Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 488 del 12/7/2004
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TESTO DEGLI INTERVENTI DEI DEPUTATI GIUSEPPE MOLINARI, ELETTRA DEIANA E GUSTAVO SELVA IN SEDE DI DISCUSSIONE SULLE LINEE GENERALI DEL TESTO UNIFICATO DELLE PROPOSTE DI LEGGE NN. 1238-1554-1738-3847-3857-3883

GIUSEPPE MOLINARI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, finalmente i profughi della nave Cap Anamur potranno avere tutte le cure che un essere umano merita. Ma non si può dimenticare che è una soluzione tardiva, che ha trascinato il nostro Paese in una vicenda scandalosa. Il nostro paese, ignorando per due settimane i profughi sudanesi, ha misconosciuto il diritto internazionale sull'asilo e sui diritti umani. Chiediamo perciò che ai 37 sudanesi venga riconosciuto al più presto lo status di rifugiati e chiediamo al Parlamento di ripensare la legge sull'asilo, oggi all'esame dell'Assemblea.
Il diritto di asilo è un diritto umano fondamentale, riconosciuto dalle convenzioni internazionali e dalla Costituzione italiana. In Italia - unico tra i paesi dell'Unione europea - tale diritto non ha mai trovato attuazione in una legge organica.
La scorsa legislatura fu approvato un testo ma l'indizione dei comizi elettorali non permise al Senato di approvare definitivamente la legge. Questa lacuna legislativa rischia ogni giorno di mettere a repentaglio la sicurezza di chi arriva per cercare protezione.
Il gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo è quindi favorevole alla rapida approvazione della proposta di legge in materia di diritto d'asilo anche se auspichiamo che i lavori dell'Assemblea servano per eliminare alcuni errori presenti nel testo unificato oggi all'esame dell'Assemblea.
La legge è necessaria per attuare il diritto di asilo, così come previsto dall'articolo 10, terzo comma, della Costituzione, che stabilisce che lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla


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Costituzione italiana, «ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».
A tutt'oggi, fatta eccezione per talune norme introdotte recentemente con la legge n. 189 del 2002 che regola l'immigrazione nel nostro paese, manca nel nostro ordinamento una legislazione organica sul diritto d'asilo prevista dal citato articolo 10, terzo comma, della Costituzione.
La legge n. 722 del 1954, di esecuzione della Convenzione di Ginevra del 1951, relativa allo statuto dei rifugiati, ha introdotto nell'ordinamento italiano le prime norme in materia di attuazione del diritto di asilo.
Nel 1990 con la «legge Martelli», in considerazione dei profondi cambiamenti avvenuti nella parte orientale del continente europeo e della sostanziale trasformazione dell'Italia da paese di transito di esuli a nazione ove gli stessi possono stabilire permanentemente la loro dimora, si è pervenuti a una ridefinizione dell'istituto dell'asilo per adeguarlo alle nuove circostanze di carattere interno e internazionale. Tuttavia, le modalità con cui queste ultime norme furono introdotte - compendiate in un unico articolo di un decreto-legge - non permisero di realizzare una completa disciplina dell'istituto. L'esperienza finora acquisita ha rivelato l'inadeguatezza dello stesso concetto tradizionale di asilo di fronte a fenomeni di grave emergenza che si possono verificare in paesi confinanti con il nostro Paese, come nel caso della ex Jugoslavia, ovvero in Paesi più lontani, che per la particolare gravità degli eventi, hanno determinato la necessità di apprestare misure umanitarie.
Considerata quindi la necessità di introdurre una disciplina organica della complessa materia della tutela giuridica e dell'assistenza dei richiedenti asilo politico e dei rifugiati, anche per evitare che in una materia attinente alla protezione dei diritti umani, tema di valenza sempre più strategica nelle relazioni internazionali, l'Italia manifesti una lacuna e possa esporsi all'accusa di scarsa coerenza e impegno, è altrettanto necessario che l'aula sappia apportare le opportune modifiche al testo licenziato dalla Commissione affari costituzionali.
In particolare, il principio di cui all'articolo 7, comma l, secondo cui il richiedente asilo non può essere trattenuto al solo fine di esaminare la domanda di asilo presentata, non sembra pienamente rispettato dalle disposizioni dei successivi commi, anche perché i presupposti per il trattenimento risultano eccessivamente generici e possono consentire il trattenimento nei confronti della quasi totalità dei soggetti richiedenti asilo.
Ancora, l'istituto del trattenimento, come disciplinato dall'articolo 7, sembra non pienamente aderente alle garanzie necessarie in base al diritto internazionale consuetudinario, alle convenzioni internazionali e alla Carta costituzionale.
La disciplina della procedura semplificata per l'esame delle domande d'asilo, di cui all'articolo 9, sembra presentare elementi di ambiguità e difficoltà interpretativa. Chiediamo pertanto che la procedura semplificata sia applicata solo in casi strettamente limitati e puntualmente previsti dalla legge.
All'articolo 11 compare, poi, per la prima volta nella legislazione italiana il concetto di Stato di origine sicura. Secondo la legge la domanda di asilo è rigettata qualora il richiedente sia cittadino di uno Stato di origine sicura in base alle convenzioni internazionali e alla normativa comunitaria. Noi siamo per la soppressione di questa parte in quanto non esistono, nè nel nostro ordinamento nè a livello internazionale, disposizioni che consentano di individuare quali siano i paesi cosiddetti di «origine sicura».
Una legge sul diritto di asilo aiuterà il nostro paese a crescere nella tutela dei diritti fondamentali, ed a favorire una cultura della solidarietà internazionale e della integrazione fra i popoli.
Sarà indispensabile rimuovere con la legge una serie di ostacoli che sino ad oggi si sono frapposti alla piena attuazione dei diritti umani e civili in Italia, a cominciare dal riconoscimento della effettività del diritto


