CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Sentenza n. 5052 del 9 febbraio 2004
(Presidente N. Marvulli - Relatore M. Battisti )
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
- Con ordinanza
del 22 febbraio 2001 il 9 g.i.p. del tribunale di Taranto disponeva la
misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di Z. R.,
cittadina lituano, perch gravemente indiziato di avere, in concorso con
altri, illecitamente detenuto, trasportato e spedito in transito nel,
territorio italiano ingenti quantit di cocaina, di cui 74 kg. circa
rinvenuti a bordo della motonave "Filippo Lembo" in Taranto e in
altri luoghi fino al 5 aprile 2000.
Il g.i.p. poneva a fondamento dell'ordinanza anche le dichiarazioni rese,
il 5 febbraio al g.i.p. e il 9 febbraio al p.m., da G. J., nei confronti
della quale, ritenuta una dei concorrenti, aveva disposto la stessa misura
can ordinanza del 26 gennaio 2001.
- Il provvedimento cautelare nei confronti dello Z. nel quale si
dava atto della irreperibilit dell'indagato e del non avere questi in
Italia fissa dimora rimaneva ineseguito.
- Il p. m., dopo
avere emesso, il 20 luglio 2001, l'avviso d conclusione delle indagini
preliminari, previsto dall'art. 415 bis c.p.p., il successivo 9 novembre
chiedeva al g.i.p. il rinvio a giudizio dell'imputato.
Lo Z. veniva arrestato in Olanda il 12 gennaio 2002 ed era estradato in
Italia con procedura abbreviata, avendo prestato il. consenso alla
estradizione perch "assolutamente estraneo al fatto
addebitatogli", come aveva dichiarato nell'udienza per l'estradizione.
- Consegnato alle
autorit italiane il 30 gennaio 2002, lo Z. il 2 febbraio veniva
interrogato dal g.i.p. con "l'assistenza di un interprete", il
quale gli dava lettura del capo di accusa e della indicazione degli
elementi di prova.
- Lo Z. proponeva
richiesta di riesame negando la sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza e delle esigenze cautelari e, con motivi aggiunti, i
difensori eccepivano la nullit per omesso avviso della data dell'udienza
camerale nonch la nullit del provvedimento cautelare perch non accompagnato
dalla traduzione in una lingua nota all'imputata, cittadino lituano.
Il tribunale del riesame di Taranto, con ordinanza del 22 febbraio 2002,
rigettava la richiesta, osservando, sulla omessa traduzione del
provvedimento custodiale, che, secondo la giurisprudenza della corte di
cassazione (Cass. , 5 maggio 1999, Metuschi; 23 maggio 2000, Ilir; 4
febbraio 2000, Weizer), "la necessit di garantire la consapevole
partecipazione agli atti dal non pu essere prospettata in relazione
all'ordinanza cautelare perch questo provvedimento non contiene al
proprio interno dati informativi ovvero mirati avvertimenti in ordine
all'esistenza e alle modalit di esercizio dei diritti e facolt
dell'indagato in relazione agli effetti dell'atto, cui il difetto della
traduzione in lingua si porrebbe come concreto ostacolo".
- Veniva proposto
ricorso per cassazione e la corte di cassazione, con sentenza del 26
settembre 2002, annullava con rinvio il provvedimento impugnato in
accoglimento del motivo con il quale era stata denunciata la nullit per
omesso avviso difensori della data dell'udienza camerale.
- In sede di
rinvio, la difesa della Z. presentava motivi nuovi.
Ribadiva, con il primo, l'eccezione di nullit dell'ordinanza custodiate
perch non accompagnata dalla traduzione in una lingua nota all'imputato.
Eccepiva, con il secondo, l'inutilizzabilit delle dichiarazioni della G.,
perch, rese prima dell'entrata in vigore della L. 1 marzo 2003, n. 63 -
che aveva modificato, tra gli altri, l'art. 64 c.p.p. prevedendo alcune
ipotesi di inutilizzabilit ove l'interrogatorio, con dichiarazioni sulla
responsabilit di terzi, non fosse stato preceduto da determinati avvisi -
non erano state riassunte cos come prescritto dall'art. 26 , comma 2,
della legge 63/ 2001 per il caso, come quello di specie, in cui, nel
momento di entrata in vigore della legge, il procedimento fosse ancora
nella fase delle indagini preliminari.
Contestava, con il terzo e con il quarto motivo, la sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari.
- Il tribunale,
con ordinanza del 23 dicembre 2002, rigettava la richiesta, riaffermando,
per le ragioni gi esposte nell' ordinanza del 22 febbraio 2001, che
l'ordinanza che dispone la custodia cautelare non deve essere tradotta.
Aggiungeva che, anche se si fosse voluto aderire all'opposto indirizzo
giurisprudenziale che ritiene dovuta la traduzione del provvedimento
cautelare in una lingua nota allo straniero, "nel raso di specie, non
era, comunque, ipotizzabile alcuna menomazione del diritto dello Z. di
essere al pi presto informato con completezza ed in forma intelligibile
della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta, perch, quando
l'ordinanza di custodia cautelare era stata emessa, l'indagato era
latitante, per cui non era stato possibile accertare se conoscesse la
lingua italiana, e, una volta eseguita l'ordinanza, l'indagato era stato
sentito dal g.i.p. in sede di interrogatorio di garanzia con l'assistenza
dell'interprete, il quale aveva proceduto alla traduzione delle contestazioni.
e delle ragioni che avevano determinato l'emissione dell'ordinanza
custodiale".
Quanto all'eccezione di inutilizzabilit delle dichiarazioni della G. per
inosservanza dell'art. 26, comma 2, L. n. 63 del 2001, il tribunale
rilevava che l'ordinanza impugnata era stata emessa il 22 febbraio 2001,
prima dell'entrata in vigore della L. n. 63 del 2001, con la conseguenza
che l'omissione della rinnovazione dell'esame non rilevava e che il
precedente esame poteva essere utilizzato
- Il difensore
dello Z. proponeva ricorso per cassazione chiedendo, con tre motivi,
l'annullamento del provvedimento impugnato.
Denunciava, con il primo motivo, "violazione degli artt. 143, 294 e
302 c.p.p.", deducendo che la necessit della tradizione
dell'ordinanza che dispone la custodia cautelare era stata affermata dalla
sentenza della corte di cassazione citata anche nell'ordinanza impugnata
(Cass. , 9 luglio 1999, Zicha) e sostenendo che, in sede di interrogatorio
di garanzia, l'indagato non aveva avuto "integrale conoscenza del
provvedimento restrittivo emesso nei suoi confronti".
Denunciava, con il secondo motivo, "violazione dell'art. 26, comma 2,
L. 63/2001, in relazione all'art. 64, commi 3 e 3 bis c.p.p., per non
avere il p.m. provveduto alla rinnovazione dell'esame della G. secondo le
nuove forme previste nell' art. 64 c.p.p della legge citata, entrata in
vigore quando il procedimento era ancora nella fase delle indagini
preliminari: l'omessa rinnovazione imponeva che il precedente esame della
G. venisse ritenuto inutilizzabile.
Denunciava, con il terzo motivo, "difetto e illogicit di motivazione
sulla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze
cautelari".
