Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 542 del 9/11/2004
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Si riprende la discussione.

(Ripresa esame dell'articolo unico - A.C. 5369)

PRESIDENTE. Passiamo agli interventi sulle proposte emendative riferite agli articoli del decreto-legge. Ha chiesto di parlare l'onorevole Coluccini. Ne ha facoltà.

MARGHERITA COLUCCINI. Signor Presidente, rinuncio.

PRESIDENTE. Sta bene.

PIERO RUZZANTE. No, Presidente, l'onorevole Coluccini non intendeva rinunciare. C'è stato un malinteso!

PRESIDENTE. Ma mi aveva detto che intendeva rinunciare!
Onorevole Coluccini, se intende parlare, ne ha facoltà.

ELIO VITO. Ha rinunciato!

PRESIDENTE. Scusatemi, onorevoli colleghi, la collega è in aula; se vi è stato un malinteso con la Presidenza non possiamo farne un affare di Stato. Prego, onorevole Coluccini...

MARGHERITA COLUCCINI. Signor Presidente, vi è stato evidentemente un malinteso.

PRESIDENTE. Va bene, onorevole. Ha facoltà di parlare...

LUCA VOLONTÈ. Non è vero!

PRESIDENTE. Ma non è questo il punto, onorevoli colleghi! Sono in duecento: se non vuole parlare l'onorevole Coluccini parlerà un altro! Se l'onorevole Coluccini mi dice che vi è stato un malinteso, è chiaro che le do la parola! Onorevole Coluccini, coraggio (Commenti dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo)...

MARGHERITA COLUCCINI. Presidente, sono pronta.
Le motivazioni della conversione in legge del decreto-legge all'esame sembrerebbero rispondere semplicemente - e qui le virgolette sono d'obbligo - all'esigenza di adempiere ad un dovere che si è reso necessario a seguito delle sentenze della Corte costituzionale attraverso le quali sono state dichiarate costituzionalmente illegittime le previsioni di cui all'articolo 13, comma 5-bis, e all'articolo 14, comma 5-quinquies, del testo unico; quasi a dire, quindi, che qualunque cosa si intenda mettere nero su bianco ha automaticamente carattere di legittimità, superando invece qualsiasi riflessione sulla necessità di arrivare ad una modifica, che non è soltanto tecnica; al contrario essa assume invece la portata di una vera e propria sconfessione sulla base di un approccio demagogico alla materia decisamente non rispondente ai dettami della nostra Costituzione in fatto di garanzie e libertà personali.
La questione delle espulsioni degli immigrati clandestini è senz'altro materia complicata e di grandissimo impatto sociale, per la quale anche l'individuazione di uno strumento giuridico efficace, razionale e socialmente adeguato dà il senso ed è il segno della comprensione e della maturità civile con la quale si stabiliscono le regole e se ne prevedono gli effetti.
Il provvedimento in esame, al contrario, stabilisce l'ulteriore peggioramento della cultura che ha ispirato la legge Bossi-Fini; lo fa aggirando le stesse pesanti censure della Corte costituzionale, lo fa appesantendo penalmente i reati, lo fa


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alimentando contraddizioni pericolose tra lo Stato di diritto e la volontà di governare il fenomeno dell'immigrazione clandestina con un atteggiamento culturale spaventato ed inadeguato.
Infatti, ritengo che la forza e la ponderazione necessarie ad affrontare adeguatamente la questione dell'emergenza del fenomeno dell'immigrazione clandestina non possano certo venire da disposizioni che sottraggono alla questione stessa appunto il carattere di grande emergenza europea, facendone tema di mera propaganda e di bilanciamento interno tra gli equilibri che tengono in piedi, più o meno, questa maggioranza di Governo. La sensazione, infatti, è che anche la conversione in legge di questo provvedimento e tutta la discussione che ha suscitato, benché apparentemente vissute come atto dovuto, risentano delle difficoltà o, se non altro, delle diversità di approccio alla materia interne alla stessa maggioranza. Infatti, se, da una parte è assolutamente percepibile l'enfasi con la quale affrontate l'argomento dell'immigrazione - un'enfasi negativa e deteriore che soffia sulle paure senza ridurre gli effetti dannosi del fenomeno - dall'altra, è chiaro l'equilibrio delicato sul quale si stanno reggendo le diverse spinte che animano le forze che compongono la coalizione di Governo. Spinte che confliggono, come può confliggere una professata cultura cattolica, con la concomitante paura dell'altro, del diverso, con le pulsioni fobiche ed ideologiche degli assertori di un'identità unica ed uguale a se stessa. Tutto ciò, ovviamente, non può funzionare e gli effetti, su questo provvedimento più che su altri, sono eclatanti.
La censura subita dalla cosiddetta legge Bossi-Fini da parte della Corte costituzionale - censura prevedibile e segnalata da tempo da parte dell'opposizione - avrebbe dovuto spingervi ad un ravvedimento che, invece, è mancato. Il risultato è questo provvedimento, che manifesta, dietro la necessità di rivisitazione delle disposizioni oggetto delle suddette censure, un intento ulteriormente vessatorio e lesivo dei diritti civili e delle garanzie fondamentali degli individui.
Infatti, al primo rilievo della Corte costituzionale - circa la necessità che qualunque restrizione della libertà personale avvenga per atto motivato dell'autorità giudiziaria -, rispondete attribuendo la procedura di convalida al giudice di pace, che non ha le prerogative né lo stato giuridico del magistrato ordinario; motivate siffatta scelta con il rischio di intasamento della macchina giudiziaria. Avviene, quindi, in questa maniera, che i principi generali dell'ordinamento, e gli stessi principi costituzionali, vengano violati per fare fronte a problemi organizzativi e funzionali. Oltre a ciò, si sancisce che la competenza sia non in ragione della materia ma della cittadinanza del soggetto sottoposto a giudizio.
Al secondo rilievo della Corte - che ha censurato la previsione di arresto obbligatorio per lo straniero sorpreso sul territorio nazionale dopo l'obbligo comminato dal questore di lasciare il paese (quindi, per un fatto che la legge stessa identifica quale reato contravvenzionale), rispondete modificando la natura stessa del reato e trasformandolo da contravvenzione in delitto, nonché aumentando le pene detentive in maniera certamente inadeguata e sproporzionata.
Noi siamo d'accordo sul fatto che fosse necessario dare concretezza e ricostruire l'intera procedura relativamente al meccanismo di previsione della convalida e all'immediata esecutività del provvedimento di espulsione; lo siamo, non da adesso - sulla scorta della sentenza della Corte - ma dal momento in cui denunciammo la carenza e l'impraticabilità costituzionale di tale formula nel contesto di critica generale dell'impianto su cui poggiavano sia il decreto-legge n. 51 del 2002 - convertito poi dalla legge n. 106 del 2002 - sia la cosiddetta legge Bossi-Fini.
Quanto non convinceva - e non convince tuttora - è, quindi, l'impostazione complessiva con la quale affrontate la materia; infatti, anziché individuare soluzioni alle asserite carenze della cosiddetta


