RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza del vice presidente SALVI

PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 16,02).

Si dia lettura del processo verbale.

DATO, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta pomeridiana del giorno precedente.

PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni, il processo verbale è approvato.

Congedi e missioni

PRESIDENTE. Sono in congedo i senatori: Antonione, Baldini, Bucciero, Cursi, D'Alì, Delogu, Mantica, Monti, Mugnai, Saporito, Sestini, Siliquini, Trematerra, Vegas e Ventucci.

Sono assenti per incarico avuto dal Senato i senatori: Dini, per partecipare a un incontro internazionale; Chirilli e Eufemi, per attività della Commissione parlamentare d'inchiesta sull'affare Telekom-Serbia; Bonatesta, Bonfietti, Castagnetti e Compagna, per attività dell'Assemblea parlamentare dell'OSCE; Brignone, Forcieri, e Palombo, per attività dell'Assemblea parlamentare della NATO; Gubert, Michelini, Rollandin e Zanoletti, per attività di rappresentanza del Senato.

 

Comunicazioni della Presidenza

PRESIDENTE. Le comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Svolgimento di interpellanze e di interrogazioni

PRESIDENTE. L’ordine del giorno reca lo svolgimento di interpellanze e di interrogazioni.

Sarà svolta per prima l’interrogazione 3-01669 sulla vicenda della nave Cap Anamur.

Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere a tale interrogazione.

D'ALI', sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la motonave Cap Anamur, battente bandiera tedesca, nota per essere utilizzata dalla omologa associazione, anch'essa tedesca, impegnata in operazioni umanitarie e nell'assistenza ai profughi e ai rifugiati, risulta aver stazionato presso un bacino di carenaggio maltese nelle scorse settimane, lasciando l'isola il 19 giugno scorso.

Come confermato dallo stesso sito Internet dell'associazione, il 20 giugno la nave, durante la navigazione, avrebbe soccorso in mare 37 stranieri, di sedicente nazionalità sudanese, asseritamente incontrati in difficoltà su una imbarcazione di fortuna in acque internazionali antistanti le coste libiche, secondo quanto riferito dal comandante della nave. La Cap Anamur ha, successivamente, fatto ritorno verso Malta ed ha sostato dal 25 giugno in una zona di ancoraggio a 16 miglia dalle coste maltesi.

Risulta, inoltre, che la nave si trovava in acque di ricerca e soccorso di competenza maltese (cosiddetta zona S.A.R) e che i passeggeri hanno usufruito dei servizi di assistenza delle autorità di quel Paese. La nave è poi ripartita il successivo 30 giugno alla volta delle coste italiane.

Alle ore 20 dello stesso giorno l'agente marittimo della motonave comunicava l'arrivo della stessa a Porto Empedocle, con equipaggio e migranti, indicando come porto di provenienza quello di La Valletta. Nessuna richiesta formale di attracco veniva invece rivolta dal comandante della nave alle nostre autorità.

Il 1° luglio, ferma restando la disponibilità a fornire agli stranieri ogni possibile assistenza a bordo, l'accesso della nave nelle nostre acque territoriali è stato interdetto, non essendovi i presupposti per l'accoglienza da parte del nostro Paese. Tale divieto è stato comunicato da un funzionario della questura di Agrigento, recatosi sottobordo alla nave, direttamente al comandante.

Inoltre, il successivo 6 luglio la stessa questura ha inoltrato via e-mail al citato comandante una comunicazione in lingua inglese con la quale venivano spiegati i seguenti motivi: i 37 stranieri erano stati recuperati dalla nave il 20 giugno, ovvero 11 giorni prima della richiesta di attracco della Cap Anamur a Porto Empedocle.

Il lungo lasso di tempo trascorso dall'intervento di soccorso degli stranieri ha determinato, infatti, la perdita dello status di naufraghi dei 37 stranieri; la nave, in conformità con quanto comunicato dal suo agente generale in Sicilia, Agenzia Tagliavia e C., rappresentante del proprietario "Niederelbe Schiffahrtselsschaft MBH and Co.", proveniva da Malta ove avrebbe potuto chiedere l'accoglienza per 37 migranti.

A questo proposito sono in corso accertamenti presso la nostra ambasciata a Malta per verificare se le autorità de La Valletta siano state informate della presenza dei presunti sudanesi e se sia stata avanzata qualche richiesta di accoglienza.

In altre parole, gli stranieri non potevano essere considerati come naufraghi nel momento in cui, a distanza di dieci giorni dal soccorso e dopo che l'imbarcazione aveva sostato per diversi giorni presso le coste maltesi, il natante ha cercato di giungere a Porto Empedocle.

La vicenda presenta indubbiamente aspetti ancora da chiarire, come ad esempio quelli relativi alle ragioni del comportamento del comandante della nave che, contrariamente alle norme di diritto internazionale in tema di soccorso in mare, non ha provveduto a trasportare i naufraghi nel porto più vicino, presumibilmente sulle coste nordafricane (anche se il dato potrà essere confermato solo dalla verifica del diario di bordo), dirigendosi verso Malta, ove, comunque, gli stranieri avrebbero potuto richiedere l'accoglienza e l'assistenza necessaria ai fini delle eventuali domande di asilo.

Infatti, in base alle norme comunitarie regolanti l'individuazione dello Stato membro competente alla trattazione di tali domande (Convenzione di Dublino), il Paese di primo ingresso degli immigrati è tenuto a gestire le relative richieste.

Ricordo che le autorità italiane anche nelle ultime settimane hanno garantito e garantiscono accoglienza a centinaia di migranti irregolari che, approfittando delle buone condizioni meteo-marine proprie della stagione estiva, sono affluiti attraverso il Mediterraneo verso le isole di Lampedusa, Pantelleria e le coste della Sicilia.

Vanno al riguardo ricordati due aspetti attinenti al fenomeno delle migrazioni illegali via mare, cui l'Italia, per la sua posizione geografica, è particolarmente esposta.

Il primo riguarda gli interventi nei confronti di imbarcazioni con a bordo clandestini, i quali, una volta che i natanti sono salpati verso il nostro Paese, debbono necessariamente privilegiare le operazioni di soccorso, al fine di evitare la perdita di vite umane. La fase del contrasto è pertanto successiva e si realizza attraverso il rimpatrio di coloro che non hanno titolo per rimanere in Italia.

Il secondo aspetto concerne le domande di riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951, eventualmente presentate dai migranti irregolari che giungono nel nostro Paese.

Tali domande sono esaminate e decise dalla commissione centrale per il riconoscimento dello status di rifugiato. Desidero precisare che la mancanza di una legge organica lamentata dagli interroganti per quanto riguarda l’asilo non ha impedito e non impedisce la trattazione delle richieste secondo standard conformi alla normativa internazionale e alle disposizioni comunitarie, in attesa dell'approvazione del testo di legge sulla protezione umanitaria e il diritto in asilo attualmente in discussione in Parlamento.

Da questo ultimo punto di vista, tornando alla vicenda della Cap Anamur, pur riconoscendone i delicati profili umanitari, il rispetto del diritto internazionale e comunitario è assolutamente doveroso ed una eventuale deroga, unilateralmente decisa da uno Stato, costituirebbe un pericoloso precedente e potrebbe aprire la strada a contenziosi ed abusi.

In tal senso, come noto, si sono espressi i Ministri dell'interno italiano e tedesco, che hanno congiuntamente esaminato la vicenda in un incontro a margine della riunione dei Ministri dell'interno dei cinque maggiori Paesi europei tenutasi il 6 luglio scorso a Sheffield.

Devo da ultimo sottolineare, come già detto in precedenza, che sono in corso approfonditi accertamenti anche in sede internazionale da parte del Ministero degli affari esteri e delle forze di polizia sulla esatta dinamica dei fatti alla luce delle continue e contraddittorie dichiarazioni del comandante della nave.

A titolo solamente esemplificativo, cito l’episodio per cui, avendo denunciato la presenza di stato di malattia a bordo, il comandante ha successivamente rifiutato l’accesso a bordo del medico inviato dalle autorità italiane. Così come è di poche ore fa, delle ore 12,20 esattamente, la comunicazione dello stesso comandante di essersi allontanato di ulteriori 5 miglia dall’attuale posizione, per non rischiare di entrare, anche accidentalmente, in acque territoriali italiane.

Solo al termine, quindi, di questa fase di accertamento sarà possibile adottare una definitiva decisione al riguardo.

IOVENE (DS-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

IOVENE (DS-U). Signor Presidente, mi devo dichiarare insoddisfatto per la risposta che ha fornito il sottosegretario D’Alì.

