REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale di Lecce, composto dai seguenti Magistrati:

 

                            Dr. Mario PETRELLI, Presidente

 

                            Dr. Antonio ESPOSITO, Giudice

 

    Dr. Gabriele POSITANO, Giudice Rel.

 

ha emesso il seguente provvedimento nel giudizio n. 1601/03, vertente tra:

 

OMISSIS, difeso dall'Avv. Maria Rosaria FAGGIANO e

 

COMMISSIONE CENTRALE per il riconoscimento dello status di rifugiato e

MINISTERO dell'INTERNO, difesi dall'Avvocatura dello Stato e

 

PUBBLICO MINISTERO.

 

All'udienza 16.01.2004 la causa ¶ stata discussa per la  decisione.

 

OSSERVA

Il ricorrente ha impugnato il provvedimento di diniego emesso dalla

Commissione Centrale istituita presso il Ministero dell'Interno ex art. 2

del DPR n. 136 del 1990 per il riconoscimento dello status di rifugiato

richiedendone l'annullamento e, in via subordinata, il riconoscimento del

diritto di asilo ai sensi dell'art. 10 della Carta Costituzionale.

 

Come ¶ noto, in caso di diniego dello status di rifugiato da parte della

Commissione Centrale, il richiedente si trova in uno stato di irregolaritÃ

in quanto il permesso di soggiorno provvisorio eventualmente ottenuto sulla

base della richiesta di riconoscimento dello status, viene ritirato in

seguito al diniego dello stesso e il prefetto puù immediatamente decretare l

'espulsione dello straniero.

 

Status di rifugiato

La disciplina normativa in materia di riconoscimento dello status di

"rifugiato" ¶ rappresentata dal combinato disposto dell'art. 1 della L.

28-2-90 n. 39 (L. Martelli), tuttora vigente e non abrogato dalla L. 40/98,

e del DPR 15-5-90 n. 136, entrambi letti in relazione alla Convenzione di

Ginevra del 28-7-51, ratificata con L. 24-7-54 n. 722.

 

Agli effetti di tali disposizioni essere considerati rifugiati sulla base

del diritto internazionale significa soddisfare gli specifici requisiti

fissati dall'art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 secondo cui questo

termine si applica a chi "temendo a ragione di essere perseguitato per

motivi di razza, religione, nazionalitÃ, appartenenza a un determinato

gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova al di fuori del

paese di origine e non puù o non vuole, per i motivi suddetti avvalersi

della protezione di questo paese".

 

Quindi gli elementi costitutivi della fattispecie sono:

 

1)      la fuga dal proprio paese;

 

2)      il fondato timore di persecuzione;

 

3)      la sussistenza cause specifiche di persecuzione.

 

Il soggetto che effettivamente si trovi nella situazione sopra individuata,

fatti salvi altri impedimenti, avrà accesso allo status di rifugiato.

 

La Convenzione di Ginevra prevede, quindi, quale fattore determinante per la

individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in concreto, un fondato

timore di essere perseguitato cio¶ una soglia di accesso elevata a una

tutela piÿ intensa in virtÿ del verosimile rischio di persecuzione e dello

stato di bisogno del perseguitato.

 

Nel caso di ottenimento dello status di rifugiato lo straniero acquista il

diritto a restare in Italia con la possibilità di lavorare e studiare grazie

a un permesso di soggiorno (rinnovabile) della durata di due anni. Viene

sostanzialmente equiparato a un cittadino italiano tranne che per il diritto

di voto e per il passaporto sostituito dal titolo di viaggio che gli

consente di viaggiare in tutti i paesi, ma non in quello di provenienza.

 

In base all'art. 32 della Convenzione chi ha ottenuto lo status di rifugiato

puù essere espulso solo per motivi di sicurezza nazionale o ordine pubblico.

 

L'art. 33 prevedendo il principio del non refoulement, cio¶ il divieto di

espellere o respingere un rifugiato verso le frontiere dei luoghi ove la sua

vita o la sua libertà sarebbero minacciate per i motivi di cui all'art.1

consente di assimilare la posizione di chi impugna il diniego della

Commissione Centrale a quella di chi (in sede di impugnazione del decreto

prefettizio di espulsione ex art. 13 del dlgs n. 286/98) lamenta la mancata

osservanza del divieto di espulsione di cui all'art. 19 del dlgs n. 286/98.