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legge Turco-Napolitano, avete varato una legge manifesto che deforma la legittima richiesta di sicurezza dei cittadini facendola diventare un'arma da brandire per imporre un modello lontano dalla cultura del rispetto, della solidarietà e dell'accoglienza propria del nostro paese. La cosiddetta legge Bossi-Fini ha però mostrato il limite di quel modello; con questo provvedimento, ora fate un esercizio ulteriore, rendendo ancora più inadeguate quelle disposizioni, sia nel senso della funzione di contrasto che esse dovrebbero esercitare sia nell'assegnazione di termini definitivi e rapidi alle procedure individuate e sia, infine, quale risposta complessiva al fenomeno. Tale risposta andrebbe pensata e rappresentata con linguaggio europeo ma, di fatto, ci si chiude, invece, in un ambito tutto interno ai nostri confini.
In queste norme, non vi è considerazione, né giuridica né semplicemente umana, dei soggetti interessati; vi è soltanto una sbrigativa semplificazione e, aspetto ancor più grave, la sbrigativa sopraffazione nei riguardi della libertà personale, diritto la cui tutela esige che vengano assicurate tutte le garanzie necessarie a soggetti che, per implicita condizione, sono soggetti deboli e per i quali solo una magistratura professionale può garantire certezza ed omogeneità di indirizzo oltre che efficienza e rapidità di risposta giudiziaria. Così ha stabilito anche il CSM.
Per questi motivi, è da ritenersi insufficiente lo status del giudice di pace a fronte della complessità della materia, nonché delle difficoltà organizzative in cui lo stesso si troverebbe ad operare: infatti, se l'irregolarità può derivare esclusivamente dalla mancanza del permesso di soggiorno (caso certamente non complesso), da parte dell'immigrato potrebbe sussistere una richiesta di asilo, una situazione di emergenza o una richiesta di soccorso. In tali casi, in virtù della legge delega del 1999, avendo il giudice di pace competenza qualora non ricorra la necessità di procedere ad indagini od a valutazioni complesse, sarebbe eclatante la sua insufficienza a trattare la materia. Il giudice di pace non è certamente un giudice minore, ma possiede senz'altro minori prerogative, nonché una minore esperienza maturata al riguardo.
Di singolare gravità è, inoltre, l'esibizione muscolare che compite, che dovrebbe avere l'intento di superare la censura della Corte costituzionale in merito alla previsione di arresto obbligatorio per lo straniero sorpreso sul territorio nazionale dopo l'ordine del questore di lasciare il paese. In tal caso, si manifestano tutto il pregiudizio e la logica repressiva di misure che non faranno altro che sommare difficoltà ad ingiustizia. Ciò perché modificare la tipologia di reato, portandolo da contravvenzionale a delitto, inasprendo le pene, innescherà un circuito penale perverso, inarrestabile ed ingiustificato.
È innegabile come il nostro paese sia tra i più esposti al fenomeno dell'immigrazione clandestina, per lo più di passaggio per moltissimi immigrati che ambiscono a raggiungere mete diverse. È altresì innegabile, d'altra parte, che il fenomeno non conosce tregua, né una soluzione immediata e, soprattutto, solitaria. La questione, dirimente e attualissima, è pertanto legata al contributo che il nostro paese potrà offrire alla formazione di una politica europea sui temi dell'immigrazione e della sicurezza comune e condivisa.
A tale proposito, l'articolo 1-bis del decreto-legge in esame, introdotto nel corso dell'esame svolto dal Senato, rappresenta non soltanto la dimostrazione di una pervicace volontà repressiva, ma anche la prova che avete approfittato malamente dell'occasione fornita dalle sentenze della Corte costituzionale, facendo passare per urgenti e necessarie modifiche al testo originario del decreto-legge che dell'urgenza e della necessità non hanno neanche l'apparenza, e che avvalorano, invece, la considerazione che vede il nostro paese isolato e portatore di tesi astratte ed inattuabili per la gran parte degli altri paesi europei.
L'articolo 1-bis, infatti, stabilisce che il Ministero dell'interno contribuisce alla realizzazione, nel territorio dei paesi interessati, di strutture utili ai fini del contrasto