In questa circostanza, si stanno mostrando inutilmente i muscoli ai danni di 37 cittadini, 36 dei quali provenienti dal Sudan, in particolare dal Darfur (realtà nella quale c’è un’emergenza umanitaria drammatica, rispetto alla quale lo Stato e il Governo italiano hanno dichiarato a più riprese di voler intervenire in forma straordinaria facendosene carico), e di un cittadino della Sierra Leone.

In realtà, il diritto marittimo e il diritto internazionale per i rifugiati stabiliscono un principio umanitario fondamentale che l'Italia è tenuta a rispettare: gli Stati devono facilitare lo sbarco dei naufraghi, a prescindere dal loro status. I 37 sulla Cap Anamur devono quindi poter scendere a terra il prima possibile e ottenere un’adeguata protezione.

L'Italia non può giustificare il suo divieto a far entrare la nave in porto e quindi a esaminare eventuali domande di asilo appellandosi alla circostanza che l’imbarcazione - come ha detto il sottosegretario D’Alì - era precedentemente entrata in acque territoriali maltesi (applicando il cosiddetto Dublino II). Infatti, questo Regolamento deve essere applicato nel momento in cui il cittadino presenta effettivamente la domanda.

L'articolo 5 del Regolamento prevede che, in linea generale, sia competente ad esaminare la domanda di asilo lo Stato membro del quale il richiedente abbia varcato la frontiera irregolarmente, se tale ingresso può essere provato. L'Italia sostiene che, nel caso in oggetto, tale Stato sia Malta, dal momento che la Cap Anamur sarebbe transitata in acque territoriali maltesi con a bordo i naufraghi.

Ciò non può costituire tuttavia in alcun modo un motivo da parte italiana per impedire l’accesso al proprio territorio e alla procedura di asilo. Al contrario, la convenzione di Dublino del 1990, e il successivo regolamento comunitario, sono nati proprio con l'intento di evitare il fenomeno dei cosiddetti rifugiati in orbita.

Se lo Stato in cui il richiedente fa ingresso ritiene di non essere competente, comunque è tenuto ad incardinare la domanda di asilo e ad attivare la procedura prevista dall’artico 11 del Regolamento per determinare se è un altro il Paese competente. Sostenere che la domanda di asilo non possa essere recepita dall'Italia poiché si è stabilito "preventivamente" che è Malta lo Stato competente viola il Regolamento di Dublino.

In secondo luogo, l’articolo 5 stabilisce una gerarchia di criteri da applicare per determinare lo Stato competente, che tengono conto anche dell’età del richiedente e della presenza di familiari dei rifugiati, elementi che possono essere valutati soltanto a domanda presentata e una volta identificati i richiedenti asilo.

Quello che voi fate come Governo si sta trasformando, invece, in un’azione di respingimento collettivo, in violazione dell’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951. È per questo motivo che sono insoddisfatto della risposta che mi è stata fornita.

PRESIDENTE. Segue l’interpellanza 2-00276, sulla partecipazione di un magistrato ad un convegno politico.

Ha facoltà di parlare il senatore Novi per illustrare tale interpellanza.

NOVI (FI). Signor Presidente, la vicenda oggetto dell’interpellanza, di cui sono stato informato tempo fa, riguarda il sostituto procuratore di Perugia, dottor Sergio Sottani, il quale si è distinto per un’inchiesta riguardante alcuni lavori di ristrutturazione di una strada della città umbra.

Il dottor Sottani, sollecitato anche da atti parlamentari e da dichiarazioni di parlamentari della sinistra umbra, aprì un’inchiesta giudiziaria che portò poi al sequestro del primo tratto di quella strada. La Corte di cassazione, successivamente, ha dichiarato l’illegittimità del provvedimento assunto dal pubblico ministero, dottor Sottani, ordinando la rimozione del sequestro operato.

La vicenda dimostra l’esistenza di un rapporto di collateralità tra il magistrato ed alcuni settori della sinistra umbra, che in qualche modo rappresentano il potere stratificato da decenni di egemonia in quella Regione. Questo collateralismo arrivava al punto che il dottor Sottani pubblicamente faceva intendere la sua adesione a tale schieramento politico.

Lo stesso fatto che alla base del suo provvedimento giudiziario ci fossero dichiarazioni di alcuni esponenti della sinistra umbra e atti di sindacato ispettivo parlamentare sta a dimostrare che si trattava di un’inchiesta giudiziaria attivata nell’ambito di una vera e propria campagna di mobilitazione dell’opinione pubblica contro la maggioranza di centro-destra al Comune di Assisi.

Lo stesso impatto mediatico che seguì a quell’inchiesta giudiziaria, il rilievo che ad essa fu dato dal TG locale e lo spazio che trovò sui giornali dimostrano e sostanzialmente fanno intendere quanto fosse stretto il rapporto fra il dottor Sottani e l’area politica della sinistra umbra.

L’atto ispettivo si sofferma anche su un’altra vicenda. Il dottor Sottani era stato indicato come partecipante ad un convegno dell’Associazione "Articolo 21", presieduta dallo stesso parlamentare che aveva preso posizione, con atti parlamentari e con dichiarazioni, contro i lavori di ristrutturazione di quella strada.

Sono fatti che possono sembrare di poco conto, ma - a prescindere dalla presenza o meno del dottor Sottani alla manifestazione dell’Associazione "Articolo 21" - in realtà, il nocciolo di questa vicenda è un altro: l’interconnessione tra l’attività di un magistrato e l’attività politica di un’area della sinistra umbra. Sostanzialmente, su sollecitazione di quest’area politica il magistrato procede e lo fa con atti di cui poi la Corte di cassazione dichiara l’illegittimità.

La presenza o meno del dottor Sottani a quel convegno, in realtà, assume un rilievo non probante; il rilievo probante, semmai, è lo stretto collegamento tra l’attività inquirente del dottor Sottani e le sollecitazioni provenienti da una determinata area politica.

PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere all'interpellanza testé svolta.

VALENTINO, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, in effetti, nell’interpellanza del senatore Novi era indicato un percorso processuale che poi si è concluso con una decisione della Corte di cassazione che ha dato torto all’impostazione accusatoria e lo ha fatto in maniera puntuale e rigorosa.

Oggetto dell’interpellanza, al di là delle considerazioni che possono svolgersi circa talune sintonie che forse sussistono tra aree della politica e aree della magistratura, era la partecipazione al convegno del dottor Sottani.

A questo proposito, devo riferire al senatore Novi che il dottor Sottani ha smentito in maniera categorica di aver partecipato al convegno. Ha detto di non aver autorizzato che il proprio nome fosse inserito nell’elenco dei relatori. Si è riservato di adire le iniziative del caso nei confronti di coloro che, in maniera così arbitraria, lo hanno incluso in una manifestazione alla quale egli non intendeva assolutamente intervenire.

Alla luce di quanto emerso, non sussistono i presupposti per attivare le iniziative ispettive che sono state sollecitate dal senatore Novi.

NOVI (FI). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

NOVI (FI). Signor Presidente, onorevole Sottosegretario, come si vede, allora un fondamento c’era per la presentazione del mio atto di sindacato ispettivo.

Infatti, il nome del dottor Sottani era presente ed individuabile nei manifesti che tappezzarono in quei giorni la città di Perugia. Non risulta che il dottor Sottani abbia dichiarato la sua totale estraneità a quel convegno nelle ore in cui si svolgeva. Se il dottor Sottani, una volta imbattutosi nei manifesti affissi nella città, si fosse dissociato da quella manifestazione con dichiarazioni pubbliche riportate dalla stampa (che con molta e puntuale attenzione ha seguito tutta la vicenda), probabilmente non avrei presentato l’interpellanza.

Comunque, non mi piace il termine "dissociazione"; preferirei non pronunciarlo, perché non appartiene al mio modo di pensare. Infatti, le persone non debbono dissociarsi da nulla; semmai, debbono avere l’orgoglio di appartenere ad uno schieramento politico, anche se magistrati.

Mi rifiuto di credere, quindi, che l’Associazione "Articolo 21" (un’associazione credibile, promossa da parlamentari di provata esperienza nel settore mediatico e non solo) avesse millantato la presenza e la partecipazione del dottor Sottani a quella manifestazione.

In realtà, la vicenda è un’altra: in un primo momento, probabilmente, il dottor Sottani aveva dato la sua adesione alla manifestazione. Quando poi è emerso ciò che viene ora definito conflitto di interessi (altra espressione che non appartiene al mio modo di pensare) tra il dottor Sottani inquirente contro gli atti della Giunta di centro-destra di Assisi e il dottor Sottani partecipante ad una manifestazione promossa da parlamentari che, con i loro atti di sindacato, avevano sollecitato le inchieste poi attivate dal dottor Sottani, probabilmente il magistrato si è reso conto dell’enormità della situazione, anche perché gli avversari politici non avevano taciuto il loro dissenso verso questi comportamenti, e all’ultimo momento ha deciso di negare la sua presenza alla manifestazione.