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soggettivo, sino alla attuazione di procedure e di una organizzazione che promuova questa forma di tutela.
Essere un paese di transito non ci onora, e tanto meno ci onora il vedere i casi di restituzione degli asilanti sotto l'egida della convenzione di Dublino, nè constatare che i richiedenti non si presentano dinanzi alla speciale commissione.
Non ci onora nemmeno la confusione ingenerata da una sordida cultura xenofoba, politicamente strumentalizzata, che ha volutamente alimentato la confusione tra l'immigrazione clandestina ed i flussi di profughi e asilanti.
Non basta una legge, per di più neanche troppo buona, per ritornare ad essere internazionalmente riconosciuti come una nuova patria ambita, ma servirà l'impegno politico nella quotidianità, attraverso gesti di attenzione e di buona amministrazione che sino ad oggi non abbiamo constatato, soprattutto nelle politiche di immigrazione, affidate alle maxi-sanatorie.
Confidiamo pertanto che nasca da una nuova legge anche una nuova mentalità, alla quale cercheremo di dare il nostro contributo ideale, fatto del nostro sentire i problemi del mondo come i nostri, con lo sguardo rivolto alle sofferenze delle tante guerre dimenticate ed alla disperazione dell'Africa.
Signor Presidente, il gruppo della Margherita, DL-L'Ulivo, insieme agli altri gruppi del centrosinistra, ha presentato diversi emendamenti per affrontare le questioni più problematiche e preoccupanti e spera che il lavoro dell'Assemblea sappia cogliere ciò che di buono abbiamo proposto per cercare di avviare, dopo le disastrose posizioni del passato, una nuova stagione del bene comune.

