TRIBUNALE DI TORINO, sentenza 12 aprile 1999
Presidente, BARBUTO – Giudice Rel., SCOTTI
--- (avv. Pruzzo, De
Naro Papa) contro Ministero degli Interni (avv. Dello Stato) e Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Torino
La
caducazione, ad opera della sentenza costituzionale n. 30 del 1983, della parte
dell’art. 1 della legge 13 giugno 1912 n. 555 che escludeva la trasmissione
della cittadinanza da parte della madre italiana ha effetto solo dal 1° gennaio
1948.
Poiché
l’art. 1 della legge n. 555 del 1912 (come l’art. 1 della legge5 febbraio 1992
n. 91) non include nella fattispecie relativa all’acquisto della cittadinanza
la nascita, bensì la situazione di filiazione, deve essere considerato
italiano colui che è nato da madre italiana anteriormente al 1° gennaio 1948,
data in cui quest’ultima ha acquistato l’idoneità a trasmettere la cittadinanza
ai propri figli.
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO. Con atto di citazione notificato il 20 gennaio 1998 ---,
cittadino argentino, residente a Buenos Aires, evocava in giudizio
l’Amministrazione degli interni per ivi sentirsi riconoscere lo status di
cittadino italiano.
L’attore
a sostegno della propria domanda esponeva:
di
essere nato a Laboulaye nella Repubblica argentina il 18 agosto 1942, e di
essere figlio naturale di --- ---, cittadino argentino e di ---, cittadina
italiana;
di
essere stato riconosciuto da entrambi i genitori, prima dal padre e poi dalla
madre, e di essere stato successivamente legittimato dal loro matrimonio in
data 27 gennaio 1983;
che la
madre era nata in Argentina il 9 marzo 1906 a Villa Carlota, provincia di
Cordoba, quale figlia legittima dei cittadini italiani ---, nato a Sangano il
24 gennaio 1864 e di ---, nata a Torino il 20 luglio 1883;
che
pertanto ---, pur essendo nata in Argentina, aveva acquisito per nascita la
cittadinanza italiana, essendo figli di genitori italiani che non avevano mai
rinunciato alla relativa cittadinanza e al contempo aveva acquistato anche la
cittadinanza argentina in forza della legge locale che privilegiava il criterio
dello ius soli;
che la
madre era morta in Argentina il 16 settembre 1990 senza aver mai rinunciato
alla cittadinanza italiana.
Sulla
base di siffatte premesse l’attore richiedeva il riconoscimento dello status di
cittadino italiano, quale figlio di cittadina italiana, ai sensi dell’art. 1,
primo comma della legge n. 555 del 13 giugno 1912, applicabile al momento della
sua nascita così come modificata per effetto della dichiarazione di
illegittimità costituzionale effettuata dalla Corte Costituzionale con la
sentenza n. 30 del 9 febbraio 1983 (che aveva emendato l’originaria formula
dell’art. 1 della legge n. 555 del 1912 nella parte in cui non prevedeva
l’acquisto iure sanguinis della cittadinanza italiana per figlio nato dalla
madre cittadina).
A sostegno
della propria richiesta ed a confutazione delle argomentazioni ostative
oppostegli dal Consolato italiano di Buenos Aires, l’attore richiamava la
recente pronuncia n. 6227 del 10 luglio 1996 della Corte di Cassazione, che
aveva disatteso la tesi, fatta propria dall’autorità amministrativa,
dell’inefficacia retroattiva della dichiarazione di incostituzionalità oltre il
limite estremo del 1° gennaio 1948, data di entrata in vigore della
Costituzione repubblicana.
L’Amministrazione
degli interni, costituendosi in giudizio, richiamava il parere reso dal
Consiglio di Stato in sede consultiva n. 105/83 e sosteneva che in forza della
sentenza n. 30 del 1983 della Corte Costituzionale potevano considerarsi
cittadini solo i soggetti nati da madre cittadina e padre straniero dopo il 1°
gennaio 1948, sul presupposto che l’efficacia della sentenza della Consulta non
potrebbe comunque retroagire oltre al momento in cui è insorto il contrasto tra
la legge anteriore e la Costituzione e quindi oltre la data di entrata in
vigore della Costituzione e cioè il 1° gennaio 1948.