- La terza
sezione penale di questa corte, con ordinanza del 29 aprile 2003,
disponeva la rimessione del ricorso alle sezioni unite, rilevata
l'esistenza di un contrasto sulla questione, sollevata con il primo motivo
di ricorso, se l'ordinanza che dispone la custodia cautelare nei confronti
di uno straniero, che non conosca la lingua italiana, debba essere
tradotta in una lingua, a lui nota.
Il primo presidente assegnava il. ricorso alle sezioni unite
MOTIVI DELLA
DECISIONE
La questione che l'ordinanza di rimessione ha sottoposto all'esame delle
sezioni unite "se l'ordinanza che dispone un misura cautelare nei
confronti di uno straniero che non conosca la lingua italiana debba essere
tradotta, a pena di nullit in una lingua a lui nota."
Il secondo motivo del ricorso impone, peraltro, di soffermarsi. anche sulla
questione risolta in termini contrastanti dalla giurisprudenza di questa
suprema corte, "se l'inosservanza della disposizione dell'art. 26, comma
2, L. 1 marzo 2001 n 63 determini, anche in sede cautelare, l'inutilizzabilit
delle dichiarazioni accusatorie rese nell' interrogatori o disciplinata
dall'art. 64 c.p.p., da persone il cui esame non sia stato rinnovato".
- L'ordinanza di
rimessione, nel riportare le massime di alcune delle sentenze che
ritengono che l'ordinanza di custodia cautelare non debba essere tradotta,
dopo avere richiamato Cass., 5 maggio 1999, n. 2128, p.m. in proc. M. ed
altri, rv. 213523, citata dalle due ordinanze del tribunale del riesame,
trascrive le massime tratte da altre sentenze (Cass., 10 maggio 2002, n
17829, Essid, rv. 221442; 26 giugno 2000, n.3759, Ilir, rv. 216284), le
quali giustificano la non necessit della traduzione dell'ordinanza di
custodia cautelare osservando che, nel caso l'indagato non conosca la
lingua italiana, "la tutela dello stesso assicurata
dall'adempimento dell'obbligo, previsto dall'art. 94, comma 1 bis, disp.
att. c.p.p., del direttore dell'istituto penitenziario di accertare, se
del caso con l'ausilio di un interprete, che l'interessato abbia precisa
conoscenza del provvedimento che ne dispone la custodia e di
illustrargliene, ove occorra, i contenuti".
L'ordinanza si sofferma, poi, sull'opposto indirizzo riportando il
principio formulato dalle sentenze 21 marzo 2002, n. 11598, Zubieta
Bilbao, rv. 221608, 23 settembre 1999, n 4841 Zicha, rv. 214495, 8
settembre 1999, n. 1527, p.m. in proc. , Braka ed altri, rv. 214348.
Secondo queste sentenze "dalla combinata lettura della sentenza della
Corte costituzionale n. 10 del 1993, con la quale stato affermato che il
diritto all'interprete di cui all'art. 143 c.p.p., comprende il diritto alla
traduzione del decreto di citazione a giudizio in tutti i suoi elementi ,
e dell'art. 292 dello stesso codice, il quale elenca una serie di elementi
che l'ordinanza cautelare deve enunciare a pena di nullit, deriva che
anche quest'ultimo provvedimento deve recare la traduzione in lingua nota
al destinatario, ove emesso nei confronti di straniero che non conosca la
lingua italiana; anche l'ordinanza custodiale, infatti, alla pari del
decreto di citazione a giudizio, un atto dal quale l'indagato straniero
che non comprende la lingua italiana pu essere pregiudicato nel suo
diritto di partecipare al processo libero nella persona, in quanto, non
comprendendo il relativo contenuto, non posto in grado di valutare n
quali siano gli indizi ritenuti a suo carico, n se sussistano o meno i
presupposti per procedere alla impugnazione dell'ordinanza, a norma
dell'art. 292, comma 2, c.p.p.".
- Queste sezioni
unite aderiscono a quest'ultimo indirizzo facendo propri i principi che
seguono, affermati dalla corte costituzionale nella sentenza, del 12
gennaio 1993, n. 10, interpretativa, di rigetto, dell'art. 143 c.p.p..
- "Grazie
al collegamento con l'art. 143 c.p.p. - che ad esse assicura la garanzia
dell'effettivit e dell'applicabilit in concreto delle norme internazionali,
richiamate dall'art. 2 della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81 - la
"Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e della
libert fondamentali", firmata a Roma il 4 novembre 1950 e resa
esecutiva in Italia con la L. 4 agosto 1955, n. 848 e "il Patto
internazionale relativo ai diritti civili e politici", firmato il 19
dicembre 1966 a New York, reso esecutivo in Italia con la L. 25 ottobre
1977, n. 88 - il diritto dell'imputato ad essere immediatamente e
dettagliatamente informato, nella lingua da lui conosciuta, della natura
e dei motivi dell'imitazione contestatagli deve essere considerato un
diritto soggettivo perfetto direttamente azionabile".
- "Trattandosi
"di un diritto, la cui garanzia, ancorch esplicitata da atti aventi
il rango della legge ordinaria, esprima un contenuto di valore implicito
nel riconoscimento costituzionale, a favore di ogni uomo cittadino o
straniero, del diritto inviolabile alla difesa - art. 24, comma secondo,
della Costituzione ne consegue che, in ragione della natura di
quest'ultimo quale principio fondamentale, ai sensi dell'art. 2 della
costituzione, il giudice sottoposto al vincolo interpretativo di
conferire alle norme, che contengono le garanzie dei diritti di difesa in
ordine alla esatta comprensione dell'accusa, un significato espansivo,
diretto a rendere concreto ed effettivo, nei limiti del possibile il
sopra indicato diritto dell'imputato".
- "Il
sistema tracciato dall'art. 143 c.p.p., nel definire significativamente
il contenuto dell'attivit dell'interprete in dipendenza della finalit
generale di garantire all'imputato che non intende la lingua italiana di
comprendere l'accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento
degli atti cui partecipa, concepisce la figura dell'interprete, innovativamente
rispetto al codice precedente, in funzione del diritto di difesa, quale
strumento di reale partecipazione dell'imputato al processo attraverso
l'effettiva comprensione dei distinti atti e dei singoli momenti di
svolgimento dello stesso".
- "L 'art
143, comma uno, nell'assicurare una garanzia essenziale al godimento di
un diritto fondamentale di difesa, deve essere interpretato, pertanto,
come una clausola generale, di ampia applicazione destinata ad espandersi
e specificarsi nell'ambito dei fini normativamente riconosciuti di fronte
al verificarsi delle varie esigenze concrete che lo richiedano, quali il
tipo di atto cui la persona sottoposta al procedimento deve partecipare
ovvero il genere di ausilio di cui la stessa abbisogna".
- "Ci
induce a ritenere che l'art. 143 sia suscettibile di un'applicazione
estensibile a tutte le ipotesi in cui l'imputato ove non potesse giovarsi
dell'ausilio dell'interprete sarebbe pregiudicato nel suo diritto di
partecipare effettivamente allo svolgimento del processo penale ".
