Annamaria Rivera, Carta

 

In tema di mutilazioni genitali, saggezza vorrebbe che si distinguesse fra due ordini di domande:  come pensare? e che fare?.  A proposito della prima: la polemica scoppiata intorno alla proposta, certo problematica, del medico dellospedale fiorentino di Careggi, Omar Abdulkadir, non sfuggita a semplificazioni e sommari giudizi etnocentrici.  Non qui in discussione che le Mgf siano una forma cruenta di controllo sulla sessualit femminile e che dunque vadano contrastate.  Ma toni scandalistici e argomenti rozzi come quelli che fanno riferimento a categorie del tipo barbarie/civilt non servono a comprendere la complessa rete di significati cui le Mgf rimandano n il dilemma a cui ci sfidano:  difendere i diritti inalienabili della persona-donna, anzitutto allautodeterminazione e allinviolabilit del corpo, nel contempo evitando di denigrare la collettivit e la cultura cui appartiene e di legittimare in tal modo la sua esclusione. Fra il primo e il secondo corno vՏ un conflitto etico e normativo che nessuna scelta in grado di risolvere del tutto. Prendere nettamente posizione senza aver indagato sui significati sociali e culturali del costume che noi classifichiamo mutilazioni genitali femminili , a mio parere, alquanto pernicioso per lo stesso destino delle fanciulle a rischio di Mgf. Davvero, non si pu affidarne la sorte a giornaliste che simprovvisano antropologhe, a capi-comunit (rigorosamente maschi) che si arrogano il diritto di decidere in nome delle donne, a editorialisti capaci solo di stigmatizzare il relativismo di chi vorrebbe, forse illusoriamente, ridurre il danno di queste pratiche barbare, ancor meno agli imprenditori politici del razzismo, pronti a ghermire ogni occasione per screditare e inferiorizzare gli altri in quanto portatori di valori incompatibili con la civilt occidentale.  Per essere efficaci sul piano pragmatico occorre partire da un ordine di discorso che non poggi su stereotipi e pregiudizi, che assuma tutta la complessit e problematicit della questione, che privilegi il dialogo transculturale.

A cominciare dal nome: evidente che letichetta mutilazioni genitali femminili, nella sua fredda, apparente oggettivit, allude a una deturpazione; al contrario, per chi guardi dal punto di vista della tradizione, mettiamo, somala, la circoncisione o cucitura (comՏ denominata nelle lingue locali) un mezzo per rimodellare i corpi femminili secondo un ideale condiviso di bellezza e di purezza. Checch ne dicano i facili stigmatizzatori del relativismo (i quali non sono cos sottili da distinguere fra relativismo metodologico e relativismo etico, questultimo da rifiutare decisamente), le stesse idee di mutilazione e integrit/non-integrit sono relative ai  contesti sociali e culturali. Altrettanto deturpanti sono, per esempio, gli interventi cui ci si sottopone in Occidente per cambiare aspetto fisico, et, sesso;  altrettanto raccapriccianti le mutilazioni cui un transessuale deve sottoporsi per eliminare ogni traccia della propria mascolinit. Ma la rappresentazione culturale del corpo nella nostra societ ammette, sia pure ancora con riluttanza, che il conflitto, tutto mentale e sociale, fra  il sesso naturale e il genere psicologico possa essere risolto con un drastico intervento di chirurgia estetica.  Certo, la differenza radicale nel fatto che chi si sottopone a questo genere di mutilazioni ha compiuto una scelta ed consenziente, sia pure nei limiti concessi dalla forza dei modelli culturali dominanti e dei condizionamenti sociali.

Le Mgf sono una pratica di plasmazione sociale del corpo, che un tempo era parte di un ben strutturato rito diniziazione allet adulta e al genere femminile socialmente inteso.  E che tuttoggi  assume spesso le forme duna cerimonia le cui grandi registe sono proprio le madri: una festa nel corso della quale si banchetta, si canta, si balla in onore dellinizianda che da quel momento considerata a pieno titolo donna e membro della collettivit. E vero per che oggi esse si presentano sempre meno associate allidea delliniziazione, come mostra il fatto che let delle bambine che vi vengono sottoposte va abbassandosi.

