Resoconto stenografico dell'Assemblea
Seduta n. 537 del 2/11/2004
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Discussione del disegno di legge: S. 3107 - Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione (Approvato dal Senato) (5369) (ore 11,56).

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione.

(Discussione sulle linee generali - A.C. 5369)

PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare dei Democratici di sinistra-L'Ulivo ne ha chiesto l'ampliamento, senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto altresì che la I Commissione (Affari costituzionali) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Bertolini, ha facoltà di svolgere la relazione.

ISABELLA BERTOLINI, Relatore. Signor Presidente, il disegno di legge all'esame dell'Assemblea riguarda la conversione in legge del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione, già approvato, con modificazioni, dal Senato della Repubblica.
La finalità del provvedimento consiste nell'introduzione di alcune modifiche a disposizioni recate dal testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, adottato con il decreto legislativo n. 286 del 1998, con particolare riferimento alla disciplina in materia di espulsione di immigrati clandestini.
In proposito, si deve osservare che la modifica è apparsa necessaria in seguito


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all'emanazione di due sentenze della Corte costituzionale (le sentenze nn. 222 e 223 del 2004), con le quali la Corte stessa ha rilevato, in primo luogo, l'illegittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 5-bis, del citato testo unico in materia di immigrazione.
La Corte costituzionale, infatti, sostiene che tale norma, conferendo al questore la facoltà di disporre l'accompagnamento alla frontiera dello straniero in situazione di clandestinità prima che abbia luogo la convalida da parte dell'autorità giudiziaria, avrebbe la conseguenza di privare lo straniero stesso di una effettiva tutela giurisdizionale, vanificando, di fatto, il controllo del giudice sul provvedimento riguardante la libertà personale.
La stessa Corte, inoltre, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 5-quinquies, del medesimo testo unico, laddove prevede l'arresto obbligatorio in flagranza di reato per lo straniero che non abbia rispettato l'ordine del questore di lasciare il territorio italiano entro cinque giorni. La Consulta, infatti, ha precisato che la norma dichiarata incostituzionale appare lesiva sia dell'articolo 3 della Costituzione, poiché l'ordinamento consente l'arresto obbligatorio solo ove si proceda per un delitto (mentre, in questo caso, esso è consentito a fronte di un reato di natura contravvenzionale), sia dell'articolo 13 della Carta, che legittima l'adozione, da parte dell'autorità amministrativa, di provvedimenti che incidono sulla libertà personale solo in casi eccezionali di necessità e di urgenza.
Entrando nel merito delle disposizioni recate dal decreto-legge, si rileva come l'articolo 1, novellando l'articolo 13 del testo unico, modifica la disciplina del controllo giurisdizionale sul provvedimento esecutivo dell'espulsione. In particolare, al comma 1, si prevede che il questore comunichi al giudice di pace competente territorialmente - e non più al tribunale in composizione monocratica -, entro 48 ore dalla sua adozione, il provvedimento con il quale è disposto l'accompagnamento alla frontiera. L'esecuzione del provvedimento di allontanamento è sospesa fino alla decisione sulla convalida. Il giudice decide sulla convalida con decreto motivato, nelle 48 ore successive. Si dispone, inoltre, che - in attesa della decisione del giudice - lo straniero espulso sia trattenuto in uno dei centri di permanenza temporanea disponibili.
Sono altresì assicurati il diritto di difesa e il contraddittorio, con la necessaria presenza di un difensore e l'applicazione degli istituti delle garanzie del gratuito patrocinio e dell'interpretariato. In conseguenza della scelta di affidare le sopramenzionate funzioni di convalida al giudice di pace, i commi 2, 3 e 4 dello stesso articolo 1 sono volti ad attribuire al giudice di pace ulteriori competenze che, nel sistema previgente, risultavano in capo al tribunale in composizione monocratica, ferme restando tuttavia, ai sensi di quanto disposto dal comma 2-bis, le competenze del tribunale in composizione monocratica e del tribunale dei minori nei casi in cui siano in gioco il diritto all'unità familiare e la tutela dei minori stessi.
Il comma 5, che sostituisce integralmente il comma 4 dell'articolo 14 del testo unico, detta la nuova disciplina dell'udienza di convalida, davanti al giudice di pace, del provvedimento con cui il questore dispone che lo straniero sia trattenuto presso un centro di permanenza temporanea e assistenza.
A seguito di rilevanti modifiche introdotte dal Senato, è stato complessivamente riscritto il quadro delle sanzioni previste a carico degli stranieri che non osservino l'intimazione del questore di allontanarsi dal territorio nazionale, ritornandovi illegalmente. Si sono stabiliti, infatti, un aggravamento della pena ed una modifica della natura del reato - da contravvenzione a delitto -, al fine di superare le censure mosse dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 223 del 2004, all'articolo 14, comma 5-quinquies del testo unico in materia di immigrazione.
Sempre nel corso dell'esame presso l'Assemblea del Senato, è stato aggiunto un comma 6-bis, che modifica a favore degli stranieri quanto previsto dall'articolo 39 del decreto legislativo n. 286 del 1998 in


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ordine alla parità di trattamento in materia di istruzione universitaria. Per effetto della modifica, si consente agli stranieri regolarmente soggiornanti e in possesso di determinati requisiti, l'accesso, a parità di condizioni con gli studenti italiani, anche alle scuole di specializzazione delle università, e non più solo ai corsi universitari (come attualmente previsto).
Il comma 6-ter modifica la legge n. 374 del 1991, istitutiva dei giudici di pace, con particolare riguardo alle richieste di trasferimento e al concorso di più domande per uno stesso posto vacante. Obiettivo della nuova disciplina è il tentativo di far fronte alle necessità derivanti dalle neointrodotte competenze dei giudici di pace, in attesa delle revisioni delle relative dotazioni organiche.
Il successivo comma 7 modifica l'articolo 11 della citata legge sui giudici di pace, per adeguarne l'indennità alle nuove competenze attribuite.
Il comma 7-bis estende agli istituti italiani di cultura ed alle istituzioni scolastiche all'estero il rafforzamento delle misure di sicurezza attive e passive previste attualmente per le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari dall'articolo 3, comma 159, della legge finanziaria per 2004.
L'articolo 1-bis, introdotto dal Senato, novella il testo unico sull'immigrazione, per inserire, all'articolo 11 - relativo alle attività di potenziamento e coordinamento dei controlli di frontiera - un nuovo comma, il 5-ter, recante una misura di sostegno alle politiche di prevenzione dell'immigrazione clandestina. Si prevede, in particolare, che il Ministero dell'interno contribuisca per gli anni 2004 e 2005 alla realizzazione nei paesi di accertata origine dei flussi migratori di strutture utili al contrasto dell'immigrazione irregolare verso il territorio italiano.
L'articolo 1-ter, anch'esso introdotto al Senato, al comma 1, è volto a modificare l'articolo 12 del testo unico sull'immigrazione, che reca specifiche disposizioni repressive dei reati di favoreggiamento e sfruttamento dell'ingresso clandestino nel territorio dello Stato, aggravando le sanzioni previste, affinché rientrino nelle citate fattispecie.
Il comma 2 del medesimo articolo corregge la disposizione di cui all'articolo 10, comma 1, della legge n. 228 del 2003 che, per un errore materiale, sembrava limitare l'azione in materia di tratta delle persone soltanto ai poliziotti incaricati di terrorismo.
L'articolo 1-quater interviene sulle disposizioni relative all'emersione del lavoro irregolare di cittadini extracomunitari, prevista all'articolo 33 della legge del 2002 - la cosiddetta legge Bossi-Fini - e dal decreto-legge n. 195 del 2002, per consentire a coloro che sono stati regolarizzati, ai sensi dei summenzionati provvedimenti legislativi - colf, badanti e dipendenti delle imprese - di fruire degli stessi diritti di coloro che sono stati regolarizzati in base all'applicazione delle disposizioni del testo unico sull'immigrazione, con particolare riguardo al rinnovo ed alle possibilità di conversione del permesso di soggiorno.
L'articolo 1-quinquies modifica la legge n. 3 del 2003, recante disposizioni ordinamentali in materia di pubblica amministrazione, intervenendo sulla disciplina delle convenzioni in materia di sicurezza recata dall'articolo 39 del decreto legislativo n. 286 del 1998. Tale disposizione - ai sensi della quale il dipartimento della pubblica sicurezza, ai fini del potenziamento dell'attività di prevenzione, può stipulare convenzioni con soggetti pubblici e privati dirette a fornire, con la contribuzione degli stessi soggetti, servizi specialistici finalizzati a incrementare la sicurezza pubblica - è integrata dalla previsione dei due nuovi commi 4-bis e 4-ter.
Per effetto di questa modifica, alla predetta facoltà si aggiunge anche la possibilità di stipulare, senza ulteriore aggravio per la finanza pubblica, convenzioni con concessionari di pubblici servizi o altri soggetti non pubblici per la raccolta e l'inoltro alla stessa amministrazione dell'interno delle domande o dichiarazioni dei privati per lo svolgimento di altre operazioni preliminari all'adozione dei


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provvedimenti, nonché per l'eventuale inoltro ai privati interessati degli atti rilasciati dall'amministrazione.
L'articolo 2, ampiamente integrato dal Senato, reca la copertura finanziaria del provvedimento, mentre l'articolo 3 dispone in ordine all'entrata in vigore.
Quanto all'esame in sede referente del provvedimento, faccio presente che la Commissione affari costituzionali vi ha dedicato tre sedute, nel corso delle quali si è proceduto, tra l'altro, all'esame ed alla reiezione di tutte le proposte emendative presentate non dichiarate inammissibili, sulle quali sia la relatrice sia il rappresentante del Governo hanno ritenuto di esprimere il proprio parere contrario.
Sul testo del provvedimento sono stati, altresì, acquisiti i pareri delle Commissioni competenti in sede consultiva. In particolare, il Comitato per la legislazione ha espresso un parere con osservazioni, mentre le Commissioni permanenti III (Affari esteri) e VII (Cultura) hanno espresso parere favorevole.
La II Commissione giustizia ha, invece, espresso un parere contrario, non ritenendo, in particolare, congrua la scelta di affidare ai giudici di pace la convalida dei provvedimenti di espulsione. In riferimento a questo parere della Commissione giustizia, è necessario ricordare che sono state anche presentate all'Assemblea questioni pregiudiziali con le medesime argomentazioni debitamente respinte.
È bene sottolineare che la scelta di attribuire questa competenza ai giudici di pace appare conforme ai principi sostenuti dalla Corte costituzionale, perché volta ad attribuire ad uno dei soggetti - il giudice di pace - che esercita la funzione giurisdizionale nell'ambito del nostro ordinamento la competenza in materia di convalida del provvedimento, di trattenimento e di accompagnamento alla frontiera.
Per concludere, riguardo all'iter del provvedimento, la Commissione affari costituzionali nella seduta dello scorso giovedì 28 ottobre ha, quindi, approvato il disegno di legge di conversione nel testo risultante dopo l'esame presso il Senato.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

ANTONIO D'ALÌ, Sottosegretario di Stato per l'interno. Signor Presidente, mi riservo di intervenire in sede di replica.

PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Amici. Ne ha facoltà.

SESA AMICI. Signor Presidente, una settimana fa, è comparso sui maggiori quotidiani il rapporto annuale della Caritas-Associazione Migrantes sullo stato della presenza dei cittadini stranieri in Italia. È un rapporto molto interessante, non solo perché rileva una serie di dati, ma anche perché certifica la tipologia della presenza degli stranieri, dando spunto ad una riflessione molto più politica e dettagliata intorno a questo fenomeno.
Vorrei ricordare alcune di tali cifre, che servono anche a sostenere il giudizio di merito, nettamente contrario, che esprimiamo su questo decreto-legge. In Italia, nel 2004, gli stranieri sono 2,6 milioni e gli irregolari (secondo le stime più prudenti) intorno ai 200 mila. In totale, ormai, in Italia vi sono 3 milioni di cittadini stranieri: alla luce di questo dato, è interessante vedere da quali comunità etniche provengono, anche a testimonianza di un cambiamento nel corso del tempo.
Questo numero, di fatto, si è triplicato rispetto agli anni Novanta ed è destinato a raddoppiare nei prossimi 10-15 anni. Ciò è avvenuto dopo che l'attuale maggioranza ha approvato il disegno di legge di modifica della cosiddetta legge Turco-Napolitano, la cosiddetta legge Bossi-Fini. Sono stati concessi solo 19 mila permessi per lavoro dipendente e sono state superate le 107 mila unità nel 2003, solo per i ricongiungimenti familiari.
Tutto ciò avviene in un settore economico in netto ristagno e in cui la domanda di lavoro, specialmente nei settori a più alta manodopera, è assai fiacca. Quindi, di fronte ad una ripresa congiunturale che porterà, di conseguenza, ad un forte aumento della domanda interna di lavoratori


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stranieri, in presenza di un limitato numero di ammissioni legali, ciò si tradurrà oggettivamente in un aumento delle irregolarità.
Questo commento è stato fatto da un noto sociologo studioso delle questioni delle immigrazioni, Livio Bacci, e testimonia il fatto che siamo di fronte ad un provvedimento che continua a muoversi nell'ambito di una filosofia sottostante a tutta la discussione sulla legge Bossi-Fini, secondo la quale si può avere rispetto all'immigrazione un atteggiamento non politico, ma semplicemente repressivo.
All'interno di questa logica si interviene con l'ennesima conversione di un decreto-legge che reca disposizioni urgenti in materia di immigrazione prevedendo, in particolare, l'espulsione del cittadino straniero privo del regolare permesso di soggiorno.
La collega Bertolini ha ricordato l'iter e i motivi che ne hanno determinato la necessità e l'urgenza rispetto ad alcune sentenze della Corte costituzionale intervenute su due aspetti specifici - lo vorrei ricordare alla stessa relatrice - e non tanto sull'insieme della legge Bossi-Fini, quanto su un decreto legislativo che avevamo approvato nel luglio scorso, sul quale era già intervenuta la sentenza n. 105 della Corte costituzionale.
I rilievi svolti dalla Corte costituzionale sono molto precisi, attengono agli articoli 13 e 14 e contengono un invito al legislatore a tenere conto delle compatibilità costituzionali e, in particolare, dell'articolo 13 della nostra Costituzione. Si rileva come, soprattutto nell'articolo 14, vi sia un dato di irragionevolezza rispetto all'arresto in flagranza di tipo obbligatorio. La Corte ci invita a riflettere concretamente sulla illogicità e sulla incostituzionalità, mentre il provvedimento in esame, sia nella discussione al Senato, sia nella discussione che si apre oggi, ci appare oggettivamente elusivo delle richieste esplicite della Corte costituzionale. Innanzitutto c'è un elemento di preoccupazione rappresentato dal fatto che la possibilità attribuita al questore di accompagnare direttamente alle frontiere l'immigrato costituiva una violazione della libertà inviolabile delle persone e, quindi, non dava la possibilità al giudice di valutare con attenzione tutti i procedimenti relativi anche al diritto della difesa. Oggi, di fronte a questa obiezione così fondata, l'attuale maggioranza ci propone semplicemente uno spostamento della competenza dai tribunali al giudice di pace.
Il giudice di pace è una figura alla cui istituzione abbiamo contribuito anche noi nel corso di questa legislatura e che per il suo profilo attiene esplicitamente ai procedimenti che aiutino un alleggerimento della giustizia. La legge istitutiva del giudice di pace non affida ad esso la competenza su questioni penali rilevanti, anzi, quando gli viene attribuito un aspetto penale, viene ricordata una formula molto precisa: «di lieve entità».
Oggi, invece, siamo di fronte al tentativo di attribuire al giudice di pace una funzione tipica del magistrato togato: quella di controllare e decidere sulla violazione della restrizione della libertà personale dell'individuo. Si tratta di attribuire al giudice di pace una competenza solo per i cittadini stranieri, perché per i cittadini italiani restano competenti i tribunali e i magistrati togati.
È proprio questo l'elemento che ci fa riflettere, perché, ancora una volta, nella discussione intorno al tema dell'immigrazione è prevalente quella filosofia un po' ideologica che ha contraddistinto il tentativo di dare ragione alle paure, a ciò che non si conosce e al pregiudizio di ritenere l'immigrato come portatore di conflitti e di elementi di disturbo.
Non si è mai riusciti a trovare, da parte dell'attuale maggioranza, nelle questioni dell'immigrazione, il giusto equilibrio tra la sicurezza dei cittadini ed i diritti inviolabili dell'essere umano. Tale scarso equilibrio oggi porta ad una competenza, a nostro avviso, assolutamente esagerata rispetto alle funzioni del giudice di pace. Ciò è ancora più grave alla luce delle modifiche introdotte - anche queste nel tentativo di dare risposta alle obiezioni della Corte costituzionale - all'articolo 14, in particolare per quanto riguarda l'aumento


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di pene previste per chi non venga trovato in possesso del regolare permesso di soggiorno.
La Corte costituzionale aveva rilevato come di fronte ad un atto del questore, rispetto al quale si configurava una contravvenzione ad un provvedimento di allontanamento dal territorio italiano, si procedeva con una pena da uno a sei mesi. Ciò rappresentava, di fatto, un elemento fuori dall'ambito del codice penale. Con il provvedimento in esame per chi viene trovato non in possesso del regolare permesso di soggiorno si aumenta la pena con l'arresto da uno a quattro anni.
I dati che ho citato all'inizio testimoniano un fallimento vero, come abbiamo già sottolineato con grande passione in quest'aula. Per risolvere la questione dell'immigrazione non basta semplicemente la volontà di dire «no», né occorrono città chiuse. Per un paese democratico come il nostro è necessario vivere la questione dell'immigrazione come un elemento di inclusione, con politiche che regolano e governano proprio quei processi. La scelta è stata un'altra: quella di tenere bassi i flussi di ingresso. Ciò ha prodotto una situazione paradossale, basti pensare al dato delle badanti.
Come sanno il rappresentante del Governo e la collega Bertolini, è molto difficile avere un permesso di soggiorno in un tempo così limitato e, al momento del rinnovo, per la complessità delle procedure molto burocratizzate, non bastano venti giorni, ma occorrono mesi. La città di Roma può essere una testimonianza in tal senso. Le questure sono oberate di lavoro: per il rinnovo dei permessi di soggiorno, a fronte di famiglie disposte a regolarizzare il cittadino straniero per lavoro, vi sono grandi difficoltà. Invece di risolvere tali difficoltà, con il decreto-legge in esame si rimette la questione all'interno della clandestinità fuggevole, quella che entra nei meccanismi della legalità.
Riteniamo - ed a tale proposito avevamo presentato una questione pregiudiziale di costituzionalità - che il provvedimento in esame non risponda alle due questioni poste dalla Corte costituzionale. Un Parlamento dovrebbe necessariamente tener conto di chi sta al di sopra delle parti e ci aiuta a capire quali sono gli errori da eliminare per mantenere il giusto equilibrio tra i poteri dello Stato. Il tentativo da parte del provvedimento in esame di eludere quei principi semplicemente aumentando le pene non solo è singolare, ma testimonia una protervia nel voler affrontare tale questione da un punto di vista non politico, semplicemente dando ascolto alle paure del proprio elettorato.
Vi sono aspetti di questo decreto che ci trovano perplessi. In primo luogo, sono state aggiunte, nel corso della discussione del provvedimento al Senato, alcune disposizioni normative che attengono maggiormente alla parte ordinamentale e che, proprio per questo, sfuggono a quel criterio di necessità ed urgenza di cui all'articolo 77 della Costituzione. Vi è inoltre la previsione della facoltà del Ministero dell'interno di avvalersi di istituti, anche privati, per lo svolgimento dell'attività connessa con il rilascio dei permessi di soggiorno. Tale previsione non lascia dubbi circa le finalità che si vogliono perseguire e circa i soggetti che si vogliono convenzionare. Inoltre, all'interno di una discussione complessa come questa, credo sia riduttivo allargare la parità di accesso alle scuole superiori e alle scuole di specializzazione degli studenti stranieri per motivi di studio e di formazione. Questo elemento, peraltro sicuramente di buonsenso, testimonia però che si persegue una specie di politica della carota e del bastone: da un lato, si aumentano le pene, dall'altro, si tenta di dare un contentino rispetto a quello che sarebbe invece un normale svolgimento di politiche attive di inclusione.
All'interno di questo decreto-legge, vi è una contraddizione di fondo, che ha ispirato tutta la discussione del provvedimento adottato e delle singole modifiche apportate. Al giro di vite che si era pensato di attuare proprio con quegli elementi di burocratizzazione connessi al restringimento della possibilità di entrare in Italia (pensiamo ai permessi di soggiorno molto