Se il dottor Sottani fosse stato in grado di dimostrare il suo dissenso preventivo verso quella manifestazione e lo avesse reso pubblico, avrei preso per buona la sua precisazione. In realtà, il dottor Sottani non manifestò alcun dissenso preventivo. Di conseguenza, ritengo che il dottor Sottani all’ultimo momento abbia deciso di non partecipare a quella manifestazione anche per non arrecare nocumento alla sua attività di magistrato della Repubblica.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione 3-00755 sull’elezione di un magistrato alla carica di sindaco.

Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere a tale interrogazione.

VALENTINO, sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, faccio presente che, in via di principio, nessuna causa di ineleggibilità sussiste in capo al magistrato che, espletando le proprie funzioni giurisdizionali in un dato ambito territoriale, venga candidato alla carica di Sindaco in altro territorio non soggetto alla giurisdizione dell’ufficio di appartenenza, né sussiste in capo al magistrato eletto a seguito di consultazioni amministrative comunali o provinciali alcuna ipotesi di incompatibilità.

Nel caso di specie, il dottor Elio Costa, magistrato peraltro molto noto ed apprezzato, non era ineleggibile, non ricorrendo la condizione di cui all’articolo 60, comma 1, del decreto legislativo n. 267 del 2000, che circoscrive la situazione impeditiva all’assunzione della carica di sindaco per magistrati addetti alle Corti d’appello nell’ambito territoriale nel quale esercitano le proprie funzioni.

Non vi è pertanto alcuna incompatibilità in capo al dottor Costa, tuttora in servizio, in qualità di sostituto procuratore aggiunto presso la Procura generale della Corte d’appello di Roma, con la proclamazione a Sindaco del Comune di Vibo Valentia, avvenuta in data 29 maggio 2002, della quale il Consiglio superiore della magistratura ha preso atto con nota del 15 luglio 2003.

Peraltro, in tale valutazione è assorbita ogni altra considerazione, cui si fa cenno nell’interrogazione, a proposito di ulteriori autorizzazioni che avrebbero dovuto essere ottenute dal dottor Costa.

IOVENE (DS-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

IOVENE (DS-U). Signor Presidente, prendo atto di quanto detto dal sottosegretario Valentino.

Vorrei però sottolineare due aspetti: il primo che il sindaco-magistrato Elio Costa ha svolto per lunghi anni la sua carriera di magistrato nella città di Vibo Valentia, comunque nell’area della Calabria (è stato sostituto procuratore a Palmi per diversi anni). È quindi evidente che per la sua funzione di magistrato e per quello che egli ha fatto nel corso della sua carriera è ben conosciuto in quella realtà.

Il secondo aspetto riguarda un problema politico più generale, dato che sono passati ormai quasi due anni dalle elezioni comunali: il dottor Costa continua a svolgere contemporaneamente l’attività di Sindaco di una città, capoluogo di provincia, grande ed importante, e di sostituto procuratore generale presso la Corte d’appello di Roma. È un problema di opportunità politica.

Proprio da questo Governo e dalla maggioranza che lo sostiene abbiamo, a più riprese, sentito parole di fuoco sulla politicizzazione dei magistrati, sul fatto che i magistrati non sono indipendenti e che nell’esercizio delle loro funzioni sono ispirati da valutazioni politiche. Ebbene, questo è un caso manifesto in cui un magistrato prende parte politicamente (nell’ambito della Casa delle Libertà) e continua ad esercitare la sua funzione di magistrato.

È evidente che le vostre valutazioni sono a senso unico e non obiettive, legate unicamente a considerazioni strumentali. Altrimenti, per coerenza e correttezza, avreste dovuto chiedere voi stessi al dottor Elio Costa, una volta accettata la candidatura ed eletto Sindaco (che non consiste in una funzione amministrativa qualsiasi, bensì nella guida di una coalizione di centro-destra quale quella che voi rappresentate) di astenersi, per il periodo in cui ricoprirà tale carica, dall’esercizio di funzioni così importanti e delicate quali quelle di magistrato, anche se svolte ad alcuni chilometri di distanza dalla città di cui è Sindaco.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione 3-01382 sull’ufficio del giudice di pace di Osimo.

Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere a tale interrogazione.

VALENTINO, sottosegretario di Stato per la giustizia. In merito all'interrogazione del senatore Cavallaro, faccio presente che l'organico magistratuale dell'Ufficio del giudice di pace di Osimo prevede due unità, allo stato entrambe presenti ed individuate nei dottori Benedetto Loiodice e Paola Isabella Belli. II dottor Loiodice cesserà dalle funzioni di giudice di pace il 1° aprile 2006, mentre la dottoressa Belli dismetterà le medesime dal 10 aprile 2006.

In particolare, il dottor Loiodice ha rivestito la funzione di coordinatore presso l'Ufficio in parola sino al 9 dicembre 2003, data in cui le dimissioni presentate dal medesimo in rapporto a detta funzione sono state ratificate con decreto ministeriale.

Per quanto riguarda la dotazione organica del personale amministrativo dell'Ufficio del giudice di pace di Osimo, la stessa prevede quattro unità, di cui sono presenti due (un operatore giudiziario B1 e un ausiliario A1). Presta inoltre servizio, non conteggiato nell'organico, un dipendente comunale (posizione economica B3) ivi comandato ai sensi dell’articolo 26, comma 4, della legge n. 468 del 1999. Pertanto, le presenze effettive salgono a tre.

I posti vacanti (di cancelliere C2 e cancelliere B3) potranno essere coperti all'esito delle procedure di riqualificazione riservate al personale dipendente.

Per quanto sopra detto, attesa la diffusa carenza di tali figure professionali in tutti gli uffici del distretto, attivare la procedura dell'interpello distrettuale, prevista dall'accordo sulla mobilità interna del personale del 28 luglio 1998, potrebbe sortire l'unico effetto di favorire un ufficio giudiziario a danno di un altro con analoga situazione di servizio.

Relativamente alla carenza della figura professionale di cancelliere C2 - considerato che il posto vacante di cancelliere B3 è temporaneamente coperto dal dipendente comunale di cui si è detto - il Presidente della Corte di appello di Ancona può sopperire mediante il ricorso alle applicazioni temporanee di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 18 del citato accordo sulla mobilità interna, garantendo, ove possibile, l'avvicendamento del personale al fine di evitare un eccessivo aggravio dell'applicazione su un solo ufficio giudiziario.

Per fronteggiare le immediate esigenze di servizio dell'Ufficio del giudice di pace è, inoltre, possibile continuare a ricorrere ai comandi di dipendenti comunali già in servizio presso i soppressi uffici di conciliazione, ai sensi dell'articolo 26, comma 4, della legge n. 468 del 1999.

La procedura per l'attivazione di tali comandi è contenuta nella circolare del 6 marzo 2000 e in quelle successive, emanate sull'argomento dalla competente direzione generale, con le quali è stata, altresì, attribuita al presidente del tribunale la competenza relativa. In esse viene precisato che la norma sopra citata ha previsto che il personale dipendente comunale, che opera o ha operato per almeno due anni presso gli uffici di conciliazione, continui a prestare servizio nella medesima posizione presso l'Ufficio del giudice di pace del circondario con competenza anche per il Comune già sede degli uffici di conciliazione, a condizione, ovviamente, che sia ritenuto necessario dall'amministrazione della giustizia e vi sia il consenso dell'interessato.

I presidenti dei tribunali sono delegati a richiedere alle amministrazioni comunali competenti il comando, che si configura per l'amministrazione cedente come atto dovuto e la cui realizzazione deve avvenire entro quindici giorni dalla richiesta del personale citato, che potrà essere utilizzato per la durata di un anno, prorogabile in relazione alle esigenze dell'Ufficio, esclusivamente negli Uffici del giudice di pace nel cui territorio si trova il Comune di appartenenza del dipendente.

CAVALLARO (Mar-DL-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

CAVALLARO (Mar-DL-U). Signor Presidente, prendo atto dei dati molto dettagliati che sono stati forniti. Mi sembra, tuttavia, che essi confermino la motivazione per la quale il giudice di pace coordinatore aveva rassegnato le dimissioni dall'incarico.

In parte, si tratta di una situazione di carattere generale che, ritengo, non riguarda soltanto il personale non giudicante, tant'è che è noto che lo stesso Ministero ha redatto una mappa di verifica della situazione territoriale dei giudici di pace che non ha però esitato alcun provvedimento di carattere generale e di ridistribuzione.