ELETTRA DEIANA. Il diritto di asilo in Italia è sancito dall'articolo 10 della Costituzione, anche se le attuali «condizioni stabilite dalla legge» sembrano contraddire nei fatti il dettato costituzionale. La dottrina considera l'articolo 10 della Costituzione una norma precettiva che fonda un diritto soggettivo perfetto nei confronti dello straniero ad essere ammesso e a soggiornare nel territorio dello Stato italiano. La condizione necessaria e sufficiente per la titolarità del diritto è l'impedimento all'esercizio sostanziale e non solo formale delle libertà democratiche. Siamo molto lontani dal dettato costituzionale; in altre parole si tratta di materia non disponibile alla discrezionalità degli esecutivi.
Voglio richiamare la vicenda della Cap Anamur perché parla di questo problema in maniera emblematica. La pratica generalizzata dei respingimenti in frontiera, adesso anche ai limiti delle acque internazionali, vanifica il diritto di asilo previsto dalla Convenzione di Ginevra, dalla Carta di Nizza e dalla Costituzione italiana. La vicenda ancora in corso della nave tedesca Cap Anamur, carica di profughi sudanesi salvati in mare, bloccata al largo delle coste siciliane ed alla quale è stato negato persino il diritto di attraccare in un porto italiano, dimostra ancora una volta come le autorità italiane considerino i profughi, potenziali richiedenti asilo, come immigrati clandestini da criminalizzare o, peggio, come possibili terroristi.
Quanto avviene in questi giorni nel canale di Sicilia, luogo di stragi continue e di esercitazioni militari, è conseguenza diretta dei nuovi accordi di cooperazione (di polizia) e di riammissione, oggetto di direttive all'interno dell'Unione europea allargata (anche a Malta e a Cipro), e regolati da intese di vario tipo con i paesi di transito o di provenienza, del Nordafrica (come l'Egitto, la Libia, la Tunisia, l'Algeria, il Marocco), dell'Europa orientale (come l'Albania, la Moldavia, l'Ucraina) dell'Estremo oriente (come lo Sri-Lanka, il Pakistan o l'Arabia Saudita). Tutti questi paesi non garantiscono il riconoscimento effettivo del diritto di asilo previsto dalle convenzioni internazionali e dalle costituzioni nazionali. In base a questi accordi, che sono adesso invocati dal Governo italiano per negare l'ingresso della Cap Anamur nelle acque territoriali, e per negare il diritto di asilo ai profughi che vi sono imbarcati, si limita drasticamente l'accesso alla procedura d'asilo (ed al territorio italiano), si diffondono procedure


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sommarie e luoghi di detenzione amministrativa anche per i richiedenti asilo, si creano centri di trattenimento forzato per migranti irregolari già nei paesi di transito. E si inventano anche nuovi centri di detenzione temporanea «galleggianti» in acque internazionali, per richiedenti asilo ai quali non si riconosce neppure l'accesso alla procedura, luoghi al di fuori del diritto internazionale e del diritto umanitario, come è in questo momento la nave tedesca Cap Anamur a seguito delle decisioni assunte dal Governo italiano.
Su un tema così delicato, nonostante gli sforzi dell'opposizione sostenuti dall'esperienza di ampi settori dell'associazionismo laico e cattolico e di organismi internazionali, il Parlamento non è riuscito ad approvare una normativa organica per il riconoscimento dello status di rifugiato in Italia e del diritto d'asilo previsto dal terzo comma dell'articolo 10 della Costituzione; questo tema è stato di fatto derubricato ad aspetto particolare del più ampio problema dell'immigrazione con gravi conseguenze sia sul piano giuridico che sul piano etico. Ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951 lo status di rifugiato è garantito a coloro che devono lasciare il paese perché perseguitati o per il fondato timore di essere sottoposti a persecuzione o per ragioni di razza, religione, nazionalità, opinioni politiche o perché membri di un particolare gruppo sociale. Riprendendo le linee guida interpretative della Convenzione diffuse nel Handbook on Procedures and Criteria for determinating Refugee Status under 1951 Convention and 1967 Protocol relating to the Status of Refugees, appare chiaro l'approccio e la formulazione che devono ispirare la legge su questa materia.
Essenziale è individuare le tipologie di violazioni che, perpetrate ai danni di stranieri o di apolidi nei paesi di cui sono, rispettivamente, cittadini o abitualmente residenti, rendano certa per i richiedenti l'acquisizione del diritto di asilo nel nostro paese. Si tratta di persecuzioni e discriminazioni non solo per motivi politici, di razza, di religione, di nazionalità e di appartenenza ad un determinato gruppo sociale o etnico, ma anche di persecuzioni o discriminazioni legate al sesso e all'orientamento sessuale. In molti paesi del mondo, inoltre, si attuano vere e proprie persecuzioni ai danni di uomini e donne i cui orientamenti sessuali non sono, per così dire, conformi ai precetti delle religioni dominanti o di Stato, e pertanto puniti dalle leggi statali. In molti casi il richiedente asilo ha rifiutato di aderire a ruoli socialmente o culturalmente definiti o di rispettare le aspettative di comportamento attribuite al proprio sesso. Frequenti sono pertanto le richieste di asilo che coinvolgono omosessuali, transessuali che hanno affrontato non solo il pubblico pregiudizio, ma anche veri e propri abusi, violenze o dure discriminazioni.
Ci auguriamo che la discussione in aula produca avanzamenti del provvedimento sui punti più importanti nella direzione di affermare il diritto di asilo, le procedure più idonee a garantire tale diritto, forme di accoglienza dei richiedenti che non riproducano la logica e la pratica dei centri di accoglienza.

