SENATO DELLA REPUBBLICA
—————— XIV LEGISLATURA ——————

670a SEDUTA PUBBLICA

RESOCONTO

SOMMARIO E STENOGRAFICO

MARTEDÌ 12 OTTOBRE 2004

(Antimeridiana)

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Presidenza del presidente PERA,

indi del vice presidente FISICHELLA

e del vice presidente SALVI

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N.B. Sigle dei Gruppi parlamentari: Alleanza Nazionale: AN; Democratici di Sinistra-l'Ulivo: DS-U; Forza Italia: FI; Lega Padana: LP; Margherita-DL-l'Ulivo: Mar-DL-U; Per le Autonomie: Aut; Unione Democristiana e di Centro: UDC; Verdi-l'Ulivo: Verdi-U; Misto: Misto; Misto-Comunisti Italiani: Misto-Com; Misto-Lega per l'Autonomia lombarda: Misto-LAL; Misto-Libertà e giustizia per l'Ulivo: Misto-LGU; Misto-MSI-Fiamma Tricolore: Misto-MSI-Fiamma; Misto-Nuovo PSI: Misto-NPSI; Misto-Partito Repubblicano Italiano: Misto-PRI; Misto-Rifondazione Comunista: Misto-RC; Misto-Socialisti democratici Italiani-SDI: Misto-SDI; Misto Popolari-Udeur: Misto-Pop-Udeur.

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RESOCONTO SOMMARIO

Presidenza del presidente PERA

La seduta inizia alle ore 10.

Il Senato approva il processo verbale della seduta antimeridiana del 6 ottobre.

Comunicazioni all'Assemblea

PRESIDENTE. Dà comunicazione dei senatori che risultano in congedo o assenti per incarico avuto dal Senato. (v. Resoconto stenografico).

Preannunzio di votazioni mediante procedimento elettronico

PRESIDENTE. Avverte che dalle ore 10,04 decorre il termine regolamentare di preavviso per eventuali votazioni mediante procedimento elettronico.

Sulla morte in Egitto di due giovani italiane a seguito di un attentato terroristico

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l’Assemblea). A nome dell'Assemblea esprime sentimenti di cordoglio e di affettuosa partecipazione alla famiglia delle giovani Sabrina e Jessica Rinaudo, innocenti vittime della violenza terroristica. Ribadisce la necessità di giungere ad un’azione comune da parte dell'Occidente e dei Paesi arabi moderati nella lotta contro il terrorismo. Invita l'Assemblea ad osservare un minuto di silenzio.

Seguito della discussione del disegno di legge:

(3106) Conversione in legge del decreto-legge 13 settembre 2004, n. 240, recante misure per favorire l’accesso alla locazione da parte di conduttori in condizioni di disagio abitativo conseguente a provvedimenti esecutivi di rilascio, nonché integrazioni alla legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Relazione orale)

PRESIDENTE. Ricorda che nella seduta pomeridiana del 6 ottobre è stata dichiarata aperta la discussione generale.

MALABARBA (Misto-RC). Dopo essersi associato ai sentimenti di dolore espressi dal Presidente, osserva che il Governo, volendosi fare carico della sorte abitativa di circa 26.000 famiglie con anziani ultrasessantacinquenni e portatori di handicap ma ignorando il grave fenomeno sociale degli sfrattati per morosità, ha adottato un provvedimento che demolisce il tentativo di calmierare il mercato attuato dalla legge n. 431 del 1998, prevedendo contributi per i contratti a libero mercato e privilegiando i contratti transitori. Oltre ad escludere dagli ambiti di applicazione una parte consistente dei beneficiari, che non dispongono di un reddito sufficiente per accedere alla locazione di una nuova unità immobiliare, il decreto prevede una soluzione transitoria che avrebbe senso solo se indirizzata all'acquisizione di un alloggio pubblico, cui le categorie individuate legittimamente aspirano; invece, con la stipula del nuovo contratto i soggetti interessati perdono il punteggio ai fini delle graduatorie dei bandi per gli alloggi di edilizia economica e popolare. Le agevolazioni previste vengono concesse senza alcuna garanzia di calmieramento degli affitti; si propongono contratti per la durata massima di 18 mesi e si scarica l'emergenza abitativa sui Comuni affidando però la gestione degli sfratti agli ex Istituti autonomi case popolari. E’ un provvedimento che risponde agli appetiti della rendita e della speculazione edilizia e danneggia i conduttori di alloggi privati, cui non viene offerta alcuna alternativa credibile, considerati il sistematico azzeramento dei programmi e dei finanziamenti di edilizia residenziale pubblica e la dismissione del patrimonio immobiliare pubblico. Rifondazione comunista esprimerà un voto contrario al provvedimento qualora non vengano accolti gli emendamenti presentati, volti a garantire ai conduttori il mantenimento dei punteggi acquisiti con la partecipazione ai bandi ERP, ad aumentare la platea dei beneficiari dando rilevanza al reddito dei nuclei familiari, a sospendere l'esecuzione dello sfratto per un periodo sperimentale, ad affidare ai Comuni la gestione di tutte le operazioni, ad ammettere solo i contratti realizzati con l'intermediazione del Comune e a canone concordato eliminando le agevolazioni per i contratti a libero mercato e, infine, a prevedere una copertura finanziaria autonoma senza sottrarre risorse al Fondo nazionale per il contributo all'affitto.

Presidenza del vice presidente FISICHELLA

TURRONI (Verdi-U). Il testo proposto dal Governo evidenzia l'assenza totale di una politica di edilizia pubblica capace di garantire ai cittadini, specialmente quelli appartenenti alle categorie sociali più deboli, il diritto all'abitazione, evitando al contempo la cementificazione selvaggia e la distruzione del suolo. La recente sentenza n. 155 della Corte costituzionale che ha ribadito la natura transitoria ed essenzialmente limitata dei provvedimenti di sospensione delle procedure di rilascio degli alloggi in affitto, non ha bocciato il decreto di proroga degli sfratti, ma ha sottolineato la necessità di adottare misure congrue a favore dei locatori al fine di comparare la loro situazione con quella dei conduttori. A fronte di questa pronuncia, sarebbero stati necessari provvedimenti di valorizzazione dei contratti agevolati a canone calmierato, mentre si è preferito moltiplicare le forme contrattuali e fissare criteri che annullano le tutele a favore delle categorie disagiate, peraltro sottraendo risorse ai canoni calmierati per concederli anche ai contratti a canone libero. I requisiti di reddito familiare richiesto escluderanno un gran numero di soggetti interessati e quindi si rende necessario estendere la platea dei potenziali beneficiari, dando rilevanza essenziale al reddito dei nuclei familiari. E’ necessario altresì prevedere un congruo differimento dello sfratto a favore di coloro che stipulino un nuovo contratto di affitto, mentre è inaccettabile ammettere al contributo anche i contratti a libero mercato. Gli emendamenti presentati hanno queste finalità oltre a chiedere il pieno coinvolgimento dei Comuni ed il ripristino delle risorse del Fondo nazionale per il contributo all'affitto. La posizione di voto finale dei Verdi dipenderà dalla sorte di queste proposte di modifica.