La
parte convenuta richiamava la giurisprudenza di legittimità, sul punto compatta
prima della pronuncia ex adverso richiamata, e invocava la sospensione del
giudizio fin visto l’esito di un procedimento di cui erano state investite le
Sezioni Unite della Corte di Cassazione in un caso analogo per cui si attendeva
la fissazione della data di udienza.
Dopo
l’espletamento dell’udienza ex art. 183, all’udienza del 16 dicembre 1998,
sulle conclusioni definitive sopra trascritte, la causa era assegnata a
decisione del giudice unico, con la concessione dei termini di rito per il
deposito degli scritti difensivi.
Con
ordinanza in data odierna il giudice unico, rilevato che la causa in tema di
stato delle persone comportava l’intervento necessario del Pubblico Ministero a
norma dell’art. 70 n. 3 cod. proc. Civ. ed era pertanto soggetta a rito
collegiale ai sensi dell’art. 48 n. 2 ordinamento giudiziario, disponeva la
rimessione degli atti al Collegio ai sensi dell’art. 274 – bis cod. proc. Civ.
MOTIVI
DELLA DECISIONE. 1) I fatti storici. Le circostanze di fatto esposte
dall’attore in narrativa sono documentate, pacifiche e non contestate.
E cioè:
l’attore
è nato a Laboulaye (Argentina) il 18 agosto 1942, quale figlio naturale di ---
---, cittadino argentino e di ---, cittadina italiana;
entrambi
i genitori, prima il padre e poi la madre, lo hanno riconosciuto e lo hanno
successivamente legittimato con il loro matrimonio in data 27 gennaio 1983;
la
madre era nata in Argentina il 9 marzo 1906 a Villa Carlota, provincia di
Cordoba, essendo figlia legittima dei cittadini italiani ---, nato a Sangano il
24 gennaio 1864 e ---, nata a Torino il 20 luglio 1883;
la
madre, pertanto, pur nata in Argentina, aveva acquisito per nascita la
cittadinanza italiana, essendo figlia di genitori italiani che non avevano mai
rinunciato alla relativa cittadinanza e al contempo aveva acquistato anche la
cittadinanza argentina in forza della legge locale che privilegiava il criterio
dello ius soli;
--- è
infine morta in Argentina il 16 settembre 1990 senza aver mai rinunciato alla
cittadinanza italiana;
per
vero, da alcuni documenti prodotti da parte attrice emerge che la sig.ra ---
aveva contratto un primo matrimonio forse in data anteriore alla nascita
dell’attore (nel doc. 3, e cioè nell’atto di matrimonio del 27 gennaio 1993 tra
--- --- e ---, quest’ultima viene definita "vedova"; nel doc. 2, e
cioè nell’atto di nascita dell’attore, si afferma che lo stesso era stato riconosciuto
da --- come "figlio extramatrimoniale"; tuttavia a rigore non è
affatto stato allegato e dimostrato da parte convenuta che tale matrimonio sia
stato contratto da --- in data anteriore alla nascita dell’attore (poiché il
"figlio extramatrimoniale" è in proposito ambiguo) e soprattutto che
il primo marito della madre dell’attore non fosse italiano e possedesse la
cittadinanza in un paese la cui legge prevedesse la comunicazione alla moglie
per matrimonio (cosicchè trovasse attuazione il disposto dell’art. 10 della
legge n. 555 del 1912, poi dichiarato incostituzionale). Di contro, va
rimarcato come parte attrice abbia allegato il possesso della cittadinanza
italiana da parte della signora Durando e come si verta in tema di fatti
impeditivi che avrebbero dovuto essere opportunamente allegati e provati da
parte dell’Amministrazione convenuta.
Il
Tribunale è quindi chiamato a statuire in ordine alle conseguenze giuridiche
della seguente fattispecie in tema di acquisto della cittadinanza italiana:
nascita all’estero da padre straniero e madre italiana in data anteriore al 1°
gennaio 1948.
2)
Premessa normativa. Il caso è perfettamente identico a quello esaminato anche
dalla Corte di Cassazione con la sentenza 10 luglio 1996 n. 6297.