GUSTAVO SELVA. Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge che oggi discutiamo attua un principio costituzionale e colma un'importante lacuna normativa, la quale non può più essere accettata. L'Italia è l'unico paese dell'Unione europea a non avere una legge ad hoc sul diritto d'asilo.
Il tema, nonostante la sua peculiarità ed importanza, è attualmente oggetto di regolamentazione in atti legislativi diversi, omogenei, ma per alcuni versi lacunosi, soprattutto riguardo alla procedura di richiesta d'asilo, elemento fondamentale per scongiurare abusi.
In primis l'articolo 10, terzo comma, della Costituzione inserisce il diritto di asilo tra i principi fondamentali e ne dà una definizione molto ampia, offrendo protezione a tutti coloro ai quali sia impedito nel proprio paese «l'esercizio delle libertà democratiche» garantite dalla nostra Carta fondamentale. La normativa attualmente vigente, disapplicando l'articolo


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10, fa riferimento alla Convenzione di Ginevra del 1951 ratificata ex lege n. 722 del 1954 relativa allo status dei rifugiati, secondo la quale è considerato rifugiato chi nel proprio paese è perseguitato per motivi politici, religiosi, etnici, di razza o comunque ha fondate ragioni per temere della propria vita. La Convenzione, recepita integralmente dal nostro ordinamento interno, fu per un lungo periodo applicata dall'Italia con limitazioni temporali (per persecuzioni avvenute in Europa prima del 1951) e geografiche (i richiedenti asilo dovevano essere cittadini europei, salvo poche eccezioni), ciò in ragione di una politica di difesa nazionale, di ripresa dalle recessioni economiche e di salvaguardia dei valori democratici contro il dilagare della povertà e degli abusi perpetrati dalle dittature comuniste.
La limitazione temporale viene meno con la ratifica del Protocollo di New York (1967), avvenuta con legge n. 95 del 1970; mentre la riserva geografica cade con la legge Martelli, che, insieme al suo regolamento di attuazione, contiene norme sulla procedura di esame delle domande, sul trattamento dei richiedenti in pendenza della decisione ed istituisce la Commissione nazionale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Per dovere di completezza, si ricorda ancora l'articolo 10 della legge Turco-Napolitano, che dispone in merito all'asilo umanitario (o protezione temporanea) per afflussi straordinari di persone provenienti da paesi non appartenenti all'Unione europea e legati a conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità. La Convenzione europea di Dublino del 15 giugno 1990 ratificata ex lege n. 523 del 1992, che determina lo Stato membro competente per l'esame di domande d'asilo, allo scopo di ridurre i casi di richieste multiple, presentate dalla stessa persona in più dì un paese; e in ultimo la legge Fini-Bossi, che influisce sulla tematica dell'asilo politico modificandone alcune procedure.
È evidente come il quadro normativo sia frammentarìo, disarmonico e incompleto, nonché per nulla attuativo del precetto costituzionale. Attualmente, difatti, la legge regolamenta solo la categoria dei rifugiati così come definita dalla Convenzione di Ginevra, che prevede quale fattore determinante per l'individuazione dello status, oltre la concreta persecuzione, un fondato timore di essere perseguitato, in patria, per motivi razziali, religiosi, etnici, politici o sociali. L 'introduzione del requisito della persecuzione personale restringe notevolmente l'ambito di applicazione del diritto di asilo rispetto al dettato costituzionale. La definizione di «asiliante» (colui che ha diritto all'asilo) contenuta nell'articolo 10, terzo comma, della Costituzione è decisamente più ampia di quella di rifugiato, ex articolo 1 della Convenzione di Ginevra. La lacunosità dell'ordinamento interno è stata evidenziata con chiarezza dalla Corte di cassazione con sentenza n. 4674 del 1997, che non solo ha osservato come la Convenzione di Ginevra non preveda un vero e proprio diritto di asilo ma il godimento di uno status personale di particolare favore riconosciuto qualora ricorrano determinati presupposti, ma ha anche escluso che la legge n. 39 del 1990 (legge Martelli) contenga una normativa di attuazione dell'articolo 10, comma 3, della Costituzione. La Suprema Corte ha sentenziato che, anche in assenza di una legge di disciplina del diritto in oggetto, l'articolo 10 attribuisce allo straniero o apolide che si trovi in una situazione di «impedimento dell'esercizio delle libertà democratiche», un vero e proprio diritto soggettivo all'ottenimento dell'asilo, Da qui la necessità dì una normativa specifica ed esaustiva in materia d'asilo, che chiarisca la portata del diritto stesso e dia finalmente attuazione all'articolo 10 della Costituzione. È certamente opportuno e doveroso che il disegno di legge, per ciò che riguarda una definizione puntuale del diritto di asilo, si allinei alla Convenzione di Ginevra e dia attuazione all'articolo 10 della Costituzione, tuttavia ritengo che sia necessario circoscrivere e precisare il requisito dell'impedimento all'effettivo esercizio delle libertà costituzionalmente garantite per scongiurare il pericolo attuale, di un numero imprecisato di richieste