CAVALLARO (Mar-DL-U). Come tutti gli interventi che affrontano un’emergenza senza intervenire per risolvere alla radice un problema sociale, anche il provvedimento in esame risulta strategicamente e strutturalmente improprio. Il disagio abitativo non è un fenomeno contrattuale, ma un problema socio-economico in crescita: per questo mentre la platea interessata avrebbe dovuto essere ben più vasta, più opportuni sarebbero stati interventi tesi a promuovere la proprietà immobiliare privata, a rilanciare l'edilizia residenziale pubblica e ricostituire il patrimonio degli enti. Sul piano contrattuale avrebbero dovuto essere favoriti i canoni calmierati e tipologie di accordo vantaggioso per entrambe le parti, anche in ossequio ai principi ricordati dalla Corte costituzionale nella sua recente sentenza. Peraltro, il decreto-legge scarica in parte sui Comuni l'emergenza abitativa, prevedendo la sostituzione del rapporto contrattuale con la concessione amministrativa, istituto che sarà difficilmente gestibile nella fase patologica dei contratti. Infine, ancora una volta le finalità del testo si scontrano con l'esiguità delle risorse: sono tutte questioni segnalate negli emendamenti proposti, dall'esito dei quali dipenderà l'atteggiamento di voto della Margherita. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).

GASBARRI (DS-U). Il Governo è intervenuto sul problema degli sfratti ad alcuni mesi dalla scadenza dell'ultima proroga, delimitando l'area di operatività del suo intervento alle famiglie con ultrasessantacinquenni e handicappati gravi che non dispongano di altra abitazione o di reddito sufficiente per l'affitto di una nuova casa: questa previsione oltre ad essere applicabile ad un ristretto numero di beneficiari a causa dei limiti di reddito posti, esclude tutti gli sfratti per morosità, statisticamente i più numerosi e chiaro indice di forte disagio socio-economico. Per porre rimedio a tale situazione occorreva aumentare il finanziamento del Fondo sociale di contribuzione all'affitto previsto dalla legge n. 431 del 1998, ma il Governo ha preferito ridurne la dotazione a favore di agevolazioni fiscali e contributi ai locatori per contratti transitori e a canone libero. Si penalizzano così ulteriormente i conduttori, già colpiti dallo snellimento delle procedure di esecuzione degli sfratti per finita locazione e dalla dismissione del patrimonio immobiliare pubblico. Inoltre, il Governo scarica il peso del problema sui Comuni, ai quali però sottrae, a favore degli ex Istituti autonomi case popolari, la gestione degli sportelli per l'emergenza sfratti, decisione contestata dalla Conferenza Stato-Regioni perché sottrae agli enti locali la competenza ad essi attribuita dalla Costituzione in materia di politiche abitative. Se il Governo avesse affrontato con il Parlamento un’ipotesi di modifica e completamento del percorso riformatore avviato dalla legge n. 431, l'opposizione avrebbe collaborato proficuamente; il testo in esame invece dimostra l'intenzione di disarticolare quell'impianto, sposando le motivazioni di una sola delle parti in causa. I Democratici di sinistra esprimono forti perplessità ed hanno proposto emendamenti di sostanziale modifica. Il giudizio finale terrà conto la posizione assunta dal centrodestra riguardo queste proposte di modifica. (Applausi dal Gruppo DS-U).

MANZIONE (Mar-DL-U). Il provvedimento maschera sotto la dicitura di misure per affrontare il disagio abitativo l'ennesima proroga di sfratti sollevando le critiche delle associazioni dei conduttori e degli inquilini oltre che dei giuristi, stante l’aggiramento delle indicazioni della Corte costituzionale e dell'ANCI, che denuncia il tentativo di scaricare sugli enti locali le conseguenze del disagio abitativo. Purtuttavia, in considerazione della complessità del problema abitativo, reso ancor più grave dalle scelte strategiche del centrodestra, si è inteso offrire un contributo migliorativo attraverso emendamenti volti ad allargare la platea dei conduttori ritenuti economicamente disagiati, a modificare il termine del 31 ottobre per l'esecuzione del provvedimento di rilascio, a prevedere una comparazione tra le condizioni disagiate del conduttore inquilino e quelle della proprietario locatore e a rivedere le tipologie contrattuali, con particolare riguardo alla preventiva acquisizione da parte del Comune e al rapporto di concessione amministrativa, nonché le modalità di assegnazioni degli incentivi diretti a favore della proprietario locatario. Chiede inoltre chiarimenti riguardo alla possibilità, non esclusa dal provvedimento, che il locatario non aderisca alle proposte di rinnovo del contratto. (Applausi della senatrice Baio Dossi)

MONCADA (UDC). Nell'esprimere un giudizio sostanzialmente positivo sul provvedimento, che contempera le esigenze dei locatari secondo le indicazioni in tal senso fornite dalla Corte costituzionale con quelle di alcune fasce cittadini disagiati, ritiene opportuna l'introduzione di alcuni aggiustamenti soprattutto per garantire a coloro i quali aderiscono alle tipologie contrattuali il mantenimento dei punteggi acquisiti ai fini dell'assegnazione degli alloggi residenziali pubblici, per differire il termine del 31 ottobre 2004 per l'esecuzione del provvedimento di rilascio, per assicurare ai Comuni la gestione degli sportelli emergenza sfratti, nonché con riguardo alla possibilità di stipulare contratti liberi vincolando i canoni a quelli previsti dagli accordi territoriali di cui alla legge n. 431.

LEGNINI (DS-U). Seppure l'intenzione è quella di introdurre misure per superare l'emergenza abitativa, il decreto-legge prevede interventi del tutto inadeguati a quel fine, oltre che di difficile applicazione, individuando un ventaglio di modelli contrattuali a carattere temporaneo, alla scadenza dei quali il disagio abitativo si riproporrà in tutta la sua drammaticità. Pur esprimendo un giudizio fortemente negativo sul provvedimento, i Democratici di sinistra hanno presentato emendamenti per modificare quanto meno le parti più inique dell'articolato. In particolare si ritiene indispensabile allargare la platea dei beneficiari considerando le situazioni di disagio di altre categorie di cittadini, quali i pensionati, i disoccupati e le famiglie monoreddito. Occorre poi rivedere le tipologie contrattuali, in particolare quelle che investono i Comuni cui vanno offerte garanzie in termini di risorse, nonché modificare le norme riguardanti l'erogazione di incentivi diretti ai locatari. Richiama inoltre l'attenzione sulla necessità di prevedere la conservazione dello status di sfrattato da parte di chi accede alle tipologie contrattuali ai fini dell'assegnazione di alloggi di edilizia economica popolare. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U, Misto-Com e Misto-RC).

PRESIDENTE. Dichiara chiusa la discussione generale.

MUGNAI, relatore. Le proposte emendative presentate dai relatori vanno, almeno in parte, nel senso delle indicazioni emerse nel corso della discussione generale con l'obiettivo di migliorare l'efficacia delle misure senza peraltro snaturare il contenuto del decreto, che recepisce le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale laddove in particolare limita la platea dei soggetti beneficiari evitando nel contempo di scaricare le difficoltà del disagio abitativo su una sola parte sociale. In ordine alle preoccupazioni circa la possibilità che i locatari non accedano alle proposte contrattuali, la pluralità di tipologie contrattuali, che pure è stata censurata, offre garanzie al riguardo. Il provvedimento segna un'inversione di tendenza rispetto al passato tentando, pur nella parzialità dell'intervento, di rimettere in moto il mercato della casa, fortemente penalizzato dalle scelte operate nei decenni passati attraverso la previsione di canoni vincolati che hanno portato, tra l'altro, ad un alto numero di alloggi sfitti. (Applausi del senatore Specchia).