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dei flussi irregolari di popolazione migratoria verso il territorio italiano. Si tratta di un tema dirompente, sul quale, anche nel corso della trattazione, vi è stata una superficialità a mio avviso voluta, ma che meriterebbe, invece, un approfondimento che ritengo necessario, a cominciare dal fatto che tale articolo è stato introdotto, nel corso dell'esame da parte del Senato, dopo - o più o meno contemporaneamente - la bocciatura, operata dagli altri paesi partecipanti al G5, dell'iniziativa italo-tedesca volta alla realizzazione di centri di accoglienza nell'Africa settentrionale.
Se il Governo, su tale tema, avesse una visione ed idee talmente forti e condivise da poterle affermare in sede europea, sarebbe stato certamente utile conoscerle per tempo, per affrontarle con la dovuta precisione ed accortezza nelle sedi deputate, anziché inserirle, come articolo aggiuntivo, nell'ambito di un provvedimento originato da ben altre esigenze. Nel merito, infatti, tale proposta suscita fortissime perplessità; si tratta di una contrarietà che è non soltanto strumentale, ma è legata, in primo luogo, al rischio di veder prevalere la negazione dei diritti umanitari, politici ed economici degli immigrati, senza contare che tali centri dovrebbero sorgere in paesi come la Libia, ad esempio, che non hanno sottoscritto la Convenzione di Ginevra.
Il Governo, a tale proposito, dovrebbe rispondere relativamente al merito e al metodo adottati; dovrebbe altresì garantire sul ruolo e sul peso che la nostra cultura democratica potrà continuare ad esercitare, nell'ambito del consesso europeo, in ordine a temi così delicati, che incidono sulla vita di numerosissime persone. Il Governo dovrebbe trovare, inoltre, una soluzione alle brutte figure rimediate ed alle prese di posizione isolate e profondamente deleterie.
La contrarietà espressa da parte dei paesi componenti il G5 alla proposta di realizzazione delle strutture cui dare il nome tranquillizzante di «portali dell'immigrazione» o «di centri di assistenza», in cui sarebbero depositati - o, addirittura, rinviati - tutti coloro che tentano di accedere al territorio europeo, nasce dalla considerazione che essa rappresenterebbe una regressione senza precedenti rispetto al modo in cui l'Europa stessa intende assumersi la propria responsabilità nei confronti delle popolazioni che fuggono dai conflitti, dalle violazioni dei diritti dell'uomo e dalla povertà. L'Europa, così facendo, si proteggerebbe dalle vittime dei disordini mondiali, contravvenendo alla responsabilità cui è, invece, soggetta in virtù degli impegni internazionali che ha ratificato.
Questa, complessivamente, è la nostra critica e l'indicazione - allo stesso tempo - di un percorso attraverso il quale ricondurre ad una logica di maggiore e migliore giustizia e praticabilità costituzionale quanto di distorto è stato immaginato e scritto per dare soluzione ad una questione che rappresenta un vero e proprio banco di prova per il nostro paese, per la nostra democrazia, e per rendere queste norme giuridicamente agibili e umanamente sostenibili (Applausi dei deputati dei gruppi dei Democratici di sinistra-L'Ulivo e Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Bellillo. Ne ha facoltà.

KATIA BELLILLO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, ci troviamo di fronte all'urgenza di approvare questo provvedimento con una proposta che il Governo ha avanzato costretto dalla Corte costituzionale, che ha sancito l'incostituzionalità della legge Bossi-Fini sull'immigrazione. Del resto, tale legge, la maggioranza ed il Governo l'hanno imposta al Parlamento ed all'Italia intera. L'unica preoccupazione che la ispira è affrontare il fenomeno dell'immigrazione soprattutto come questione di ordine pubblico. Per questo, avete inasprito l'apparato sanzionatorio, ridotto le possibilità di ingresso legale per lavoro, accentuando la precarietà dei lavoratori migranti, costretti, di fatto, all'ingresso clandestino o a limitate possibilità di ingresso per lavoro prevalentemente stagionale, con grandi sofferenze dal punto di vista degli affetti e delle relazioni familiari.


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Tali lavoratori sono scappati dai propri paesi per difendersi dalla fame; vengono in Italia per morire a fuoco lento e subire moltissime ingiustizie e discriminazioni, anche indirette (purtroppo, anche da parte di istituzioni del nostro paese che dovrebbero, invece, tutelarli e difenderli).
Noi ve l'avevamo detto che tale legge era incostituzionale e dettata dalla paura (e, per questo, terribilmente xenofoba ed in contrasto con ogni ragionevole progresso morale dell'umanità). Si tratta, come dicevo, di una legge disumana. Avete tolto ad alcune persone la possibilità di difendersi attraverso le norme, esponendole - in tal modo - alla violenza e all'oppressione.
Voi guardate a questi uomini e a queste donne come se non appartenessero alla specie umana. Ciò che dovrebbe essere un incontro, un confronto ed uno scambio, lo trasformate in un fronteggiarsi tra due specie diverse. Tale approccio ci ricorda terribili eventi che hanno deturpato la storia dell'Europa e delle popolazioni europee. Voi non sopportate che gli immigrati godano di un diritto universale, previsto - del resto - dalla nostra Costituzione: quello della libertà personale. L'articolo 13 della Costituzione italiana - a vostro avviso - per gli immigrati non vale! Avevate previsto che l'esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera avrebbe dovuto essere eseguito prima della convalida da parte dell'autorità giudiziaria e, pertanto, senza alcun contraddittorio e senza alcuna garanzia di difesa. Avete usato l'esercito, l'aeronautica e la marina per scaricare repentinamente i migranti, quasi fossero merci, con l'accompagnamento coattivo alla frontiera - o, addirittura, in un altro paese - senza controllare se fossero perseguitati, costringendoli a tornare, senza alcuna protezione, in paesi in cui la loro vita potrebbe essere messa in grave difficoltà.