Posso solo dire, ad intuito, anche per esperienza professionale, che due sole unità giudicanti, ora che si è aggiunto anche il penale in una città con oltre 30.000 abitanti, non mi sembrano sufficienti per smaltire il carico di lavoro.

Quanto riferito dal Sottosegretario conferma, invece, l'inadeguatezza strutturale del personale e la mancanza di figure in organico. Quello dei cancellieri è un problema endemico che riguarda tutte le sedi giudiziarie e che comunque va risolto. I suggerimenti indicati mi sembrano del tutto insufficienti, perché prevedono, fra l'altro, meccanismi, come quello dei distacchi interni del personale del Ministero, poco graditi al personale stesso, che vede come il fumo agli occhi l’eventualità di spostarsi.

Ciò vale in particolare per un territorio come quello marchigiano, dove le sedi giudiziarie sono - per ragioni non solo storiche, ma anche di fruizione delle popolazioni - diffuse sul territorio, per cui difficilmente i lavoratori si sobbarcano lunghe trasferte quotidiane.

Lo stesso vale per i comandi suggeriti. Intanto, bisognerebbe verificare se vi fosse personale assegnato specificamente agli uffici di conciliazione; fra l'altro, molto spesso i Comuni destinavano tale personale in via bonaria, senza distaccarlo in maniera formale dagli organici, e comunque i Comuni hanno difficoltà economiche e quindi assegnano malvolentieri personale a loro carico agli uffici giudiziari.

Anche sotto questo profilo, prendo atto che si tratta di indicazioni, riferite in quest'Aula, che sarà mia premura comunicare al Sindaco e al presidente del tribunale, ma che non credo saranno ritenute sufficienti e soddisfacenti.

Colgo l'occasione, data anche la vischiosità dei meccanismi delle interrogazioni, per far presente al Sottosegretario che si sta aprendo un altro varco nella giustizia osimana, perché nella sezione distaccata del tribunale il magistrato titolare è andato in quiescenza e non è stato sostituito in maniera immediata e tempestiva. Si parla di una sua nomina a settembre: è il caso che anche su questo si vigili, affinché il provvedimento del presidente del tribunale sia tempestivo.

È chiaro che tutto ciò si inquadra in un discorso che facciamo anche in altra sede; su questo potremmo anche essere d'accordo, perché in materia di ordinamento giudiziario alcune iniziative organizzative dovrebbero essere affidate non necessariamente e non tanto alla magistratura, ma anche a manager che possano organizzare il lavoro non solo giudiziario, ma anche accessorio in maniera efficace ed efficiente, come è giusto che sia per ogni pubblica amministrazione.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione 3-01473 sulla punizione inflitta ad un maresciallo dei carabinieri.

Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere a tale interrogazione.

BOSI, sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, quanto all'interrogazione presentata dal senatore Falomi e da altri senatori, le affermazioni in merito ad un presunto tentativo del Governo di limitare, per i cittadini con le stellette, la libertà di espressione e di parola, nonché l'affermazione secondo cui la decisione della sanzione sarebbe stata presa su pressione diretta del Gabinetto del Ministro della difesa, sono destituite di qualsiasi fondamento.

Infatti, la sanzione disciplinare inflitta al maresciallo Pallotta è conseguenza esclusiva del comportamento da lui tenuto in violazione delle norme di principio sulla disciplina militare (articolo 9, legge 11 luglio 1978, n. 382) e del regolamento di disciplina (decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio 1986, n. 545), avendo egli rilasciato in ripetute occasioni (il 17 ottobre, il 12, 13 e 14 novembre del 2003) dichiarazioni attinenti al servizio - trattamento economico del personale delle forze di polizia, nascita del primo sindacato militare italiano indirizzato ai carabinieri in congedo e missione militare in Iraq - ad organi d'informazione di livello nazionale senza la prescritta autorizzazione, violando così il dovere di riserbo e ledendo il prestigio e la reputazione dell'Arma dei carabinieri e delle Forze armate.

Il procedimento disciplinare, concluso il 10 marzo ultimo scorso, è stato instaurato e definito dal comandante dei carabinieri della Regione Lazio in piena autonomia, nell'ambito delle proprie attribuzioni e nel rispetto della normativa vigente. Infatti, l'articolo 9 della legge di principio sulla disciplina militare (la succitata legge n. 382 del 1978) riconosce ai militari la libertà di manifestare pubblicamente il proprio pensiero, salvo si tratti di argomenti a carattere riservato di interesse militare o di servizio, per i quali deve essere ottenuta l'autorizzazione.

Tale normativa è pienamente coerente con il dettato costituzionale, anche se impone precisi limiti al personale militare nell'esercizio dei diritti costituzionali in virtù del loro particolare stato giuridico, caratterizzato dal rapporto gerarchico e dalla disciplina militare: regole fondamentali per i cittadini alle armi, ma anche fattori essenziali di coesione e efficienza, senza i quali non è possibile assolvere con efficacia e affidabilità il compito della difesa della Patria assegnato dalla Costituzione alle Forze armate.

Da quanto sopra esposto emergono chiaramente le motivazioni di ordine giuridico in base alle quali si è giunti alla sanzione disciplinare e l'infondatezza di un presunto accanimento nei confronti del maresciallo Pallotta.

Non vi è alcun riscontro su dichiarazioni, citate dagli interroganti, rilasciate da singoli militari dell'Arma in servizio aderenti all'Associazione Pastrengo sull'intervento militare in Iraq; solo un comunicato Ansa del 24 febbraio 2004 riporta alcune dichiarazioni, riferendole ad una nota dell'Associazione in argomento e non a singoli membri, fatto che potrebbe comunque configurare una possibile violazione delle norme statutarie da accertarsi nelle sedi opportune.

Infine, la vicenda del maresciallo Pallotta non ha alcuna attinenza e non è confrontabile in alcun modo con quella dei piloti elicotteristi dell'Esercito per l'evidente diversità dei comportamenti e delle circostanze.

In conclusione, da quanto sopra esposto, non emergono allo stato motivi che possano indurre l'Amministrazione a riformare il provvedimento a carico del Pallotta.

FALOMI (Misto). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

FALOMI (Misto). Signor Presidente, devo dichiararmi profondamente insoddisfatto della risposta data dal sottosegretario Bosi.

Se si fosse trattato veramente di questioni attinenti al servizio, di questioni riservate o lesive del prestigio dell'Arma dei carabinieri, il rappresentante del Governo avrebbe avuto ragione. Credo invece che le dichiarazioni oggetto di questa interrogazione abbiano molto poco a che fare con questioni attinenti al servizio, al prestigio dell’Arma o a problemi di carattere riservato.

Si tratta, infatti, di una dichiarazione relativa alla guerra in Iraq - naturalmente è un’opinione che si può non condividere - in cui si sostiene che la presenza delle truppe italiane in Iraq non è una presenza di pace, ma una vera e propria occupazione. È un’affermazione che attiene ad un fatto che riempie le pagine di tutti i giornali del mondo, che forma oggetto di un vasto dibattito nel nostro Paese e che attiene alle opinioni politiche. Far passare un’opinione del genere come una questione che riguarda il servizio è francamente una forzatura da parte del Governo.

Come pure trovo sia una forzatura parlare di questioni riservate. Non so se il riferimento è alle dichiarazioni rese dal maresciallo Pallotta a proposito del trattamento economico dei militari. Si trattava, in realtà, di una replica rilasciata ad un giornale a seguito di alcune dichiarazioni di esponenti di Alleanza Nazionale che promettevano più soldi per le forze dell’ordine. Tali dichiarazioni venivano contestate con dati di carattere pubblico, privi quindi di quel carattere di riservatezza di cui si è parlato.

Quanto alla lesione del prestigio delle Forze armate, nella dichiarazione di cui si parla in nessun caso è stata nominata l’Arma dei carabinieri. Francamente trovo che la punizione inflitta al maresciallo Pallotta sia più un intervento di carattere censorio, di limitazione della libertà di parola, garantita dalla Costituzione oltre che dalle leggi vigenti anche ai cittadini con le stellette, che una forma di tutela come prevede la legge.

Il richiamo al caso dei militari dell’Associazione Pastrengo, che invece avevano esternato la loro opinione favorevole alla guerra in Iraq e alla presenza militare italiana, naturalmente non vuole essere un atto di censura nei confronti di tali militari, che hanno tutto il diritto di esprimere la loro opinione (che io non condivido e che probabilmente neanche il maresciallo Pallotta condivide). Con quel riferimento, volevo però evidenziare l’elemento dei due pesi e delle due misure.