Tale norma, infatti, prevede proprio che "in nessun caso puù disporsi

l'espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa

essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di

cittadinanza, di religione, di opinioni politiche di condizioni personali o

sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel

quale non sia protetto dalla persecuzione".

 

Diritto di asilo

Il ricorrente oltre ad impugnare il provvedimento della Commissione Centrale

ha proposto, in via subordinata, domanda di riconoscimento del diritto

d'asilo richiamandosi direttamente all'art.10 Cost.

 

Si tratta, in realtÃ, di una richiesta formulata in via riconvenzionale, in

quanto si inserisce in un giudizio che resta di impugnazione di un atto

amministrativo.

 

La definizione di diritto di asilo ¶ contenuta nell'art. 10.3 Costituzione

ed ¶ piÿ ampia di quella di rifugiato e tale da comprenderla solo sul piano

concettuale. In sostanza, l'art. 10.3 l'asilo, come beneficio che dipende

dalla volontà sovrana dello Stato, secondo la condivisibile ricostruzione

della Cassazione va pertanto riconnesso ai seguenti requisiti:

 

1)      impedimento dell'esercizio delle libertà democratiche;

 

2)      effettività dell'impedimento.

 

Pertanto il primo requisito (impedimento) ¶ la causa di giustificazione del

diritto, mentre il secondo (effettivitÃ) costituisce il criterio di

accertamento della situazione ipotizzata.

 

In mancanza di una legge di attuazione del precetto di cui all'art. 10.3

Cost. all'asilante, in caso di accoglimento della domanda, viene garantito

solo l'ingresso nello Stato.

 

Differenza status rifugiato e diritto di asilo

Sul punto va richiamata la distinzione fatta da Cass., Sez. Un., 17-12-1999,

n. 90: "la qualifica di rifugiato politico ai sensi della convenzione di

Ginevra del 28 luglio 1951 costituisce, come quella di avente diritto

all'asilo (dalla quale si distingue perchÚ richiede quale fattore

determinante un fondato timore di essere perseguitato, cio¶ un requisito non

richiesto dall'art. 10, 3¹ comma, cost.), una figura giuridica riconducibile

alla categoria degli status e dei diritti soggettivi, con la conseguenza che

tutti i provvedimenti assunti dai competenti organi in materia hanno natura

meramente dichiarativa e non costitutiva, e le controversie riguardanti il

riconoscimento della posizione di rifugiato (cosã come quelle sul

riconoscimento del diritto di asilo) rientrano nella giurisdizione

dell'A.G.O., una volta espressamente abrogato dall'art. 46 l. n. 40 del

1998, l'art. 5 d.l. n. 416 del 1989, convertito con modificazioni dalla l.

n. 39 del 1990 (abrogazione confermata dall'art. 47 del testo unico d.leg.

n. 286 del 1998), che attribuiva al giudice amministrativo la competenza per

l'impugnazione del provvedimento di diniego dello status di rifugiato".

 

Prova dei presupporti dello status di rifugiato

 

Il giudice ordinario ha il potere di accertamento, e non costitutivo, sullo

status di rifugiato.

 

Sul punto va ribadito l'orientamento rigoroso della giurisprudenza in tema

di riconoscimento dello status di rifugiato in quanto "la mancanza di

libertà democratiche nel paese di origine non costituisce presupposto

sufficiente per il riconoscimento dello status di rifugiato, essendo

necessario a tal fine dimostrare che la specifica situazione soggettiva del

richiedente in rapporto alle caratteristiche oggettive sussistenti nel suo

paese, sia tali da far ritenere l'esistenza di un grave pericolo per

l'incolumità della persona" (C. Stato, sez. IV, 18-03-1999, n. 291).

 

In concreto ciù consiste nell'allegazione di un minimo di elementi probatori

caratterizzati da attendibilità sulla concreta situazione di pericolo per la

libertà o per l'incolumità personale direttamente riferibile al richiedente,

dovuta a persecuzioni di carattere etnico, politico o religioso (TAR

Piemonte, 17.11.00 n.1169).