SPECCHIA, relatore. Gli emendamenti presentati dai relatori sono tesi a trasferire la gestione dell'emergenza sfratti dagli ex Istituti autonomi case popolari ai Comuni, alla conservazione del punteggio relativo alla condizione di sfrattato ai fini delle graduatorie per l'edilizia pubblica residenziale, allo spostamento di alcuni termini. Si tratta di un provvedimento che offre una prima risposta al problema del disagio abitativo, pur nella consapevolezza che la questione dovrà essere affrontata in maniera più rilevante soprattutto attraverso la destinazione di risorse volte ad aumentare l'offerta di case da parte dello Stato.

TASSONE, vice ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Il provvedimento d'urgenza, che si prefigge in particolare di risolvere il grande disagio in cui si trovano 26.000 persone handicappate ed indigenti, ripropone il complesso problema abitativo, che non può essere risolto con un approccio esclusivamente finanziario, ma richiede un confronto con le amministrazioni locali e le Regioni e la ricerca di un giusto punto di equilibrio tra proprietari ed inquilini. L'elemento innovativo del provvedimento in discussione risiede nella riqualificazione della gestione dell'emergenza e nella attenzione alle fasce particolarmente deboli delle società; assicura quindi la disponibilità del Governo a considerare con attenzione le sollecitazioni emerse nella discussione e a ricercare le modalità più efficaci per la sua attuazione.

PRESIDENTE. Rinvia il seguito della discussione ad altra seduta.

Seguito della discussione del disegno di legge:

(3107) Conversione in legge del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione (Relazione orale)

PRESIDENTE. Ricorda che nella seduta pomeridiana del 6 ottobre è stata dichiarata aperta la discussione generale.

MALABARBA (Misto-RC). Il decreto-legge non prevede uguali garanzie per i cittadini italiani e stranieri e quindi non modifica la legge Bossi-Fini nel senso indicato dalla sentenza della Corte costituzionale, mentre la vicenda della Cap Anamur, l'accordo con la Libia (fino qualche settimana fa uno dei più pericolosi Stati canaglia e ora definito addirittura democratico e rispettoso dei diritti umani), le espulsioni di massa da Lampedusa, che configurano un vero e proprio crimine contro l'umanità, attestano che il Governo si sta muovendo in direzione opposta a quella auspicata. Sono ormai migliaia gli stranieri che attendono di conoscere la propria sorte, sperando di non essere costretti a tornare nel proprio Paese dove li attende un lavoro sottopagato o, ancora peggio, il carcere; ma questa vicenda di cui il Governo italiano è corresponsabile non scuote le coscienze dei cattolici presenti nella maggioranza e nell'opposizione, mentre il Ministro dell’interno attua in silenzio la politiche richiesta dalla Lega. La procedura adottata per le espulsioni di massa verso la Libia è stata duramente censurata da Amnesty International, che ha evidenziato le gravissime violazioni delle leggi italiane e delle convenzioni internazionali sul diritto d'asilo; non è stato permesso alle associazioni per la difesa dei diritti umani di assistere alle identificazioni e ai riconoscimenti far conoscere agli stranieri i loro diritti. Mentre l'Europa dei vertici e delle cooperazioni rafforzate tenta inutili difese dei propri privilegi, le navi affondano nel Mediterraneo: il Trattato di Amsterdam non ha prodotto una comune politica europea sull'immigrazione, ma solo rapporti preferenziali dei diversi Stati europei con i Paesi di provenienza, improntati alla connessione tra i finanziamenti e la gestione dei flussi, anche tramite la costruzione di carceri nel deserto definite eufemisticamente centri di accoglienza e di smistamento. L'insieme di queste odiose politiche sarà comunque inutile a partire dal 2010 quando la fuga da quei Paesi potrebbe rivelarsi l'unica alternativa, dopo che il Mediterraneo diventerà zona di libero scambio e le economie più deboli saranno costrette dagli accordi siglati con l'Unione Europea ad aprire i propri mercati a prodotti più competitivi.

Presidenza del vice presidente SALVI

PAGLIARULO (Misto-Com). Il principio informatore della legge Bossi-Fini, il contratto tra privati come presupposto per l'ingresso in Italia, ha fallito il suo obiettivo, mentre la classe dirigente con cinismo ha ignorato le deportazioni di massa e la grave violazione delle garanzie sancite dalla Costituzione. Il decreto-legge non risolve i problemi posti dalle sentenze della Corte costituzionale, perché affida al giudice di pace competenze penali estranee alla sua figura professionale, limitandone l'indipendenza visto che dovrà lavorare in locali messi a disposizione dalle questure. Il provvedimento conferma quindi che il Governo ancora si illude di poter gestire il fenomeno migratorio con provvedimenti di polizia, invece di elaborare un grande progetto politico permeato dalla cultura dell'accoglienza. (Applausi dai Gruppi Misto-Com, DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U e Misto-RC).

TURRONI (Verdi-U). Le espulsioni collettive effettuate a Lampedusa in spregio dei diritti costituzionali sono una vergogna che dovrebbe indurre ad una più attenta riflessione su un provvedimento che invece di recepire le istanze avanzate dalle sentenze della Corte costituzionale, si ostina a negare agli immigrati quei diritti che devono essere riconosciuti a tutti gli esseri umani. Le modifiche proposte, specie alla luce degli emendamenti approvati dalle Commissioni riunite, sbilanciano ancor più la disciplina dell'immigrazione in senso autoritario e repressivo, mentre la Corte costituzionale già dal 2001 aveva evidenziato che il rispetto della sicurezza pubblica deve realizzarsi nel quadro delle garanzie costituzionali in tema di libertà personale e tutela giurisdizionale. E' infatti dubbio che i giudici onorari possano effettivamente garantire il rispetto del diritto di difesa ed un controllo effettivo dei provvedimenti di espulsione, considerato che il decreto affida alle questure la responsabilità del supporto logistico all'attività dei giudici di pace, che sembra così finalizzata ad una sorta di rito sommario di espulsione. Inoltre, ai rilievi della Corte circa l'illegittimità dell'arresto obbligatorio dell'immigrato che si trattiene sul territorio italiano oltre i termini previsti dall'ordine di espulsione, mentre l'arresto può essere disposto esclusivamente se funzionale allo svolgimento di un procedimento penale, risponde l'emendamento 1.470 approvato dalle Commissioni riunite, che inasprisce le pene detentive per tale fattispecie. Pertanto, è un provvedimento assolutamente inadeguato rispetto ai rilievi avanzati dalla Corte costituzionale ed anzi rafforza le norme liberticide e le rigidità procedurali della Bossi-Fini; consentirà di proseguire nella incivile pratica delle espulsioni collettive attraverso l'adozione di provvedimenti fotocopia. Annuncia pertanto il convinto voto contrario del Gruppo. (Applausi del senatore Zancan).