Infine, vorrei sottolineare, per ciò che mi consta, che il fatto che non sia partito dal Gabinetto del Ministro alcun ordine di punizione nei confronti del maresciallo Pallotta non corrisponde al vero. Esistono, e posso mostrarle, esplicite lettere protocollate a dimostrazione che dagli uffici del Ministro è partita un’indicazione di intervento di carattere censorio e di limitazione della libertà di parola di un militare.

La mia insoddisfazione comunque non significa in alcun modo che cesseremo di intervenire ogni qualvolta vedremo che ai militari vengono negati i diritti costituzionali.

PRESIDENTE. Segue l’interrogazione 3-01600 sui cittadini iracheni catturati dal contingente militare italiano.

Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere a tale interrogazione.

BOSI, sottosegretario di Stato per la difesa. Signor Presidente, gli elementi di risposta che mi accingo a fornire confermano ed integrano le precedenti valutazioni formulate rispettivamente dal ministro Martino, nell’Aula della Camera dei deputati, e dal ministro Giovanardi, nell’Aula del Senato della Repubblica, nelle sedute del 12 maggio ultimo scorso riguardo ad analoghi atti di sindacato ispettivo.

Si ribadisce la più ferma condanna del Governo in merito a notori, abietti episodi riferibili ad appartenenti a forze di altri Paesi, che - a quanto è a tutti noto - hanno sottoposto a sevizie ed abusi soggetti catturati. Si ribadisce altresì il fermo auspicio che coloro che si sono macchiati di tali atti siano sottoposti ad una giusta ed esemplare punizione.

Ciò fermo, è noto che le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 1483/2003 e n. 1511/2003 - che definivano il quadro internazionale prima della sopravvenienza della risoluzione n. 1546/2004 - conferiscono lo status di potenze occupanti agli Stati Uniti ed alla Gran Bretagna, con conseguenti responsabilità ed obblighi.

La prima risoluzione espressamente richiama le Convenzioni di Ginevra del 1949 e il Regolamento dell'Aja del 1907; la seconda, sottolineando che la sovranità irachena risiede nello Stato iracheno e, considerando il fatto che la sicurezza e la stabilità condizionano il processo di ricostruzione dell'Iraq, autorizza una forza multinazionale, a comando unificato, a prendere tutte le misure necessarie per contribuire al mantenimento della sicurezza e della stabilità. Al tempo stesso, essa sottolinea l'importanza di costituire una forza irachena di polizia e sicurezza efficace, per mantenere l'ordine, la sicurezza e combattere il terrorismo.

In tale quadro si inserisce l'attività del nostro contingente, che provvede a consegnare i soggetti fermati rispettivamente al Comando britannico, se autori di atti ostili contro la Coalizione, o alla Polizia irachena, se responsabili invece di reati comuni.

L'azione di fermo da parte del nostro contingente assume carattere di custodia provvisoria, necessaria per i previsti accertamenti, di norma espletati entro quattordici ore, con un limite massimo di quarantotto ore, circostanze materiali permettendo.

Ai soggetti ostili, seppure non considerabili legittimi combattenti, viene garantito almeno il trattamento umanitario minimo previsto dalle Convenzioni di Ginevra. Tale principio, indicato nella direttiva del Ministero della difesa sulla missione "Antica Babilonia", è stato ribadito nella direttiva operativa nazionale, che richiama le convenzioni internazionali e le relative sanzioni.

Il Memorandum of Understanding, sottoscritto tra i Ministri della difesa di Italia, Gran Bretagna e da altre Nazioni facenti parte della forza multinazionale legittimata dall'ONU, tratta varie questioni, tra cui anche il trattamento delle persone detenute, cui deve essere garantita l'osservanza delle norme del diritto internazionale umanitario.

Il Memorandum s'inserisce nell'attività di mantenimento della sicurezza e di stabilizzazione voluta dalla rammentata risoluzione, quale quadro applicativo di essa, e pertanto le medesime ragioni che definiscono l'esigenza che con tale atto l'ONU ha voluto proteggere impongono di mantenerne, allo stato, riservato il contenuto.

La riservatezza su aspetti militari sensibili è doverosa, sia per le proprie forze che per quelle della Coalizione, e rappresenta una normale precauzione, in quanto la diffusione indiscriminata di informazioni è, a ragione, considerata da tutti gli Stati una fonte di alto rischio.

Al fine di verificare il trattamento e le condizioni di salute dei soggetti consegnati dall'Italia, sono state previste verifiche mensili da parte di un apposito team, che comprende un esperto legale e un ufficiale medico dell'Italian Joint Task Force, congiuntamente a responsabili della Polizia militare inglese.

Ciò ha consentito di verificare che le modalità di trattamento e di detenzione praticate nel carcere britannico di Al Shaiba risultano complessivamente soddisfacenti e conformi alle Convenzioni di Ginevra e al diritto umanitario.

Risulta, inoltre, che già la Croce Rossa internazionale ha svolto ispezioni bimestrali alla struttura di Al Shaiba nei mesi di febbraio, aprile e maggio del corrente anno, con esiti che pare siano stati definiti "eccellenti". Il carcere è stato visitato anche da un Gruppo parlamentare del Regno Unito, il 17 febbraio 2004.

Il quadro normativo di diritto umanitario internazionale, gli accordi stipulati e le relative procedure offrono adeguate garanzie sulla volontà e sulla capacità britannica nell'applicare le norme in materia di tutela dei catturati.

È utile, inoltre, ricordare che la risoluzione delle Nazioni Unite n. 1546 dell'8 giugno 2004 riafferma ed autorizza una forza multinazionale sotto comando unificato, già stabilita dalla risoluzione n. 1511, e rammenta che le forze costitutive della forza multinazionale si sono impegnate ad agire comunque nel rispetto dei doveri nascenti dal diritto dei conflitti armati, che include le Convenzioni di Ginevra.

Per quanto concerne le informazioni richieste dal senatore interrogante sui cittadini iracheni consegnati dal nostro contingente al Comando multinazionale, si evidenzia che trattasi di attività che riguarda solo soggetti ostili e che viene svolta nel rammentato contesto di sicurezza, internazionalmente legittimato dalla risoluzione n. 1511, il che impone di non rendere pubblici i loro nominativi.

Inoltre, non appare opportuno interloquire con l'inchiesta avviata e tuttora in corso, da parte della Procura militare di Roma, per il doveroso rispetto della competenza dell'autorità giudiziaria.

In conclusione, anche a fronte dell'evidenza che hanno avuto gli episodi di torture ed abusi, per il contingente nazionale italiano sono in atto tutte le possibili misure di garanzia, affinché sia accertato prima della consegna che ai soggetti fermati e poi consegnati vengano assicurate concretamente condizioni di trattamento conformi alle norme del diritto internazionale.

DI SIENA (DS-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI SIENA (DS-U). Signor Presidente, debbo dichiararmi complessivamente insoddisfatto della risposta del Governo, perché elusiva su alcuni quesiti puntuali e circostanziati contenuti nell’interrogazione e in qualche caso, per così dire, esplicitamente negativa sull’opportunità o sulla legittimità di fornire le informazioni che noi abbiamo richiesto in questa interrogazione.

Vorrei anche far notare che, benché sia comprensibile il fatto che questioni di carattere militare contenute nel Memorandum in questione, siglato tra il Regno Unito e il nostro Paese, possano essere tenute riservate, non si capisce perché la stessa riservatezza debba essere tenuta per quelle parti che dovrebbero costituire elemento di tutela per i cittadini del Paese occupato.

Comunque, la mia insoddisfazione nasce anche da una valutazione di carattere più generale. Mi pare cioè che nella risposta del Governo perduri quell’elemento di sottovalutazione del contesto entro cui sono avvenuti gli episodi efferati di tortura a cui noi facciamo riferimento, e che sono stati oggetto di tanta parte dell’attenzione dell’opinione pubblica internazionale, e del fatto che tale contesto presenta elementi di grande preoccupazione, non solo per le questioni che noi abbiamo sollevato nell’interrogazione, ma per il quadro più generale entro cui si sta sviluppando la vicenda irachena.

Voglio dire che alle spalle di quelle vicende c’è già un precedente inquietante, quello dello status dei prigionieri a Guantanamo immediatamente dopo l'attentato delle due Torri e dopo la guerra in Afghanistan, che già di per sé costituisce un vulnus a princìpi elementari del diritto internazionale, mentre a valle degli episodi di cui noi ci siamo fatti portatori in questa discussione vi sono le decisioni assunte ieri dal nuovo Governo iracheno relative a misure di sicurezza fortemente lesive di diritti individuali e di condizioni di sicurezza all’interno di quel Paese, decisioni restrittive delle libertà personali, che a mio parere alimenteranno, più che scongiurare, la spirale di violenza e la penetrazione del fenomeno terroristico all’interno di quello sfortunato Paese.