- "Il
fatto che la suddetta norma sia contenuta nel titolo dedicato alla
traduzione degli atti e il fatto che il processo penale, a differenza di
quello civile, non distingua la figura del traduttore da quella
dell'interprete, inducono a ritenere che, in via generale, il diritto
all'interprete possa essere fatto valere e possa essere fruito, stando al
tenore dello stesso art. 143 c.p.p., ogni volta che l'imputato abbia
bisogno della traduzione nella lingua da lui conosciuta in ordine agli
atti a lui indirizzati, sia scritti che orali".
- "Cos
interpretato, l'art. 143, comma uno, c.p.p. impone la necessaria nomina
dell'interprete o del traduttore immediatamente al verificarsi della
circostanza della mancata conoscenza della lingua italiana da parte della
persona nei cui confronti si procede, tanto se tale circostanza sia
evidenziata dallo stesso interessato, quanto se in difetto di ci, sia
accertata dall'autorit procedente".
- Come pu
agevolmente notarsi, la Corte costituzionale ha fatto discenderia questi
principi, oltre che dagli artt. 2 e 24, comma secondo, della Costituzione,
dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle
libert fondamentali e dal Patto internazionale relativo ai diritti civili
e politici ricordando che l'art. 6, comma 3, lettera a), della Convenzione
stabilisce che "ogni accusato ha diritto a essere informato, in una
lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato della natura e dei motivi
dell'accusa elevata a suo carico".
Il Patto contiene una norma pressoch identica, disponendo l'art 14, comma
3, lettera a), che "ogni individuo accusato di un reato ha il
diritto, in posizione di piena uguaglianza, a essere informato
sollecitamente e in modo circostanziato, in lingua a lui comprensibile
della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta".
Inoltre, sia la Convenzione, sia il Patto prevedono espressamente che
"ogni persona che venga arrestata deve essere informata al pi presto
possibile e in una lingua a lei comprensibile dei motivi dell'arresto e di
ogni accusa elevata a suo carico" (art 5, comma 2, della Convenzione)
e che "chiunque sia arrestato deve essere informato, al momento del
suo arresto, dei motivi dell'arresto medesimo e deve al pi presto avere
notizia di qualsiasi accusa mossa contro di lui" " (art 9 comma
2, del Patto).
Il richiamo, poi, della Convenzione e del Patto da parte della Corte
costituzionale ha il suo fondamento nella legge delega 16 febbraio 1987,
n. 81, la quale, nell'art. 1, prevedeva che "il codice di procedura,
penale deve attuare i principi della Costituzione e adeguarsi alle norme
delle convenzioni internazionali ratificate in Italia e relative ai
diritti della persona e al processo penale".
La Relaziona al codice, nel titolo quarto - Traduzione degli atti poneva,
a sua volta, in rilievo che "l'art. 143, comma 1, conferendo allo
straniero che non conosce la lingua italiana il diritto di fruire di un
interprete per comprendere l'accusa formulata contro di lui e seguire il
compimento degli atti processuali a cui partecipa, si uniforma in
attuazione della legge-delega, agli impegni internazionali sottoscritti
dall'Italia a questo riguardo (art 6, c. 3, lett. a) ed e), della
Convenzione europea sui diritti dell'uomo; art. 14 n. 3, lett. a) ed f),
del Patto internazionale relativo ai diritti civili e Politici).
- Ebbene, se,
come afferma la Corte Costituzionale, l'art. 143, comma uno, c.p.p. deve
essere interpretato, anche alla luce della convenzioni. internazionali,
come una clausola generale, di ampia applicazione destinata ad espandersi
e a specificarsi, nell'ambito dei fini normativamente riconosciuti, di
fronte al verificarsi delle varie esigenze concrete che lo richiedano,
quali il tipo di atto cui la persona sottoposta al procedimento deve
partecipare ovvero il genere di ausilio di cui la stessa abbisogna; se
l'art. 143, proprio perch deve essere interpretata come clausola generale
di ampia applicazione, destinata ad espandersi, non pu non trovare
applicazione in tutte le ipotesi in cui l'imputato ove non potesse
giovarsi dall'ausilio dell'interprete sarebbe pregiudicato nel suo diritto
di partecipare effettivamente allo svolgimento del processo; se, infine,
il diritto all'interprete pu essere fatto valere e pu essere fruito,
stando al tenore letterale dello stesso art 143 c.p.p., ogni volta che
l'imputato abbia bisogno della traduzione nella lingua da lui conosciuta
in ordine a tutti gli atti a lui indirizzati sia scritti che orali, il
provvedimento che dispone la custodia per il contenuto che lo
contraddistingua - la contestazione di un reato con la indicazione dei
gravi indizi di colpevolezza, che giustificane l'emissione del
provvedimento coercitivo, e delle esigenze cautelari - e per gli effetti
che ne scaturiscono - la privazione della libert - certamente uno degli
atti rispetto ai quali pressoch impossibile ipotizzare che colui che ne
il destinatario non voglia esercitare il diritto inviolabile di difesa.
Esercizio il cui imprescindibile, naturale, presupposto non pu non essere
la comprensione dell'atto, impossibile per chi non conosca la lingua
italiana, nella quale, obbligatoriamente, come prevede il comma 1
dell'art. 109, gli atti del procedimento sono compiuti, donde l'onere
processuale per il giudice di porre a disposizione dell'indagato o
dell'imputato quei presidi, traduzione dell'atto, interprete, che
l'ordinamento giuridico prevede nel titolo TV la cui rubrica preannuncia
che le norme che seguono disciplinano la "traduzione degli atti"
del libro secondo, destinato agli atti del codice di rito.
Non pu, quindi, seguirsi l'indi rizzo giurisprudenziale, accolto
dall'ordinanza impugnata, secondo il quale, come si visto, la necessit
di garantire la consapevole partecipazione agli atti del procedimento non
prospettabile in relazione all'ordinanza cautelare non contenendo
quest'ultima, al proprio interno dati informativi ovvero mirati
avvertimenti in ordine all'esistenza e alle modalit di esercizio di
diritti e facolt dell'indagato, in relazione agli effetti dell'atto, cui
il difetto della traduzione in lingua italiana si porrebbe corna concreto
ostacolo.
Se, infatti, non pu negarsi che l'ordinanza di custodia cautelare non
contenga "quei particolari dati informativi ovvero quei mirati
avvertimenti" cui allude l'ordinanza impugnata, perch si faccia
lungo alla traduzione o alla nomina dell'interprete non necessario,
per, che l'atto li abbia, essendo sufficiente che il codice, di rito
colleghi all'atto determinati, ulteriori, atti quali, nel caso
dell'ordinanza che disponga la custodia cautelare, l'interrogatorio di
garanzia, previsto dall'art. 294 c.p.p., e la possibilit di impugnare il
provvedimento custodiale con la richiesta di riesame disciplinata
dall'art. 309 c.p.p. nei quali l'intervento o l'iniziativa
dell'interessato hanno senso soltanto se questi, non a conoscenza della
lingua italiana sia stato posto nelle condizioni di comprendere il
significato dell'ordinanza.