FASSONE (DS-U). Ripercorre l'evoluzione normativa in materia di contrasto dell'immigrazione, che ha dato origine già nel 2001 ad una sentenza della Corte costituzionale, che peraltro si innestava su un tessuto normativo più prudente sul versante della repressione penale, poiché prevedeva il ricorso all'espulsione con accompagnamento alla frontiera solo nel caso in cui lo straniero si fosse indebitamente trattenuto sul territorio. Benché tale sentenza stabiliva che la competenza del giudice dovesse riguardare contestualmente il provvedimento di espulsione e quello per il trattenimento presso i centri di permanenza temporanea, il decreto-legge n. 51 del 2002 prevedeva l'immediata esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, dando luogo alla sentenza n. 222, che ha stabilito l'illegittimità costituzionale della normativa laddove non prevede il contraddittorio per l'adozione del procedimento di convalida. Il decreto-legge in esame non consente di ovviare a tale censura della Corte, in quanto delinea la figura di un mero esecutore: infatti la qualificazione professionale del giudice di pace non gli consente di affrontare le questioni più complesse, il suo incarico è a termine e quindi più esposto a soggezione rispetto al magistrato togato e non è certo un elemento positivo che dipenda dalle questure per il supporto logistico. Inoltre, mentre un'ulteriore sentenza della Corte ha sancito l'illegittimità dell'arresto obbligatorio per lo straniero che si trattiene sul territorio italiano in violazione dell'intimazione, un emendamento approvato dalle Commissioni riunite aggira tale censura innalzando la pena per questa fattispecie. Con tali modifiche, il provvedimento acquista un significato diametralmente opposto a quanto richiesto dalla Corte, segnando l'apoteosi dell'approccio penalistico alla soluzione dei problemi sociali: è una sorta di moto detentivo perpetuo, in quanto il giudice non potrà disporre la sanzione sostitutiva dell'espulsione, ma dovrà condannare l'immigrato alla pena detentiva, scontata la quale scatterà l'espulsione. E' quindi un provvedimento da respingere perché ispirato dalla paura dell'immigrazione piuttosto che dalla ricerca dell'accoglienza e della mediazione. (Applausi dai Gruppi DS-U e Mar-DL-U e del senatore Biscardini).

BATTISTI (Mar-DL-U). Il provvedimento in esame evidenzia un sostanziale peggioramento della cultura che ha ispirato la legge Bossi-Fini, convinta di arginare il fenomeno dell'immigrazione con la legge penale anziché della necessità di governarlo per ridurne gli aspetti più dannosi per la società. Preoccupa, in particolare che l'inasprimento di questa concezione si accompagni agli episodi recentemente verificatisi a Lampedusa, dove si è assistito ad espulsioni collettive, espressamente vietate dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, dove è stato impedito l'accesso ai centri di permanenza temporanea al delegato dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati ed a rappresentanti delle organizzazioni umanitarie e dove infine si è proceduto all'espulsione in assenza di garanzie certe circa l'identificazione degli stranieri e senza l'ausilio di interpreti e avvocati. Inoltre, il provvedimento del Governo tradisce i motivi che hanno ispirato le sentenze della Corte costituzionale dalle quali esso trae origine. Tali pronunzie infatti non si sono limitate a porre questioni di natura tecnica, ma hanno ribadito il pieno riconoscimento dei diritti costituzionali nei confronti di tutte le persone presenti sul territorio nazionale, siano essi cittadini italiani o stranieri: a fronte di ciò, il Governo ha affidato la convalida del provvedimento di espulsione al giudice di pace, producendo così la paradossale e discriminante differenziazione tra giudici che si occupano di provvedimenti in materia di libertà personale soltanto per gli stranieri immigrati clandestinamente e giudici competenti ad emettere analoghi provvedimenti per i cittadini italiani. Peraltro tale scelta è giustificata dalla necessità di non aggravare il carico di lavoro della magistratura ordinaria, senza tenere conto che lo stato degli uffici dei giudici di pace è così drammatico da non consentire loro di condurre il lavoro ordinario: tutto ciò costituisce la premessa di un fallimento, che peraltro comporterà spese non indifferenti. L'inefficienza, l'onerosità e l'incidenza sul sistema delle garanzie del testo in esame hanno indotto le opposizioni a presentare un quadro organico di emendamenti, che non sembrano purtroppo destinati ad essere esaminati serenamente. Appare tuttavia necessario che il Ministro dell'interno fornisca indicazioni chiare sulle prospettive future delle politiche dell'immigrazione, individuando soluzioni coerenti con gli impegni assunti dall'Italia in sede internazionale e con gli interessi sociali ed economici del Paese. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).

MARITATI (DS-U). A seguito della pesante censura di costituzionalità del Giudice delle leggi sulla Bossi-Fini, il Governo è stato costretto ad un intervento che però non affronta l'essenza del problema. Per quanto riguarda la necessità che qualunque restrizione della libertà personale avvenga per atto motivato dell'autorità giudiziaria, si attribuisce la procedura di convalida al giudice di pace, che non ha le prerogative e lo stato giuridico del magistrato ordinario, motivando tale scelta con il pericolo di intasamento della macchina giudiziaria: avviene così che i principi generali dell'ordinamento e gli stessi principi costituzionali vengano violati per far fronte a problemi organizzativi e funzionali. Inoltre, per la prima volta si sancisce una competenza in ragione non della materia, ma della cittadinanza del soggetto sottoposto a giudizio e si istituisce un vero e proprio lavoro a cottimo, dal momento che sono riconosciute al giudice di pace indennità aggiuntive pari a 20 euro per ogni convalida di espulsione. La Corte costituzionale ha inoltre censurato la previsione di arresto obbligatorio per lo straniero sorpreso sul terreno nazionale dopo l'ordine del questore di lasciare il Paese, cioè per un fatto che la legge stessa identifica quale reato contravvenzionale. Disattendendo ancora una volta le indicazioni della Corte, il Governo ha risolto il problema modificando la natura del reato, trasformandolo da contravvenzione in delitto ed aumentando le pene detentive in modo tanto sproporzionato che l’illegittima presenza sul suolo nazionale (molto spesso determinata da cause non imputabili all'immigrato) verrebbe punita come una rapina. E’ una previsione che comporterà unicamente un ulteriore sgravio della già allucinante situazione carceraria, ma che testimonia la tendenza - confermata da alcuni emendamenti proposti dalla maggioranza in Commissione - ad affrontare complessivamente il problema in termini di mera repressione. Poiché gli emendamenti dell'opposizione hanno invece lo scopo di correggere una legge che non funziona, auspica che prevalga il buonsenso e che si possa giungere all’approvazione di un testo migliorativo. A tale proposito, invita la maggioranza ad intervenire, prima che la Corte costituzionale sia chiamata nuovamente a pronunciarsi, su un’altra violazione dell'articolo 13 della Costituzione per l'adozione di misure di limitazione della libertà personale senza il vaglio giudiziario: non è prevista infatti procedura di convalida per il respingimento alla frontiera, soprattutto quando questo venga differito ed il soggetto interessato sia rinchiuso in uno dei centri di permanenza temporanea. (Applausi dal Gruppo DS-U).

