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Domenica 13 Giugno 2004 Chiudi chiudi finestra
Lanciata una proposta: rendere valida la semplice domanda. Il precedente del ’98 quando, senza passaporto, molti poterono passare il Natale in famiglia
Immigrati, permessi in ritardo: niente ferie a casa
La valanga di richieste ha mandato in tilt il sistema, senza regolarizzazione non possono lasciare l’Italia

di CORRADO GIUSTINIANI


ROMA - Da sei a otto mesi per un rinnovo a Milano, da otto mesi a un anno a Roma. Per centinaia di migliaia di stranieri regolari del nostro paese ai quali è scaduto, o sta per scadere, il permesso di soggiorno, si profila una sosta forzata in Italia non soltanto per le vacanze estive, ma anche per quelle di Natale. Niente ritorno in patria per riabbracciare genitori, fratelli, talvolta i figli, lasciati alle cure dei nonni. Imprigionati dalla burocrazia italiana. Una macchia, per un paese civile e democratico come è il nostro.
E’ stata la valanga delle 650 mila regolarizzazioni della Bossi-Fini a mandare in tilt il sistema. Con due prescrizioni che si stanno rivelando improvvide, e che condannano le forze di polizia a restare negli uffici a passare carte, invece che sulla strada. La prima: i permessi di soggiorno della maxi-sanatoria duravano al massimo un anno, anziché due, come in quella del 1998. La mole dei rinnovi si aggiunge così all’altro milione e mezzo di permessi regolari che progressivamente scadono, ed ecco il patatrac. Inoltre c’è un adempimento in più: a tutti gli stranieri, baby sitter o badanti, imprenditori o operai, in occasione del rinnovo vengono prese le impronte digitali. Operazione prima prevista solo per i criminali comuni.
Giuseppe Pisanu, ministro dell’Interno, nei giorni scorsi ha lanciato un messaggio tranquillizzante: «E’ sufficiente che l’interessato faccia domanda di rinnovo: la ricevuta attesta la regolarità della sua posizione». Già, ma non è utilizzabile per l’espatrio. Proposta: il ministro disponga invece che lo sia. Del resto, il tagliando reca una fotografia dell’immigrato, dati anagrafici e indirizzo.
Non sarebbe la prima volta che la ricevuta viene riconosciuta valida per lasciare il paese. Nel 1998, Rosa Russo Jervolino, ministro dell’Interno, diramò una circolare per consentire agli stranieri di tornare a casa per Natale esibendo la semplice prova della domanda. Sergio Briguglio, fra i maggiori esperti di immigrazione, propone una soluzione più radicale: «Si ammetta il silenzio-assenso per chi ha fatto domanda di rinnovo, ma non ha avuto risposta nel termine previsto dalla legge: che, non dimentichiamolo, è di venti giorni».
Non è poi vero che la ricevuta sia in ogni caso valida in Italia. Lo è per la polizia, ma non, solo per fare un esempio, per la Motorizzazione che in caso di conversione di patente richiede un permesso di soggiorno non scaduto. Raffaella Milano, assessore alle politiche sociali del Comune di Roma, forte di una memoria approvata dalla giunta capitolina, ha reso idoneo il cedolino che lo straniero ha ricevuto dal commissariato per l’accesso ad asili nido, licenze commerciali, graduatorie delle case popolari, aiuti per il pagamento dell’affitto e sta facendo pressioni sulle Asl perché adottino la stessa linea.
Pisanu aveva anche annunciato che il ministero dell’Interno «si sta organizzando per trasferire piano piano ai comuni la competenza sui permessi di soggiorno». Prima di lui, la proposta era stata lanciata da Susanna Camusso, segretaria regionale della Cgil lombarda, sulla scorta del miracolo di Brescia, reso possibile dalla collaborazione di 24 comuni della provincia, che hanno curato la presentazione della domanda e controllo dei documenti, evitando code ed agevolando il lavoro degli appena 45 addetti all’ufficio immigrazione. Così, con un bacino di ben 100 mila immigrati, i rinnovi vengono concessi in 45 giorni. «Ma c’è di più - dice l’ispettore Pablo Orlando, segretario provinciale del sindacato Silp - La Cgil ha fornito alla questura il programma informatico e altre forme di collaborazione. Ma l’emergenza cresce, e il rispetto dei tempi è sempre più difficle».