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stretti: un anno è infatti un tempo assai ristretto per trovare un lavoro e una casa), ha corrisposto, complessivamente, una sorta di isolamento rispetto alla possibilità concreta di far venire in questo paese anche persone con grande formazione e con grande capacità lavorativa. Cresce peraltro ad un ritmo impressionante la presenza di cittadini stranieri imprenditori; ciò testimonia la capacità di integrazione di tali persone in molti comuni e in molte regioni del nostro paese.
Avremmo voluto che oggi si discutesse non dell'ennesima modificazione di disposizioni normative riguardanti l'espulsione - quindi di elementi che riguardano gli aspetti sanzionatori -, quanto di quali politiche attive dell'immigrazione adottare e di quali elementi prevedere per favorire l'inclusione dei cittadini stranieri. Il processo di immigrazione non è un processo che si ferma; tuttavia, esso si può governare. Noi lo vogliamo governare, assumendone fino in fondo gli aspetti legati alla possibilità concreta di assicurare a chi viene in questo paese «l'inclusione», con il rispetto di alcune regole precise, e garantendo il rispetto per tutti i cittadini, italiani e stranieri, dei principi costituzionali riguardanti gli aspetti della libertà personale. Se viene meno l'applicazione di identiche garanzie nei confronti dei cittadini, italiani e stranieri, il rischio di rompere un equilibrio non emerge solo dalla nostra preoccupazione, ma appare dallo stesso tenore normativo del provvedimento in esame. Si tratta di questioni concretamente pericolose, sulle quali ripresenteremo, nonostante l'inammissibilità - sulla quale, peraltro, vorremmo discutere nel merito -, alcune proposte emendative, che non hanno un sapore ostruzionistico, bensì rientrano nella logica di chi vuole, in questo processo, contribuire concretamente con delle proposte per una risoluzione vera dei problemi e non semplicemente con un'idea vessatoria del diritto e della giustizia (Applausi dei deputati del gruppo dei Democratici di sinistra-L'Ulivo).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Perrotta. Ne ha facoltà.

ALDO PERROTTA. Signor Presidente, sono un uomo del sud, come già affermato in un precedente intervento e, quindi, ho sempre cercato determinate garanzie costituzionali (spesso abbiamo avuto uno Stato nordista). In questo caso, tuttavia, non si tratta di un problema di garanzie costituzionali. Vi è chi vuole rispedire a casa gli stranieri che entrano illegalmente nello Stato italiano e chi vuole che, invece, permangano anche illegalmente. Questo provvedimento comunque non riguarda le richieste d'asilo per casi umanitari, politici e via seguitando.
Vorrei ricordare a chi ci critica, che il precedente Governo di centrosinistra ha disposto poche espulsioni perché, fra i vari ricorsi, le varie garanzie ed i vari tribunali, l'iter durava due o tre anni e di stranieri non se ne ritrovava più uno. Ci ritroviamo in Italia altro che 200 mila irregolari, molti di più! Vi è una carenza di manodopera per alcune funzioni che questi soggetti di solito espletano, ma il 99 per cento di questi irregolari non può avere il permesso di soggiorno perché delinque in patria, perché non ha nessun titolo e nessun diritto per averlo, perché fiancheggia o addirittura crea bande di delinquenza (si organizza autonomamente), perché in patria era un delinquente (ricordiamo che all'inizio i governi permettevano questo afflusso, perché si liberavano di questa grande delinquenza).
Il mio non è un discorso estremista, è un discorso di logica, di accoglienza. Ricordo che abbiamo disposto la più grande regolarizzazione al mondo, probabilmente di ogni epoca, di circa ottocentomila stranieri che si trovavano in Italia e che avevano un regolare posto di lavoro. Quando la Corte costituzionale ci ha chiesto maggiori garanzie per l'espulsione degli immigrati clandestini, noi abbiamo aderito. Abbiamo demandato al giudice di pace la convalida entro 48 ore del decreto di accompagnamento alla frontiera e abbiamo previsto determinate garanzie, perché vi dev'essere il contraddittorio con l'imputato ed il suo difensore (se non ne dispone, lo Stato si accolla la spesa di un difensore d'ufficio e mi sembra giusto). Se


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entro 48 ore dal deposito della richiesta di convalida in cancelleria il giudice di pace non si attiva e non emette il decreto, il provvedimento è nullo e questo perché vogliamo avere certezze immediate. In tal modo diamo anche certezza immediata all'immigrato clandestino: se lo Stato italiano non si attiva immediatamente egli ne beneficerà come qualsiasi cittadino italiano. È anche vero che, nel frattempo, questi soggetti devono permanere in un centro d'accoglienza; non possono rimanere in giro per l'Italia, come accaduto durante i governi di centrosinistra (veniva assunto un provvedimento e poi, consentendo a tale soggetto di vagare in giro per l'Italia per 90 giorni, non si ritrovava più!).
Questi soggetti devono essere trattenuti entro 48 ore nei centri di accoglienza, tranne quando si dovranno recare in tribunale. Si potrà discutere sulla scelta del giudice di pace, ma noi l'abbiamo fatto per non gravare i tribunali. Vi immaginate la convocazione d'urgenza del tribunale o di un giudice entro 48 ore, con le cause arretrate che ci sono? Ciò vorrebbe dire ritornare al vecchio iter e non espelleremo più questi cittadini stranieri immigrati clandestini.
Ma la nazione chiede moderazione, accoglienza e fermezza: chi ha un contratto di assunzione resta, mentre non può fare altrettanto chi cerca di entrare illegalmente in uno Stato. Signor Presidente, io stesso verrei preso a calci senza garanzie, se tentassi di entrare illegalmente in un altro Stato! L'immigrazione clandestina, infatti, è illegale dappertutto, anche negli stessi paesi da dove provengono gli immigrati. Inoltre, mi è sembrato giusto aver aggravato le pene per alcuni reati e, quindi, bene ha fatto il Governo a modificare l'articolo 12 del testo unico sull'immigrazione, elevando fino a cinque anni quelle per il favoreggiamento e lo sfruttamento dell'ingresso clandestino. Infatti, occorre colpire con durezza chi compie tali reati e sfrutta questa gente.
Gli italiani sono un popolo moderato, orientato verso l'accoglienza, al contrario di quanto afferma la sinistra. La prova evidente di questo è stata l'ammissione spontanea di un piccolo errore, la cui rilevazione va a merito del Governo, del Senato, della Commissione e del relatore. Nell'ambito dei permessi di soggiorno sono stati equiparati quelli emersi dal lavoro irregolare a quelli regolarizzati in base al testo unico sull'immigrazione. Nessuno l'aveva fatto notare e, quindi, la relativa correzione va a merito della maggioranza.
Vorrei inoltre ricordare che sono state aumentate le pene per gli stranieri che non ottemperano all'intimazione del questore di allontanarsi dall'Italia. La sinistra ha presentato in proposito una pregiudiziale di costituzionalità alla quale ci siamo opposti perché vogliamo che chi entra in Italia senza un lavoro regolare sia espulso. Oltre a questo motivo, voteremo a favore del decreto perché sono i cittadini stessi di questa nazione a chiederlo. I cittadini non vogliono più vedere gli immigrati clandestini circolare per le città e delinquere. Questo non avviene a causa nostra, perché il centrodestra ha operato una vera regolarizzazione, non limitandosi ad una sanatoria. Le sanatorie sono state fatte dal governo di centrosinistra. Vorrei ricordare che la CGIL a Napoli ha attestato come migliaia di immigrati clandestini frequentassero le sue riunioni, proprio per facilitare tali operazioni. Infatti, ricordo che per la regolarizzazione era sufficiente il timbro del sindacato. Il mio ufficio a Napoli è in prossimità della sede della CGIL, ma non ho mai visto le migliaia di immigrati clandestini evocate dai sindacalisti! Posso affermare che alle riunioni del sindacato non andava nessuno di loro.
Sono queste le sanatorie fatte dal centrosinistra, quelle a favore degli immigrati clandestini delinquenti che non sono riusciti a trovare un posto di lavoro, in quanto privi dei requisiti per ottenere il permesso. E questi immigrati sono ancora in Italia: sono loro che vogliamo prendere e costringere ad allontanarsi dall'Italia. Non ci rivolgiamo certo all'onesto immigrato che viene in Italia per lavorare e portare ricchezza anche al nostro paese. Come si può dire a queste persone che in Italia non c'è posto per loro? Chi si


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permette di negare l'accesso ai casi umanitari o ai richiedenti asilo? Gli italiani sono forse il popolo più accogliente del mondo.
Come ho già affermato all'inizio, la legge non riguarda né i casi umanitari, né le richieste di asilo, né i casi politici. La legge riguarda chi entra in Italia clandestinamente senza contratto di lavoro.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Battaglia. Ne ha facoltà.

AUGUSTO BATTAGLIA. Signor Presidente, ho appena ascoltato l'intervento dell'onorevole Perrotta. Francamente, trovo il quadro da lui presentato sul processo di immigrazione e sulle norme emanate negli ultimi anni un po' deformato, in particolare riguardo alla distinzione tra regolarizzazione e sanatoria. Sinceramente, non sono convinto delle sue tesi, ma non sono qui per contrastarle.
Inoltre, già la collega Amici ha espresso la posizione del gruppo dei Democratici di sinistra sul provvedimento in esame, che non condividiamo e che riteniamo si collochi nel filone repressivo perseguito dal centrodestra, che non sta dando risultati positivi. È peraltro evidente la difficoltà con la quale il Governo affronta l'emergenza immigrazione, pagando il prezzo della demagogia usata a piene mani negli anni precedenti, accusando i governi di centrosinistra di andare a cercare gli immigrati affinché venissero in Italia.
Ora vi misurate con i problemi concreti: le barche continuano ad arrivare, il flusso migratorio si è fermato sul fronte dell'Albania ma ha ripreso con forza su quello del Mediterraneo, e dunque dovremmo tutti, con più umiltà e concretezza, prendere atto che ci troviamo di fronte a un fenomeno incontenibile, che andrebbe regolato cercando di trovare il punto di equilibrio tra le necessarie regole da imporre, anche rigorosamente, e gli interessi di un paese che deve crescere e che ha oggettivamente bisogno di immissione di manodopera nelle aziende. L'onorevole Perrotta proviene da una zona da cui il pomodoro nostrano difficilmente arriverebbe sulle nostre tavole senza gli immigrati. Se vi fosse maggiore attenzione a tali aspetti e si tendesse meno a conquistare consenso prospettando misure repressive volte a contenere il fenomeno e se, dunque, vi fosse maggiore equilibrio, si potrebbero ottenere risultati migliori.
L'errore compiuto dalla maggioranza e dal Governo, a mio avviso, è stato quello di non cogliere l'opportunità, costituita dalla pronuncia della Corte costituzionale, di rivedere serenamente le vicende degli anni scorsi, a partire dalla precedente legge Turco-Napolitano e dalla legge Bossi-Fini, per compiere passi in avanti, affrontando questioni irrisolte o che comunque richiedono ulteriori interventi. Ci si è invece limitati ad intervenire sulle norme censurate dalla Corte costituzionale, peraltro con previsioni, come quella dell'attribuzione delle competenze al giudice di pace, che destano perplessità.
Sottopongo una questione al Governo e alla relatrice, invitando a una riflessione al riguardo. La normativa vigente ha evidenziato in questi anni lacune e difficoltà. Ne segnalo una: nel nostro paese, vi è un consistente numero di giovani non italiani nati nelle nostre città (Roma, Napoli, Lamezia Terme, Milano, Torino). Tali giovani sono nati da famiglie presenti sul nostro territorio in situazione irregolare, in quanto, ad esempio, i genitori non hanno mai potuto usufruire di una sanatoria o hanno commesso reati. Mi riferisco, in particolare, alle famiglie nomadi che si sono ormai stabilizzate, soprattutto laddove i comuni sono riusciti a realizzare campi sosta.
Sono famiglie che si trovano in Italia ormai da generazioni, i cui figli sono nati nel nostro paese. Molti comuni - sensibilizzati e sostenuti anche dalle iniziative dell'Opera nomadi, della Caritas, della Comunità di Sant'Egidio, della Comunità di Capodarco e di altre organizzazioni simili - hanno attuato delle politiche positive, che si concretizzano ad esempio nei campi sosta ed in altre iniziative riguardanti gruppi di immigrati. Questi bambini, generalmente sono stati seguiti dai nostri servizi sanitari, sono andati a scuola e