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PUBLIO FIORI (ore 18,25)

KATIA BELLILLO. Ciò non vi preoccupa. La Corte costituzionale è intervenuta anche con una seconda sentenza - la sentenza n. 223 - relativa al vizio di legittimità rispetto all'articolo 14, in cui addirittura si prevede l'arresto. Le misure coercitive della libertà personale nel territorio italiano possono essere eseguite solo quando si procede per un delitto; ma, ovviamente, gli immigrati, a vostro avviso, sono omologati a dei delinquenti. Non sono persone come noi, che vogliono vivere dignitosamente e decorosamente la loro vita, per sé e per i loro cari: essi vengono qui a cercare nuove possibilità e nuove speranze, ma devono essere arrestati comunque, perché sono immigrati e per loro non valgono l'articolo 3 della Costituzione, che sancisce l'uguaglianza dei diritti di fronte alla legge, o l'articolo 13 della Costituzione, che legittima l'adozione da parte dell'autorità amministrativa di provvedimenti restrittivi solo in casi eccezionali di necessità e di urgenza. Queste gravi osservazioni non sono di poco conto. Con il provvedimento in esame non rispondete ai rilievi della Corte costituzionale; anzi, le questioni vengono eluse o addirittura aggirate. Di più: avete introdotto elementi che peggiorano il testo, anziché adeguarlo alle norme costituzionali.
L'articolo 1, riscrivendo il comma 5-bis dell'articolo 13 della legge n. 286 del 1998, in ottemperanza ad un pronunciamento della Corte costituzionale, stabilisce che l'esecuzione del provvedimento di allontanamento debba essere sospesa fino alla convalida. Al Senato è stato introdotto il sistema del contraddittorio prima dell'esecuzione del provvedimento. In attesa, lo straniero è trattenuto nei centri di permanenza temporanea e contro il provvedimento di convalida egli può proporre ricorso per Cassazione. Tuttavia - cosa grave - tale ricorso non sospende l'esecuzione dell'allontanamento e, dunque, se la Corte di Cassazione la sospende, lo straniero potrebbe trovarsi già fuori dall'Italia.
Tuttavia, la disposizione veramente grave è contenuta nei commi 4 e 5 dello stesso articolo 1, laddove l'autorità competente non è più il tribunale in composizione


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monocratica, ma il giudice di pace. Il Consiglio superiore della magistratura ha espresso un giudizio negativo circa la previsione di affidare al giudice di pace la convalida delle espulsioni, poiché la natura stessa dei diritti di libertà oggetto dei provvedimenti giudiziari - come scrive la Corte - richiede un intervento di garanzia adeguato sul piano ordinamentale, processuale ed organizzativo, che assicuri loro una tutela, insieme, giusta ed efficace, risultato che può essere meglio soddisfatto mediante il ricorso alla magistratura professionale opportunamente sostenuta nello sforzo attuativo richiestole. Fin qui, le argomentazioni della Corte.
La magistratura onoraria, quale quella dei giudici di pace, non può essere posta a garanzia della tutela personale e delle libertà della persona. In tal modo, solo la categoria degli stranieri vede ricadere sotto la giurisdizione del giudice di pace pronunce che incidono sulla libertà personale, mentre gli altri cittadini godono della giurisdizione della magistratura ordinaria, in evidente contraddizione con il principio di uguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione. Vi è, quindi, una palese violazione del principio di uguaglianza, già rilevato con forza dal CSM.
Altra grave norma sulla quale, ancora una volta, il CSM ha espresso un parere negativo è quella contenuta nel comma 5-ter dell'articolo 1, secondo il quale le questure sono tenute ad offrire al giudice di pace il supporto occorrente e le disponibilità di un locale idoneo, al fine di assicurare la tempestività del procedimento.
Il Consiglio superiore della magistratura ha richiamato la norma che attribuisce al Ministero dell'interno anziché a quello della giustizia compiti di organizzazione dei servizi di giustizia, apparendo la stessa inidonea a condizionare l'esercizio della giurisdizione, pregiudicandone così l'immagine di imparzialità.
Grave è anche il comma 6 dello stesso articolo, laddove si cerca di aggirare la pronuncia di illegittimità costituzionale della Corte nella parte in cui stabilisce che per il trattenimento ingiustificato sul territorio dello Stato dello straniero, cui il questore abbia ordinato di lasciare il territorio nazionale, fosse obbligatorio l'arresto. Per fare rientrare dalla finestra e rendere legittimo l'arresto, si è quindi riscritto il quadro delle sanzioni, stabilendo un aggravamento della pena la cui entità modifica la natura del reato, da contravvenzione a delitto, e consente l'imposizione di quelle misure coercitive considerate prima irragionevoli dalla Corte costituzionale. Il nuovo comma 5-ter, dunque, prevede la reclusione da uno a quattro anni se l'espulsione è stata disposta o per l'ingresso illegale o per non aver richiesto il permesso di soggiorno nei termini di legge o se questo è stato annullato o revocato, o l'arresto da sei mesi ad un anno nel caso in cui non sia stato richiesto il rinnovo dello stesso entro 60 giorni dalla scadenza - noi sappiamo che alle questure ci sono le file di quegli stranieri che già vivono e lavorano nel nostro paese per avere ogni due anni il rinnovo del permesso di soggiorno - o, comunque, in entrambi i casi si richiede un nuovo provvedimento di espulsione. Insomma, si eleva la pena per renderla legittima. Allo stesso modo, è stata innalzata la pena per gli stranieri che si trovano irregolarmente sul territorio nazionale riformulando il comma 2-ter.
Un'altra grave norma introdotta dal Senato è l'articolo 1-bis, laddove si prevede che il Ministero dell'interno contribuisca per gli anni 2004 e 2005 alla realizzazione, nei paesi di accertata origine dei flussi migratori, di strutture utili al contrasto delle immigrazioni irregolari verso il territorio italiano. Si tratta di una norma assurda, da molti giuristi giudicata incostituzionale perché prevede la realizzazione di CPT anche oltre confine! Eppure, il rapporto recentemente pubblicato dalla Caritas sulla presenza della popolazione straniera nel nostro paese dimostra che il numero degli immigrati é in costante aumento: due milioni e 600 mila stranieri, con un raddoppio della presenza negli ultimi quattro anni. Questo è un altro dato che si lega al fabbisogno costante di lavoratori stranieri nell'economia, laddove