La situazione a monte, quella delle vicende legate alle torture e allo status dei prigionieri iracheni nel corso dell’occupazione, e quella a valle, che riguarda un profilo inquietante che sta assumendo la nuova amministrazione irachena in quel Paese, indicano un quadro di incertezza del diritto internazionale in una situazione in cui tutte le relazioni internazionali stanno andando in una direzione in cui al diritto si sovrappone il principio della forza e a quello della sicurezza dei cittadini e delle persone si sovrappone quello della violenza dei potenti.

PRESIDENTE. Segue l’interpellanza 2-00552, con procedimento abbreviato, ai sensi dell'articolo 156-bis del Regolamento, sulla FIAT SATA di Melfi.

Ricordo che, ai sensi dell'articolo 156-bis del Regolamento, la predetta interpellanza potrà essere svolta per non più di dieci minuti e che dopo le dichiarazioni del Governo è consentita una replica per non più di cinque minuti.

Ha facoltà di parlare il senatore Malabarba per illustrare tale interpellanza.

MALABARBA (Misto-RC). Signor Presidente, signor Sottosegretario, ho presentato quest’interpellanza con il rito abbreviato circa due mesi e mezzo fa, quando era in corso la nota vertenza sindacale presso lo stabilimento FIAT SATA di Melfi e, in particolare, allorquando i lavoratori che presidiavano le vie di accesso alla fabbrica vennero caricati dalla polizia.

Ovviamente restano valide le domande formalmente formulate nell’interpellanza, rispetto alle quali attendo le risposte del Governo, perché un’azione diretta di tale gravità e portata non è fortunatamente usuale ed è augurabile che non abbia a ripetersi, poiché i conflitti di lavoro in nessun caso debbono essere considerati o derubricati a problemi di ordine pubblico.

Ma la distanza dai fatti e soprattutto l’esito di quell’aspro conflitto ci consentono di fare considerazioni meditate e persino di ricavare una vera e propria lezione dalla vicenda di Melfi. L’epilogo della vertenza mostra, a mio avviso, che la "sconfitta politica" della FIAT, indisponibile a rivedere ritmi, turnazioni e differenze salariali tra quella realtà produttiva e il resto del gruppo per le medesime prestazioni, è il fatto centrale.

Dopo dieci di anni di ricatto, dovuto ai gravi problemi occupazionali della Lucania e di quell’area del Mezzogiorno, la pentola si è scoperchiata e i lavoratori si sono ribellati, senza che alcuno aprisse formalmente un’iniziativa sindacale nello stabilimento principale.

I lavoratori hanno ottenuto una vittoria sul campo, grazie alla loro determinazione e grazie anche al fatto di aver trovato un’organizzazione sindacale, la FIOM-CGIL, che ne ha saputo raccogliere appieno le esigenze, trasformandole in una piattaforma da porre al negoziato.

Ma oltre ad una "sconfitta politica" della FIAT, registriamo un'altrettanto grande "sconfitta politica" del Governo, che - come ricordo nell’interpellanza - per bocca del Ministro del lavoro e del sottosegretario Sacconi ha puntato esplicitamente all’obiettivo di distruggere la FIOM. "Serve una sconfitta politica della FIOM", ha ripetuto più volte il sottosegretario Sacconi: mi pare che il risultato sia esattamente il contrario.

Noi ci siamo trovati di fronte ad una iniziale partecipazione massiccia di lavoratori e di lavoratrici che mai in questi anni avevano organizzato scioperi significativi, neppure - vorrei ricordarlo - in occasione della vertenza di tutto il gruppo FIAT degli ultimi due anni, che aveva visto mobilitazioni straordinarie, anche sul territorio di Melfi, da parte degli operai degli altri stabilimenti (basti ricordare le iniziative degli operai di Termini Imerese).

La partecipazione massiccia ai presìdi avutasi inizialmente è diventata totale - totale, signor Presidente, signor Sottosegretario - dopo le cariche della polizia: a dimostrare che le iniziali differenze nelle forme della protesta su obiettivi però unanimemente condivisi si annullavano di fronte ad una repressione incosciente.

Questa giovane classe operaia ha mostrato in quei giorni una maturazione rapida ed esaltante, come poi l’esito unitario, sostenuto alla fine da tutte le organizzazioni sindacali, ha dimostrato.

Si era partiti da un accordo separato capestro, si è determinata una reazione, si è arrivati al massimo esercizio di democrazia con la partecipazione alla lotta (con quotidiane assemblee decisionali sulla sua gestione), per arrivare al referendum confermativo finale (fatto raro nei luoghi di lavoro). Ciò dimostra, fra l’altro, che non solo non c’è contrapposizione tra conflitto sociale e democrazia, ma che - al contrario - l’uno è condizione dell’altra, come chi sta nei luoghi di lavoro ben sa.

Ma la sconfitta della FIAT ha indotto l’azienda ad una riflessione che, mi pare, stia coinvolgendo la stessa Confindustria: i problemi reali devono essere affrontati e risolti con le parti sociali e non disattesi per anni. Questa è una riflessione in corso; lo si sente dalle dichiarazioni di molti settori del padronato e dallo stesso presidente di Confindustria, ma non pare aver coinvolto il Governo.

E qui c’è l’altro rilievo contenuto nell’interpellanza: quello relativo al mancato ruolo istituzionale del Governo in quel conflitto sindacale. Il Ministro del lavoro non interviene nel merito del conflitto (e neppure dopo), anzi in alcuni casi si teorizza l’estraneità del Governo rispetto ai conflitti sociali.

Invece, il sottosegretario Sacconi pensa ad un altro tipo di intervento, pensa e purtroppo dice che a Melfi devono intervenire le forze dell’ordine: scandaloso per il Ministero del lavoro, che - ancor più del Ministro dell’interno - dovrebbe adoperarsi (a fronte di richieste, ripeto, da tutte riconosciute legittime da parte dei lavoratori) a trovare soluzioni, ad individuare un percorso di negoziato e a sostenerlo. Niente: si pensa alla polizia. Chi l’ha fatta intervenire?

A sentire, negli ultimi giorni, l’invocazione da parte del Ministro del lavoro di norme di ulteriore restringimento del diritto - costituzionalmente tutelato - allo sciopero per gli autoferrotranvieri e più in generale nel settore dei trasporti, sembrerebbe che si voglia continuare in un atteggiamento che non è certo quello di andare incontro alle esigenze dei lavoratori.

Dopo le sanzioni di quest’inverno a migliaia di tranvieri disobbedienti, adesso, a fronte di scioperi totali sui problemi irrisolti del settore, si punta di nuovo (sono le considerazioni che vengono avanzate dal Ministero del lavoro) a misure antisciopero, invece di affrontare i problemi contrattuali.

Posso chiedere se il Governo non sia disponibile in qualche modo a fare una qualche riflessione più seria. Non mi risponda, la prego, signor Sottosegretario, che i comportamenti delle forze dell’ordine sono stati esemplari, all’interno della professionalità tipica delle nostre forze dell’ordine. Sto cercando di porre un problema che va al di là.

Mi auguro che magari voglia venire incontro a questa esigenza e la ringrazio anticipatamente per la risposta che mi vorrà dare.

PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere all'interpellanza testé svolta.

VIESPOLI, sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, vorrei innanzitutto dire che la valutazione iniziale e l’auspicio fatto dal senatore Malabarba nell’illustrare l’interpellanza mi trovano consenziente.

Considerato il tempo trascorso dalla presentazione dell’interpellanza, non posso che riferirmi, nella risposta, a quanto già il Governo in sede parlamentare ha avuto modo di esplicitare sia riguardo all’intervento della polizia (vedi le dichiarazioni rese dal Ministro dell’interno in sede di informativa urgente del Governo alla Camera), sia rispetto alle ulteriori questioni poste dall’interpellante (mi riferisco alle risposte date dal ministro Giovanardi in occasione del question time alla Camera).

Sulla prima questione, come appunto evidenziato nell’informativa urgente, l’intervento della polizia si è determinato dopo una settimana di blocco degli stabilimenti e solo quando è emersa con chiarezza la necessità di garantire ai lavoratori dissenzienti il diritto di entrare in fabbrica. Non, dunque, per impedire il diritto incomprimibile degli scioperanti a manifestare liberamente le proprie opinioni, quanto per consentire l’esercizio, altrettanto incomprimibile, del diritto degli altri lavoratori ad entrare liberamente in fabbrica.