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d'asilo, con conseguente difficoltà di valutarle. Al riguardo si ritiene che un poco oculato allargamento delle maglie possa generare pericolose conseguenze sul fronte dei necessari controlli agli ingressi nel territorio nazionale. Si consideri infatti che l'istituto dell'asilo politico e l'immigrazione sono questioni distinte ma al tempo stesso strettamente legate: le misure di contrasto all'immigrazione illegale dovrebbero rispettare i principi e gli obblighi derivati dalla legislazione in materia di rifugiati e di diritti dell'uomo, così come le misure adottate per migliorare l'operatività del regime d'asilo non dovrebbero compromettere la gestione dei flussi migratori. La validità di questo approccio equilibrato e interconnesso alle questioni dell'asilo e dell'immigrazione è stato fortemente incoraggiato ai Consigli europei di Lacken (dicembre 2001) e di Siviglia (giugno 2001).
La mancata approvazione o definizione di un disegno di legge penalizza l'Italia nel contesto di unificazione europea. L'indirizzo politico generale europeo nei confronti dei cittadini provenienti da Stati terzi è quello di promuovere il binomio integrazione-immigrazione, nel rispetto delle differenze culturali e sociali di una società pluralista.
Nell'Unione europea è in atto un processo di armonizzazione della normativa degli Stati membri nei campi dell'immigrazione e dell'asilo iniziato con l'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam. Quest'ultimo ha introdotto nel Trattato CE un nuovo Titolo (titolo IV, articoli 61-69), che conferisce alla Comunità competenza ad adottare misure in materia di visto, asilo e immigrazione, inserendo un settore fino ad allora unicamente oggetto di cooperazione intergovernativa, nel cosiddetto primo pilastro. In particolare il Consiglio europeo ha il mandato di adottare, entro cinque anni dall'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam, norme in materia di asilo che incideranno direttamente negli ordinamenti nazionali, nella prospettiva di una loro armonizzazione.
Il cammino è già stato intrapreso e, a riguardo, ricordo il Regolamento CE n. 343/2003 (che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo); la Direttiva 200l/55/CE (recepita in Italia con il decreto legislativo n.85 del 2003, relativa alla concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati ed alla cooperazione in ambito comunitario); la Direttiva 2003/9/CE (recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri). Tale Direttiva dovrà essere recepita nell'ordinamento nazionale italiano entro il 6 febbraio 2005. È in discussione la proposta di Direttiva sulle condizioni minime per il riconoscimento a cittadini di paesi terzi o apolidi dello status di rifugiato o di persona che necessita di protezione internazionale.
L'obiettivo perseguito è, dunque, quello emerso dalla riunione di Tampere (1999): creare in Europa una politica comune in materia di asilo, basata sulla piena e completa applicazione della Convenzione di Ginevra e del Protocollo di New York, adottando nonne minime in materia di accoglienza dei richiedenti asilo che siano normalmente sufficienti a garantire loro un livello di vita dignitoso e condizioni analoghe in tutti gli Stati membri. Ciò, al fine di realizzare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia aperto a quanti, spinti da particolari circostanze, cercano legittimamente protezione nell'Unione europea.
Il quadro europeo appare proteso a migliorare l'accesso al diritto di asilo e la regolamentazione dello stesso. Lo scopo è quello di far sì che, in materia, le procedure istituite all'interno di ogni paese siano chiare ed efficaci. Il legislatore nazionale deve porre la massima attenzione nel salvaguardare le linee portanti della politica europea in materia di immigrazione e di asilo, nonché della disciplina interna relativa al fenomeno. In questo modo sarebbe garantito infatti, ai richiedenti asilo, uno standard minimo di equa