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un'assunzione su sei nel corso dell'anno passato ha coinvolto un extracomunitario. Parallelamente, aumenta la presenza delle nuove generazioni. Gli studenti stranieri sono arrivati a quota trecentomila, mentre sono 250 mila gli stranieri nati in Italia negli ultimi quattro anni. Sale inoltre il livello di integrazione, a dispetto di chi concepisce la politica nei confronti della popolazione straniera solo dal punto di vista repressivo. Secondo un sondaggio realizzato da Demos, nelle regioni del nord-est aumenta il numero degli italiani che ritiene giusto che agli stranieri sia concesso il diritto di voto.
Con questo provvedimento, ancora una volta, si prende tempo per cercare di non rispondere alla Corte costituzionale e, soprattutto, per mantenere il nostro paese in una condizione di grave inadempienza rispetto alle direttive europee. Non è un caso che proprio ieri, di fronte alla Commissione europea, 48 associazioni e ONG italiane hanno svolto una controrelazione con la quale si denuncia, per la prima volta, il nostro paese sia perché inadempiente agli obblighi sia perché è l'unico paese europeo a non aver ancora costituito un'istituzione indipendente per i diritti umani.
In questo paese, purtroppo, negli ultimi quattro anni i diritti umani sono stati messi a tacere dal Governo e dalla maggioranza. Non si garantiscono più le libertà individuali e si pratica costantemente una politica di discriminazione non solo nei confronti della popolazione italiana più debole ed indifesa, ma soprattutto nei confronti dei lavoratori immigrati, dei quali, anche con questo decreto beffa, si vogliono calpestare le libertà personali e la dignità di vivere decorosamente nel nostro paese (Applausi dei deputati del gruppo Misto-Comunisti italiani).

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Fioroni. Ne ha facoltà.

GIUSEPPE FIORONI. Signor Presidente, il decreto-legge in esame affronta nel modo ormai consueto da parte di questo Governo il tema dell'immigrazione. L'unica novità è forse rappresentata dalla mancanza sui banchi del Governo di quell'attenzione farisaico-caritatevole di chi ritiene che l'immigrazione sia un problema da subire e non, invece, un fenomeno con cui confrontarsi, tenendo presente che rappresenta una reale opportunità per il nostro paese e per l'Unione europea.
Siamo stati abituati a veder trattare di immigrazione dal Presidente Berlusconi fin dall'inizio del suo mandato di Governo. Ci ricordiamo tutti come rimase terribilmente addolorato e come pianse sul molo di fronte all'inizio di quella catena di sventurate morti nelle nostre acque territoriali dovute ai tanti viaggi della speranza. Abbiamo forse cambiato sponda del mare, ma non abbiamo certo risolto il problema.
Oggi siamo in questa sede a parlare di una modifica della legge Bossi-Fini che, ancora una volta, denota come di fronte al tema dell'immigrazione il Governo non abbia saputo esercitare un'azione reale ma abbia semplicemente subito gli eventi che a volte hanno rappresentato una vera e propria calamità. Non mi riferisco alle centinaia di morti avvenute nei nostri mari, ma a quella calamità non naturale costituita dalla presenza della Lega all'interno della maggioranza (Commenti del deputato Guido Giuseppe Rossi). Tale presenza ha espunto ogni capacità di razionalizzare il problema e di prospettare ipotesi e forme di soluzione reali.
Credo che la Bossi-Fini dovrebbe essere all'ordine del giorno di questa Camera solamente con un punto chiaro: la necessità di abrogarla. Non si è stati in grado neanche di stilare un bilancio reale degli effetti che tale legge ha portato al nostro paese. Se guardassimo con occhio attento a quanto realizzato dalla Bossi-Fini nei suoi anni di applicazione, dovremmo rilevare una pericolosa involuzione della politica nei riguardi degli immigrati nel nostro paese. Inoltre, da una parte abbiamo raggiunto il massimo della negazione dei diritti umani, ma dall'altra abbiamo garantito anche il massimo dell'insicurezza ai cittadini italiani. Ciò rappresenta il fallimento complessivo della Bossi-Fini:


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chi l'aveva sostenuta come la legge che avrebbe garantito la sicurezza ai cittadini italiani credo debba registrare ogni giorno di più, anche se i telegiornali non ne parlano, un elevato tasso di criminalità. Tale legge non ha governato il processo dell'immigrazione ma ha semplicemente cercato di reprimerlo, favorendo soltanto l'aumento dell'immigrazione clandestina e dell'emergenza precari.
Quante volte in quest'aula abbiamo discusso del fatto che i meccanismi delle quote - rispetto alle quali eravate tornati indietro -, una non corretta politica dell'immigrazione e del rapporto con i paesi dai quali gli immigrati provengono, una non corretta politica nell'emissione dei permessi e una non corretta politica nel rapporto con il cittadino immigrato, che ha diritto al diritto di asilo, avrebbero provocato sostanzialmente un incremento degli immigrati clandestini e della precarietà?
Come si fa a non rendersi conto quotidianamente che abbiamo consegnato anche quegli immigrati che erano entrati legalmente nel nostro paese a quel mondo del precariato e dell'illegalità diffusa? Questo li porta ad essere, non volendo, persone che, pur presenti sul territorio, si sentono in realtà non accolte, diventando al contempo facile preda di organizzazioni criminali - che non sono quelle alle quali ha fatto più volte riferimento la Lega, insultando l'operato sul nostro territorio delle tante organizzazioni di volontariato che lavorano con gli immigrati o delle tante iniziative messe in atto dalla Caritas o dalle associazioni parrocchiali, a favore e a sostegno degli immigrati -, perché infatti l'unico reale risultato che la legge Bossi-Fini ha ottenuto è stato quello di incentivare un commercio e un business per le organizzazioni criminali. Abbiamo visto inoltre aumentare la precarietà e l'illegalità, costringendo anche chi non doveva esserlo a diventare immigrato clandestino, così come abbiamo visto aumentare la precarietà dei diritti umani.
In questi giorni è in corso nel nostro paese un'interessante dibattito sul ruolo dei cattolici impegnati in politica e sul ruolo dei cattolici nei vari schieramenti politici. Credo però che, invece di fare lo sport di chi indossa la maglietta del pierino, rivendicando in modo solamente farisaico alcune convinzioni ed alcuni valori di riferimento, bisognerebbe chiedersi come si fa a stare, come cattolici, in una maggioranza di Governo che ha votato la legge Bossi-Fini, senza riuscire a sentire la discriminazione derivante dall'appartenere ad uno schieramento che quella legge ha votato - e che è stato costretto a modificarla, in modo ridicolo e irriguardoso nei confronti della Corte costituzionale (come questo decreto-legge dimostra) - e senza sentirsi smentito nelle proprie convinzioni più profonde. La legge Bossi-Fini, peraltro, oltre ad aver danneggiato l'immigrato e a non aver garantito i diritti umani agli immigrati, non ha al contempo garantito neanche la sicurezza dei cittadini.
Quanto siamo distanti da quel concetto di accoglienza sicura, del quale avevamo parlato più volte in quest'aula! Quanto siamo distanti da quella capacità di non aver paura dell'altro, come linea di confine e di separazione, rappresentata dalla lingua, dall'etnia e dal paese di origine, e da quella capacità di trovare nell'altro quell'opportunità di crescita e quella potenzialità di sviluppo, legata però al doveroso rispetto delle leggi del paese che lo ospita, dal quale scaturisce la possibilità per i nostri concittadini di vivere in maniera sicura. Dunque, la legge Bossi-Fini non ha raggiunto questi due obiettivi, riuscendo così contemporaneamente a danneggiare in maniera grave i diritti umani degli immigrati e ad aumentare l'insicurezza, la paura e la preoccupazione dei cittadini.
Come possiamo pensare che questo Governo abbia portato avanti una politica dell'immigrazione, quando sarebbe stato sufficiente che continuasse con le politiche avviate dal Governo di centrosinistra, che nel giro di pochi anni avevano azzerato sostanzialmente l'immigrazione clandestina? Perché non vediamo come si è risolto il problema dell'immigrazione proveniente dall'Albania? Si è riusciti infatti a risolvere tale problema, governando i flussi migratori verso il nostro paese e, al tempo


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stesso, aiutando lo sviluppo e la crescita di quel paese. In concomitanza con una riduzione, fino all'azzeramento, dei flussi migratori provenienti dall'Albania - ricordavo prima le lacrime e i pianti del Presidente del Consiglio, di fronte ai primi morti immigrati albanesi nelle nostre acque -, dobbiamo registrare una escalation dell'immigrazione proveniente dal nord Africa, che non siamo stati in grado di governare e di risolvere. Peraltro, non è sufficiente al riguardo un accordo con la Libia.
Abbiamo discusso a tale riguardo in quest'aula con il ministro Pisanu. Credo non sia sufficiente ipotizzare di rinviare nei paesi d'origine gli immigrati giunti nel nostro territorio in modo clandestino, senza riuscire a capire realmente se gli stessi si trovano nelle condizioni o meno di godere del diritto di asilo. D'altronde, anche questo è possibile nel nostro paese, perché rappresentiamo un'anomalia nell'anomalia. Non è un caso che, in quest'aula, quando abbiamo interpellato il Governo più volte per sapere quando avremmo discusso della nuova legge sul diritto di asilo, quando, a tale riguardo, ci saremmo dotati di una legge al passo con i tempi, ci si rispose, sempre per superare gli ostracismi della Lega, che si doveva attendere una posizione comune all'interno della comunità europea.
Credo che le comuni posizioni siano state assunte; gli indirizzi sono stati rafforzati, ricordati e ribaditi, ma la legge sul diritto di asilo nel nostro paese non è stata ancora approvata. Siamo gli unici a non averla e gli unici che trattano gli immigrati come se non vi fosse un diritto di asilo, anche e soprattutto quando sappiamo benissimo che una parte di quelle migrazioni scaturiscono da conflitti ai quali molto zelantemente anche il nostro paese partecipa, dimenticando che l'articolo 11 della nostra Costituzione impone il ripudio della guerra come soluzione dei conflitti tra i popoli.
Vi è, quindi, assenza totale del diritto di asilo e, contemporaneamente, assenza di ogni forma corretta di controllo nei confronti di quegli immigrati che, forzosamente, rimpatriamo. Se abbiamo un accordo con la Libia, dobbiamo anche sapere cosa succede agli immigrati quando ritornano sul suolo libico, cosa ne farà il nostro paese dirimpettaio, dove li condurrà, se rispetterà i diritti umani e quali sono le procedure con cui favorisce il rientro dei medesimi nei paesi di origine.
Questi temi ci riguardano direttamente e avrebbero dovuto essere oggetto di una modifica della legge Bossi-Fini, cui dovevate porre mano sulla base di due sentenze della Corte costituzionale, che ha partorito sostanzialmente un piccolo topolino.
Cosa dire poi dei centri di assistenza che non avete voluto e il cui nome avete avuto anche paura di pronunciare, perché poteva sembrare che, con un gesto di attenzione, volto ad accogliere, in maniera umana, coloro che, per motivazioni di sofferenza, di guerra, di dolore, giungevano nel nostro territorio, si creasse una sorta di favoritismo?
Avete eliminato ogni forma di finanziamento. La cosa che reputo ancora più spregevole è che si è aperta nel paese una conflittualità tra diverse povertà e diversi bisogni che pone direttamente in antitesi con i diritti umani degli immigrati quella parte di popolazione a cui questo Governo ha negato altri diritti fondamentali, come quelli al lavoro, all'assistenza, alla cura ed alla sicurezza.
Avete fatto leva sulla conflittualità tra bisogni marginali e bisogni delle nuove ed ultime povertà nel nostro paese rispetto agli immigrati per negare anche il finanziamento ai centri di assistenza, ai centri di accoglienza e non assicurando quegli standard minimi che avrebbero potuto garantire una decorosa presenza di queste persone all'interno di questi centri.
Si è persa un'occasione importante anche in sede di Costituzione europea per affrontare il problema, almeno in linea di indirizzo, dell'immigrazione. È diventato un facile alibi ribadire che le nostre posizioni saranno le posizioni assunte in maniera comune con la comunità europea.
La comunità europea e tanti altri paesi si sono assunti le loro responsabilità. Chi