ZANCAN (Verdi-U). Il decreto-legge disattende le indicazioni della Corte costituzionale, che ha segnalato con riguardo alla Bossi-Fini la mancanza di contraddittorio con relative garanzie della difesa in caso di giudizio di convalida del procedimento di espulsione. La scelta di affidare una materia di tale delicatezza, che investe tra l'altro anche il diritto di asilo, al giudice di pace sembra svilire le indicazioni della Corte, in considerazione della recente attribuzione al giudice di pace delle competenze in materia penale, che peraltro sembrano escludere interventi in tema di libertà personale, nonché dell'insufficiente esperienza maturata al riguardo. Peraltro, appare disatteso anche il dettato di un'altra sentenza della Corte costituzionale laddove, in particolar modo con l'emendamento 1.470 approvato in Commissione, si provvede ad aumentare le sanzioni detentive comminate allo straniero, espulso o oggetto di provvedimento di espulsione, che si trattiene sul territorio dello Stato. (Applausi dei senatori Legnini e Biscardini).

GUERZONI (DS-U). Il decreto-legge introduce in primo luogo misure insensate dal punto di vista dell'efficacia, considerato che la scelta del giudice di pace rischia di determinare un ulteriore motivo di intasamento giudiziario, specie in alcune zone del Paese; si tratta inoltre di norme caratterizzate da una forte valenza repressiva, laddove si prevede, come risulta in un emendamento approvato in Commissione, la sottoposizione a pene severe dello straniero che risulti espulso o a cui sia stato impartito l'ordine di espulsione e che non abbia lasciato il territorio dello Stato, facendolo entrare in un circuito penale inarrestabile assolutamente ingiustificato. Anche per quanto riguarda il ruolo dei centri di permanenza transitoria, non si tiene conto dell'inadeguatezza delle strutture, tale da alimentare le irregolarità e la clandestinità. Preoccupante appare altresì la modifica che si intende introdurre per il contrasto dell'immigrazione proveniente dalla Libia mediante la realizzazione di alcune strutture ai fini del contrasto di flussi migratori irregolari. La portata della norma non appare infatti chiara considerato che non vi sarebbe stato alcun bisogno di una previsione al riguardo, alla luce anche dell'esperienza maturata con riferimento all'Albania. Il decreto appare censurabile anche per l'assenza di tutte quelle proposte tese a migliorare la legge Bossi-Fini su cui il Ministro dell'interno si era impegnato e che erano state richieste oltre che dalle forze politiche anche da associazioni di diverso orientamento. I dati relativi all'applicazione della Bossi-Fini confermano peraltro gli insuccessi di quella normativa con riguardo alla lotta alla clandestinità e al registrarsi di un forte aumento in particolare di minorenni clandestini oltre a evidenziare il trattamento disumano riservato agli immigrati regolari, che emerge dal lungo iter occorrente per il rinnovo del permesso di soggiorno.

PRESIDENTE. Dichiara chiusa la discussione generale.

BOSCETTO, relatore. Con riguardo alle critiche avanzate in merito alle presunte espulsioni collettive forzate nei confronti di stranieri provenienti dalla Libia, sottolinea come si sia trattato piuttosto del respingimento di soggetti che non avevano i requisiti previsti dalla legge, in applicazione della norma al riguardo prevista dalla legge Turco- Napolitano. Respinge altresì le critiche avanzate circa le minori garanzie offerte dall'affidamento al giudice di pace della competenza in materia di convalida del provvedimento di espulsione, considerato che si tratta di un accertamento di tipo più amministrativo che penalistico e che peraltro la competenza non investe la materia dell'asilo. In ordine al rischio paventato nel sottoporre ad un eccesso di detenzione lo straniero espulso che rientri sul territorio, sottolinea che ciò riguarda soltanto i soggetti che rifiutano l'identificazione.

PRESIDENTE. Rinvia il seguito della discussione ad altra seduta. Dà annunzio delle interpellanze e delle interrogazioni pervenute alla Presidenza (v. Allegato B) e toglie la seduta.

La seduta termina alle ore 14,01.

 



RESOCONTO STENOGRAFICO

Presidenza del presidente PERA

PRESIDENTE. La seduta è aperta (ore 10).

Si dia lettura del processo verbale.

PACE, segretario, dà lettura del processo verbale della seduta antimeridiana del 6 ottobre.

PRESIDENTE. Non essendovi osservazioni, il processo verbale è approvato.

Congedi e missioni

PRESIDENTE. Sono in congedo i senatori: Antonione, Baldini, Bosi, Cursi, D’Alì, De Corato, Mantica, Pedrini, Saporito, Sestini, Siliquini, Vegas e Ventucci.

Sono assenti per incarico avuto dal Senato i senatori: Tomassini, per attività della 12a Commissione permanente; Minardo, per attività del Comitato per le questioni degli italiani all’estero; Battaglia Giovanni, Bianconi, Boldi, Borea, Carella, Carrara, Longhi, Rotondo e Sanzarello, per attività della Commissione parlamentare di inchiesta sul servizio sanitario nazionale; Bastianoni, Murineddu, Sodano Calogero, Tarolli, per attività dell’Unione Interparlamentare; Budin, Crema, Gaburro, Giovanelli, Gubert, Nessa e Rigoni, per attività dell’Assemblea parlamentare dell’Unione dell’Europa occidentale.

 

Comunicazioni della Presidenza

PRESIDENTE. Le comunicazioni all'Assemblea saranno pubblicate nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Preannunzio di votazioni mediante procedimento elettronico

PRESIDENTE. Avverto che nel corso della seduta odierna potranno essere effettuate votazioni qualificate mediante il procedimento elettronico.

Pertanto decorre da questo momento il termine di venti minuti dal preavviso previsto dall'articolo 119, comma 1, del Regolamento (ore 10,04).

Sulla morte in Egitto di due giovani italiane
a seguito di un attentato terroristico

PRESIDENTE. (Si leva in piedi e con lui tutta l'Assemblea). Colleghi, consentitemi di ricordare brevemente l'assassinio delle nostre due ragazze, Sabrina e Jessica Rinaudo. Credo sia utile ricordare l'innocenza della vita delle due ragazze, l'una di 22 e l'altra di 19 anni, l'innocenza delle professioni di due ragazze di un piccolo, ancorché celebre, centro di provincia, l'innocenza della vacanza che queste ragazze, come migliaia di cittadini italiani e di altri Paesi, trascorrevano a Taba, in Egitto.

Richiamo questa innocenza perché, forse, ci fa capire meglio perché sono state uccise insieme a cittadini di Israele e di Egitto. Il terrorismo di cui sono vittime - di questo si tratta - non bada all'innocenza e si serve anzi della strage di innocenti per raggiungere i suoi obiettivi.

Condanno, insieme a tutti voi, questo episodio di terrorismo, l'ultimo purtroppo, in ordine di tempo, di una serie molto lunga che ha già visto tante vittime italiane. Accanto alla condanna morale e politica decisa, il problema è come combattere il fenomeno del terrorismo islamico. È una questione all'ordine del giorno e all'esame di Capi di Stato, di Capi di Governo e di tutti i Parlamenti, soprattutto dell'Occidente. È una questione che non riguarda però soltanto l'Occidente, ma anche i Paesi arabi i quali, anche nell'attentato terroristico di Taba, sono essi stessi vittime.