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sono cresciuti nel nostro paese. Ebbene, accade poi che al compimento dei 18 anni, al raggiungimento della loro maggiore età si trovino in una situazione di irregolarità. Costoro, erroneamente credo, vengono assimilati agli immigrati clandestini, pur non essendo emigrati da nessuna parte ma essendo nati nei reparti di maternità dei nostri ospedali.
In alcuni casi, inoltre, anche i provvedimenti di espulsione previsti dalla normativa (giusti o sbagliati che siano) sono spesso inapplicabili a questi casi. Prendiamo l'esempio della comunità nomade, protetta da accordi internazionali e da direttive dell'Unione europea. Vi sono dei giovani che, al raggiungimento dei 18 anni di età, vengono classificati come immigrati clandestini (ma, ripeto, non sono migrati da alcuna parte) e non possono, nella loro condizione, iscriversi all'ufficio di collocamento, non possono avere un lavoro. Ebbene, qualora vengano fermati dalla nostra polizia e convocati presso i commissariati, i commissari fanno finta di doverli cacciar via e li rimandano ai campi da dove sono venuti.
Questi ragazzi, in tali condizioni, non riescono a costruirsi una minima possibilità di futuro, di mantenimento economico. È molto probabile, quindi, che molti di loro per sopravvivere possano essere attratti da circuiti illegali. Si tratta di una questione molto concreta, non politica se non nell'accezione del termine polis. Chiunque abbia frequentato un'amministrazione comunale, una commissione sanità e politiche sociali di qualsiasi comune (sia esso governato da centrodestra, centrosinistra, centro, liste civiche o da quant'altro) sa che si tratta di un problema concreto.
Vorrei ora porre all'attenzione una questione. Considerato che vi è un decreto che riaffronta la materia oggetto della legge in materia di immigrazione, non è forse il caso di affrontare questa situazione? Ad esempio, se nel corso di una procedura di espulsione il giudice accerti che un individuo sia nato nel nostro paese ed abbia vissuto negli ultimi anni stabilmente in Italia, forse, più che far finta di mandarlo non si sa dove, sarebbe meglio concedergli un permesso di soggiorno provvisorio. Daremmo loro, così, la possibilità di trovare un'occupazione, di iscriversi al collocamento e proseguire negli studi. Alcuni di questi ragazzi, infatti, cominciano ad avere dei diplomi di scuola media inferiore e superiore, e alcuni di loro si iscrivono anche all'università (sono casi rari, ma dobbiamo incoraggiare i processi positivi, non comprimerli).
Ad esempio, sarebbe utile concedere a questi soggetti un permesso di soggiorno provvisorio che, poi, laddove si determino le condizioni, ad esempio di accesso al lavoro, si possa trasformare in un permesso che assicuri maggiore stabilità. In tale maniera le vite di giovani che rischiano di perdersi nella clandestinità, si potrebbero trasformare in percorsi di integrazione vera, offrendo loro un'opportunità di lavoro e di inserimento. Tra l'altro, credo che questa sia una misura possibile; l'opposizione ha presentato in Commissione giustizia un emendamento in tal senso ma la sua formulazione è stata giudicata non idonea. Ebbene, abbiamo riformulato la nostra proposta emendativa e chiediamo al Governo di prenderla in considerazione.
Se si esaminerà con equità questa proposta, se si esamineranno le radici di questo fenomeno e quali sono i problemi che devono affrontare le nostre amministrazioni locali, allora credo che forse potremmo trovare il terreno per un confronto utile e tentare di modificare sotto questi aspetti il decreto in esame. Ciò con l'obiettivo di concedere una prospettiva ad una generazione di giovani che si sentono italiani a pieno titolo, che non hanno altri paesi dove poter tornare e che vorrebbero inserirsi qui da noi. Penso che vi siano tutte le condizioni per il loro inserimento nel nostro sistema economico e sociale.
Sarebbe anche il modo per dare un segnale alle comunità che, qualora si vedano offerta una prospettiva di integrazione, forse potrebbero essere aiutate a modificare alcuni loro comportamenti, usi, costumi e tradizioni, che molto spesso le allontanano dal comune sentire: condizioni


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che spesso determinano nelle nostre città situazioni di tensione che sarebbe bene superare ed evitare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Lusetti. Ne ha facoltà.

RENZO LUSETTI. Presidente, mi sono spostato nei banchi in basso più prossimi all'emiciclo per essere più vicino alla Presidenza e al Governo, in senso geografico, ed anche per far capire meglio le posizioni della Margherita...
A parte la battuta, signor Presidente, mi rivolgo a lei, ai colleghi, e anche al rappresentante del Governo, sottosegretario D'Alì, per dire che ancora una volta ci troviamo di fronte a manovre correttive della politica dell'immigrazione del Governo attraverso uno strumento da noi spesso contestato, cioè la decretazione d'urgenza.
Le misure che hanno preceduto questo decreto-legge hanno cercato di ricondurre alla sola osservanza dei princìpi costituzionali una legislazione sull'immigrazione fortemente voluta dal Governo e dalla sua maggioranza, ispirata più dal desiderio di smontare il faticoso lavoro del centrosinistra e dell'Ulivo nel quinquennio precedente, che non da una autentica visione politica, di prospettiva. Lo dico a lei, senatore D'Alì, perché la considero una persona che, per tradizione passata, cerca di guardare anche lontano, ma non mi pare che in questa occasione il Governo si sia comportato in tal modo, forse per le contraddizioni e le lacerazioni quotidiane che sono dentro le varie anime di questa maggioranza.
Di certo, noi non possiamo considerare una visione politica - così come l'ho definita prima - quella che ha immaginato l'Italia tutta chiusa entro i suoi confini, egoismi e localismi, né possiamo considerare una visione politica quella che ha fondato le modifiche alla legge Turco-Napolitano sulla sola responsabilità, sulle sole forze dell'ordine; né la qualità dei provvedimenti ha saputo compensare l'incapacità di governare il fenomeno in termini politici, se è vero, come è facile constatare, che il mercato del lavoro è in fermento, in quanto l'irregolarità sarà sicuramente il nuovo problema da affrontare.
Il disagio sociale è però aumentato e gli sbarchi clandestini, come è noto a tutti i colleghi presenti in quest'aula, si susseguono; né è servito - credo - l'embargo sull'informazione circa il reale andamento del fenomeno, che avrà sottratto, sì, il Governo alle facili censure sui numeri della clandestinità, ma che ha aperto una ferita grave nella trasparenza dell'azione di governo e nella scarsa democraticità di chi tenta di sottrarre al controllo sociale e a quello dell'opposizione un tema di così grande delicatezza, che avrebbe potuto e dovuto essere un patrimonio interamente condiviso dall'intera nazione.
Pur tuttavia, e senza rinunciare ai profili di illegittimità costituzionale riguardanti questo decreto-legge, abbiamo l'obbligo morale e politico di dare un contributo al dibattito in termini di proposta, ormai consapevoli che il nostro sforzo dovrà essere orientato piuttosto a formulare proposte di governo da sottoporre al giudizio del popolo italiano, quando, speriamo presto, potrà trovare fondamento elettorale la nuova occasione di avere un Governo che restituisca serenità e prospettive al posto delle contrapposizioni e delle lacerazioni di questi anni. Mi riferisco ai tanti contrasti tra il Ministero dell'interno, ed una parte autorevole di questa maggioranza, la Lega, che pare condizionare quotidianamente ed in maniera molto negativa l'azione del Governo.
Onorevoli colleghi, signor sottosegretario D'Alì, gli aspetti per i quali il decreto-legge in esame ci pare inaccettabile, ove non emendato profondamente, sono sostanzialmente quattro.
Innanzitutto, va ricordata la sentenza della Corte costituzionale che ha censurato due profili non secondari della disciplina su cui si fonda l'azione di contrasto apprestata con la legge n. 189 del 2002: la mancanza di un intervento del giudice nella decisione limitativa della libertà personale, consistente nell'accompagnamento coattivo alla frontiera; l'arresto in flagranza