 

L'onere che grava interamente sulla parte, trattandosi di giudizio

impugnatorio, potrà essere assolto fornendo la prova dei tre elementi

costitutivi:

 

  a.. della fuga dal proprio paese;

  a.. del fondato timore di persecuzione;

  a.. della sussistenza cause specifiche di persecuzione.

La dimostrazione del secondo e del terzo presupposto richiede la prova:

 

1)      delle caratteristiche oggettive sussistenti nel suo paese di origine

del ricorrente;

 

2)      della particolare situazione soggettiva del richiedente e cio¶ della

condizione specifica direttamente riferibile al ricorrente, che costituisca

la causa specifica della persecuzione. Tale condizione richiede sia la prova

dell'appartenenza ad una etnia, ad una religione, o ad un determinato gruppo

sociale o ad un partito politico, sia la dimostrazione specifica che il

ricorrente, proprio perchÚ in possesso di tali requisiti, ¶ sottoposto al

rischio concreto di persecuzione. Non assumerà rilievo, pertanto, per

difetto della prova della "sussistenza di cause specifiche di persecuzione",

nÚ la prospettazione di un rischio di persecuzione che interessi in maniera

indiscriminata ogni cittadino di una certa nazionalità per il solo fatto di

appartenere a tale paese, nÚ situazioni che trovano titolo in circostanze

diverse da quelle previste dalla Convenzione di Ginevra (ad esempio, non

rileva la limitazione della libertà personale conseguente alla commissione

di reati o alla mancata esecuzione di obblighi previsti dalla legge e

compatibili con l'ordinamento italiano).

 

La prova di tali elementi potrà essere fornita attraverso i consueti

strumenti previsti dal codice di rito:

 

  a.. sulla base di prove documentali aventi l'efficacia probatoria tipica

(scrittura privata ed atto pubblico) o atipica (dichiarazione di terzo) e

redatti preferibilmente in lingua italiana (l'obbligo di uso della lingua

italiana ex art. 122 c.p.c. ai fini della validità degli atti riguarda solo

gli atti processuali in senso proprio e non anche i documenti depositati

dalle parti). Il deposito di tali atti in lingua diversa da quella

nazionale, comporta "l'onere della parte che ha prodotto il documento di

produrne anche traduzione giurata" (Cass. n. 10831/94). Diversamente saranno

valutati liberamente dal giudice.

  b.. sulla base di elementi indiziari ricavabili da Rapporti dell'UHNUR, di

Amnesty International e di altre organizzazioni che si occupano

oggettivamente e con serietà dei rifugiati;

  c.. sulla base di informative richieste ex art. 213 c.p.c. dal giudice al

governo italiano o alle rappresentanze diplomatiche italiane nel paese

interessato;

  d.. sulla base di accertamenti medici;

  e.. sulla base di "fatti notori" (da intendere in senso rigoroso, e cio¶

come  fatto  acquisito  alle  conoscenze  della collettività con tale grado

di certezza da apparire incontestabile - Cass. n. 5680 del 2000).

Diritto di asilo

Quanto alla domanda subordinata va osservato che il giudice ordinario ha il

potere di accertamento, e non costitutivo, di decidere sul diritto

costituzionale dell'asilo politico, verificando se nel paese di provenienza

o appartenenza del richiedente vi ¶ un effettivo impedimento alle libertÃ

fondamentali garantite dalla Costituzione.

 

La richiesta non puù essere presa in esame in questa sede perchÚ

inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

 

La domanda, infatti, costituisce una sorta di domanda riconvenzionale

proposta nell'ambito in un giudizio esclusivamente impugnatorio di un atto

amministrativo (il diniego della Commissione). Conseguentemente la domanda

non puù essere accolta.

 

Inoltre, alle controversie che riguardano il diritto d'asilo, di cui

all'art. 10 comma 3 Cost. non ¶ applicabile la disciplina dello "status" di

rifugiato (d.l. 30 dicembre 1989 n. 416, conv. dalla l. 28 febbraio 1990 n.

39 (Cass. civ., sez. un., 26 maggio 1997, n. 4674) e non trovano

applicazione quelle ragioni di celerità e di sommarietà della cognizione che

consentono di ritenere ammissibile l'applicazione del procedimento camerale

in luogo di quello ordinario a cognizione piena.