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tutela in tutta l'Unione e, ai cittadini europei, la protezione dall'immigrazione clandestina legata alla criminalità.
Non può essere sottaciuto il rischio che una normativa non sufficientemente coerente ed applicata realmente in materia di diritto di asilo venga utilizzata come pretesto per aggirare la disciplina in materia di immigrazione e divenga quindi foriera di presenze irregolari, non giustificate da esigenze di tutela dei diritti fondamentali della persona, nel nostro paese.
L'immigrazione illegale va combattuta, da un lato, favorendo, e legalizzando quella di lavoro, di studio, di scambi economici e commerciali, dall'altro, mantenendo l'obbligo per gli Stati membri di aiutare coloro che hanno veramente bisogno di protezione; perché sono compromesse le loro libertà fondamentali. L'azione contro l'immigrazione illegale, che non si risolva in una irrazionale chiusura delle frontiere esterne ma sia volta a prevenire lo sfruttamento abusivo del regime di asilo, svolge un ruolo fondamentale perché contribuisce ad agevolare l'accettazione, da parte dei consociati, dell'ammissione di rifugiati per ragioni umanitarie.
Una lotta efficace contro l'immigrazione illegale condotta con sensibilità ed equilibrio favorisce per l'Italia l'accettazione o l'autorizzazione di un numero più elevato di domande di asilo È compito dell'Italia, in qualità di membro dell'UE e in qualità di Paese democratico, disciplinare in modo organico il diritto di asilo, quale diritto soggettivo, fondamentale dell'uomo, diritto di civiltà che non può essere negato a coloro che subiscono effettive persecuzioni, violenze o limitazioni di libertà personali. In Italia lo status di rifugiato o richiedente asilo è spesso confuso con quello di immigrato, colui che volontariamente si allontana dal Paese di origine per migliorare le proprie condizioni economiche e sociali. Gli asilianti, coloro che hanno diritto di asilo, sono immigrati comuni perché non fuggono dalla povertà; non hanno scelto di partire e, quel che più conta, non possono tornare nel Paese di provenienza. Sono uomini, donne, famiglie sottoposte a violenze fisiche e psicologiche, a torture, a ingiuste detenzioni, che fuggono dalle dittature, dalle guerre civili, dall'intolleranza religiosa. Il modo migliore per garantire loro una vita serena, libera e giusta è offrire protezione attraverso lo strumento dell'asilo, la cui disciplina non deve sovrapporsi, né tantomeno contrastare con la normativa nazionale in materia di immigrazione; quest'ultima, al contrario, deve continuare a trovare applicazione con riferimento a tutti i profili non riconducibili alla specifica condizione del richiedente asilo.
Il pericolo è quello di una strumentalizzazione del diritto dì asilo: non vorrei che dietro la figura dei rifugiati si celassero in realtà pericolosi criminali o potenziali terroristi, ma nello stesso tempo non desidero che tale concreto timore infici le finalità umanitarie del riconoscimento d'asilo. La situazione nazionale ed internazionale attuale può spingere i migranti più spregiudicati ad utilizzare le procedure di asilo quale facile mezzo per accedere al territorio italiano dove aprire reti, che nulla hanno a che fare con le libertà democratiche o civili o religiose nel senso inteso dalla nostra Costituzione.
Occorre pertanto che l'ingresso dei rifugiati in Italia sia severamente controllato ancor prima dell'entrata nel territorio dello Stato, fin dalle prime fasi di presentazione della domanda d'asilo alla frontiera. A tale scopo è indispensabile un rafforzamento di poteri delle autorità preposte ai fini di una congrua valutazione delle istanze, nonché un uso legittimo ed equilibrato del trattenimento del richiedente asilo e della procedura semplificata. Ritengo che proprio lo strumento dei centri di identificazione possa risultare estremamente prezioso al fine di verificare l'effettiva identità del richiedente e gli elementi alla base della domanda di asilo (qualora tali elementi non siano immediatamente disponibili).


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Ancora più opportuno risulta poi il trattenimento a seguito della presentazione di una domanda di asilo da parte di uno straniero in condizione irregolare o che abbia, eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o ancora nel caso in cui il richiedente asilo sia già destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento. In tal senso risulta necessaria la costruzione di nuovi centri di identificazione, non solo sul territorio nazionale ma anche all'estero, come già proposto da altri Paesi interessati dal fenomeno, quali ad esempio l'Inghilterra.

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