La norma dell'art. 294 c.p.p. dispone, come noto, che, nel corso delle
indagini preliminari e fino alla trasmissione degli atti al giudice del
dibattimento, il giudice, se non vi ha proceduto nel corso dell'udienza di
convalida dell'arresto o del fermo di indiziato di reato, procede
all'interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare in carcere
immediatamente e comunque non oltre cinque giorni dall'inizio
dell'esecuzione e il comma 3 della norma prevede che "mediante
l'interrogatorio il giudice valuta se permangono le condizioni di
applicabilit e le esigenze cautelari previste dagli artt. 273, 274 e 275,
aggiungendo, nella seconda parte, che, "quando ne ricorrono le
condizioni, provvede, a norma dell'art. 299, alla revoca o alla
sostituzione della misura disposta".
E' certamente innegabile che l'indagato abbia il diritto, espressione del
diritto di difesa, di contestare l'ordinanza applicativa della misura e,
quindi, di offrire contributi perch il giudice si convinca della non
permanenza delle condizioni di applicabilit della stessa e della
insussistenza delle esigenze cautelari, diritto, per, che l'indagato pu
esercitare soltanto se sia stato in grado di comprendere il contenuto del
provvedimento restrittivo della libert e soprattutto le ragioni che hanno
portato il giudice a privarlo della libert.
L'impugnazione del provvedimento con la richiesta di riesame l'altro
atto, collegato all'ordinanza di custodia cautelare, del quale l'indagato
o l'imputato pu avvalersi per negare la sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza o, quanto meno, delle esigenze cautelari ed noto che il
termine dieci giorni per richiedere il riesame, dell'ordinanza che ha
disposto la custodia cautelare decorre dalla esecuzione del provvedimento.
L'interessato deve poter fruire di questo termine per intero, sicch deve
poter cogliere il contenuto del provvedimento, che intende impugnare, immediatamente,
come afferma la Corte costituzionale, anche se, come la stessa precisa,
nei limiti del possibile e si vedr tra poco quale sia il valore di questa
espressione ed da ricordare cha la giurisprudenza della corte europea,
nel soffermarsi sull'art. 5 della Convenzione europea per la salvaguardia
dei diritti dell'uomo, si pi volte pronunciata sulla finalit del
diritto riconosciuto all'arrestato alla conoscenza dai motivi. della
privazione della libert, sottolineandone proprio lo stretto collegamento
con l'altro diritto riconosciuto "ad ogni persona privata della
libert mediante arresto o detenzione di indirizzare un ricorso ad un
tribunale affinch questo decida entro brevi termini, sulla legalit della
detenzione e ne ordini la scarcerazione se la detenzione illegale"
(cfr., per tutte, caso Conka v. Belgium: sentenza del 5 febbraio 2002).
- Non pu
concludersi sul punto senza rilevare che il diritto dell'indagato e
dell'imputato di essere posti in grado di comprendere, in una lingua che
conoscano, il contenuto degli atti stessi indirizzati stato
riconosciuto, dall'art. 111 della Costituzione, modificato, con aggiunte,
dalla L. costit. 23 novembre 1999, n. 2, come costitutivo del diritto
inviolabile di difesa in ogni stato e grado del processo previsto
dall'art. 24, comma secondo, della Costituzione.
L'art. 111, dopo avere affermato, nel primo comma, che "la
giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla
legge" e nel secondo, che "ogni processo si svolge nel
contraddittorio delle parti, nel terzo comma, nell'indicare ci che la
legge deva assicurare perch l'imputato possa esercitare efficacemente,
nel processo penale, il diritto di difesa, dispone, nell'ultima parte, che
la legge assicura anche che "la persona accusata di un reato sia
assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua
impiegata nel processo e non pu dubitarsi che la norma trovi applicazione
anche nel procedimento, in tutti i casi, cio, in cui sia in questione,
direttamente o indirettamente, la libert personale.
Pu ritenersi quindi , che l'interpretazione dell'art. 143 c.p.p. che la
Corte costituzionale ha dato con la sentenza interpretativa di rigetto n.
10/1993, fondandola sui valori della Costituzione e delle Convenzioni.
internazionali, sia, a maggior ragione alla luce dell'art. 111,
irreversibile, dovendo ragionevolmente escludersi che la legge ordinaria o
l'interprete possano esprimersi, in futuro, in contrasto con l'inequivoco
dettato dell'art. 111 della Carta.
- Dalla pi volte
citata sentenza della Corte costituzionale emerge anche quale sia il
presupposto che fa sorgere il diritto alla traduzione o all'interprete e,
quindi, quando possa dirsi che l'ordinamento giuridico imponga al giudice
di disporre per la traduzione dell'ordinanza di custodia cautelare o di
avvalersi di un interprete perch provveda ad illustrarne all'interessato
il contenuto.
Come stato osservato dalla dottrina, "la sentenza della Corte
costituzionale, conferendo al diritto all'interprete un forte fondamento
costituzionale individuato nel diritto inviolabile alla difesa, a sua
volta ritenuto un principio fondamentale ex art. 2 Costit., ha affermato
che tale diritto va reso, s, 'concreto ed effettivo', ma 'nei limiti del
possibile'", volendo significare che "anche la garanzia di un
diritto inviolabile non pu essere scissa da un esame sulla possibilit
concreta della sua estrinsecazione e, dunque, da un confronto con la
realt storica in cui tale garanzia destinata a realizzarsi ed proprio
a questo limite generale della concreta possibilit che va ricollegata
l'affermazione successiva della sentenza sulla rilevanza di ci che
risulta dagli atti in ordine alle conoscenze linguistiche
dell'imputato".
E l'affermazione successiva della sentenza della Corte costituzionale, cui
fa riferimento la dottrina, quella in cui, distinguendo tra l'art.143 e
gli artt. 109 e 169 c.p.p., il giudice delle leggi afferma sia che
"la garanzia apprestata dall'art. 143 ha carattere generale e si
estende a qualsiasi persona, di qualunque nazionalit, che, essendo
sottoposta a procedimento penale nel territorio dello Stato, risulta
essere non in grado di comprendere la lingua italiana", sia che,
"interpretato alla luce dei principi appena ricordati, l'art. 143,
primo comma, c.p.p. impone si proceda alla nomina dell'interprete o del
traduttore immediatamente al verificarsi della circostanza della mancata
conoscenza della lingua italiana da parte della persona nei cui confronti
si procede. tanto se tale circostanza sia evidenziata dallo stesso
interessato quanto se, in difetto di ci, sia accertata dall'autorit
procedente".
E' l'accertamento della mancata conoscenza della lingua italiana, dunque,
ci che rende possibile dare immediata concretezza ed effettivit al
diritto alla traduzione o all'interprete ed da questo accertamento che,
scaturendone il diritto dell'indagato alla traduzione o all'intervento
dell'interprete, sorge anche l'obbligo per il giudice di consentirne
l'esercizio.
Ne consegue che, mentre "l'art 169, terzo comma - il quale prescrive
l'obbligo di notificare all'estero, tradotto nella lingua dell'imputato
straniero, l'invito a dichiarare o a eleggere domicilio nel territorio
dello Stato - impone la redazione dell'atto in una lingua diversa da
quella ufficiale in presenza del mero ricorrere della nazionalit
straniera dell'imputato, salvo che dagli atti del processo non risulti la
conoscenza da parte dell'imputato stesso della lingua italiana";
mentre, cio, come commenta la dottrina, "l'assenza di elementi sulle
conoscenze linguistiche dell'imputato straniero sufficiente per rendere
necessaria la traduzione nel caso previsto dall'art. 169, comma 3",
l'assenza di quegli. elementi non , invece, sufficiente "per rendere
operativo il, generale diritto all'interprete, previsto dall'art. 143,
comma 1, il quale richiede che risulti dagli atti la non conoscenza della
lingua italiana", sicch, se l'indagato o l'imputato non ha avuto
alcun contatto con il giudice e se la non conoscenza della lingua italiana
non risulta in altro modo dagli atti il giudice non tenuto alla
traduzione dell'ordinanza.