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per la violazione del divieto di reingresso nello Stato a seguito del decreto di espulsione, violazione che integra una mera contravvenzione.
A queste due gravi censure il Governo risponde prevedendo un procedimento dinanzi al giudice di pace di convalida dell'accompagnamento coattivo e con l'aumento della pena per la violazione degli obblighi scaturenti dal decreto di espulsione, trasformando la contravvenzione in un delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni e, nei casi di recidiva, fino a cinque. A nostro avviso, la soluzione è sbagliata nel primo caso e grottesca nel secondo.
Sebbene l'ordinamento giuridico italiano preveda l'istituto dell'accompagnamento coattivo da moltissimi anni, dottrina e giurisprudenza costituzionale si sono espresse in proposito solo con riferimento alla legge sull'immigrazione. Nel nostro ordinamento, il giudice delle libertà è sicuramente quello ordinario, al quale appartiene la competenza ad autorizzare gli accompagnamenti coattivi, mentre il giudice di pace si configura nel sistema come un giudice della mediazione sociale e penale. Come si evince dalle esposte considerazioni, il giudice di pace non può essere considerato, soprattutto in materia penale, un giudice minore, ma la sua giurisdizione, come ha rilevato, nel suo parere, anche il Consiglio superiore della magistratura, è peculiare e diversa. Pertanto, attribuire al giudice di pace la funzione di giudice delle libertà soltanto per gli stranieri è, di per sé, un'irragionevole distinzione che, a nostro avviso, sarà nuovamente censurabile da parte della Corte costituzionale.
Ovviamente, faremo valere i nostri argomenti anche con la presentazione di questioni pregiudiziali di costituzionalità, ma non possiamo esimerci dal segnalare l'incostituzionalità del provvedimento in esame anche in sede di svolgimento di più generali considerazioni politiche.
Il secondo aspetto è, per certi versi, grottesco: dinanzi alla rilevata irragionevolezza dell'arresto in flagranza di reato di soggetti i quali abbiano commesso un semplice reato contravvenzionale, non si cancella la prigione illegittima, ma si aumenta la pena! Noi crediamo che vi sia una contraddizione tra l'aumento della pena e la contravvenzione. È per questo motivo che parlo anche di una possibile illegittimità.
L'operazione è anche ridicola, perché trascura del tutto l'esigenza di coerenza del sistema: sembra partorita dalla mente ingenua di un legislatore che ignora il nostro ordinamento interno! Peraltro, anche la circostanza che si tratta di una pena aberrante e sproporzionata rispetto alla condotta la rende di per sé illegittima. Per di più, il nostro ordinamento prevede, all'articolo 650 del codice penale, la contravvenzione della inosservanza di un provvedimento dell'autorità anche amministrativa (tale è il decreto di espulsione).
Ne risulta che soltanto per lo straniero è configurabile il delitto in caso di inosservanza dello specifico provvedimento amministrativo e che soltanto per lo straniero è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza. Per questi motivi, siamo perplessi rispetto alla politica seguita dal Governo.
Agli appelli che vengono da tutte le organizzazioni umanitarie, dal mondo cattolico, da tutte le organizzazioni che si occupano di diritti civili dovremmo rispondere con atti legislativi ispirati a spirito umanitario ed a sentimenti di accoglienza, ma non vedo iniziative di questo Governo e di questa maggioranza che vadano in tale direzione.
La terza questione, che ci lascia un po' interdetti per i contenuti legislativi del decreto-legge, riguarda la scelta di affidare ancora una volta alle Poste italiane le procedure relative al rinnovo dei permessi di soggiorno. Evidentemente, da parte nostra non c'è avversione nei confronti delle Poste italiane, anzi riteniamo, a ragione, di aver reso efficienti le Poste italiane con la nostra azione di governo nella passata legislatura. Né voglio affrontare il tema di porre a carico dell'immigrato il costo della procedura amministrativa.
Quindi, riteniamo che le Poste possano svolgere meglio, anche sotto il profilo


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dell'efficienza, il ruolo che finora hanno esercitato. Tuttavia, ciò che sconcerta è una sorta di ottusa perseveranza nel non voler prendere atto che il termine cosiddetto giaculatorio di durata del permesso di soggiorno, dimezzato rispetto alle previsioni della legge Turco-Napolitano, è la ragione dell'assurdo ingolfamento amministrativo delle questure. Oltre al danno per la precarizzazione della presenza straniera nel nostro paese - quindi, una forma sgradevole e surrettizia di disincentivo all'integrazione sociale -, vi è anche la beffa nei confronti delle nostre strutture, che in passato si sono caratterizzate per la loro efficienza, ma che rischiano di essere ulteriormente ingolfate. Dunque, dopo aver ingolfato le questure, non possiamo ingolfare anche le Poste, che già lo sono di per se stesse; è sufficiente mettersi in coda, non nell'ufficio postale qui, alla Camera, ma in qualche ufficio postale della periferia di Roma o di Modena - mi rivolgo alla collega Bertolini - per appurare che occorre uno snellimento ai fini di una maggiore efficienza amministrativa.
Credo sia ingiusto affrontare un tema così rilevante in termini di mere procedure amministrative. Dopo avere preso atto che il termine è incongruo e che talvolta può capitare di non riuscire ad avere tra le mani un permesso di soggiorno valido, perché il tempo di ottenimento supera quello della sua vigenza, un Governo ragionevole, a mio avviso, avrebbe dovuto promuovere la stabilità della presenza legale straniera ed il pieno riconoscimento dei diritti. Evidentemente, si pensa agli stranieri, non come persone, ma solo come braccia. E questo, non solo è sbagliato dal punto di vista legislativo, ma è anche immorale.
Ritengo che il ministro dell'interno abbia svolto compiutamente il suo dovere, ma che, come gran parte dei ministri di questo Governo, sia ostaggio dell'atteggiamento che un gruppo della maggioranza che governa il paese, ossia la Lega, tiene nei confronti dell'intera maggioranza, a volte con veemenza, per catturare più consenso in alcune aree del nord Italia.
Infine, la quarta osservazione riguarda la possibilità attribuita al Ministero dell'interno, ai sensi dell'articolo 1-bis del decreto-legge, di contribuire a realizzare nei paesi di provenienza o di origine dei flussi migratori «strutture utili ai fini del contrasto dei flussi irregolari di popolazione migratoria verso il territorio italiano». Tralasciando le osservazioni sull'espressione un po' singolare (ma se Governo, come credo, sarà disponibile ad accettare alcuni suggerimenti, forse durante l'esame delle singole proposte emendative potrà rivedere tale posizione), è sconcertante che nessuno si sia posto il problema di una possibile illegittimità internazionale e costituzionale di una previsione eccessivamente generica.
È inconcepibile, secondo il gruppo della Margherita, che lo Stato italiano possa aprire strutture dove vengono limitate le libertà personali in Stati che non hanno sottoscritto, nella Convenzione di Ginevra, alcune norme sul diritto di asilo (ad esempio, la Libia) o in paesi che, allo stesso modo, non hanno sottoscritto le convenzioni internazionali per la tutela dei diritti umani. I diritti umani rappresentano, per noi, un tema rispetto al quale non possiamo prescindere, un tema che caratterizza la nostra identità di partito che, sicuramente, non possiamo non tenere in considerazione anche in sede di discussione di un decreto-legge così importante.
Ancora una volta, emerge il garantismo di questo Governo. Colleghi, io sono notoriamente un garantista, per quanto mi è stato possibile fare nelle mie esperienze politiche; però, ritengo che il garantismo si applichi spesso ai potenti e poco ai deboli, sino all'assurdo di rischiare, con questo provvedimento, di concepire grossolane violazioni dei diritti umani, purché siano all'estero, con una sorta di contributo dello Stato italiano. Mi auguro che questa sia una sorta di distrazione - può anche capitare - e che nel corso dell'esame ci possa essere un confronto franco e costruttivo, per porre rimedio a una norma che, se scritta così, sarebbe fonte di dubbie interpretazioni soprattutto sul piano della tutela dei diritti umani.


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Mi sembra che si rischi veramente di violare l'articolo 10 della Costituzione, e questo è ancora più grave a pochi giorni dalla firma della Costituzione europea, nella quale i diritti umani, come è stato dimostrato qualche giorno fa proprio qui a Roma, in Campidoglio, diventano un caposaldo della nostra identità e della unione politica. Essere europei, legati alla cultura e alle radici dell'occidente, significa portare nel mondo, con orgoglio, la bandiera delle nostre libertà, convinti come siamo che solo nella libertà il progresso è possibile. Non basta chiamarsi Casa delle libertà per enfatizzare il valore della libertà: credo che sia utile farlo sempre.
Lo dico al Presidente Biondi, che mi ha ascoltato la notte - si ricorda, Presidente? - in cui si stava svolgendo una seduta notturna (erano le 3,30-4) durante la quale citai, in maniera forse anche un po' irrituale, un cantante. Lo cito nuovamente, perché siamo sempre in pochi, come in quella occasione: il cantante si chiama Edoardo Bennato. Egli, in una canzone di trent'anni fa, diceva: «Ogni cosa ha il suo prezzo, ma mai nessuno saprà quanto costa la mia libertà».
Per questo motivo, io credo che noi dobbiamo veramente conoscere il prezzo che tante persone hanno pagato per la libertà del nostro paese e non possiamo rinunciare ai nostri ideali per un interesse contingente e locale. Non possiamo immiserire la dignità della nostra nazione, perché sarebbe un delitto assai più grave di quello che si vuole attribuire a coloro che, fuggendo dalla guerra, dalle persecuzioni, dalla fame, ci chiedono aiuto senza presentare i documenti in regola alla frontiera.
Credo che questo sia un modo non per allargare le maglie, ma per dare asilo politico a chi ce lo chiede, perché il nostro è un paese che ha una forte tradizione popolare, democratica e liberale (lo dico sempre al Presidente Biondi, che proviene da quella esperienza). Mi auguro che vi rendiate conto della enormità di questa proposta e che - lo dico in senso positivo, senatore D'Alì - il Parlamento sappia dialogare, ragionare e trovare una sua unità intorno al riconoscimento di alcuni valori condivisi.
Maggioranza ed opposizione su altri provvedimenti hanno condiviso alcune proposte sul piano dei valori; mi auguro che anche in questo caso si possa ottenere una disponibilità da parte della maggioranza e del Governo. Non è in predicato, onorevoli colleghi, signor Presidente, la conversione del decreto-legge in esame, ma l'affermazione dei principi sui quali si fonda il patto che tiene unita la nostra nazione ed il rispetto che essa si è guadagnata nel faticoso cammino della sua democrazia dinanzi a tutta la comunità internazionale.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Landi di Chiavenna. Ne ha facoltà.