In questo momento, tuttavia, desidero esprimere il cordoglio e la partecipazione affettuosa, mia e vostra, alla famiglia Rinaudo che è stata così duramente colpita e che immagino non riesca ancora, come nessuno di noi, a darsi una spiegazione razionale di ciò che è accaduto.

Per questa ragione vi chiedo di osservare un minuto di silenzio.

Seguito della discussione del disegno di legge:

(3106) Conversione in legge del decreto-legge 13 settembre 2004, n. 240, recante misure per favorire l’accesso alla locazione da parte di conduttori in condizioni di disagio abitativo conseguente a provvedimenti esecutivi di rilascio, nonché integrazioni alla legge 9 dicembre 1998, n. 431 (Relazione orale)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 3106.

Ricordo che nella seduta pomeridiana del 6 ottobre i relatori hanno svolto la relazione orale ed è stata dichiarata aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare il senatore Malabarba. Ne ha facoltà.

MALABARBA (Misto-RC). Signor Presidente, vorrei spendere alcuni secondi per unirmi al dolore da tutti espresso per la scomparsa delle due italiane a Taba.

Mi permetto anch’io, nell’associarmi alla condanna del terrorismo, di dire che forse questi attentati sono finalizzati in primo luogo alla destabilizzazione degli Stati arabi e mirano ad un’egemonia nel mondo islamico. Credo che ciò abbia poco a che vedere con l’Islam e anche con la vocazione dei popoli arabi alla pace.

Per tornare alla discussione sul decreto-legge recante misure per favorire l’accesso alla locazione da parte di conduttori in condizioni di disagio abitativo conseguente a provvedimenti esecutivi di rilascio, la relazione del Governo al presente decreto prevede che circa 26.000 famiglie, con anziani ultrasessantacinquenni e portatori di handicap, non morosi ma in forte disagio economico-sociale, potranno trovarsi senza un alloggio dove abitare a seguito della scadenza, il 30 giugno scorso, della proroga relativa agli sfratti per finita locazione.

Si tratta di un numero certamente significativo, che riguarda una particolare categoria di soggetti deboli da tutelare, di cui il Governo ritiene di doversi fare carico con un provvedimento a nostro parere però inaccettabile, perché non solo non risolve il problema delle migliaia di famiglie sfrattate, ma al contrario realizza l'obiettivo opposto, ovvero la demolizione del pur labile tentativo di calmierare il mercato con i canoni agevolati previsti dalla legge n. 431 del 1998.

Per la prima volta si concedono agevolazioni fiscali e si ammette al contributo la tipologia dei contratti a libero mercato, si privilegiano i contratti transitori, si annullano le parzialissime garanzie della legge n. 431 del 1998 e addirittura lo stesso contratto libero da quattro anni più quattro, previsto dalla citata legge di riforma delle locazioni, diviene un quadriennale secco da stipulare sulla base del codice civile. Ma una parte consistente degli stessi beneficiari, individuati dal presente decreto, di fatto, ne sono esclusi, proprio perché non dispongono di un reddito sufficiente per accedere alla locazione di una nuova unità immobiliare, requisito, quello del basso reddito, che è posto come condizione per poter usufruire del cosiddetto beneficio.

La domanda è d’obbligo: se tutti gli studi di settore affermano che in Italia la media dei canoni di locazione privati è di 1.025 euro al mese, il Governo ci sa dire come può una famiglia con un reddito di circa 20.000 euro lordi pagare un canone a canale libero che costituirebbe almeno l’80 per cento del reddito?

Inoltre, il decreto propone una soluzione comunque transitoria, sia per il tipo di contratti previsti che per il contributo alla locazione che è "una tantum"; ma questa transitorietà ha senso se i soggetti beneficiari utilizzano i contratti previsti per abitare in alloggi volano in attesa di un alloggio pubblico: infatti, la maggior parte degli sfrattati a cui si rivolge il decreto hanno caratteristiche soggettive e redittuali tali da poter essere inseriti nelle graduatorie dei bandi ERP.

Se questi contratti non vengono, con un atto formale, considerati un passaggio all’alloggio pubblico, questi soggetti perdono il punteggio da sfratto. Non formalizzare questo passaggio vanifica di fatto lo stesso decreto perché ci troveremo di fronte all’indisponibilità di questi soggetti a dover rinunciare ad una prospettiva di fuoriuscita dalla precarietà alloggiativa e dal caro fitti.

A questo punto vogliamo chiedere al Governo come si possano concedere agevolazioni e contributi senza alcuna garanzia di calmieramento degli affitti; come si può chiedere agli sfrattati di pagare canoni impossibili e di proporre la stipula di contratti per una durata massima di 18 mesi; come si può chiedere ai Comuni di trovare case in affitto in poche settimane e subire l’onta di vedere gli sportelli sfratti dati in gestione agli IACP o ATER; come si può continuare ad assistere da mesi al balletto dei famosi 110 milioni di euro che dovevano essere reintrodotti nel fondo nazionale per il contributo affitto e che invece ora vanno nelle tasche dei proprietari, che affittano per un anno e magari pagheranno anche un’aliquota IRPEF del 12,5 per cento.

Presidenza del vice presidente FISICHELLA

(Segue MALABARBA). In realtà, anche con questo decreto-legge il Governo risponde agli appetiti voraci della rendita e della speculazione edilizia, mentre si appresta ad un ulteriore salto di qualità con finte sanatorie per affitti in nero e con vere regalie al libero mercato con la previsione dell’aliquota IRPEF al 12,5 per cento per i cespiti da contratti liberi.

Se a questo aggiungiamo il sistematico azzeramento di qualsiasi programma e finanziamento di edilizia residenziale pubblica e le forsennate privatizzazioni con le cartolarizzazioni d'immobili pubblici, il quadro diventa chiaro. Alle famiglie di sfrattati non viene data alcuna chance, alcuna possibilità di uscire dal limbo della precarietà.

È altresì utile ricordare che la questione sfratti in Italia non si esaurisce di certo con quelli per finita locazione, sentenziati nei confronti di famiglie economicamente e socialmente deboli. I conduttori di alloggi privati sono in Italia poco meno di tre milioni. Le sentenze di sfratto emesse dal 1983 al 2002 sono state oltre un milione e mezzo: l'esperienza delle sfratto è stata vissuta, quindi, dal 51 per cento della quota di famiglie in affitto. Nello stesso periodo, dal 1983 al 2002, circa 365.000 famiglie hanno subito lo sfratto con la forza pubblica. Nel solo 2002 le nuove sentenze di sfratto sono state circa 40.000 e gli sfratti eseguiti circa 20.000.

Ma ciò che ci fa comprendere come la questione sfratti sia una questione strutturale e non emergenziale è quello che deriva dagli sfratti per morosità. Infatti, quest'ultima tipologia di sfratti dal 1997 ad oggi ha visto un'impennata rispetto all'azzeramento invece di quelli per necessità e il dimezzamento di quelli per finita locazione.

Un dato su tutti: nel 2002 le nuove sentenze di sfratto hanno riguardato nel 30 per cento dei casi gli sfratti per finita locazione, nel 2 per cento dei casi le necessità e nel 68 per cento dei casi le morosità. Questi numeri, che celano il dramma di centinaia di migliaia di famiglie italiane, ci permettono di dire che non solo state affrontando la questione sfratti con provvedimenti assolutamente insufficienti, ma che state nascondendo una realtà ben più drammatica e complessa.