Sono in questi termini, sul punto, dopo la sentenza della Corte
costituzionale, tra le altre, Cass., 2 luglio 1993, Bangula, 27 maggio
1995, Tounsi, 2 giugno 1995, Alegra, 26 aprile 1999, Braka, 14 novembre
2000, Tavanxhiu, ss.uu., 31 maggio 2000, Jakani, sentenza, questa, che ha
anche affermato che "l'accertamento della conoscenza della lingua
italiana da parte dello straniero costituisce un'indagine di mero fatto il
cui esito, se riferito dal giudice di merito con argomentazioni esaustive
e concludenti, sfugge al sindacato di legittimit".
Il prevalente contrario indirizzo della giurisprudenza della corte di
cassazione (Cass., 6 febbraio 1992, Samire Iandoubis; 6 aprile 1993,
Kamel; 20 maggio 1993, Osagie Anuanru; 4 febbraio 1994, Bouariz; 14
settembre 1994, Puertas; 21 novembre 1996, Romero; 18 settembre 1997,
Minoun Mohamed; 15 giugno 1998, Zymaj; 23 gennaio 1999, Daraji), secondo
il quale onere dell'indagato dimostrare o, almeno, dichiarare di non
conoscere la lingua italiana, spettando all'autorit giudiziaria
unicamente il potere dovere di valutarne la necessit, non pu essere
condiviso perch sottovaluta le affermazioni centrali della sentenza della
Corte costituzionale essere il diritto alla traduzione a all'interprete un
diritto soggettivo perfetto direttamente azionabile riconducibile al
diritto inviolabile alla difesa (art, 24, secondo comma, Costituzione) ed
essere compito del giudice, imposto dalla natura di quel diritto,
accertare, in assenza dell'iniziativa dell'interessato, la non conoscenza,
da parte di quest'ultimo, della lingua italiana.
- Il giudice, se
non tenuto a disporre la traduzione dell'ordinanza nel momento in cui la
emette, ove dagli atti non risulti la non conoscenza della lingua italiana
da parte dell'indagato, qualora accerti, dopo l'esecuzione del
provvedimento e nel momento in cui procede all'interrogatorio di garanzia
previsto dall'art. 294c.p.p., che l'indagato non conosce la lingua
italiana, deve nominare un interprete conferendogli l'incarico di
illustrare all'indagato il contenuto dell'atto, oltre che l'incarico di
spiegare all'indagato il significato degli ulteriori atti cui partecipa.
Merita di essere sottolineata, sul punto, la sentenza del 12 dicembre
2001, Kislitsyn, la quale, dopo avere posto in rilievo che la nomina di un
interprete all'imputato straniero subordinata all'accertamento della
mancata conoscenza della lingua italiana, osserva, con riferimento proprio
alla mancata traduzione, nella specie, dell'ordinanza applicativa della
custodia cautelare, sia che, "in mancanza di alcun contatto tra le
parti, prima della richiesta del provvedimento restrittivo... il giudice
procedente non poteva ritenere essenziale la nomina di un traduttore",
sia che il momento della verifica della suddetta condizione andava
identificato nell'interrogatorio di garanzia".
Da quanto appena detto discende che, se soltanto in sede di interrogatorio
di garanzia l'indagato stato posto in grado di comprendere il contenuto
dell'ordinanza di custodia cautelare, il termine per impugnare il
provvedimento decorra soltanto da questo momento, non essendovi alcuna
ragione per non consentire all'indagato di avvalersi dell'intero termine
per impugnare previsto dalla legge.
In questo senso anche la dottrina, la quale, dopo aver dette che
"lo straniero - indagato o imputato - che abbia avuto notificato un
atto scritto redatto soltanto in italiano ha la facolt di rivolgersi
all'ufficio che ha emanato tale atto, facendo presente in modo verosimile
che non conosce la lingua italiana", aggiunge che, quindi, quello
straniero ha il diritto di ottenere la sollecita traduzione dell'atto
scritto, con la conseguenza che gli eventuali termini collegati alla
notifica medesima iniziano a decorrere soltanto dalla consegna della
traduzione".
- Va, per,
prestata attenzione anche a quell'indirizzo giurisprudenziale, pure citato
nell'ordinanza di rimessione, secondo cui "il giudice, il quale
ignori che lo straniero non comprende la lingua italiana, non ha il
dovere, di disporre che il provvedimento di custodia cautelare emesso nei
suoi confronti gli sia notificato insieme con la traduzione, anche,
perch, qualora lo straniero stesso non sia in grado di capire la lingua
italiana, la concreta conoscenza dell'atto assicurata dal disposto
dell'art. 94 comma 1-bis, disp.att. c.p.p. che pone a carico del direttore
dell'istituto penitenziario o di un operatore da lui delegato l'onere di
accertare se del caso con l'ausilio di un interprete, che l'interessato
abbia precisa conoscenza del provvedimento con cui stata disposta la sua
custodia e di illustrargliene, ove occorra, i contenuti (Cass., 12 aprile
2002, Asilo; 10 maggio 2002, Essid; 12 aprile 2001, Iushi ; 26 giugno
2000, Ilir; 20 marzo 2000, Weizer; ss.uu. 31 maggio 2000, Jakani).
Questo indirizzo , in parte, nel vero.
Si detto in precedenza che, ove risulti dagli atti, nel momento in cui
emesso il provvedimento custodiale, che l'indagato non conosce la lingua
italiana, il giudice deve disporre immediatamente che l'ordinanza sia
eseguita con la consegna anche di copia della traduzione della stessa
nella lingua conosciuta dallo straniero.
E' questo e non altro il significato dell'affermazione con la quale la
Corte costituzionale ha posto in rilievo "il diritto dell'imputato ad
essere immediatamente e dettagliatamente informato, nella lingua da lui
conosciuta, della natura e dei motivi dell'imputazione
contestatagli", immediatezza che il giudice delle leggi ha ribadito
trattando del presupposto per la traduzione e dicendo che la traduzione
deve essere disposta "immediatamente al verificarsi della circostanza
della mancata conoscenza dalla lingua italiana da parte della persona nei
cui confronti si procede".
Non , pertanto, condivisibile Cass., 14 novembre 2000, Tavanxhiu, quando
afferma, con riferimento "all'obbligo di traduzione dell'ordinanza
impositiva della misura cautelare gi all'atto dell'emissione", che
"l'ordinanza impositiva della custodia cautelare in carcere non deve
essere notificata insieme alla sua traduzione all'imputato od indagato
alloglotta, perch in tal caso la tutela di costui assicurata, a norma
dell'art. 94 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura
penale, dall'obbligo del direttore dall'istituto penitenziario di
accertare se del caso con l'ausilio di un interprete, che l'interessato
abbia precisa conoscenza del provvedimento che ne dispone la custodia e di
illustrargliene, ove occorra i contenuti ponendolo, quindi, in condizione
di sapere di che lo si accusa e di predisporre ali appositi rimedi".
