e nel relativo decreto di attuazione
(DPR n.136/90).
Alla procedura ordinaria, di competenza del questore per il
permesso temporaneo e per la raccolta degli atti istruttori, e delle apposite
Commissioni per il provvedimento definitivo di riconoscimento dello status, si
affianca ora una procedura così detta semplificata, che concerne i casi di
“trattenimento”, che riguardano sostanzialmente le ipotesi in cui lo straniero
non ha titolo per rimanere e deve essere espulso (o è già destinatario di un
provvedimento di espulsione).
Mentre infatti
lo straniero che ha soggiornato regolarmente può ottenere dal questore un
permesso di soggiorno transitorio per il tempo d’esame della sua istanza
d’asilo (art. 31 legge n. 189/2002, che modifica l’ultima parte del comma 5
dell’art.1 del D.L. n.416/98), chi non ha titolo a soggiornare, e richiede il
riconoscimento del diritto d’asilo, può essere, in linea di principio,
trattenuto solo per il tempo strettamente necessario alla definizione delle
autorizzazioni alla permanenza nel territorio dello Stato in base alle
disposizioni del Testo Unico sull’immigrazione e se già destinatario di
provvedimento di espulsione o respingimento, ovvero se sorpreso in condizioni
di soggiorno irregolare.
Il trattenimento
è attuato nei così detti centri di identificazione, ovvero di permanenza
temporanea e assistenza (per i destinatari di provvedimenti di espulsione o
respingimento) .
L’art.32 della
l.n.189/90, introducendo l’art.1 quater all’art.1 del D.L. n. 416/89, istituisce
le Commissioni territoriali per l’esame delle domande d’asilo, alle quali il
questore trasmette le istanze e gli atti.
La Commissione centrale per il riconoscimento
dello status di rifugiato, prevista dall’articolo 2 del regolamento di cui al
DPR 15 maggio 1990 n.136 è trasformata in Commissione nazionale per il diritto
d’asilo, cui sono attribuiti compiti di indirizzo e coordinamento delle
commissioni territoriali, nonché poteri decisionali in materia di revoca e
cessazione degli status concessi (art. 1 quinquies).
Anche qui emerge
come il legislatore italiano consideri sostanzialmente come unico istituto il
diritto d’asilo e lo status di rifugiato, in quanto sotto la rubrica “diritto
d’asilo” del capo II^ inserisce norme che disciplinano la richiesta di
riconoscimento dello status di rifugiato.
Ciò deriva verosimilmente da un dato
normativo, contenuto nell’art.1 della legge 23 dicembre 1992 n. 523, di
ratifica della Convenzione di Dublino
del 15 giugno 1990, in tema di determinazione dello Stato competente per
l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati della Comunità
europea: è infatti ivi detto che per domanda d’asilo s’intende “domanda con cui
uno straniero chiede ad uno stato membro la protezione della Convenzione di
Ginevra invocando la qualità di rifugiato ai sensi della summenzionata
convenzione, modificata dal protocollo di New York”.
A proposito di
tale convenzione di Dublino, resta infine da osservare come la legge n.
189/2002, al comma 5 dell’art.1 ter (introdotto nel D.L. 416/89) abbia previsto
la competenza dello Stato italiano per l’esame delle domande di riconoscimento
dello status di rifugiato, “ove i tempi non lo consentano”, ai sensi della
suddetta convenzione; considerato infatti che tale convenzione detta una
disciplina particolareggiata riguardante la competenza degli Stati comunitari
ad esaminare la domanda d’asilo, la norma qui in esame verosimilmente intende
affermare il principio che, in casi d’urgenza, si può derogare alle norme
convenzionali sulla competenza.
4 Giurisdizione
La competenza
giurisdizionale per la tutela del diritto d’asilo e per il riconoscimento dello
status di rifugiato ha subito vicende alterne nel tempo.
Pacifica è
sempre stata la giurisdizione del giudice ordinario in materia di diritto
d’asilo, che si configura come diritto soggettivo perfetto (Tribunale di Roma 1
ottobre 1999; Cassazione Civile Sezioni Unite, 26 maggio 1997 n. 4674) e che
nasce direttamente dall’art. 10 comma 3 della Costituzione.
Per quanto
riguarda invece il riconoscimento dello status di rifugiato, che avviene
attraverso una procedura amministrativa disciplinata dalla legge, l’art.5 del
decreto legge n. 416/89 prevedeva espressamente la giurisdizione del giudice
amministrativo avverso i provvedimenti di diniego di riconoscimento; era
altresì prevista la competenza giurisdizionale del giudice amministrativo anche
avverso i provvedimenti di espulsione e contro quelli di diniego e revoca dei
permessi di soggiorno.
Successivamente
l’art. 46 della legge n. 40 del 1998 ha abrogato detto articolo 5; abrogazione
confermata dall’art. 47 del Testo Unico.
In tale
situazione la Corte di Cassazione a sezioni unite ha affermato la giurisdizione
del giudice ordinario, riconducendo la condizione di rifugiato nell’ambito del
diritto d’asilo e quindi entro una posizione di diritto soggettivo perfetto,
con la conseguenza che gli atti amministrativi hanno natura dichiarativa e non
costitutiva (Cass. Sezioni Unite civili
17 dicembre 1999 n. 907).
Il Consiglio di
Stato invece affermava che, pur in presenza di detta esplicita abrogazione, la
giurisdizione doveva ritenersi sempre del giudice amministrativo, non potendosi
negare l’esistenza di un potere discrezionale da parte dell’amministrazione
nell’apprezzamento dei fatti e della loro rilevanza per il riconoscimento dello
status di rifugiato ( Cons di Stato sez. IV^
29 agosto 2002 n. 4336).
Il contrasto è
stato risolto dal legislatore che con l’articolo 32 della legge n. 189 /2002 ha
previsto che i ricorsi avverso gli atti della commissione territoriale
competente per il riconoscimento dello status di rifugiato, sono presentati al
tribunale in composizione monocratica territorialmente competente.
Per completezza
si ricorderà infine che avverso il diniego del permesso di soggiorno il ricorso
va presentato al Giudice amministrativo, in base all’art. 5 bis comma 10 del
T.U. n. 286/98; avverso il decreto di espulsione emanato dal prefetto la competenza
giurisdizionale è del giudice ordinario (tribunale in sede monocratica: art. 13
comma 8); avverso il decreto di espulsione emesso dal Ministro dell’Interno per
motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, il ricorso deve essere
presentato al giudice amministrativo (competenza territoriale del TAR del
Lazio, sede di Roma: art. 13 comma 11).