GIAN PAOLO LANDI di CHIAVENNA. Signor Presidente, onorevole sottosegretario, ho ascoltato, ovviamente con molto interesse, gli interventi dei colleghi; in particolare, l'ultimo in sequenza, dell'onorevole Lusetti. Mi sono domandato, avendo partecipato alle sorti di questo Parlamento e, più in generale, alle sorti del nostro Stato anche nella scorsa legislatura, se i colleghi Lusetti ed Amici ricordino l'azione di governo compiuta dall'Ulivo nella scorsa legislatura in materia di immigrazione.
Mi chiedo, quindi, se i colleghi - che, oggi, legittimamente, dai banchi dell'opposizione, criticano l'azione e le leggi del Governo (nel caso di specie, la n. 189 del 2002) - si rendano conto di quale sia stata l'azione dei Governi di centrosinistra per arrestare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e i flussi di irregolari presenti sul territorio, da un lato; per cercare di lanciare o rilanciare una vera e seria politica di integrazione sul territorio dello Stato, dall'altro.
A mio avviso - ma vorrei uscire dagli schemi dei pregiudizi ideologici o della facile demagogia -, nessuno dei colleghi dell'attuale opposizione potrebbe legittimamente, convintamente e onestamente affermare che, nella scorsa legislatura,


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sono stati raggiunti obiettivi soddisfacenti, né per quanto riguarda il contrasto all'immigrazione clandestina ed il controllo della sicurezza, né, tantomeno, per le politiche dell'integrazione.
Personalmente, ritengo tutto comprensibile e, del resto, siamo evidentemente «aperti» in quanto riformisti; non è solo il vicepresidente Biondi a provenire da una bella e meravigliosa esperienza liberale. Però, non potete neppure ritenere che le parole che avete speso e che continuate a spendere in materia di immigrazione cadano nel vento; dobbiamo pur darvi qualche risposta obiettiva.
È evidente come, pur avendo voi governato nella precedente legislatura ed essendovi assunti responsabilità politiche, gravi e pesanti, nell'assenza di un'azione di contrasto vero all'immigrazione clandestina, i dati oggi dimostrino e confermino l'effetto parzialmente positivo di alcune iniziative (assunte da questo Governo di centrodestra) per arrestare il flusso dell'immigrazione clandestina (e, in genere, la presenza di irregolari sul territorio dello Stato), nonché i risultati parzialmente positivi conseguiti nel lanciare o rilanciare una politica di sostegno all'immigrazione irregolare.
Questo è infatti, sostanzialmente, il binario sul quale si è mosso, e si sta muovendo, il Governo di centrodestra: dare un segnale di forte attenzione alle istanze di sicurezza del territorio nazionale e, quindi, dare risposte al controllo del fenomeno dell'immigrazione clandestina e degli irregolari sul territorio; d'altra parte, però, cercare di enfatizzare e valorizzare la presenza ed il ruolo dell'immigrazione regolare cercando di canalizzarla attraverso le maglie - peraltro, a volte strette - costituite da risorse di carattere economico che consentano un'azione sociale penetrante sul territorio.
Dunque, se il Governo di centrodestra ha dovuto realizzare, come ricordava il collega Perrotta, una regolarizzazione di oltre 694 mila persone - giustamente, al riguardo, si è osservato come altro siano le sanatorie -, si deve, però, tenere conto che il centrosinistra, invece, nel 1998, attuò una sanatoria che si concluse circa due anni dopo. La circostanza sta a significare che, dal 1998 al 2002 - anno in cui si è all'incirca conclusa la regolarizzazione compiuta dal centrodestra - sono entrate in Italia in forma clandestina o sono rimaste sul territorio nazionale 700 mila persone poi ricorse alla cosiddetta regolarizzazione.
Bisogna riconoscere, con onestà intellettuale - lo affermo anche di fronte al rappresentante del Governo -, che non è vero che il centrodestra abbia azzerato la presenza dei clandestini sul territorio nazionale. Esiste, infatti, ancora uno stock di immigrati irregolari presenti sul territorio nazionale, ed anche se è difficile quantificarne il numero, si tratta certamente di una cifra relativamente consistente.
Dai banchi del gruppo di Alleanza Nazionale, pertanto, a nome della destra democratica italiana, affermo che, se vogliamo realmente non solo realizzare il programma che ci siamo dati in materia di immigrazione e soddisfare le aspettative dell'elettorato (e, in genere, degli italiani), ma anche sciogliere finalmente questo nodo gordiano che lega l'immagine e la credibilità dell'immigrazione regolare al fenomeno dell'immigrazione clandestina, è necessario fare di più e meglio per offrire risposte vere al contrasto di ogni forma di immigrazione clandestina o di presenza irregolare sul territorio italiano.
Ciò perché ancora oggi, come dimostrano i dati, in Italia e in Europa un cittadino su tre avverte con disagio l'esistenza di flussi migratori, e non comprende esattamente le ragioni per cui vi sia una tale pressione migratoria verso il continente europeo. Se vogliamo valorizzare, come riteniamo giusto che sia, gli extracomunitari regolari presenti sia in Italia, sia in Europa, allora riteniamo altrettanto necessario scindere e separare tale situazione di conflittualità e di incertezza, sul piano psicologico, che lega, in qualche modo, l'immagine dell'immigrato clandestino o irregolare all'extracomunitario presente nel nostro paese.
Vorrei ricordare che oggi il Sole-24 Ore, che pubblica sempre articoli molto


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interessanti, riporta l'intervista di un demografo, il quale ha affermato che l'alta fertilità dell'Africa ha indotto le Nazioni Unite a prevedere un raddoppio della popolazione del continente africano dagli attuali 900 milioni a un miliardo e 800 milioni di persone nel 2050 (anche grazie all'aumento dell'età media). In Europa, invece, si verificherà una tendenza opposta: le Nazioni Unite, infatti, prevedono un declino della popolazione da 725 milioni a 630 milioni nel 2050.
La popolazione nel mondo, in altre parole, dovrebbe aumentare di ulteriori 2 miliardi e 500 milioni dal 2005 al 2050. Ciò sta a significare, evidentemente, che il fortissimo incremento della popolazione a livello mondiale, coniugato al decremento della natalità a livello europeo e all'aumento della natalità nei paesi poveri ed in via di sviluppo comporterà necessariamente che, nei prossimi decenni, l'Europa dovrà confrontarsi, in maniera ancora più forte e drammatica, con i flussi di carattere migratorio.
Pertanto, dobbiamo attrezzarci seriamente ed essere nelle condizioni di poter affrontare tale problema in modo scientifico e razionale, dotandoci pertanto di leggi capaci di governare il fenomeno delle spinte migratorie che sia l'Italia, sia l'Europa affronteranno nei prossimi decenni. Per fare ciò, non possiamo tuttavia trovarci impreparati, né possiamo ricorrere, come sempre - mi rivolgo ai colleghi Lusetti e Amici -, alle logiche della demagogia, o ai richiami della solidarietà pelosa e buonista di cui non ne possiamo proprio più! Infatti, non possiamo più tollerare che voi continuiate a formulare bellissimi ragionamenti di principio quando poi, all'atto pratico, non siete stati in grado, né lo sarete, di risolvere i problemi che abbiamo denunciato quando eravamo all'opposizione e che oggi cerchiamo di affrontare ricoprendo responsabilità di Governo!
In questo caso, infatti, ci troviamo tutti nella stessa situazione! Oggi voi siete all'opposizione, e può essere che, in futuro, siate maggioranza (purtroppo, è possibile che si verifichi anche tale ipotesi), tuttavia non potrete comunque sottrarvi alla responsabilità di offrire delle risposte alla drammatica situazione di flussi migratori sempre più imponenti, e dunque dovrete dare risposte sul modo con cui controllare il fenomeno dell'immigrazione clandestina e irregolare gestendo, al contempo, la presenza dell'immigrazione regolare. È proprio su tale problema che vogliamo chiamarvi a rispondere e a cercare di offrire soluzioni!
So perfettamente che molti di voi condividono - almeno in parte - alcune nostre iniziative, ma sono bloccati ed oppressi dalla presenza di un estremismo all'interno della grande alleanza democratica, che li spinge ad affrontare in modo strumentale e demagogico anche il problema dell'immigrazione.
Avete scritto, in realtà, una discreta legge, ossia il testo unico n. 286 del 1998, che noi abbiamo largamente salvaguardato. Siamo intervenuti, con un'azione emendativa, ossia con la legge n. 189 del 2002 solo su alcuni aspetti che ritenevamo non avessero portato a risultati obiettivamente corretti. Mi riferisco, in particolare, ai provvedimenti d'espulsione in via amministrativa. Signori, vogliamo renderci conto che non ha funzionato il sistema delle espulsioni in via amministrativa? Rivolgiamo, dunque, una domanda alle persone che si occupano anche dei problemi di immigrazione nell'opposizione: come pensate, se mai doveste andare al Governo, di risolvere il problema dell'espulsione in via amministrativa? Ricordo che gli stranieri non rimpatriati nel 2001 sono stati 57 mila circa; nel 2002, 62 mila ed oltre; nel 2003, 40 mila; al maggio 2004, 18 mila. Sono dati che dovrebbero far riflettere.
Il sistema dell'espulsione in via amministrativa non funziona, se non si tenta di apportare alcuni correttivi che rendano più facile e più agile l'espulsione, sia pur nel rispetto delle garanzie costituzionali e delle libertà individuali della persona.
I centri di permanenza ed accoglienza, i famosi CPT, del resto, li avete inventati voi. Li avete previsti voi nel decreto legislativo n. 286 del 1998: non sono un parto