Anche
allora si trattava di valutare se al figlio, nato in data anteriore all’entrata
in vigore della Costituzione (1° gennaio 1948 ai sensi dell’art. XVIII comma 1
delle disp. Trans. E finali) da padre straniero di nazionalità argentina e da
madre cittadina italiana al momento della nascita, debba essere riconosciuto lo
stato di cittadinanza italiana iure sanguinis, per effetto della dichiarazione
di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Consulta con la sentenza n.
30 del 1983.
E’
necessaria a questo punto una breve ricostruzione del quadro normativo
rilevante per la decisione.
L’art.
1, comma primo n. 1 della legge n. 555 del 13 giugno 1912 (Disposizioni in
materia di cittadinanza italiana) statuiva che è cittadino "per
nascita" il figlio di padre cittadino.
Con
sentenza n. 30 del 28 gennaio – 9 febbraio 1983 la Corte Costituzionale, fra
l’altro, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione degli
artt. 3, comma primo e 29 comma secondo Cost., dell’art. 1, comma primo n.1
della legge n. 555 del 1912 "nella parte in cui non prevede che sia
cittadino per nascita anche il figlio di madre cittadina" e,
conseguenzialmente (ex art. 27 legge n. 87 del 1953), dell’art. 1, comma primo
n. 2 della stessa legge.
L’art.
5 della l. 21 aprile 1983 n. 123 ha poi stabilito che è cittadino italiano il
figlio minorenne anche adottivo, di padre cittadino o di madre cittadina; e
che, nel caso di doppia cittadinanza, il figlio avrebbe dovuto optare per una
sola entro un anno dal raggiungimento della maggiore età (termine poi prorogato
dall’art. 1 della l. 15 maggio 1986 n. 180 fino alla data dell’entrata in
vigore della nuova legge organica sulla cittadinanza).
Siffatto
obbligo di opzione è stato quindi soppresso dall’art. 26 comma 2 della legge n.
91 del 1992.
L’art.
1 comma 1 lett. a della l. 5 febbraio 1992 n. 91 (Nuove norme sulla
cittadinanza) dispone, infine, che è cittadino per nascita il figlio di padre e
di madre cittadini.
Tale
legge abroga espressamente le disposizioni sopracitate (art. 26 comma 1) non
contiene disposizioni "transitorie" ed esclude esplicitamente effetti
retroattivi della nuova disciplina (art. 20).
E’
quindi chiaro che la disciplina applicabile alla fattispecie è rappresentata
dall’(abrogato) art. 1, comma primo n. 1 della legge n. 555 del 1912, nel testo
risultante dalla sentenza di illegittimità costituzionale n. 30 del 1983.
Infine,
come accuratamente illustrato dalla sentenza n. 6297 del 1996 della Suprema
Corte, non è ostacolato all’applicabilità di tale disciplina il vigente accordo
italo – argentino sulla cittadinanza, concluso a Buenos Aires il 29 settembre
1971 (reso esecutivo in Italia con l. 18 maggio 1973 n. 282 ed entrato in
vigore il 12 settembre 1974) il quale si prefigge lo scopo di offrire maggiori
facilitazioni ai cittadini delle due Parti per l’acquisto della cittadinanza,
rispettivamente, argentina e italiana.
In
particolare, l’art. 1 prevede, fra laltro, che i cittadini italiani ed
argentini per nascita non possono acquisire, rispettivamente la cittadinanza
argentina o italiana alle condizioni e nella forma previste dalla legislazione
in vigore in ciascuna delle Parti contraenti, conservando la loro precedente
cittadinanza con sospensione dell’esercizio dei diritti inerenti a
quest’ultima; e che la cittadinanza di origine deve essere determinata in base
alle leggi del paese di origine. Ancor più in particolare – e con riferimento al caso di specie – l’art.
5 stabilisce che gli italiani e gli argentini, i quali, anteriormente
all’entrata in vigore dell’accordo (12 settembre 1974), avessero acquisito, rispettivamente
la cittadinanza argentina o italiana, possono avvalersi dei benefici previsti
dall’accordo – che agevola gli immigrati italiani in Argentina e quelli
argentini in Italia nell’acquisto della cittadinanza dello Stato di residenza –
consente, sia pure con temperamenti, la doppia cittadinanza e stabilisce,
comunque, che l’acquisto della cittadinanza italiana per nascita è disciplinato
anche dalla legislazione italiana.