Ma, diverso il caso in cui, non risultando dagli atti che l'indagato non
conosce la lingua italiana, l'agente incaricato di eseguire l'ordinanza
gliene consegni copia senza la traduzione e il direttore dell'istituto
penitenziario, nel quale l'indagato stato tradotto, o l'operatore
designato dal direttore, accerti, se del caso con l'ausilio di un
interprete, che l'interessato abbia precisa conoscenza del provvedimento
che ne dispone la custodia e gliene illustri, ove occorra, i contenuti.
La traduzione dell'ordinanza nel momento in cui emessa o la nomina di un
interprete per la traduzione in sede di interrogatorio di garanzia non
sono, invero, fine a se stessi, ma sono strumenti, mezzi per conoscere il
contenuto del provvedimento e, quindi, per consentire all'indagato di
esercitare effettivamente il diritto di difesa sicch il giudice, quando
proceda all'interrogatorio previsto dall'art. 234 c.p.p., pu
legittimamente astenersi dalla nomina di interprete per la traduzione
dell'ordinanza custodiale se accerti che l'indagato, grazie
all'intervento, previsto dalla legge, del direttore dell'istituto
penitenziario, ne ha precisa conoscenza, soltanto dalla quale - e ci
anche nel caso in cui l'indagato ha avuto quella conoscenza nell'istituto
penitenziario - decorre, come si detto, il termine per impugnare.
N si obietti., come lo obietta il ricorrente nella memoria, che
"l'art. 94, 1 bis, disp. att. prevede un accertamento sommario, per
giunta di carattere amministrativo, che non sfocia in alcun atto del
procedimento, che affidato alla buona volont del direttore del
penitenziario e del quale non neppure prevista la verbalizzazione".
E', invero, da osservare che, se non pu negarsi che si tratta di un accertamento
da compiersi in sede amministrativa, certo, per, che la legge impone al
direttore di accertare se l'interessato ha precisa conoscenza dell'atto e
di illustrargliene, ove necessario, il contenuto, il che esclude
categoricamente che l'intervento del direttore o dell'operatore
dell'istituto penitenziario possa risolversi in un accertamento sommario.
Sar, in ogni caso, compito del giudice in sede di interrogatorio di
garanzia, rendersi conto se l'indagato ha precisa conoscenza dell'atto e,
quindi, di provvedere, eventualmente, alla nomina dell'interprete anche a
tal fine.
- Non pu,
infine, condividersi quell'ulteriore indirizzo esposto anch'esso nella
ordinanza di rimessione secondo il quale, nel caso non poco frequente di
ordinanza custodiale emessa nell'udienza di convalida dell'arresto dopo
l'interrogatorio dell'arrestato e dopo l'ordinanza di convalida, non
occorre la traduzione dell'ordinanza "perch, in questo caso, la
presenza dell'interprete all'udienza di convalida al relativo interrogatorio
ha consentito di informare l'arrestato in ordine all'imputazione e agli
elementi fondanti l'accusa, nonch di consentirgli di spiegare
un'effettiva difesa rendendo la versione dei fatti nella propria lingua in
un momento antecedente l'emissione del titolo limitativo della libert
personale, in maniera da non rendere necessaria ai fini difensivi la
traduzione dell'ordinanza impositiva nella lingua straniera parlata
dall'indagato" (Cass., 17 dicembre 2002, Bohm, rv. 223487; 4 febbraio
2000, Weizer, rv. 216526; 5maggio 1999, Metuschi, rv. 213523).
Nell'interrogatorio previsto dall'art. 391, comma 2, seconda parte, c.p.p.
- interrogatorio che la norma dell'art. 294, comma 1, colloca
espressamente sullo stesso piano di quello in essa previsto - l'indagato,
che non conosca la lingua italiana, posto, grazie all'intervento
dell'interprete, nella condizione di avere precisa conoscenza delle
ragioni dell'arresto e di difendersi .
Ma, l'ordinanza di custodia cautelare, eventualmente emessa dopo
l'ordinanza di convalida, se, molto verosimilmente, nulla aggiunge a
quanto gi noto all'arrestato in ordine ai gravi indizi di colpevolezza,
deve anche soffermarsi, ritenendole sussistenti, sulle esigenze cautelari,
rispetto alle quali. l'indagato ha sentito, al pi, la richiesta del p.m.,
tradotta dall'interprete, di applicazione della misura cautelare anche per
determinate esigenze cautelari, senza, per, essere in grado di sapere, se
non leggendo il provvedimento in una lingua a lui nota o sentendone la
traduzione dell'interprete presente, se e in qua le misura il giudice
della convalida le abbia fatte proprie ed noto che l'indagato, con la
richiesta di riesame, pu limitarsi a contestare la sussistenza delle
esigenze cautelari.
- La omessa
traduzione del provvedimento custodiale nel momento in cui emesso, ove
ne ricorra il presupposto, o la mancata nomina dell'interprete per la
traduzione in sede di interrogatorio di garanzia, quando non si. sia gi
provveduto ai sensi della norma dell'art. 94, comma 1 bis, disp. att.,
causa di nullit dell'atto rispettivamente, dell'ordinanza di custodia
cautelare o dell'interrogatorio di garanzia nullit che come hanno
affermato queste sezioni unite nella sentenza Jakani, gi citata, deve
annoverarsi, in difetto di una specifica previsione della norma dell'art.
143 c.p.p., tra le nullit contemplate dagli artt. 178, lett. c), e 180
c.p.p.. la cui deducibilit soggetta a precisi termini di decadenza (in
questo senso, quanto alla omessa nomina dell'interprete, Cass. 27 novembre
1992, Kamel, rv. 198431, 198432; 2 ottobre 1994, Kourami, rv., 199465; 10
aprile 1995, Polisi, rv. 20146; 17 dicembre 1998, Daraij, rv. 213068; 13
giugno 2001 Sharp, rv. 220040).
- Tutto ci
chiarito, nella specie non pu, peraltro, non condividersi l'affermazione
dell'ordinanza impugnata, conforme, sul punto, all'affermazione della
precedente ordinanza del tribunale per il riesame annullata dalla corte di
cassazione.
L'ordinanza impugnata, se ha premesso, errando, che il provvedimento che
dispone la custodia cautelare non deve essere tradotto, ha aggiunto che,
"nel caso in esame, non ipotizzabile alcuna menomazione del diritto
dello Z. di essere al pi presto informato con completezza ed in modo
intelligibile della natura e dei motivi dell'accusa a lui rivolta,
dovendosi osservare che, quando l'ordinanza di custodia cautelare stata
emessa, l'indagato era latitante per cui non risultava di fatto possibile
alcun accertamento sulla conoscenza della lingua italiana e che,
sopravvenuta l'esecuzione della ordinanza custodiate; lo Z. stato
sentito dal g.i.p. in sede di interrogatorio di garanzia con l'assistenza
di un interprete di lingua lituana che ha proceduto alla traduzione delle
contestazioni mosse all'indagato e delle ragioni che avevano determinato
l'emissione dell'ordinanza di custodia cautelare nei suoi confronti
".