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scellerato del centrodestra! I centri di permanenza temporanea li avete costruiti voi e negli stessi centri voi avete stabilito che dovevano essere alloggiate temporaneamente le persone in via di espulsione. Ciò fa parte del patrimonio culturale e dell'azione legislativa del centrosinistra!
Non abbiamo fatto altro che mutuare tale vostra iniziativa di carattere legislativo, ampliando semplicemente la permanenza nei centri di permanenza temporanea da 30 giorni a 60 giorni. Anche voi vi eravate resi conto che era diventato impossibile riuscire ad accertare le generalità delle persone che trasferivate in tali centri.
Chiediamo - è un'ulteriore domanda che rivolgo al Governo - di implementare il numero di centri di permanenza ed assistenza temporanea, perché i 14 esistenti non sono in grado di assolvere, in modo plastico, dinamico ed economico, le esigenze di una veloce e mirata espulsione di chi non ha titolo per rimanere sul territorio dello Stato. Rimane, dunque, la constatazione che, con il sistema del decreto legislativo n. 286 del 1998, in parte reiterato dalla legge n. 189 del 2002, il sistema delle espulsioni in via amministrativa non funziona.
Abbiamo introdotto, su sollecitazione della Corte costituzionale, alcuni meccanismi che tentano di rendere più plastica l'espulsione, se pur nella salvaguardia del sistema delle garanzie e dei diritti individuali. Abbiamo giurisdizionalizzato il ruolo della convalida da parte dell'autorità giudiziaria ed abbiamo ritenuto di individuare l'autorità competente nel giudice di pace, che ha competenze di carattere penale anche sulle libertà delle persone. Taluni farebbero bene probabilmente a riconsiderare la legge che hanno varato nel 2000: sono state estese le competenze del giudice di pace anche in materia penale, per quanto riguarda gli arresti domiciliari. Al giudice di pace può, quindi, essere consentito anche di agire dal punto di vista penalistico, per ridurre le libertà individuali delle persone, sia italiane sia straniere. Sul punto apro una parentesi: le eccezioni di incostituzionalità sono state già presentate, discusse e respinte. Non credo pertanto che la questione possa essere ulteriormente riproposta. Forse vi è qualcuno che ha perso qualche passaggio, nel corso del dibattito parlamentare della scorsa settimana.
Abbiamo già dato risposte che ritengo abbastanza convincenti, in particolare lo ha fatto il collega Saponara. Anch'io ho svolto la mia piccola parte, per spiegare tecnicamente, richiamandomi alla legge ampliativa dei poteri del giudice di pace, come superare nel merito le eccezioni d'incostituzionalità, anche per quanto riguarda l'eventuale trasferimento in locali appositamente realizzati. Avete statuito voi che il giudice di pace può utilizzare anche locali messi a disposizione, per esigenze di celerità e di presenza capillare sul territorio.
Non abbiamo, quindi, fatto nulla di più che, sostanzialmente, cercare di concorrere a risolvere con sistemi legittimi, seri ed in sintonia con quanto dichiarato dalla Corte costituzionale il vero grave problema che chiunque governerà l'Italia nei prossimi anni dovrà affrontare: come risolvere la questione dell'espulsione in via amministrativa. Abbandoniamo, una volta per tutte, i pregiudizi ideologici, la demagogia, i richiami alla solidarietà più o meno religiosa, cattolica o meno, e cerchiamo di essere laicamente razionali e in grado di dare risposte serie ed obiettive.
Questo, a mio avviso, era un modo per cercare di inquadrare coerentemente il primo aspetto del decreto-legge in fase di conversione. Noi, come esponenti del gruppo di Alleanza nazionale, abbiamo presentato alcuni emendamenti che sono stati dichiarati inammissibili per un'interpretazione molto rigorosa del regolamento della Camera. Gli stessi erano stati, invece, interpretati diversamente al Senato, ma in quella sede vi era stata una valutazione di non opportunità nel merito da parte del Governo.
Ribadisco che, per una questione di principio, Alleanza Nazionale ha voluto ripresentare questi emendamenti, cassati nel merito al Senato e per questioni procedurali e regolamentari in Commissione


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affari costituzionali, anche per segnare questo passaggio culturale della destra democratica italiana.
Non chiediamo solamente maggiore sicurezza, controllo del territorio e, quindi, durezza nei confronti degli immigrati clandestini, per i quali, a nostro avviso, è giusta ed encomiabile l'azione che sta seguendo questo Governo. Abbiamo, infatti, chiesto che venisse introdotto il reato di permanenza in clandestinità e, quindi, l'aggravamento della pena da uno a quattro anni, per chi volontariamente si sottrae al provvedimento amministrativo di abbandonare il territorio dello Stato. È bene sottolinearlo: l'aggravamento della pena da uno a quattro anni - e, quindi, la trasformazione della fattispecie da reato contravvenzionale in delitto - è riferito solo ed esclusivamente all'extracomunitario che, intimato a lasciare il territorio perché privo di alcun tipo di permesso di soggiorno, non abbia adempiuto all'ordine del questore nei cinque giorni previsti. Diversa è la posizione dell'extracomunitario che rimanga in forma irregolare sul territorio nazionale perché non ha rinnovato nei 60 giorni il permesso di soggiorno: all'extracomunitario che è entrato in forma regolare sul territorio, oppure che vi è entrato clandestinamente ma poi è stato regolarizzato, ed è, quindi, titolare di un permesso di soggiorno che non gli è stato rinnovato entro i 60 giorni per una serie di ragioni, si applica il reato contravvenzionale.
Quindi, anche da questo punto di vista, abbiamo voluto graduare le responsabilità: per l'extracomunitario che è entrato regolarmente e rimane in forma irregolare sul territorio è prevista un'azione molto più tenue (in tal caso, si configura un reato contravvenzionale); invece, rispetto a chi è sfuggito alle maglie del respingimento alla frontiera (istituto che avete istituito voi del centrosinistra), rispetto a chi l'ha fatta franca e rimane sul territorio nazionale in forma totalmente clandestina e, qualora venga fermato e gli venga intimato di lasciare il territorio con un provvedimento amministrativo, comunque, volontariamente, non osservi nemmeno tale provvedimento, mi sembra ovvio e scontato che lo Stato italiano, anche nell'interesse del popolo italiano, ritenga di dover usare uno strumento penale forte, per creare una deterrenza psicologica ed evidentemente anche un'azione penalmente forte volta a contrastare tale presenza di immigrati clandestini sul territorio nazionale.
Alleanza Nazionale non intende condurre solo battaglie per la tutela del territorio e la sicurezza e contro l'immigrazione clandestina, ma ha presentato anche una serie di emendamenti che andavano nel senso di un ampliamento dell'azione per le politiche di integrazione.
Credevamo che fosse giusto introdurre l'istituto del permesso di soggiorno per apprendistato, perché ci rendiamo conto che, fino quando non andrà a regime il sistema della cosiddetta chiamata nominale, attraverso il meccanismo dell'informatizzazione degli uffici consolari, sarà molto difficile far incontrare domanda ed offerta con il sistema italiano del lavoro. Quindi, credevamo che, contrariamente a ciò che il centrosinistra aveva fatto con l'istituto dello sponsor, il permesso di soggiorno per apprendistato avrebbe potuto favorire una maggiore ricerca e un maggiore incontro fra domanda ed offerta.
Riteniamo e continuiamo a ritenere che fosse necessario introdurre l'anagrafe tributaria per controllare i flussi di denaro che escono dal territorio nazionale (i famosi 4 miliardi di dollari che escono annualmente dal nostro paese), di cui non si conosce la provenienza, non si sa se sia lecita o illecita. Comunque, anche se la provenienza fosse lecita, credo che tali somme dovrebbero essere assoggettate alla imposizione fiscale, come vale per tutti gli italiani, o almeno per la maggioranza di essi.
Abbiamo chiesto di introdurre anche dei meccanismi di cooperazione economica che potessero aiutare le politiche di integrazione. Ci è stato detto che questi emendamenti sono inammissibili. Ne prendiamo atto e li riproporremo in altra sede, sollecitando anche la discussione di


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una proposta di legge che abbiamo presentato a fine luglio proprio per modificare la legge n. 189 del 2002.
Insistiamo, invece, sull'unico emendamento che è stato ritenuto ammissibile, relativo all'implementazione dei centri di permanenza temporanea. Crediamo che sia una richiesta importante, che proviene non solo dagli operatori delle questure e che favorirebbe moltissimo l'accelerazione dei provvedimenti fisici di espatrio e di accompagnamento coatto alla frontiera.
Attendiamo dal Governo delle valutazioni e delle risposte. Mi rendo conto che esigenze di copertura potrebbero indurre il Governo a richiedere un parziale accantonamento di questo emendamento o la sua trasformazione in un ordine del giorno. Non escludiamo qualunque tipo di ipotesi, ma vogliamo da parte del Governo una risposta precisa e puntuale, nonché un impegno importante, perché i centri di permanenza temporanea rispondono ad un'esigenza fondamentale, se vogliamo attuare definitivamente la politica vera delle espulsioni e del contrasto all'immigrazione clandestina.
Signor Presidente, rappresentante del Governo, credo di poter concludere che da parte del nostro gruppo c'è un sostanziale giudizio positivo su questo decreto-legge, che recepisce alcuni passaggi forti richiesti da Alleanza nazionale: quello del reato di permanenza in clandestinità è già stato da me segnalato; l'introduzione del meccanismo dei giudici di pace fu richiesta anche da Alleanza nazionale; anche il ricorso ai sistemi di Poste Spa ritengo sia un passaggio importante segnalato dal nostro gruppo.
Prescindo dall'attribuzione del merito all'uno o all'altro partito, perché stiamo parlando di come dare alcune risposte come Casa delle libertà. Intendo sottolinearlo: il Governo e la maggioranza, nella loro unitarietà e nella loro immagine unitaria, danno risposte convinte e convincenti al territorio. Quindi, non si tratta di attribuire vantaggi all'uno o all'altro partito della maggioranza, ma di fornire risposte convinte e convincenti a chi oggi continua a chiedere che questo Governo adotti una politica di discontinuità rispetto alle politiche del centrosinistra anche in materia di immigrazione, e non solo nelle materie economiche e sociali, per quanto riguarda le riforme costituzionali, che in parte abbiamo attuato, o relativamente ai meccanismi dell'ordinamento giudiziario e alle riforme della giustizia. Si chiede un processo forte di discontinuità rispetto allo sfascio operato dal centrosinistra in materia di immigrazione.
Questo decreto-legge è un passaggio importante ed è per questo che, come esponente della Casa delle libertà e di Alleanza nazionale, esprimo un giudizio sostanzialmente positivo sul provvedimento in esame, che sarà convertito in legge nei tempi tecnici necessari. Speriamo che esso possa anche essere applicato in tempi rapidi, poiché è necessario, attraverso atti amministrativi urgenti, realizzare quanto oggi abbiamo definito dal punto di vista legislativo.
Innanzitutto, bisogna dare alle Poste disposizioni perché operino immediatamente una riduzione dei tempi tecnici per il rinnovo dei permessi di soggiorno. Si tratta di un'esigenza giusta e coerente che il centrodestra vuole affrontare e soddisfare. È inammissibile che un cittadino straniero che ha diritto a rimanere sul nostro territorio in modo regolare aspetti più di un anno per ottenere il permesso di soggiorno. Ripeto, la responsabilità non è solo del centrodestra, dato che ereditiamo una situazione drammatica dal centrosinistra. È giusto dare risposte credibili perché ciò fa parte della responsabilità politica e culturale di chi vuole proporsi in termini alternativi.
Chiediamo che anche le norme sui giudici di pace trovino immediata applicazione, perché i provvedimenti di espulsione in via amministrativa attraverso la convalida nelle 48 ore siano immediatamente operativi.
Abbiamo bisogno di dare risposte urgenti al territorio, in sintonia con quanto abbiamo promesso e con gli impegni che abbiamo assunto.


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PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Zanella. Ne ha facoltà.