Rifondazione Comunista, in accordo con l'Unione inquilini e gli altri sindacati inquilini, ritiene che il decreto abbia dei limiti gravissimi e che pertanto debba essere riscritto. Negli emendamenti che abbiamo presentato, e che in questo modo do anche per illustrati, signor Presidente, chiediamo che il decreto: garantisca a conduttori contraenti il mantenimento dei punteggi eventualmente acquisiti con la partecipazione ai bandi ERP; aumenti la platea dei potenziali beneficiari, dando rilevanza essenziale al reddito dei nuclei familiari; preveda un periodo sperimentale congruo, durante il quale i soggetti potenzialmente beneficiari usufruiscano di una sospensione dell'esecuzione dello sfratto; affidi ai Comuni la gestione di tutte le operazioni contemplate nel decreto; ammetta nelle tipologie dei contratti solo quelli realizzati con l'intermediazione del Comune e a canone concordato, eliminando le agevolazioni per contratti a libero mercato; realizzi una copertura finanziaria autonoma, non sottraendo risorse al Fondo nazionale per il contributo all'affitto.

In caso di non accoglimento di queste proposte, a nostro avviso essenziali, la nostra valutazione del decreto sarà decisamente contraria.

PRESIDENTE. E' iscritto a parlare il senatore Turroni. Ne ha facoltà.

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, io ricordo cosa accadde nella scorsa legislatura quando ci si occupò degli sfratti e della loro proroga e ricordo anche di essermi divertito - se possiamo usare questo termine - in questa legislatura, a leggere i resoconti stenografici delle dichiarazioni che furono pronunciate, a proposito della proroga degli sfratti, nei due rami del Parlamento da numerosi esponenti della maggioranza, tra cui anche attuali componenti del Governo.

Non ho citato tutto questo al solo scopo di mettere alla berlina persone che hanno troppo repentinamente cambiato idea e posizione di fronte a problemi veri, ma per sottolineare come mancasse una politica riguardo ai problemi abitativi.

Si era tentato nella scorsa legislatura di affrontare il problema con una legge che - mi permetto di dire - non ha funzionato, anche perché troppo scarse sono state le risorse destinate alla sua attuazione. Ma soprattutto trovo assolutamente mancante una qualsivoglia politica che riguardi l'edilizia residenziale pubblica, quella che effettivamente serve nei casi di disagio abitativo, quella che deve garantire la mobilità dei cittadini all'interno del Paese, quella che deve garantire sicurezza agli strati sociali più deboli, quella che deve garantire il diritto all'abitazione, che è senz'altro uno dei diritti fondamentali dei cittadini del nostro Paese. Diritto riconosciuto in altri Paesi, in cui il patrimonio edilizio pubblico è abbondante, ben fatto, funzionante, ben gestito, e non si tratta certamente di Paesi comunisti, come direbbe il Presidente del Consiglio, né di Paesi nei quali regna una concezione esageratamente pubblica della gestione dei problemi della collettività.

Sto pensando all’Inghilterra, alla Francia, all’Olanda, al resto dei Paesi nordici, nei quali un’attenta politica di gestione del patrimonio edilizio pubblico, che è assai rilevante, consente a tutti di trovare una soluzione ai propri problemi, senza che si verifichino situazioni penose come quella che stiamo affrontando oggi con questo decreto.

Quindi, assenza di una politica abitativa degna di questo nome e di un grande Paese che ha grandi risorse, ma, soprattutto, che ha oltre 5 milioni e mezzo di alloggi non occupati. Si tratta di un numero altissimo, soprattutto se si pensa che moltissimi altri alloggi non occupati non sono censiti catastalmente e che grazie all’azione di strangolamento di questo Governo nei confronti delle amministrazioni locali queste ultime sono sempre più indotte a inserire nuove aree edificabili nei piani regolatori, a consentire nuove edificazioni, anche se non ve n’è la necessità, per l’esigenza inderogabile di poter far cassa attraverso i contributi di concessione e l’ICI.

Dovremmo essere capaci di guardare a queste politiche nel loro complesso, perché una buona, decente, adeguata politica abitativa potrebbe anche consentire un massacro minore del nostro territorio, una sua minore cementificazione (usiamola ancora questa parola), una minore distruzione del suolo.

Tali aspetti si tengono tutti insieme, non ve n’è uno che prevalga rispetto agli altri; cercare di risolvere i problemi in maniera settoriale non dà mai, in alcun caso, una risposta, non riuscendosi quasi mai a risolvere adeguatamente le grandi questioni che ci riguardano: il diritto alla casa, il buon uso del territorio, il rispetto delle sue caratteristiche e della natura in quanto tale.

Signor Presidente, detto questo - perché non potevo non fare riferimento all'assenza di una politica abitativa, cioè di una politica che si occupi di una delle esigenze primarie dei nostri cittadini, nonché di una capacità più generale di saper guidare il nostro Paese fuori da una situazione di emergenza - affronto il tema del decreto-legge n. 240 del 2004, definito "sfratti".

Questo Governo non ha prorogato il blocco degli sfratti per le categorie disagiate, che è scaduto il 30 giugno scorso, e ha invece atteso la metà di settembre per varare un decreto-legge atteso da oltre 25.000 nuclei familiari.

Nel decreto vengono previsti buoni casa e agevolazioni fiscali, ma il punto più evidente è che solo gli inquilini che formuleranno una proposta irrevocabile per la stipula di un nuovo contratto di affitto avranno diritto ad un differimento dello sfratto eventualmente in corso nei loro confronti. Soprattutto, tale differimento è limitato al 31 ottobre 2004, una data ormai vicinissima, che quindi deve essere assolutamente posticipata, nel corso dell’iter parlamentare, per un periodo congruo.

Il decreto muove i suoi passi da una sentenza della Corte costituzionale, la n. 155 del 2004, con la quale è stata dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, del decreto-legge n. 122 del 2002 ("Disposizioni concernenti proroghe in materia di sfratti, di edilizia e di espropriazione"), convertito, con modificazioni, nella legge n. 185 del 2002, sollevata dal tribunale di Firenze accogliendo un’eccezione di incostituzionalità promossa in causa dall’avvocato del Coordinamento legali della Confedilizia.

Il tribunale, sollecitato dal legale di Confedilizia, aveva rilevato come le misure vincolistiche si giustificassero soltanto in ragione del loro carattere straordinario e temporaneo, che sarebbe viceversa escluso dalla loro continua reiterazione, espressione questa di una tendenza legislativa ad utilizzare lo strumento della sospensione come ordinaria soluzione del problema degli alloggi. Il tribunale, infine, richiamando l'articolo 3 della Costituzione, giudicava lesi i diritti del locatore che si trovava ad agire per ottenere lo sfratto contro inquilini appartenenti a categorie disagiate.

La Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione ricordando che la sospensione delle procedure di rilascio può trovare giustificazione se incide sul diritto alla riconsegna dell’immobile "per un periodo transitorio ed essenzialmente limitato".

