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Wednesday 17 November 2004 
 
 
 
 
 
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POLITICA/Cittadinanza
Tra diritto e discrezionalità: come diventare cittadini italiani. Intervista all’avvocato Maria Marta Farfan
di Paula Baudet Vivanco
15/11/04 

In pochi anni i tempi per ottenere la cittadinanza italiana si sono allungati. Per legge dovrebbero essere 730 i giorni di trepidante attesa ma oggi si può aspettare fino a quattro anni a partire dalla presentazione dell’istanza alle Prefetture, gli uffici territoriali del Governo, che inoltrano le domande per residenza o matrimonio al Ministero dell’Interno. Il percorso è diventato più lento già dalle fasi iniziali: i cinque mesi del 2001 perché la richiesta ottenesse un numero di protocollo sono diventati sette mesi nel 2004. Difficoltà le incontrano soprattutto le richieste per residenza, le naturalizzazioni ordinarie, rispetto a quelle per matrimonio, le naturalizzazioni agevolate. Infatti, ben 2.000 decreti di naturalizzazione per residenza risultano fermi alla firma della Presidenza della Repubblica, proprio nella fase finale dell’iter. Tutti questi potenziali cittadini europei hanno avviato, come prevedeva la legge italiana, lo svincolo dalla nazionalità di origine e quindi si trovano da mesi nella situazione paradossale di essere privi di passaporto. Alcuni addirittura senza permesso di soggiorno visto che ne aspettano da tempo il rinnovo, come nel caso di molti richiedenti che risiedono nella capitale. La nota positiva è che il Ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu ha firmato, in data 7 ottobre 2004, un decreto che non renderà più obbligatorio, per la naturalizzazione italiana, lo svincolo dalla cittadinanza d’origine, procedura richiesta nel caso in cui la legge del Paese di origine non prevedesse la perdita automatica della nazionalità per acquisto volontario di una cittadinanza straniera. 

Al di là di questa novità, i problemi restano comunque evidenti, tant’è che nei mesi scorsi anche il presidente Azeglio Ciampi si è espresso in favore di attese meno lunghe per ottenere la cittadinanza. E in realtà nel mirino del cambiamento non ci sarebbero solo i tempi delle procedure di naturalizzazione. La legge n. 91 del 1992 e i relativi regolamenti di attuazione (n. 572 del 1993 e n. 362 del 1994) da molti non sono più ritenuti all’altezza delle trasformazioni che il Paese ha incontrato in questi anni. Gli stranieri residenti regolarmente nel Paese, e quindi potenziali “nuovi cittadini”, raggiungono ormai le due milioni e seicentomila presenze, secondo i dati forniti dal Dossier Caritas del 2004. In aumento costante anche le seconde generazioni, figli che nascono in Italia o vi giungono grazie al ricongiungimento familiare. Si tratta di una realtà strutturale e non transitoria per la quale diventano necessarie normative all’altezza dei tempi: infatti sono 10 le proposte di iniziativa parlamentare per la modifica della legge sulla cittadinanza italiana, da mesi al vaglio della Commissione affari costituzionali.

Mentre la politica fa il suo corso aumentano i cittadini stranieri che ottengono la nazionalità italiana, i 10.645 del 2002 sono diventati 13.420 nel 2003, secondo fonti ministeriali. Notevole risulta lo sbilanciamento delle concessioni di cittadinanza per matrimonio rispetto a quelle per residenza: nel 2003 sono state l’84 per cento del totale. All’avvocato Maria Marta Farfan abbiamo rivolto alcune domande riguardo a questa specifica normativa e al suo funzionamento, materia di cui si occupa da anni per conto dell’Inas Cisl.

Perché un tale sbilanciamento tra naturalizzazioni agevolate e ordinarie?

Un dato così evidente è causato innanzitutto dalle difficoltà del percorso di naturalizzazione ordinaria che scoraggiano la richiesta anche una volta compiuti gli anni di residenza regolare necessari per legge, 10 per chi è nato fuori dall’Unione europea, tre in caso di nascita sul territorio italiano.