LUANA ZANELLA. Signor Presidente, credo abbia fatto bene il collega Landi di Chiavenna a collocare il tema dell'immigrazione nel contesto degli squilibri demografici a cui si riferisce l'articolo, da lui citato, di Jeffrey Sachs, apparso su Il Sole 24 Ore. Si tratta di squilibri demografici, ma anche sociali ed economici, che attraversano il pianeta e determinano in modo sostanziale i flussi migratori.
Il provvedimento in esame deriva da una politica sull'immigrazione assolutamente cieca, che non si confronta con le problematiche globali e si chiude a riccio in una visione piccina, egoista e poco efficace. Il collega che mi ha preceduto, addirittura, individua in esso una valorizzazione dell'immigrazione. Ma di cosa stiamo parlando, colleghi?
L'Italia si trova in una posizione di assoluta latitanza rispetto al problema dell'integrazione e della cooperazione tra popolazioni ed etnie diverse che ormai abitano il nostro territorio. Risulta latitante anche rispetto ai programmi di cooperazione allo sviluppo, che anche in questa legge finanziaria vengono tagliati per 250 milioni di euro: ci allontaniamo ulteriormente dal raggiungimento di quello 0,7 per cento del PIL che doveva essere l'obiettivo immediato, annunciato più volte dal Governo Berlusconi.
Nel DPEF del 2002 il Governo aveva annunciato di poter raggiungere lo 0,33 per cento del PIL: nemmeno questo si è fatto. Siamo allo 0,17 per cento, al penultimo posto dei paesi OCSE, meglio solo degli Stati Uniti. Sappiamo che l'aiuto pubblico allo sviluppo non è determinante, ma dimostrerebbe, quanto meno, la preoccupazione dei paesi ricchi rispetto ai paesi molto poveri, come quelli del continente africano cui si faceva riferimento in precedenza.
Abbiamo mancato, colleghi e colleghe, a tutti gli impegni internazionali. Gli obiettivi famosi del millennio sono stati in pratica disattesi e lo saranno ancora se non vi sarà un'inversione totale della rotta intrapresa. Li ricordo velocemente, proprio perché dovremmo pensare anche al contesto nel quale discutiamo di questo provvedimento: il diritto all'istruzione primaria per tutti i bambini del sud del mondo entro il 2015; il dimezzamento della povertà assoluta; l'eliminazione della diseguaglianza tra i sessi nel campo dell'istruzione primaria e secondaria; la riduzione dei due terzi della mortalità infantile entro il 2015; la riduzione, sempre entro lo stesso anno, di tre quarti del tasso di mortalità materna; ed altri obiettivi ancora, ai quali rimando.
Il provvedimento in esame, come abbiamo sottolineato e motivato nel corso della discussione sulla questione pregiudiziale di costituzionalità, presenta gravi profili, che ledono diritti inviolabili dell'individuo. Sul piano normativo, esso inasprisce esclusivamente gli indirizzi di ordine repressivo, senza altra prospettiva di governo e di disciplina del fenomeno dell'immigrazione.
Tale provvedimento, anziché corrispondere, come avrebbe dovuto, ai principi e agli indirizzi sanciti nelle sentenze n. 222 e n. 223 del 2004 della Corte costituzionale, con le quali è stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'articolo 13, comma 5-bis - giudicando incostituzionale la facoltà del questore di disporre l'accompagnamento alla frontiera prima di un controllo al fine della convalida da parte dell'autorità giudiziaria - e dell'articolo 14, comma 5-quinquies - che prevede l'obbligo di arresto per il reato di essersi trattenuto sul territorio italiano oltre i cinque giorni previsti nell'ordine di espulsione dal testo unico sull'immigrazione -, elude completamente tali pronunce della Corte. Esso pone, anzi, ulteriori questioni di legittimità costituzionale in ordine agli articoli 10 e 13 della Costituzione ed inoltre, per il fatto che tali disposizioni siano inserite nello strumento del decreto-legge, anche in ordine all'articolo 77 della Costituzione.
La Corte costituzionale ha richiesto norme che garantiscano effettivamente la tutela giurisdizionale dello straniero. Questo decreto-legge compie invece la scelta


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opposta, prefigurando un regime speciale e una tutela minore per gli immigrati extracomunitari. Non vi è alcuna garanzia del rispetto della libertà personale e di un'effettiva tutela giurisdizionale del diritto alla difesa e dei principi del giusto processo. Le competenze che il provvedimento in esame attribuisce al giudice di pace in merito alle libertà personali del cittadino extracomunitario, per quel che attiene alla convalida del procedimento di accompagnamento alla frontiera e al trattenimento dello straniero nei centri di permanenza temporanea, ledono il principio costituzionale di eguaglianza dinanzi alla legge, costituendo una minore tutela giurisdizionale per gli immigrati extracomunitari rispetto agli altri cittadini.
Inoltre, il provvedimento in esame contraddice, come contenuto nei rilievi del parere contrario espresso dalla II Commissione, all'opzione finora affermatasi in ordine ai limiti delle funzioni dei giudici di pace, così come si evince dallo stesso decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274, che reca disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, laddove all'articolo 2, comma 1, lettere b) e c), esplicitamente esclude dal procedimento davanti al giudice di pace le disposizioni del codice di rito relative all'arresto in flagranza e al fermo di indiziato di delitto, nonché alle misure cautelari personali.
Quindi, colleghi, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 105 del 2001, ha ribadito che, in materia di libertà personale e di tutela giurisdizionale, le garanzie costituzionali valgono per tutti i cittadini e gli stranieri, non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. Ciò rappresenta una grave violazione dell'articolo 24 della Costituzione, che sancisce i principi inviolabili del diritto di difesa da parte di tutti gli individui, affermando che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi e che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Gli emendamenti che i gruppi parlamentari dell'opposizione hanno presentato incidono su uno dei profili essenziali di questo provvedimento, restituendo alla magistratura ordinaria le competenze che, in modo e con profili di merito incostituzionali, il provvedimento attribuisce ai giudici di pace. Da una parte, ciò garantisce effettivamente il pieno esercizio del diritto di difesa e, dall'altra, corrisponde ai principi ribaditi dalla giurisprudenza costituzionale, in riferimento all'articolo 13 della Costituzione, laddove afferma che non è ammessa alcuna forma di detenzione, di ispezione o perquisizione personale se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria.
La citata sentenza della Corte costituzionale n. 105 del 2001 ha ribadito come sia conseguente a tali principi un'accezione piena del controllo che spetta al giudice della convalida, un controllo che non può fermarsi ai margini del procedimento di espulsione, ma deve investire i motivi che hanno indotto l'amministrazione procedente a disporre quella peculiare modalità esecutiva dell'espulsione, l'accompagnamento alla frontiera, che è causa immediata della limitazione della libertà personale dello straniero ed insieme fondamento della successiva misura del trattenimento.
Le disposizioni introdotte con il decreto-legge al nostro esame, al comma 5-ter dell'articolo 13 del testo unico sull'immigrazione, con i compiti attribuiti ad organi dell'amministrazione dell'interno, violando quanto disposto dall'articolo 110 della Costituzione in ordine alle competenze attribuite al ministro della giustizia, ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura in ordine all'organizzazione ed al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, incidono in profondità sui principi costituzionali relativi al giusto processo. Tra questi - lo ricordiamo - è essenziale il principio dell'imparzialità nell'esercizio della giurisdizione. Pare che questo principio sia ben lungi dall'essere rispettato da parte dell'articolato proposto.
Insieme agli essenziali profili della libertà personale e dei diritti fondamentali della persona, ulteriori norme del provvedimento presentano gravi ed immotivati inasprimenti delle pene per l'illegittima


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permanenza sul territorio nazionale e il reingresso illegale. Inoltre, figurano incomprensibili disposizioni quali l'arresto dell'autore del fatto anche all'infuori dei casi di flagranza. In tal caso, è previsto l'obbligo di procedere con rito direttissimo. È proprio il caso di dire che siamo di fronte a modalità di giustizia sommaria.
Si tratta di questioni di assoluta gravità, che i Verdi hanno già sollevato durante il dibattito al Senato, dove peraltro sono state introdotte modifiche peggiorative del testo. Intendiamo riprendere tali questioni in sede di discussione sulle linee generali nonché con gli emendamenti presentati in sede di Commissione affari costituzionali, che riproporremo all'esame dell'Assemblea. Come abbiamo ricordato, nel decreto non è presente alcuna seria ed efficace misura per il governo del fenomeno dell'immigrazione, ammesso e non concesso che l'esecutivo voglia effettivamente gestire tale fenomeno.
Siamo di fronte a un provvedimento che, oltre a contenere le ipocrisie ricordate durante l'illustrazione della pregiudiziale di costituzionalità, è intriso di logiche repressive, peraltro già presenti nella normativa vigente, rese più forti ed esplicite con le nuove norme. Infatti, come definire altrimenti l'introduzione della possibilità, per il Ministero dell'interno, di contribuire per gli anni 2004 e 2005 alla realizzazione sul territorio dei paesi interessati di strutture utili ai fini del contrasto dei flussi regolari di popolazioni migratorie verso il territorio italiano? Intendiamo forse finanziare ed esportare le condizioni insostenibili, disumane, incostituzionali ed indecenti dei nostri centri di accoglienza? Intendiamo forse proporre tale modello in sede europea?
Sono molti i profili incostituzionali contenuti in questo provvedimento e noi Verdi, come altri deputati, non intendiamo farli passare sotto silenzio. Ma, se tra tutti fosse possibile individuare una misura che qualifichi maggiormente l'illegittimità degli indirizzi proposti dal Governo e dalla maggioranza, credo che quest'ultima sarebbe la più indicata a tale scopo. Infatti, è parte di quelle forme alternative, appartenenti ad una cultura davvero «altra» rispetto alla nostra, ispirata invece ad una convivenza plurietnica e pluriculturale, per la quale ha vissuto un grande ambientalista e un grande esponente dei Verdi, Alexander Lang. Lang diceva che le forme alternative possono essere di esclusione violenta, di separazione violenta o, al limite, di inclusione violenta, ovvero di assimilazione, sottomissione o qualcosa del genere.
Pertanto, le ragioni della nostra opposizione al provvedimento in oggetto e le proposte di merito contenute nei nostri emendamenti trovano il loro fondamento in queste parole, ovvero nella difesa delle garanzie costituzionali e nella convinzione, più volte ribadita, che non vi sia altra prospettiva per il governo dell'immigrazione se non quella di confrontarsi con i problemi, le contraddizioni e la realtà della stessa.

PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare, e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.

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