Circa il mancato intervento e coinvolgimento del Ministero del lavoro sul terreno negoziale, o comunque nel confronto tra le parti, non posso che ribadire la posizione che il Governo ha già espresso, non di estraneità rispetto al conflitto quanto di riconoscimento di una vicenda legata ad una vertenza sindacale che interessava materie specifiche della contrattazione, quali i trattamenti salariali e gli orari di lavoro. Per questi motivi, è vicenda tipica del confronto sindacale, quello democratico delle RSU, e quindi non necessita di un intervento da parte del Governo.

Con l’occasione ribadisco quanto il Governo ha già affermato nel "Libro bianco" sul mercato del lavoro nell’ottobre del 2001, e cioè che il Governo non ha intenzione d'intervenire su materie quali la rappresentanza, le regole di democrazia interna e la contrattazione, che spettano alla libera determinazione delle parti sociali.

Certo, confermo la valutazione del Governo rispetto ad una contrattazione che maggiormente tenga conto della produttività e delle condizioni locali del mercato del lavoro, come recentemente ricordato anche dalla Commissione europea e dal Fondo monetario internazionale, e l’auspicio che le parti sociali possano rapidamente trovare le sedi per un confronto approfondito su questo tema.

D’altra parte, come ha anche dimostrato il recente rapporto annuale dell’ISTAT, la perdita di potere d’acquisto delle retribuzioni è il risultato della moderazione salariale degli anni Novanta, peraltro essenziale per agganciare l’Europa, ma oggi vincolo troppo stretto per garantire un rilancio dei consumi e un sentiero di sviluppo e di crescita economica.

Un modello contrattuale troppo centralizzato è forse inadeguato per l’economia della conoscenza e necessita di essere profondamente riformato, ma questo attiene comunque al confronto tra le parti sociali.

MALABARBA (Misto-RC). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

MALABARBA (Misto-RC). Signor Presidente, signor Sottosegretario, lei è persona cortese e apprezzo la pacatezza con cui ha voluto affrontare la questione anche per quel che riguarda il tema dell’ordine pubblico. Tuttavia, non posso dichiararmi soddisfatto perché, se pure vedo una parziale differenza rispetto all’accoppiata formata dal sottosegretario Sacconi e dal ministro Maroni, che insiste ancora, in tutta questa fase (come ricordavo nell’intervento precedente), su una linea di scontro diretto e frontale con i lavoratori, non si colgono però gli elementi sostanziali del rapporto che bisogna avere con realtà molto diffuse che portano con sé l’esigenza fondamentale del miglioramento delle condizioni di lavoro e, soprattutto, delle condizioni salariali. Lei questo lo riconosce e apprezzo il fatto che lei lo riconosca. Basterebbe, infatti, aprire il "Corriere della Sera" ogni giorno per vedere statistiche sulla caduta dei salari a livello generalizzato.

Lei fa riferimento a modelli contrattuali su cui dice che non è il caso che intervenga direttamente il Governo, ma qui si tratta semplicemente di una equiparazione delle condizioni salariali e normative all'interno dello stesso gruppo, della stessa fabbrica, per gente che dà la stessa prestazione. Pertanto, di fronte ad una direzione aziendale che inizialmente non presta attenzione a questi problemi, un ruolo del Governo dovrebbe esserci per istruire le condizioni, un percorso per arrivare ad un negoziato, ad una trattativa che soddisfi entrambe le parti.

Ci hanno pensato direttamente i lavoratori e le loro organizzazioni e devo dire che, da questo punto di vista, non ho più sentito, fortunatamente, riferimenti alla FIOM come organizzazione dell’eversione, ma in qualche modo mi par di capire che l’esito sia soddisfacente per tutti, persino per il Governo.

Non mi pare sia una buona linea quella del laissez faire laissez passer come linea che possa essere costruttiva. Si teorizza, in sostanza, di non avere una politica industriale. Qui stiamo parlando della situazione di un gruppo come la FIAT.

Vorrei ricordare che la FIAT ha avuto mano libera a partire da una sconfitta del mondo del lavoro nel 1980, la famosa "lotta dei trentacinque giorni", che è andata a finire come sappiamo. Ha avuto mano libera per anni e anni. Le organizzazioni sindacali sono state messe fuori da un negoziato reale e non abbiamo avuto, in questa azienda, le condizioni migliori. Abbiamo invece avuto le condizioni peggiori, al punto che non solamente i lavoratori sono stati trattati male salarialmente e normativamente, ma sono stati cacciati ed espulsi perché l’azienda è entrata in crisi.

Non vi è stato più neppure lo stimolo all’innovazione; abbiamo avuto, semplicemente, un declino progressivo.

Ci può essere allora un intervento del Governo? Certo. È chiaro che se si dice che l’intervento del Governo possibile è quello che vi è stato nei decenni passati, per cui tutti i Governi aiutavano a fondo perduto la FIAT, non è serio; anzi, si peggiora la condizione stessa dell’azienda. Ma è ben altro tipo di intervento quello che si chiede: non si è mai voluto, ad esempio, rispondere con un intervento serio, pubblico, per condizionare la produzione ed il futuro produttivo degli stabilimenti FIAT in Italia. Questo comporterebbe necessariamente una presenza nel capitale, perché non bisogna dare a fondo perduto, come è sempre stato fatto.

Di questo, però, non si sta occupando il Governo. Anche nelle vertenze passate, e quella di Melfi è stata la principale dell’ultimo periodo, si chiama fuori. Abbiamo bisogno di svolgere effettivamente una riflessione, perché è passato del tempo, ma conflitti di questa natura si stanno sviluppando ovunque. Melfi diventa addirittura la strada da praticare.

Sono convinto che il conflitto sociale e democratico sia positivo per la democrazia, ma sono ancor più convinto dell’opportunità di prevenire una tale situazione, affrontando i problemi reali. Se si apre un confronto reale con le organizzazioni sindacali per risolvere i problemi, soprattutto quelli, enormi, del salario, abbiamo la possibilità di avere più tranquillità nei luoghi di lavoro, perché i lavoratori non hanno alcuna intenzione di perdere salario per lottare e quindi compiere sacrifici per un problema che dovrebbe essere comunque risolto.

Dovrebbe, pertanto, esserci uno sforzo del Governo per affrontare questi problemi, mettendo da parte le questioni di ordine pubblico e tutte le iniziative antisciopero che si pensa di attuare nei confronti del settore dei trasporti ed aprendo, invece, un negoziato effettivo, per affrontare un autunno non caldo, ma di miglioramento e di svolta nelle condizioni del mondo del lavoro.

PRESIDENTE. Segue l’interpellanza 2-00450 sull’azienda metalmeccanica RER S.p.A. di Polizzi (Isernia).

Ha facoltà di parlare la senatrice Dato per illustrare tale interpellanza.

DATO (Mar-DL-U). Signor Presidente, signor Sottosegretario, grazie di essere venuto qui, ma non vorrei essere noiosa sottolineando, ad ogni incontro di questa natura con il Governo, quanto tempo è passato: il 23 ottobre del 2003 ho chiesto al Governo di occuparsi di questa inquietante vicenda, che si è prodotta in un territorio assai debole e depauperato - non mi faccia ricordare tutte le sciagure, gli eventi, anche quelli prodotti dal Governo, con lo scoraggiamento delle attività economiche del nostro Meridione e via discorrendo - che vive al suo interno una crisi profonda delle attività economiche.

Un altro aspetto inquietante, signor Sottosegretario, attiene anche alla legittimità, legittimazione e delegittimazione del sindacato. In Molise si sono prodotti eventi molto preoccupanti successivamente a quella data; si sono avuti attentati contro i lavoratori, furti nelle sedi del sindacato, episodi mai verificatisi prima ai quali certamente apre la porta un clima che si avverte nel Paese nei confronti del sindacato, di cui anche il Ministero di cui lei fa parte si rende quotidianamente protagonista.

Il caso della RER è quello di un’azienda in perfetta salute, dimostrata da una quantità varia di condizioni, cito qualche dato: qualche mese prima di licenziare i 18 lavoratori, tra cui - le sottolineo - sei RSU, ha assunto altri nove lavoratori con contratto di formazione e un altro con altro tipo di contratto; si serve di manodopera del tipo più vario; ha chiesto finanziamenti, ai sensi della legge n. 488 del 1992, per ampliamenti; ha iniziato lavori per impianti che aumentassero l’attività dell’azienda, ha chiuso il bilancio in attivo nel 2002. Insomma, ogni dato su questa società ci dà il quadro di un’azienda florida.