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in quest'aula ha condotto una grande battaglia perché venisse ricordata all'interno della Costituzione europea la comune ispirazione cristiana di buona parte dei paesi e di gran parte della popolazione della comunità europea credo che dovrebbe fare analogo sforzo, perché di quei principi, non citati e poi dimenticati e disattesi, se ne facesse rispetto e, soprattutto, corretta applicazione nelle leggi che questo Parlamento promulga. Questo decreto-legge è uno dei tanti esempi di dimenticanza.

PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Alfonso Gianni. Ne ha facoltà.

ALFONSO GIANNI. Signor Presidente, intervengo volentieri sul complesso degli emendamenti a questo decreto-legge perché sono particolarmente contrario a tale provvedimento.
Naturalmente, non possiedo una cultura giuridica così profonda da potermi esprimere sul dettaglio delle norme; tuttavia, vorrei fare alcune considerazioni di carattere generale e poi incastonarle, se mi riesce e se il tempo a disposizione sarà sufficiente, in qualche altro rilievo più di dettaglio. Una buona filosofia contemporanea ha analizzato un problema che attiene alla modernità e all'umanità, anche se naturalmente differisce da luogo a luogo, pur potendo essere colto come dato generale. Il problema è stato definito come «identità fragile». Naturalmente, occorre chiedersi cosa sia tale identità. Questa buona scuola filosofica (buona, ovviamente, a mio avviso) distingue l'identità in due grandi parti, che producono effetti tra di loro molto lontani, addirittura contrapposti. Per dirla in latino - posso farlo, visto che non è presente l'onorevole Bianco a riprendermi -, identità come idem, quindi identità statica per cui un individuo, un popolo o una comunità è uguale a se stesso o a se stessi, in modo sostanzialmente immutabile nel tempo; oppure identità come ipse, quindi come interpretazione di una personalità che evolve, diviene e si trasforma nel tempo, pur rimanendo in sostanza eguale, perché conferma le promesse che fa.
Da questo punto di vista, la diversità è radicale e, se viene applicata alle persone, diventa molto chiara. L'identità come «medesimezza» - se vogliamo utilizzare un neologismo - porta ad una malinconia nei confronti di se stessi, mentre l'identità come «ipseità» porta invece ad un'evoluzione. Se tale concetto viene applicato ad una comunità o ad un popolo, l'identità come «medesimezza» porta a rifugiarsi nelle tradizioni antiche e ad una chiusura nei confronti dell'altro, del nuovo, del diverso, dell'estraneo, dello straniero, mentre l'identità come «ipseità» invece ama la contaminazione, il confronto con altre culture ed evolve grazie a tale confronto.
Tutto il dibattito mondiale sui processi migratori potrebbe essere inserito e letto in questa antinomia filosofica che ho qui citato. Naturalmente, mi iscrivo nella seconda parte, ovvero nell'«ipseità», piuttosto che nella «medesimezza». Infatti, ritengo che il nostro, come qualunque altro popolo, abbia tutto da guadagnare da processi di contaminazione di culture, di modi di essere e di esistere. Attenzione, perché non si tratta di banale relativismo culturale o provincialismo, come si diceva negli anni Trenta, cosa di cui scriveva Gramsci nel carcere di Turi. Non significa abbandono della propria identità, bensì comparazione con le identità altrui, curiosità intellettuale, promiscuità. Insomma, significa un continuum di relazioni che producono nuove realtà, anche sotto il profilo psicologico, oltre che sotto quello culturale.
L'intera questione dell'immigrazione si inscrive in tale ambito. Non è la prima volta che ciò accade: quando un cronista riferisce che nelle recenti elezioni uruguage - che sono state fortunatamente vinte da un esponente della sinistra, il che introduce un notevole elemento di cambiamento nella geografia politica del «cortile» degli Stati Uniti - almeno il 10 per cento della popolazione è di pura estrazione italiana, ci parla della realtà di un popolo migrante, vale a dire il nostro, nel cui nome parliamo.