Queste proposizioni dicono con chiarezza che il giudice di merito ha
accertato, valutando il relativo l'atto l'interrogatorio di garanzia che
l'indagato, in quella sede, era stato posto in grado di rendersi conto
delle contestazioni mossegli nell'ordinanza di custodia cautelare e delle
ragioni, nella stessa esposte, che le avevano determinate.
A questo accertamento in fatto, adeguatamente motivato, non pu eccepirsi,
come si fa nel ricorso, che "l'interrogatorio stato reso senza che
il prevenuto abbia avuto integrale conoscenza del provvedimento
restrittivo emesso nei suoi confronti", che evidente l'irrilevanza
processuale di questa eccezione.
Se, infatti, l'ordinanza custodiate non pu non essere completamente
tradotta allorch, risultando dagli atti la non conoscenza, da parte
dell'indagato, della lingua italiana, venga eseguita con la consegna di
copia, non solo dell'originale in lingua italiana, ma anche della
traduzione, l'intervento dell'interprete che, in sede di interrogatoria ex
art. 294 c.p.p., esponga all'indagato, dinanzi al giudice e con la
garanzia della presenza del difensore, la contestazione che gli stata
mossa indicandogliene le ragioni ivi comprese le ragioni relative alle
esigenze cautelati non pu, invece, non esonerare il giudice dal disporre
la traduzione letterale dell'ordinanza custodiale.
Pu astrattamente verificarsi, anche se la presenza del giudice e del
difensore lo fanno pi che ragionevolmente escludere, che la traduzione
dell'interprete trascuri dettagli rilevanti.
Il ricorrente, per, si limitato ad eccepire che la traduzione non
stata dettagliata, senza escludere espressamente che, come ha affermato
l'ordinanza impugnata, l'interprete ha indicato all'indagato la
contestazione e le ragioni che l'avevano determinata, ha indicato, cio, i
dettagli rilevanti; quanto era necessario per consentire all'indagato di
difendersi.
- Il secondo
motivo fondato.
Con questo motivo il ricorrente pone l'ulteriore questione, risolta in
termini contrastanti dalla giurisprudenza di questa suprema corte,
dell'utilizzabilit delle dichiarazioni nella specie, delle dichiarazioni.
della coindicata G. I., assunte dal g.i.p. il 5 febbraio e dal p.m. il 9
febbraio 2001 rilasciate prima dell'entrata in vigore della legge 1 marzo
2001, n. 63, pubblicata il successivo 22 marzo.
Questa legge, dando attuazione ai principi sul giusto processo dettati
dall'art. 111 della Costituzione, come novellato dalla legge
costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, ha modificato, tra le altre, le
regole generali da osservarsi nell'interrogatorio dell'indagato,
disciplinato nell'art. 64 c.p.p..
Ha, anzitutto, sostituito il comma tre di
quest'articolo nel senso che, "prima che abbia inizio l'interrogatorio,
la persona deve essere avvertita che:
a. le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi
confronti;
b. salvo quanto disposto dall'art. 66. comma 1, ha facolt di non
rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguir il suo corso;
c. se render dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilit di
altri assumer, in ordine a tali fatti, l'ufficio di testimone, salve le
incompatibilit previste dall'art. 197 le garanzie di cui all'art. 197
bis".
Ha introdotto, poi, nell'articolo il comma 3
bis prevedendovi che "l'inosservanza delle disposizioni di cui al comma 3,
lettere a) e b), rende inutilizzabili le dichiarazioni rese dalla persona
interrogata" e che "in mancanza dell'avvertimento di cui al comma 3,
lettera c), le dichiarazioni eventualmente rese dalla persona interrogata su
fatti che concernono la responsabilit di altri non sono utilizzabili nei loro
confronti e la persona interrogata non potr assumere in ordine a detti fatti,
l'ufficio di testimone".
La legge, inoltre, nei cinque commi dell'art. 26 ha previsto regole di diritto
intertemporale disponendo, nei commi 1 e 2, che qui interessano, che - comma 1
- "nei processi in corso alla data di entrata in vigore della presente
legge si applicano le disposizioni degli articoli precedenti salvo quanto
stabilito nei commi da 2 a 5" e che comma 2 - "se il procedimento
ancora nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero provvede a
rinnovare l'esame dei soggetti indicati negli artt. 64 e 197 bis del codice di
procedura penale, come rispettivamente modificato ed introdotto dalla presente
legge, secondo le norma ivi previste".
Relativamente al regime intertemporale si posta, dunque, la questione
dell'applicabilit dell'art. 64 c.p.p., come modificato dalla legge in esame,
nella fase delle indagini preliminari ed, in particolare, dell'utilizzabilit,
ai fini della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, di cui all'art.
273, comma 1, c.p.p., delle dichiarazioni rese, nel corso delle predette indagini,
prima - come nel caso in esame - della novella legislativa e quindi senza le
formalit previste dall'art. 64 c.p.p., cos come modificato.
Nel seno dell'applicabilit dell'art. 64, come modificato, e
dell'inutilizzabilit delle dichiarazioni assunte prima della novella
legislativa si sono espresse cass., 16 novembre 2001, Gullace, rv. 220604,
cass., 13 novembre 2002, Fiore, rv. 222714, cass., 1 luglio 2002, Qira, rv.
223359, cass., 11 febbraio 2002, Giuliano, rv. 220997, cass. 13 novembre 2001,
Romanelli, cass. 25 marzo 2002, Perna.
Secondo queste sentenze, "le dichiarazioni che concernono la
responsabilit di altri rese da indagati il cui interrogatorio ovvero le cui
dichiarazioni ai sensi dell'art. 350 c.p.p. sono stati assunti senza
l'osservanza delle garanzia di cui all'art. 64, comma tre, lettera c), c.p.p.,
non sono utilizzabili ai fini della valutazione della sussistenza dei gravi
indizi, ai sensi dell'art. 273, comma 1, c.p.p., anche se l'interrogatorio o le
dichiarazioni sono stati resi prima dell'entrata in vigore della L. 63/2001, ma
non siano stati rinnovati dalla pubblica accusa in osservanza delle
prescrizioni di cui all'art. 26, comma dalla medesima legge".
Secondo l'opposto indirizzo, invece, "la chiusura delle indagini
preliminari costituisce lo sbarramento" dell'iniziativa del p.m. per la
rinnovazione dell'esame dei soggetti. indicati negli arti. 64 e 197 bis c..p.p.
, con la conseguenza che deve escludersi che gli atti legittimamente
"compiuti ed esauriti" nel procedimento de libertate in base alla
previgente disciplina, tra cui l'acquisizione e valutazione, ai fini della
sussistenza del grave quadro indiziario, della prova dichiarativa, debbano
ritenersi non pi utilizzabili ai fini dello stesso procedimento; tali atti,
una volta che siano stati acquisiti e valutati legittimamente nella vigenza del
pregresso regime e si sia esaurita l'attivit di indagine, che ha portato
all'applicazione e alla conferma della misura cautelare; sono, quindi,
utilizzabili nel suddetto procedimento incidentale, comportando l'esaurimento
della fase delle indagini preliminari la loro inutilizzabilit nel giudizio di
merito (Cass., 20 novembre 2001, Andolfi, rv. 221548; 29 gennaio 2002, Dedato,
rv., 221553; 16 ottobre 2001, Calfato, rv. 20042).