Tra l'altro, l’azienda è stata rilevata da una nuova proprietà, con cui non ho mai potuto avere contatto, mentre, curiosamente, ho conosciuto il marito della proprietaria. Ciò evidenzia un altro aspetto, perché anche su alcuni temi delicati, genericamente attinenti al rapporto tra legalità e imprese economiche, in certe parti del nostro territorio il Governo dovrebbe vigilare con maggiore attenzione.

Ebbene, in questo quadro, l’azienda in questione licenzia dei lavoratori. Un anno fa vi abbiamo chiesto una risposta e soltanto adesso ho il piacere di ricevere una risposta del Governo. Peraltro, voglio sottolineare che viviamo ore importantissime, perché, nel frattempo, il sindacato ha avviato una controversia legale e pochi giorni fa è stata emanata la sentenza, che ha dato pienamente ragione ai lavoratori, accusando l’azienda di comportamento antisindacale e imponendole il reintegro dei lavoratori stessi.

Tuttavia, l’azienda ha iniziato un’ulteriore procedura per la mobilità che scadrà il 15 agosto, quindi in un momento assai difficile ed imbarazzante, cosa che rende i lavoratori estremamente inquieti circa il proprio futuro.

È in corso una trattativa della quale il sindacato è tutt’altro che soddisfatto, perché vi è la malcelata intenzione dell’azienda di reintegrare parte dei lavoratori addirittura - pare - scegliendoli nominativamente. Evidentemente, il sindacato non può consentire che ciò avvenga; è disposto ad andare incontro ad una trattativa che non imponga il reintegro di tutti i lavoratori, ma vuole affrontare con la dovuta dignità, a difesa dei diritti dei lavoratori, tale trattativa e vorrebbe essere rassicurato dal Governo che questo potrà essere fatto in condizioni di massima trasparenza e con il riconoscimento del ruolo dei sindacati a difesa dei lavoratori della RER.

PRESIDENTE. Il rappresentante del Governo ha facoltà di rispondere all'interpellanza testé svolta.

VIESPOLI, sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali. Signor Presidente, innanzitutto mi permetterà di evidenziare come attraverso alcuni interventi previsti nell’ultima legge finanziaria si sia data la possibilità a migliaia di lavoratori di ottenere un supporto, peraltro doveroso, rispetto a situazioni aziendali di criticità, a problemi di ristrutturazione aziendale, a scadenze di cassa integrazione straordinaria e di procedure di mobilità, che hanno mobilitato il rapporto con il sindacato e consentito di determinare la chiusura di verbali di intesa importanti, notevoli e significativi.

Tanto premesso, la distanza temporale con la quale rispondo all’interpellanza mi consente di parlare di questioni recenti, ad iniziare dalla notifica da parte della competente Direzione provinciale del lavoro del fatto che, per quanto riguarda il licenziamento dei 18 lavoratori, come ha evidenziato nell’illustrazione dell’interpellanza anche la senatrice Dato, il giudice del lavoro del tribunale di Isernia, in data 27 maggio 2004, ha emesso sentenza di reintegro dei suddetti dipendenti.

A seguito di tale sentenza l’azienda, in data 31 maggio 2004, ha attivato una nuova procedura di mobilità ai sensi della legge n. 223 del 1991 ed in relazione a quest’ultima è stato fissato un incontro con le parti sindacali il 14 luglio prossimo.

L’azienda ha, inoltre, comunicato ai lavoratori interessati alla reintegrazione, che, pur ottemperando alla sentenza, li esonerava dallo svolgere attività lavorativa in quanto non vi era la possibilità di utilizzarli in alcun reparto.

Il ricorso alla procedura era stato motivato dall’appesantimento finanziario conseguente ad uno squilibrio tra costi e ricavi e dalla forte contrazione di una fetta di mercato.

Sulla questione della RER era stato aperto un tavolo di trattative, a livello nazionale, presso il Comitato per il coordinamento delle iniziative per l'occupazione della Presidenza del Consiglio dei ministri.

Il 13 gennaio 2004, nel corso di un incontro presso la citata sede, i rappresentanti politici della Regione Molise avevano dichiarato la loro disponibilità ad intervenire con strumenti di sostegno di un eventuale piano di rilancio della azienda, sia attraverso un finanziamento dell'attività produttiva che con l'apporto di risorse del Piano regionale per l'occupazione.

Nel corso di un successivo incontro, in data 20 febbraio 2004, presso l'Assessorato della Regione Molise le parti hanno esperito la fase amministrativa di una ulteriore procedura di mobilità chiesta il 4 dicembre 2003.

L'incontro si è concluso con esito sfavorevole, atteso che i rappresentanti aziendali non hanno ritenuto di accogliere la proposta dell'assessore al lavoro intesa a prorogare consensualmente i termini della fase amministrativa della procedura, al fine di ricercare eventuali soluzioni alternative alla messa in mobilità di 20 unità lavorative, anche alla luce dei possibili sviluppi collegati alle trattative avviate presso la Presidenza del Consiglio dei ministri.

Tuttavia, la RER S.p.A., nonostante la conclusione negativa della procedura di mobilità non ha dato corso al licenziamento se non, come detto, per 4 dipendenti e ha chiesto una nuova convocazione all'assessorato. Si è dunque in attesa di conoscere gli ulteriori sviluppi della vicenda.

Da ultimo, vorrei riferire che il Ministero delle attività produttive ha comunicato che non risultano recenti richieste di agevolazione presentati ai sensi della legge n. 488 del 1992 dalla ditta RER; risultano invece concessi alla ditta con decreto ministeriale del 3 dicembre 1997, ai sensi della legge n. 64 del 1986, contributi in conto capitale e contributi in conto interessi per la realizzazione dello stabilimento di Pozzilli.

Per quanto concerne il contributo in conto capitale, i vincoli decennali di utilizzo dell'opificio sono scaduti il 30 luglio 2002, mentre l'erogazione del contributo in conto interessi avrà termine il 31 dicembre 2007, come previsto dal contratto di finanziamento e pertanto il Ministero delle attività produttive ha provveduto ad interessare l'ente finanziatore per le opportune verifiche in merito all'osservanza delle norme sul lavoro e del contratto collettivo nazionale nei confronti dei lavoratori dipendenti, prescritti dal provvedimento per la concessione definitiva.

DATO (Mar-DL-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DATO (Mar-DL-U). Signor Presidente, ringrazio il Sottosegretario e aspetto il risultato di questa indagine del Ministero che spero si abbia in tempi brevi.

Voglio anche sottolineare che l'azienda si difende parlando di mancanza di commesse sufficienti, però tutto ci fa ritenere che non sia questo il problema. Pensiamo che l'azienda abbia bisogno di capacità lavorative perché lei deve considerare che si è passati dalle 33-37 ore lavorative settimanali ad una media di 42 ore: prima vi erano 5 squadre, oggi 4, ma con turni assai più intensi. Tra l'altro, la RER ha disdettato (per venire al tema dell'interpellanza precedente) la parte integrativa degli accordi e c'è stata una diminuzione dei salari.

Non ci sembra insomma un'azienda in crisi. Inoltre, chiediamo vigilanza particolare sull'attività, vale a dire che la realizzazione dei nuovi impianti, l'allargamento dell'azienda siano propri delle attività che essa è supposta svolgere, perché la preoccupazione nella scelta dei lavoratori fa temere che si voglia anche una qualche discrezione sul controllo e la regolarità delle attività.

DI SIENA (DS-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facoltà.

DI SIENA (DS-U). Signor Presidente, intervengo affinché resti agli atti la mia richiesta di chiarimento in relazione al fatto che il Governo non ha ritenuto di rispondere ad un’interpellanza, sottoscritta dal senatore Angius, da me e da altri senatori, sulla vicenda delle cariche di polizia a Melfi, mentre è intervenuto nella seduta odierna per rispondere ad un analogo atto ispettivo del senatore Malabarba.

PRESIDENTE. Alla Presidenza risulta che il Governo si è dichiarato disponibile a rispondere all'interpellanza 2-00552 e non a quella cui ha fatto riferimento il senatore Di Siena. Immagino che il Sottosegretario vorrà controllare e farsi tramite di questa richiesta perché è giusto che il Governo risponda a tutti gli atti ispettivi aventi lo stesso oggetto.

Lo svolgimento delle interpellanze e delle interrogazioni all'ordine del giorno è così esaurito.

Interpellanze e interrogazioni, annunzio

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza interpellanze e interrogazioni con richiesta di risposta scritta, pubblicate nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Ordine del giorno
per le sedute di martedì 13 luglio 2004

PRESIDENTE. Il Senato tornerà a riunirsi martedì 13 luglio, in due sedute pubbliche, la prima alle ore 10 e la seconda alle ore 16,30, con il seguente ordine del giorno:

(Vedi ordine del giorno)

La seduta è tolta (ore 17,34).