Per
effetto della decisione di illegittimità costituzionale n. 30 del 1983 il testo
dell’art. 1, comma primo n. 1 della legge n. 555 del 1912 applicabile alla
fattispecie, dispone che è cittadino per nascita i figlio di padre cittadino o
di madre cittadina (disposizione poi trasporta, pari pari, nel vigente art. 1
della legge n. 91 del 1992).
Il
primo problema da affrontare attiene al dubbio se la dichiarazione di
incostituzionalità esplichi effetti nelle ipotesi in cui come nella
fattispecie, il soggetto reclamante lo status civitatis italiano sia nato in
data anteriore all’entrata in vigore della Costituzione repubblicana.
3) Il
limite di retroattività della dichiarazione di incostituzionalità. La
conseguenza della pronuncia di incostituzionalità - ai sensi degli artt. 136,
comma primo Cost. e 30, comma 3^ della legge n.87 del 1953 - è che dal 17
febbraio 1983 (giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Uff. della
decisione), tutte le persone nate da madre cittadina hanno acquistato ex lege
(art.1, comma primo n.1 della legge n.555 del 1912 nel testo risultante dalla
decisione della Corte) la cittadinanza italiana jure sanguinis, fin dal momento
della nascita, per discendenza materna.
Tale
conseguenza però, secondo l'Amministrazione, non si produce nel caso in cui il
reclamo dello status civitatis si riferisca a nascite avvenute in data
anteriore a quella dell'entrata in vigore della Costituzione, data, che
rappresenterebbe il limite estremo all'efficacia "retroattiva" della
predetta dichiarazione di illegittimità costituzionale avente ad oggetto una
legge anteriore alla Costituzione ed applicabile ad una situazione sorta prima
del 1 gennaio 1948.
Tale
tesi rinviene un preciso riscontro sia nella giurisprudenza di legittimità
anteriore alle sentenze n. 6297 e n. 10086 del 1996 (cfr. Cass., n.2222/1971,
n. 1287/1972, n. 2022/1974 e n. 903/1978), sia nella prassi amministrativa.
Il
Ministro dell'Interno l'11 novembre 1992 ha emanato una circolare (n.K 60.1,
recante: "Legge 5 febbraio 1992 n.91 - Nuove norme in materia di
cittadinanza", pubblicata in Gazz.Uff., n.279 del 26 novembre 1992), in
cui si legge: "L'articolo in parola, art. 1 legge n. 91 del 1992, in primo
luogo, conferma il tradizionale istituto della'acquisto della cittadinanza per
discendenza, in base al criterio dello jus sanguinis, recependo definitivamente
il principio della parità tra uomo e donna per quanto attiene a siffatta
trasmissione del nostro status civitatis, in conformità alla sentenza della
Corte Costituzionale n. 30 del 28 gennaio 1983. Al riguardo, resta fermo il
principio che è possibile attribuire dalla nascita la cittadinanza italiana
solo a quelle persone nate dopo il 1 gennaio 1948 da donna che a tale momento
era in possesso dello status civitatis italiano. Come infatti chiarito dal
Consiglio di Stato, l'efficacia del giudicato costituzionale non può in ogni
caso retroagire oltre il momento in cui si è verificato il contrasto tra la
norma di legge o di atto avente la forza di legge - anteriore all'entrata in
vigore della Costituzione - dichiarata illegittima, e la norma o il principio
della Costituzione, cioè non può retroagire oltre il 1 gennaio 1948, data di
entrata in vigore di quest'ultima (cfr. parere n. 105, Sez. V, 15 aprile 1983).