 

La giurisprudenza ha ritenuto, infatti, per il caso di apolide,

"inammissibile l'istanza d'accertamento proposta nelle forme del rito

camerale, anzichÚ nelle forme del rito contenzioso ordinario (Trib.

Alessandria, 9 giugno 2000).

 

Istaurato il giudizio nelle forme del processo ordinario sarà necessario

verificare se la lite rientra tra quelle previste dall'art. 50 bis c.p.c.,

sussistendo controversia se tale accertamento rientra tra quelli che

richiedono l'intervento del PM ex art. 70 n. 3, atteso che la relativa

pronuncia, in mancanza di una legge di attuazione del precetto

costituzionale, si risolve nella mera possibilità di fare ingresso nello

Stato. Si tratta, quindi, di un profilo relativo alla capacità che incide

solo su singole facoltà (quella di fare ingresso nel territorio italiano) ed

in quanto tale non rientrante nella nozione di "status" ex art. 70 n. 3)

c.p.c.

 

Merito

Risulta documentalmente che il ricorrente lamenta di avere subito

persecuzioni in Turchia a causa dell'apporto prestato  in favore della

organizzazione P.K.K. alla quale apparteneva lo zio del ricorrente e in

favore della quale il ricorrente a svolto attività ospitando alcuni

esponenti del partito.

 

Con sentenza n. 107/00 il Tribunale di sicurezza turco ha emesso mandato di

arresto nei suo confronti per l'attività di favoreggiamento nei confronti

del P.K.K. e per istigazione alla rivolta tesa alla scissione del territorio

della Repubblica Turca (vedi traduzione giurata della sentenza).

 

In motivazione si fa riferimento ad un precedente provvedimento del

15.06.2000 emesso nei confronti del ricorrente in contumacia.

 

Orbene, rileva il Collegio che l'Unione Europea, che contribuisce alla lotta

del terrorismo attraverso la formulazione di liste di individui e gruppi

oggetto di sanzioni, ha recepito le misure già disposte dal Consiglio di

Sicurezza delle Nazioni Unite nei confronti di alcune organizzazioni

terroristiche come i "talebani", "al quaeda" ed altre. Dal 3.05.2003 la

lista dell'Unione Europea comprende anche il partito dei lavoratori del

Kurdistan o "P.K.K." che, pertanto, rientra tra le organizzazioni

terroristiche alle quali si applica il meccanismo sanzionatorio europeo.

Dalle risultanze processuali emerge, altresã, che l'organo giudiziario

competente nello stato di appartenenza ha emesso una decisione in tal senso.

 

E' evidente che il Collegio in questa sede non puù sostituirsi all'autoritÃ

giudiziaria del Paese di provenienza nel valutare se la condotta posta  in

essere dal ricorrente rientri effettivamente nell'ambito di quella prevista

dall'ordinamento turco e che ha trovato l'avallo della Unione Europea.

 

Gli elementi dai quali dovrebbe evincersi la illiceità della condotta dell'

autorità giudiziaria turca e, cio¶, la infondatezza del procedimento

probatorio, la applicazione di parametri incompatibili con le libertÃ

fondamentali previste dalla Costituzione Italiana, ovvero la mancata

adozione delle garanzie fondamentali, non sussistono.

 

In questa sede il Collegio non ha elementi per ritenere se tale condotta

costituisca ingiusta persecuzione, ovvero legittima applicazione delle

sanzioni previste dall'ordinamento nazionale turco.

 

Orbene, alla luce di tali elementi ricorrendo l'unico elemento costituito

dalla pronuncia di un Tribunale nazionale (mentre non rileva la

documentazione medica che evidenzia l'esistenza di disturbi compatibili

proprio con i fatti che hanno determinato l'arresto), il ricorso non puù

essere accolto.

 

Ricorrono giusti motivi per compensare le spese.

 

PTM

 

Rigetta il ricorso e compensa le spese di lite.

 

Liquida in favore dell'avv. Maria Rosaria Faggiano difensore del ricorrente

ammesso al patrocinio a spese dello Stato la somma di ? 40 per spese, ? 130

per diritti e ? 200 per onorario di avvocato.

 

Cosã deciso in Lecce nella Camera di Consiglio del 13 luglio 2001

 

Il G.E.                                                  Il PRESIDENTE