Reputate dai gruppi che le praticano come il corrispettivo femminile della circoncisione, le mutilazioni sono diffuse in unarea molto vasta che comprende popolazioni con le pi diverse lingue, culture e religioni: cristiana, musulmana, animista (perfino ebraica essendo presenti fra i cosiddetti falasha etiopi). Svariati ne sono anche i gradi e le forme:  da una piccola puntura  della clitoride per farne uscire il sangue alla circoncisione faraonica, lintervento pi cruento. Al contrario di ci che si crede, le societ in cui si praticano non coincidono con lintero mondo musulmano. In Africa erano sicuramente preesistenti allarrivo dellislm: unipotesi ne fa risalire lorigine allantico Egitto.

Non poche, e svariate, sono le societ in cui si pratica o si praticava qualche forma di marchiatura dei corpi femminili e maschili, soprattutto nei riti diniziazione allet adulta. A tale costume attribuito il senso dinscrivere il soggetto nel gruppo sociale e segnarne sul corpo lappartenenza culturale: la sofferenza fisica e la memoria di essa sono parte pregnante di questo dramma della socializzazione. Vi sono culture che conoscono mutilazioni genitali maschili: dalla circoncisione alla perforazione del prepuzio, dallestirpazione dun testicolo alla scarificazione longitudinale del pene. Una delle tante letture le interpreta come tentativi di rimuovere landroginia originaria, eliminando dai genitali le tracce morfologiche del sesso opposto (la clitoride, nel caso delle donne; il prepuzio, nel caso degli uomini).

Certo, le societ in cui tuttora si praticano le mutilazioni genitali sono le stesse in cui  vigono i valori dellonore e della castit; e svalorizzati sono il piacere e soprattutto lautoerotismo femminili. In queste societ vՏ un sistema di strategie matrimoniali incentrato intorno al compenso matrimoniale, la dote versata dalla famiglia dello sposo a quella della sposa, la cui castit deve essere garantita anche per mezzo della cucitura. E dunque indiscutibile che le Mgf sono parte di un ordine simbolico, sociale, economico che ruota intorno al controllo maschile sul corpo delle donne. Ma se ci limitassimo a questultima scontata affermazione -che vale in forme e gradi diversi per tutte le societ che io conosco- ci sottrarremmo allobbligo dindagare le specifiche forme che il potere e il dominio maschili assumono a seconda delle societ, delle culture, delle tradizioni religiose. E occulteremmo alcuni temi cruciali per il che fare?: le Mgf appartengono a un ordine simbolico radicato nei corpi sociali, spesso interiorizzato e condiviso dalle stesse donne; sono parte di un meccanismo di inclusione/esclusione sociale che va indagato in tutta la sua complessit.

E probabile che a decidere dellabbandono di questo costume saranno, come gi sta accadendo (ce lo ha ricordato Carla Pasquinelli nellottima ricerca svolta dallAidos), pi eventi epocali quali guerre, crescente influenza dellislamismo (che tende a contrastare una pratica estranea allortodossia), cambiamenti di regime, emigrazione che non qualche opera di pedagogia sociale elaborata in Occidente. Ma ci non ci esime, qui e ora, dal dovere morale doffrire sostegno attivo alle donne che in alcuni paesi africani vanno organizzandosi per persuadere altre donne ad abbandonare e contrastare le Mgf e, nei contesti dimmigrazione, di operare affinch le donne immigrate non siano abbandonate a una condizione sociale disolamento,  emarginazione, esclusione che le spinge verso ripiegamenti identitari: il rapporto con una societ ostile che favorisce il perpetuarsi di questo costume.    

Per concludere: la realt complessa, va maneggiata con cura e con senso di responsabilit. Non basta  appellarsi ai principi dellautodeterminazione e delluniversalismo. Sul primo: chi deve autodeterminarsi e in nome di chi? Le donne occidentali in nome di tutte le altre? Le donne dorigine immigrata (di qualunque provenienza) in nome delle donne dei paesi e degli ambienti in cui si praticano le Mgf? O a queste ultime soprattutto che spetta, con il sostegno di tutte le altre, riconoscere le Mgf come marchio del dominio maschile e liberarsene? Sul secondo: possibile concepire un universalismo che non sia astratto  e particolare comՏ quello occidentale e mirare a una universalit policentrica, negoziata, condivisa, che parta dalla pluralit degli sguardi femminili e li includa?