La
contraria opinione è stata argomentata nelle sentenze della 1^ Sezione civile
del 1996 (n. 6297 e n. 10086) circa l'inesistenza del limite temporale alla
"retroazione" degli effetti della pronuncia caducatrice della Corte
Costituzionale oltre il 1 gennaio 1948, sulla scorta di una pluralità di
considerazioni: vale a dire, sinteticamente, l'altrimenti conclamata irrilevanza
delle questioni di costituzionalità sulle leggi anteriori alla Costituzione
applicabili a rapporti sorti prima della sua entrata in vigore; riconduzione
dell'ammissibile sindacato di costituzionalità sulle leggi anteriori alla
Costituzione alla figura dell'annullamento piuttosto che alla figura
dell'abrogazione; paradossalità della conseguenza dell'esistenza
nell'ordinamento di una norma contemporaneamente valida ed invalida.
Con
tali pronunce la Corte è pervenuta pertanto alla conclusione che "anche la
dichiarazione d'illegittimità costituzionale di leggi anteriori a Costituzione
esplica gli effetti propri di tale tipo di pronuncia: e cioè la cessazione di
efficacia erga omnes con effetto retroattivo (che implica il generale divieto
di applicazione) della norma dichiarata costituzionalmente illegittima
relativamente a situazioni o rapporti, cui sarebbe ancora applicabile la norma
stessa, ove non fosse intervenuta la pronuncia di incostituzionalità".
Tale
orientamento è stato peraltro rimeditato dalla Suprema Corte a sezioni unite
con la decisione n.12061, assunta in data 26 giugno-27 novembre 1998, che,
richiamata la pronuncia n.58 del 1967 della Corte Costituzionale e disattese le
osservazioni svolte dalla I sezione civile, ha ribadito la validità dell'orientamento
tradizionale e, con essa, il principio per cui la dichiarazione di
illegittimità costituzionale di una legge anteriore all'entrata in vigore della
Costituzione repubblicana (pacificamente ammissibile in virtù del consolidato
insegnamento per cui, con l'entrata in vigore di un nuovo ordinamento
costituzionale, l'intero ordinamento giuridico viene "rinnovato" ed
ogni norma precedente in tanto resta valida in quanto rinvenga nella nuova
Costituzione un nuovo titolo di legittimazione) trova un invalicabile limite
temporale, storico, prima ancor che giuridico, nella data di entrata in vigore
della Costituzione. La norma incompatibile con la Carta Costituzionale si
applica pertanto ai fatti posti in essere sino al 31 dicembre 1947 (e cioè sino
a quando è sopravvenuta la situazione di inconciliabilità della norma con la
Costituzione non retroattiva).
Il
Tribunale di Torino ritiene di prestare adesione alle ragioni esposte
nell'ultima decisione del Supremo Collegio, stante l'autorevolezza della
decisione assunta dalla Cassazione nella suprema sede di nomofilachia per
fissare un preciso principio in ordine alla corretta interpretazione di una
questione assai dubbia e controversa nella stessa giurisprudenza del Custode
delle leggi, oltretutto attinente ad una questione di grande importanza circa
il momento di operatività delle decisioni caducatrici della Corte
Costituzionale.
Reputa
pertanto di decidere la presente controversia attenendosi al principio di
diritto, solennemente affermato dalle Sezioni Unite secondo cui
"costituisce ormai diritto vivente che l'efficacia retroattiva della
sentenza declaratoria dell'illegittimità costituzionale di una norma sin dal
momento in cui è entrata in vigore trova piena applicazione solo con
riferimento alla categoria delle norma incostituzionali ab initio; e che,
invece, allorquando la norma stessa sia venuta a collidere con i parametri
costituzionali solo successivamente alla data della sua entrata in vigore (la
incostituzionalità sopravvenuta), allora il termine di decorrenza degli effetti
della dichiarazione di incostituzionalità coincide (e deve coincidere) con il
momento in cui il vizio di incostituzionalità si è concretizzato: infatti è
solo in questo momento che si determina l'antinomia costituzionale della legge,
il che significa che sino a quel momento la legge stessa era legittima e
valida, sicchè sarebbe necessariamente illogica e contraddittoria una
retroattività che si estendesse a colpire la norma anche nel presupposto della
sua validità".
Il
Tribunale procede quindi dal presupposto che la caducazione ad opera della
Consulta con sentenza n.30 del 1983 di quella parte dell'art. 1 della legge
n.555 del 1912 che escludeva la trasmissione della cittadinanza da parte della
madre italiana non abbia effetto che dal 1 gennaio 1948.