Queste sezioni unite ritengono di dovere aderire al primo indirizzo, con alcune
puntualizzazioni.
Secondo cass. , 6 novembre 2001 , Gullace , dal dato letterale delle
disposizioni di diritto transitorio dettate dall'art. 26 si evince che fatte
salve le eccezioni previste nei commi da 3 a 5, che si riferiscono alla fase
del giudizio e mutuano la loro legittimit costituzionale dall'art. 2 della
legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 - "le modifiche introdotte
dalla legge n. 63/2001 devono trovare 'immediata applicazione' non solo nei
processi in corso, in base al disposto di cui al primo comma del citato art.
26, ma anche nella 'fase delle indagini preliminari', avendo il legislatore
espressamente previsto, nel comma due del citato art 26, che il pubblico
ministero deve provvederti a rinnovare l'esame dell'indagato con l'osservanza
delle garanzie di cui all'art. 64 c.p.p., come modificato dalla novella, anche
con riferimento all'ipotesi che questi possa assumere la qualit di testimone,
ai sensi dell'art. 197 bis
c.p.p..".
Dal combinato disposto dei primi due commi, dell'art. 26
deriva, quindi, che "anche nella fase delle indagini. preliminari trova
applicazione la sanzione della inutilizzabilit, ai sensi dell'art. 64, comma 3
bis, c.p.p., delle dichiarazioni rese dall'indagato su fatti che concernano la
responsabilit di altri, se l'interrogatorio non stato preceduto
dall'avvertimento di cui al terzo comma lett. c) del medesimo articolo, ai fini
della valutazione dei gravi indizi di colpevolezza, alla cui sussistenza l'art.
273, comma uno, c.p.p. subordina l'applicazione di misure limitative della
libert personale".
Ebbene, l'interpretazione dell'art. 26, comma 2, della L. n. 65/2001 non pu
non essere preceduta, per coglierne il valore, dall'interpretazione del comma 1
dello stesso articolo, il quale dispone che "nei processi penali in corso
alla data di entrata in vigore della presente legge si applicano le
disposizioni degli articoli precedenti salvo quanto stabilito nei commi da 2 a
5".
Come stato osservato dalla dottrina, non v' alcuna ragione di dubitare che
il termine processi usato dalla legge debba essere inteso quale sinonimo di
procedimenti, senza alcuna distinzione di fasi o gradi "ed proprio la
mancanza di un ulteriore limite di riferimento che induce a cogliere, nella
formula impiegata dalla disposizione in esame, una norma singolare dai
contenuti ben diversi dal principio generale tempus regit actum, in virt del
quale gli atti legittimamente compiutisi in un determinato momento storico
conservano validit".
" L'actus preso in considerazione dalla legge attuativa del giusto
processo non , infatti, - prosegue la dottrina il singolo atto probatorio
ovvero una fase o un grado dell'iter processuale, ma si identifica con l'intero
arco del procedimento in corso e, all'interno di tale spazio, l'efficacia
immediata della nuova disciplina riguarda, indistintamente tutti gli atti
processuali compiuti o da porre in essere".
Ne consegue che, "se il principio tempu regit actum" neutralizza
l'efficacia della nuova disciplina rispetto agli atti ormai acquisiti, la norma
singolare contenuta nell'art. 26, comma 1, laddove prescrive l'immediata
operativit dello ius superveniens ai 'processi in corso', impone al giudice di
vagliare la legittimit dell'atto probatorio alla luce della disciplina
vigente, non gi al momento dell'acquisizione, bens al tempo della
decisione", e quindi della sua utilizzazione processuale.
Si osserva, dalla stessa dottrina, che "una simile chiave di lettura
comporta, peraltro, conseguenze meno dirompenti di quanto appaia a prima vista,
ove si consideri come i divieti probatori introdotti dalla legge n. 63 del 2001
possiedano una comune ratio ispiratrice individuabile nell'attuazione del
metodo del contraddittorio enunciato all'art. 111, comma 4, della Costituzione,
sicch, poich i nuovi canoni costituzionali estendono la loro efficacia a
tutte le vicende nate all'indomani del 7 gennaio 2000, l'effetto retroattivo
della L. n. 63 del 2001 interessa uno spazio gi investito in gran parte dal
divieto di acquisire conoscenze formate al di fuori del metodo dialogico e
sotto questa luce ben si comprende la scelta a favore di una parziale
retroattivit delle nuove regole probatorie compiuta dall'art. 26, comma 1, non
dovendo trascurarsi, inoltre, come il precetto in discorso conosca varie
deroghe, di entit differenziata a seconda della fase del procedimento presa in
considerazione".
Se questo l'ambito dell'art. 26, comma L. dalla legge in esame, la regola
transitoria del comma due " destinata ad operare nella fase delle
indagini preliminari e guarda all'ipotesi in cui gli organi investigativi
abbiano gi assunto dichiarazioni nel corso di un interrogatorio alla data di
entrata in vigore della legge, facendosi carico, in tal caso, al p.m. di 'rinnovare',
secondo le forme ex artt. 64 e 197 bis, "rispettivamente modificato e
introdotto dalla presente legge , l'esame dei soggetti indicati".
L'art. 26, comma 2, significa, allora, che il p.m. deve procedere ad un nuovo
interrogatorio, avendo voluto il legislatore "meglio garantire la
funzionalit del sistema, premurandosi rispetto al rischio di dispersione delle
conoscenze raccolte nel corso delle indagini.
Lo ius superveniens - la L. n. 63/2001 stato, dunque, reso applicabile, anche
alla fase delle indagini preliminari e anche ai procedimenti de libertate,
dalla regola di cui al comma 1 dell'art. 26, con la conseguenza che, dopo
l'entrata in vigore della legge, un interrogatorio, assunto ai, sensi dell'art.
64 nella formulazione anteriore all'intervento delle modifiche introdotte dalla
legge n. 63/2001, inutilizzabile sia, ovviamente, nel successivo
dibattimento, sia nel corso delle indagini preliminari e, in particolare,
nell'ambito delle decisioni de libertate.
La rinnovazione dell'esame, prevista dal comma 2 dell'art. 26, importa, invece,
che l'interrogatorio possa essere utilizzato nel dibattimento e, prima ancora,
nella fase delle indagini preliminari e nel procedimento de libertate.
Nel caso di specie il p.m. non ha proceduto a rinnovare l'interrogatorio della
G. e questa omissione fa s che agli atti restino le dichiarazioni,
inutilizzabili, della coindagata rese, in due occasioni, in data antecedente a
quella dell'entrata in vigore della L. n. 63/2001.
Il tribunale del riesame non avrebbe potuto utilizzarle, mentre 1'ordinanza
impugnata d atto che hanno avuto un ruolo determinante nel rigetto dalla
richiesta di riesame.
- Una volta
ritenute inutilizzabili le dichiarazioni della G., l'ordinanza impugnata
deve essere annullata con rinvio, spettando al giudice di merito accertare
se e in che misura i gravi indizi di colpevolezza continuino a sussistere
e, conseguentemente, se e in quale misura persistano le esigenze
cautelari.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte di cassazione, a sezioni unite, annulla l'ordinanza impugnata e rinvia
per nuovo esame al tribunale di Taranto;
manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 94, camma 1-ter,
disp. att. c.p.p..