La differenza nei numeri si legge già nella presentazione delle richieste, e questo perché i criteri sono più semplici in caso di matrimonio visto che la legge tende a tutelare la famiglia italiana, in base alla Costituzione. Innanzitutto i tempi: puoi presentare la richiesta dopo solo sei mesi di residenza nel Paese dal momento della celebrazione del matrimonio. Non va dimostrato alcun reddito e non entra in gioco la discrezionalità della pubblica amministrazione. La domanda è istruita presso il Ministero dell’Interno e deve essere conclusa entro due anni, con l’emanazione di un decreto firmato dal ministro. Trascorso tale termine il/la richiedente matura un diritto soggettivo e può ottenere dal giudice ordinario un provvedimento dichiarativo di cittadinanza.

Nel caso di cittadinanza per residenza quali sono i requisiti e i criteri per legge?

Per il cittadino straniero non comunitario sono necessari 10 anni di residenza regolare, o tre se è nato in Italia. In questa casistica, ma varia il tempo di residenza richiesto, rientrano anche i discendenti da ex cittadini italiani, i cittadini comunitari, gli stranieri adottati, maggiorenni, gli apolidi o rifugiati. Chi inoltra l’istanza, pur avendo tutti i requisiti richiesti dalla legge, non può vantare un diritto ad acquisire la cittadinanza italiana ma solo un’aspettativa giuridicamente tutelata. La concessione è un atto discrezionale e si basa su una valutazione dei vari aspetti della vita della persona, come il reddito percepito negli ultimi tre anni e l’adempimento degli obblighi fiscali. Nel 2002, su 1.691 richieste di naturalizzazione ordinaria ne sono state rifiutate 762.

Il requisito del reddito è forse il criterio più difficile da sostenere?

Sì, perché è necessario dimostrare redditi superiori ai livelli minimi per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria: circa 8.500 euro l’anno, che diventano 11.300 euro circa se il coniuge è a carico, a cui si aggiungono 516 euro per ogni figlio.  Questo per evitare che in futuro il cittadino sia a carico dello Stato. Si tratta di una questione molto dibattuta. Ad esempio ci sono donne straniere che risiedono da 20 anni o più in Italia e che, pur avendo vissuto legalmente nel Paese lavorando nel campo della cura, non hanno il reddito necessario per ottenere la cittadinanza. E’ il caso delle donne capoverdiane o filippine, alcune ormai pensionate, e che a volte hanno anche figli e persino nipoti nati in Italia. E poi ci sono le seconde generazioni, ragazzi arrivati da piccoli in Italia per ricongiungimento familiare, che quando studiano difficilmente possono dimostrare i redditi sufficienti. Io ho seguito delle studentesse che, a mio giudizio, rispettavano altri indici di inserimento in Italia ma che, per il Ministero, non soddisfacevano i criteri economici. Ma non è facile. A volte anche chi è nato qui da genitori stranieri è costretto a seguire il canale della naturalizzazione ordinaria e non riesce a godere dei benefici per nascita. Questo perché, in base alla legge, deve aver risieduto legalmente sul territorio italiano, senza interruzioni, dalla nascita fino al compimento dei 18 anni e dichiarare, entro i 19, di voler diventare cittadino italiano.

L’ampia discrezionalità per residenza è impossibile da superare?

Ultimamente ci sono stati parecchi ricorsi sulla discrezionalità della Pubblica amministrazione nella valutazione reddituale, e in alcuni casi i Tar hanno accolto le istanze. Il Ministero ha dovuto riesaminare le pratiche di richiesta di naturalizzazione. Ma attenzione: l’esito potrebbe comunque risultare ancora negativo. L´attuale dibattito sulle modifiche della legge è orientato verso una limitazione della discrezionalità. Qualcosa potrebbe dunque cambiare in meglio. 

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