In
conseguenza, al momento della nascita del sig. Raoul --- ---, il 18 agosto
1942, l'ordinamento giuridico vigente non prevedeva affatto l'attribuzione
della cittadinanza in linea di discendenza materna se non nelle ipotesi
residuali considerate dal n. 2 del primo comma dell'art. 1 della legge n. 555
del 1912.
In
buona sostanza e per effetto della maturata condivisione del principio di
diritto espresso dalle Sezioni Unite , la situazione normativa da valutare agli
effetti delle controverse conseguenze giuridiche non è difforme dall'ipotesi
che si sarebbe verificata se in data 1 gennaio 1948 fosse entrata in vigore una
legge innovatrice che testualmente dicesse: "E' cittadino italiano per
nascita il figlio di madre cittadina".
Si
tratta di stabilire se una norma siffatta si applichi o meno anche a favore dei
soggetti già nati anteriormente all'entrata in vigore della norma e figli di
una donna che al momento della nascita fosse a tutti gli effetti cittadina
italiana.
Tale
applicazione non comporterebbe alcuna efficacia retroattivapoichè l'effetto
giuridico dell'acquisizione della cittadinanza si dispiegherebbe solo con
decorrenza dall'entrata in vigore della norma e non retroagirebbe quanto al
pregresso periodo.
Indubbiamente,
peraltro, occorre superare l'obiezione di chi tende a circoscrivere
l'attribuzione dello status civitatis al momento dell'acquisto della capacità
giuridica (e quindi al momento della nascita), qualificando coerentemente come
rapporti "esauriti" quelli inerenti ai soggetti nati in data
anteriore all'entrata in funzione della norma.
Ciò indubbiamente configura un problema
di interpretazione del diritto positivo.
4) Il
problema dell'esaurimento del rapporto. La prestata adesione all'insegnamento
delle Sezioni Unite non risolve infatti definitivamente il problema in
discussione.
Fermo
restando il fatto che al momento della nascita il sig. --- non ha acquistato la
cittadinanza poiché la legge 555 del 1912 all'epoca vigente non permetteva la
trasmissione in linea materna della cittadinanza, se non nei casi residuali
considerati dal n. 2 del primo comma dell'art. 1, e poiché l'irretroattività
della Costituzione repubblicana non consente di far risalire gli effetti della
dichiarazione di incompatibilità costituzionale oltre il 1^ gennaio 1948, va
accuratamente valutato se l'acquisto della cittadinanza siasi verificato per
l'attore proprio in tale data (e cioè quella di entrata in vigore della
Costituzione) per effetto della sopravvenuta incompatibilità della previgente
disciplina e ciò in diretta conseguenza della dichiarazione di
incostituzionalità della norma che l'ha espunta dall'ordinamento con effetto
dalla data di coesistenza con la Costituzione repubblicana.
In
altri e più chiari termini, si
tratta di verificare se l'acquisita "idoneità" della donna cittadina
italiana a "trasmettere" lo status civitatis al figlio iure sanguinis
possa produrre i suoi effetti anche con riferimento alle nascite avvenute in
data anteriore; ovvero, se si preferisce, nel rispetto di una terminologia giuridicamente
più rigorosa, se l'attribuzione del diritto di cittadinanza debba avvenire con
esclusivo riguardo all'istante della nascita, unico momento temporale
considerato dalla fattispecie, sicchè il relativo rapporto debba essere
considerato "esaurito" agli effetti dell'applicabilità delle norme
successive, ovvero se la norma si limiti a presupporre la nascita ma non la
sussuma nella fattispecie a cui è ricollegato l'effetto giuridico (ossia l'attribuzione dello
status, quale compendio di diritti ed obblighi giuridici).
E'
infatti noto che l'unico limite intrinseco alla c.d. efficacia retroattiva
della dichiarazione di illegittimità costituzionale è costituito dai rapporti
chiusi in modo irretrattabile, ovvero "esauriti" (cfr. Corte Cost. n.
139 del 1984 e n. 3 del 1996; Cass. S.U. 806 del 1975), salva, ovviamente,
l'espressa deroga prefigurata dall'art., 30 comma 4 della legge n. 87 del 1953,
in ordine alla cessazione dell'esecuzione e di tutti gli effetti penali della
sentenza irrevocabile di condanna.