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Quando verifichiamo i cognomi dei desaparecidos argentini e scopriamo che la maggioranza, o quasi, è costituita da veneti, napoletani, campani, calabresi o siciliani, riscontriamo una realtà di immigrazione. Ciò accade anche nel caso, ad esempio, del Brasile, per non parlare di altri paesi, a noi più vicini (mi riferisco in particolare alla Francia e alla Germania), in cui ricorrono cognomi italiani appartenenti anche a persone illustri e addirittura a ministri.
Ciò significa che quanto ho precedentemente espresso in termini filosofici, vale a dire in termini di astrazione massima, ha rappresentato invece, per quanto riguarda la storia del nostro paese, la concretezza della vita delle popolazioni. Inoltre, alla migrazione al di là dei confini va aggiunta la migrazione interna. Si tratta di un fenomeno non meno sconvolgente, dal momento che nel quinquennio del boom economico, dal 1958 al 1962, un terzo della popolazione italiana ha cambiato residenza, in modo largamente prevalente da sud a nord, ma anche da est ad ovest, per quanto riguarda il territorio padano. Si può dunque affermare che abbiamo già conosciuto la migrazione e/o immigrazione, e non possiamo chiudere gli occhi. Non abbiamo alcuna giustificazione che ci possa far disconoscere questa realtà.
Oggi nel nostro paese abbiamo una popolazione proveniente da paesi stranieri che ammonta a circa tre milioni di unità. La larghissima maggioranza di tale popolazione ha regolarizzato la propria posizione, mentre una piccola minoranza è ancora in condizioni di irregolarità. La legge Bossi-Fini, che pure è crudele per molti aspetti, ha rappresentato nel contempo l'occasione per una massiccia regolarizzazione. Si è trattato di un'eterogenesi dei fini, determinata dalla distanza ideologica delle destre rispetto alla realtà culturale ed economica del paese, che è più che disponibile ed aperto nei confronti dei fenomeni di immigrazione.
Ho sempre ricordato, anche in questa sede, ai colleghi della Lega come in alcune città venete in determinati periodi le nascite di figli di extracomunitari superino le nascite di figli di italiani, malgrado in quelle zone esista una forza politica, quale la Lega stessa, che indubbiamente non è tenera nei confronti dell'immigrazione extracomunitaria. Tuttavia, la realtà economica e il tessuto sociale sopravanzano la mentalità di quei politici. Si tratta di un fatto che verrà registrato dagli storici futuri, e anche se i contemporanei fanno fatica a digerirlo, non è, per ciò stesso, meno vero. Nel contesto europeo, il nostro paese, rispetto ad altri grandi paesi forti per democrazia e per condizione economica, quali la Francia e la Germania, registra ancora oggi tassi di immigrazione e di presenza di extracomunitari sul territorio nazionale notevolmente inferiori.
Di fronte a ciò, mi pare francamente assurdo rispondere alle questioni poste dalla sentenza, o meglio, dalle sentenze del 2004 della Corte costituzionale con il decreto-legge al nostro esame approvato dal Senato.
Con riferimento a questo provvedimento, noi contestiamo - a questo punto cerco di entrare nell'ambito più squisitamente giuridico - i comportamenti che esso indica sia sul tema del reingresso degli immigrati a fronte di un precedente processo di allontanamento, sia per quanto riguarda l'espulsione. Sul reingresso, siamo di fronte ad un accanimento, poiché si prevede l'arresto per reati che sono di carattere amministrativo; inoltre, come altri colleghi in sede di discussione generale hanno sottolineato, siamo di fronte addirittura ad un ampliamento delle pene che, da una durata mensile, sono estese ad una durata annuale.
Per quanto riguarda il problema dell'espulsione, siamo di fronte al fatto che una persona viene privata della possibilità di difesa davanti al giudice e che l'esecutività del procedimento viene messa in capo al giudice di pace, stravolgendo così questa figura che nell'ordinamento italiano era, diciamo così, riservata a competenze su questioni di lieve entità. Siamo invece di fronte ad una questione che riguarda la libertà del singolo, la


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libertà personale, una restrizione che è una delle peggiori che possano esserci per quanto riguarda una persona. Infatti, gli si dice «non può stare qui, devi andare di là», quindi, limitando la sua possibilità di vita di insediamento e di movimento, il che evidentemente non può essere trattato alla stregua di una questione di lieve entità.
Si tratta di un problema di tutta grandezza per quanto concerne la libertà dei singoli. Mi rivolgo ai liberali - non ai liberisti, perché sono altra cosa - che reclamano di volta in volta: ho sentito persino un ministro di questo Governo citare a sproposito la sua libertà di dire quello che pensa, il che non è negato a nessuno, salvo il fatto che poi ognuno ha altrettanta libertà di dire la propria su quello che uno ha esternato del suo pensiero, perché altrimenti è una libertà a senso unico. Ebbene, mi rivolgo ai liberali, che dovrebbero essere molto attenti sulla violazione, sulle restrizioni e le limitazioni della libertà personale, della libertà di movimento e della libertà di scelta del luogo dove poter vivere. Allora, è evidente che un tema di questo genere, impropriamente e con una soluzione «corsara» operata da parte del Vicepresidente del Consiglio, è stato attribuito al giudice di pace per risolvere una controversia interna al Governo su questo delicato tema: tuttavia, questo non ha un fondamento nelle funzioni che deve svolgere il giudice di pace. Inoltre, mi si dice che ci sarebbe una sorta di lavoro a cottimo, per cui ad ogni espulsione vi sarebbe un tornaconto monetario: mi pare che questi poveri giudici di pace siano ridotti come i buttafuori delle discoteche, il che francamente significa avvilire una istituzione nata anche per alleggerire la macchina giudiziaria, quindi per andare incontro alle esigenze di una giustizia giusta nei confronti dei cittadini, come dicevano una volta alcuni.

PRESIDENTE. Onorevole Alfonso Gianni, la prego di concludere.

ALFONSO GIANNI. Ho finito, signor Presidente.
Ma non è solo questo: siamo anche di fronte ad una intromissione del Ministero degli interni tramite la dislocazione della discussione nelle sedi delle questure, che ha valore intimidatorio nei confronti dei cittadini immigrati e rappresenta una sovrapposizione tra poteri repressivi, che concernono l'Esecutivo, e quelli giudiziari.
Insomma, siamo di fronte ad un decreto-legge il quale, anziché rispondere a sacrosante sentenze della Corte costituzionale, tenta furbescamente - ma non più di tanto perché il gioco è subito svelato - di approfittarne per peggiorare in maniera restrittiva, proprio nell'ottica di un'identità fragile e irresponsabile, il nostro atteggiamento nei confronti dei flussi migratori (che invece sono irrefrenabili e domineranno la scena nei prossimi secoli).
Il nostro gruppo è favorevole ad emendamenti che limitino il danno; comunque anticipiamo la nostra dichiarazione di voto contrario alla conversione in legge di questo decreto.

PRESIDENTE. Nessun altro chiedendo di parlare, invito il presidente Bruno ad esprimere il parere della Commissione sulle proposte emendative presentate.

DONATO BRUNO, Presidente della I Commissione. Signor Presidente, il parere è contrario su tutte le proposte emendative.

PRESIDENTE. Il Governo?

ANTONIO D'ALÌ, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, anche il Governo esprime parere contrario su tutte le proposte emendative presentate.

PRESIDENTE. Sta bene.
Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.

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