Il Tribunale ritiene corretta la
seconda impostazione nell'alternativa illustrata.
Sul
punto è illuminante l'argomentazione svolta da Cassazione n.6297 del 1996, che,
esattamente in termini, ha osservato: "Deve essere precisato, in
proposito, che il titolo di siffatto modo di acquisto - tradizionalmente
definito "originario" o di "stagione" della cittadinanza
italiana è costituito, non già dall'evento "nascita" (che, in quanto
tale rappresenta un mero presupposto della fattispecie acquisitiva), bensì
dalla situazione di filiazione da genitore cittadino; sicchè, sussistendo tale
situazione (titolo),
l'acquisto della cittadinanza consegue, automaticamente (effetto ex lege), fin dal
momento della nascita (si fa riferimento, ovviamente e con riguardo alla fattispecie,
all'ipotesi-base del rapporto di filiazione legittima).
Acquisita
(riconosciuta), in tal modo, la cittadinanza fin dalla nascita in ragione della
filiazione (iure sanguinis), il
cittadino è tutelato in quanto appartenente alla comunità statale, come tale, e
cioè per il fatto stesso di questa appartenenza, riconosciuta secondo le norme
dell'ordinamento giuridico relativo, o, in altri termini, per il suo status.
In tale
prospettiva, la dichiarazione di illegittimità costituzionale contenuta nella
sentenza n. 30 del 1983 operando la reductio ad constitutionem della previsione
dell'art. 1, comma primo, n.1, legge 555 del 1912, in ossequio ai principi di
eguaglianza, davanti alla legge senza distinzione di sesso e di eguaglianza
morale e giuridica dei coniugi - ha, in realtà, "aggiunto" un
distinto titolo di acquisto della cittadinanza italiana iure sanguinis,
(discendenza materna, appunto) rispetto a quello (discendenza paterna)
originariamente previsto quale unico (e, perciò, incostituzionale) criterio di
attribuzione dello status civitatis in ragione della situazione di filiazione
legittima".
A
supporto dell'accolta argomentazione non par fuori luogo esporre alcune
ulteriori notazioni:
l'art.
1, punti 1 e 2 della legge n. 555 del 1912, al pari del vigente art. 1 lett. a
della legge 5 febbraio 1992 n.91 non include nella fattispecie il fatto storico
della nascita, ma piuttosto la situazione di filiazione, come evidenzia l'uso
dell'espressione "il figlio" a differenza dell'ipotesi considerata
nel punto 3 dell'art. 1 comma primo della stessa legge n.555/1912 e nella
lettera b dell'art. 1, comma 1, della legge 91/1992 (che nell'ipotesi residuale
di attribuzione della cittadinanza iure soli, contempla effettivamente quale
elemento della fattispecie, l'azione del nascere, rendendo così ad esempio
irrilevanti le successive modificazioni del territorio nazionale);
l'espressione "cittadino per nascita" di cui la parte iniziale dell'art. 1 della
vecchia (e nuova legge) sulla cittadinanza presuppone il fatto della nascita ma
non equivale necessariamente all'espressione "cittadino dal momento della nascita";
il sig.
--- era "figlio di madre cittadina" al momento della nascita, ma ciò,
in quel momento, stante la formulazione della norma, non comportava l'acquisto
della cittadinanza italiana, poiché la madre era "inidonea a
trasmettere" la cittadinanza al proprio discendente ovvero, più
correttamente, poiché l'ordinamento giuridico non ricollegava alla situazione
di filiazione da madre cittadina lo status di cittadino italiano;
dal 1°
gennaio 1948, per effetto della modifica dell'art. 1 della legge n. 555 del
1912 imposta dalla dichiarazione di incostituzionalità emessa nel 1983 dalla
sentenza n. 30 della Corte Costituzionale, la madre italiana ha acquisito
l'idoneità a trasmettere la cittadinanza ai propri figli a prescindere dalla
cittadinanza paterna ed in quel momento si è integrata la fattispecie prevista
dalla norma così ricostruita ed emendata, sicchè il sig. ---, figlio di madre
italiana, ha acquisito lo stato di cittadino italiano per discendenza materna;
tale
interpretazione risulta del resto avallata dalla sua compatibilità
costituzionale, poiché una diversa ricostruzione fondata su di una differente
interpretazione delle norme giuridiche che regolano la successione delle leggi
nel tempo ed in particolare una diversa interpretazione dell'art. 1 della legge
555 del 1912 che ascriva valore solo alla situazione normativa esistente al
momento preciso della nascita porterebbe ad una radicale difformità di
trattamento fra fattispecie del tutto assimilabili, non sorretta da alcun
criterio ragionevole di discriminazione, con la conseguente lesione dell'art. 3
della Costituzione. Non si vede infatti sulla base di quali ragionevoli
considerazioni, diverse dal mero arbitrio di un casuale discrimen, sia
possibile negare la cittadinanza a soggetti versnati nell'identica situazione
(nati da madre italiana e padre straniero), a seconda che siano nati prima o
dopo il 1 gennaio 1948.
E'
principio interpretativo ormai acquisito che, nel dubbio, il Giudice deve
interpretare la legge ordinaria in modo conforme alla Costituzione,
privilegiando la lettura della norma costituzionalmente compatibile fra quelle
alternative astrattamente praticabili (cfr. Cass. 5 maggio 1995 n.4906).
La tesi così accolta non è in contrasto con
la decisione della Suprema Corte a sezioni unite del 1998, che si riferiva ad una
fattispecie sensibilmente diversa, caratterizzata dalla perdita della
cittadinanza italiana da parte della donna italiana per effetto del matrimonio
con lo straniero e quindi relativa ad una ipotesi in cui la madre del
richiedente non era cittadina italiana al momento della nascita del figlio,
anche se la stessa aveva successivamente recuperato la cittadinanza in seguito
alla dichoiarazione di incostituzionalità dell'art. 10, terzo comma della legge
n.555 del 1912 e all'opzione esercitata ai sensi e per gli effetti di cui
all'art. 219, comma 1^, della legge 19 maggio 1975 n. 151.
Nel
caso deciso dalle Sezioni Unite, la Suprema Corte non ha avuto modo di
esaminare la seconda delle concorrenti "rationes decidendi" espresse
da Cass. 6297 del 1996 (ossia del collegamento dell'attribuzione a titolo
"originario" della cittadinanza "iure sanguinis", non al
momento istantaneo della nascita, ma piuttosto alla situazione di filiazione),
essendosi arrestata al rilievo che nella fattispecie la madre del ricorrente
aveva perso la cittadinanza italiana per effetto del matrimonio con lo
straniero, senza che la dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 10 della
legge n. 555 del 1912 (dovuta alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 57
del 1975) le potesse giovare per l'ostativo rilievo dell'impossibilità di farne
risalire gli effetti oltre la data di entrata in vigore della Costituzione.
Nel caso in esame, invece, a quanto
risulta, la sig.ra Durando non aveva perso la cittadinanza italiana non
essendosi unita in matrimonio con il sig. ---.
5)
Conseguenze. La domanda attrice è pertanto fondata e va accolta.
Consequenzialmente
va disposta anche la trascrizione nei registri dello stato civile competenti ed
in particolare in quelli del Comune di origine dell'avo materno ---, nato a
Sangano il 24 gennaio 1864, a norma dell'art. 60 n. 3 del r.d. 9 luglio 1939 n.
1238.
6) Le
spese processuali. Le spese, secondo il principio generale, seguono la
soccombenza. (Omissis)
Il Tribunale
Definitivamente
pronunciando; respinta ogni diversa istanza, eccezione e deduzione; accerta e
dichiara lo stato di cittadino italiano iure sanguinis del sig. Raul ---, nato
a Laboulaye (Repubblica Argentina) il 18 agosto 1942 per trasmissione fattagli
dalla madre cittadina italiana sig.ra Caterina Durando; ordina la relativa
trascrizione, con tutti gli adempimenti di legge nei registri dello stato
civile competenti….; dichiara tenuta e condanna l'Amministrazione degli interni
convenuta a pagare a Raoul --- --- la somma di lire…