La Corte non ha bocciato il decreto di proroga, ma ha sottolineato come fosse doverosa, nei provvedimenti succedutisi nel corso del tempo, una comparazione tra la condizione del conduttore e quella del locatore, nonché la previsione di "congrue misure" che alleviassero il "sacrificio" dei locatori. Questo la Corte chiedeva e questo sarebbe stato opportuno fare.

Si è invece scelta una diversa via, alla quale si mirava da tempo. Anche a volersi muovere in quest'ottica, era allora necessario che alla ritualità delle proroghe si sostituissero provvedimenti coordinati ed efficaci per valorizzare i contratti agevolati a canone "calmierato", prevedendo misure tali da venire incontro alle esigenze del locatore. Così non è accaduto.

Si è invece partorito un decreto che moltiplica le forme contrattuali fino a renderle una giungla inestricabile, modifica la legge quadro n. 431 del 1998 (senza che mai essa sia stata pienamente finanziata ed applicata) ed in più fissa termini temporali tali da rendere inesistente la tutela delle categorie disagiate.

Di fatto Confedilizia ritiene che si sia in presenza di una svolta epocale, e dal suo punto di vista non ha torto. I nuovi contratti che potranno essere stipulati a favore dei conduttori delle categorie disagiate sono di cinque tipi: due tipi potranno essere stipulati coi proprietari dai Comuni (che li dovrebbero assegnare agli inquilini con atti di concessione amministrativa, garantendo "direttamente" ai proprietari il pagamento del canone ed il puntuale rilascio dell'immobile alla scadenza del contratto); altri tre tipi potranno essere stipulati dagli inquilini con i loro attuali locatori o con qualsiasi proprietario. Tra questi, bontà sua, il Governo si ricorda di citare anche quelli previsti dalla legge n. 431, con canone stabilito dagli accordi territoriali tra Confedilizia e sindacati degli inquilini.

A questa pletora contrattuale vanno le esigue risorse finanziarie del decreto: in pratica i contratti calmierati dovranno dividere i finanziamenti con i contratti a canone libero. E si badi che il riferimento è stato fatto al codice civile, sottraendo quindi ai conduttori (parliamo di categorie disagiate, con anziani e handicappati) anche le residue garanzie della legislazione speciale.

I beneficiari potenziali del decreto rischiano di essere molto pochi, innanzi tutto perché si escludono soggetti che sono entrati in precarietà nella fase 2000-2004 (nonostante il trend patologico di incremento dei valori immobiliari) .

I requisiti economici richiesti parlano di 20.000 euro annui di reddito familiare, ma si tratta di una cifra lorda, che va quindi ridimensionata a circa 12.000 euro netti, il che significa 1.000 euro al mese. I contratti di locazione, oggi, si aggirano proprio intorno a questa cifra per un bilocale. Come si vede, si tratta di somme ridicole a fronte dei prezzi di mercato. Questo in attesa che il Governo Berlusconi, oltre all'abbattimento del 15 per cento già riconosciuto, riduca l'imposta sulle locazioni al 12,5 per cento, abbattendo di circa un terzo la tassazione sulle rendite del locatore.

Bisogna, quindi, ampliare immediatamente la platea dei beneficiari della sospensione, provvedendo anche ad includervi quanti sono stati oggetto di una sentenza di sfratto fino all'entrata in vigore della legge di conversione. Manca nel decreto una congrua fase di sperimentazione: il termine del 30 ottobre indicato già allora come conclusivo era ed è tuttora un fixing irragionevole.

Inoltre, il modesto contributo va a sostegno di una soluzione comunque transitoria, sia per il tipo di contratti previsti (ad esempio vengono escluse le proroghe ed i rinnovi) sia perché la somma stanziata è una tantum. La transitorietà avrebbe un senso solo se i soggetti beneficiari potessero utilizzare i contratti previsti in attesa di un alloggio pubblico, poiché la quasi generalità degli sfrattati a cui si rivolge il decreto hanno caratteristiche soggettive e reddituali tali da essere utilmente inseriti nelle graduatorie dei bandi per gli alloggi di edilizia economica e popolare.

Il fatto paradossale è che i soggetti che stipulano i contratti previsti dal decreto rischiano seriamente di perdere il punteggio da sfratto, che è determinante ai fini delle graduatorie per un alloggio pubblico. Si rischia cioè di vanificare lo stesso decreto, visto che nessuno se ne vorrà avvalere a tale prezzo. A meno che questa non sia la segreta speranza del legislatore e di Confedilizia.

Cattivi pensieri a parte, il punto merita una riflessione ed una correzione e a tal fine abbiamo presentato emendamenti, tesi anche a tutelare quanti hanno subito una sentenza di sfratto dopo il 30 giugno, i quali sono oggi del tutto scoperti davanti alla legge. Se poi la data finale per stipulare i nuovi contratti e ottenere una dilazione nell'esecuzione (termine assurdo del 30 ottobre, già più volte lo abbiamo detto) venisse fatta slittare solo di qualche mese non coprirebbe l'esigenza di una vera sperimentazione del meccanismo contrattuale del decreto.

È quindi necessario un congruo differimento che, come abbiamo visto, la Corte costituzionale non ha mai radicalmente escluso. Riteniamo, inoltre, inaccettabile ricavare parte dei finanziamenti (110 milioni di euro) da quelli stanziati - e del tutto insufficienti - per il Fondo nazionale di sostegno all'accesso alla locazione previsto dalla legge n. 431 del 1998. Il Governo deve assolutamente proporre una diversa copertura.

Ma è anche inaccettabile ammettere al contributo la tipologia dei contratti a libero mercato (regolati dal solo articolo 1571 del codice civile). Riteniamo anche che sia necessario il coinvolgimento dei Comuni, togliendo agli Istituti autonomi case popolari funzioni incongrue per le quali non c'è nemmeno personale disponibile.

I nostri emendamenti sono dunque finalizzati a ridurre i limiti gravissimi del decreto, al fine di garantire ai conduttori il mantenimento dei punteggi eventualmente acquisiti per i bandi di edilizia pubblica; aumentare la platea dei potenziali beneficiari (dando rilevanza essenziale al reddito dei nuclei familiari); affidare ai Comuni la gestione di tutte le operazioni; ammettere nelle tipologie dei contratti solo quelli realizzati con l’intermediazione del Comune e a canone concordato; ripristinare le risorse del Fondo nazionale per il contributo all'affitto.

In tal senso vanno le proposte emendative che non hanno alcuno spirito ostruzionistico, specialmente nella prospettiva di correzioni concordate tra le parti politiche e sociali. Correzioni che sono indispensabili poiché, a parte il fatto che con l'esigua proroga di 45 giorni non è possibile mettere in campo alcuna seria misura alternativa per le famiglie, con la decretazione d'urgenza, che dovrebbe essere strettamente limitata a situazioni contingenti, si rischia di scardinare l’intera normativa sulle locazioni. Il tutto scaricando il peso del problema sui Comuni, che non beneficeranno però di alcuna risorsa aggiuntiva per fronteggiare l'emergenza e che devono per di più già fare i conti con i considerevoli tagli ai trasferimenti effettuati dal Governo con le ultime finanziarie.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Cavallaro. Ne ha facoltà.

CAVALLARO (Mar-DL-U). Signor Presidente, il provvedimento di cui oggi si occupa l’Assemblea, come è già stato chiarito, interviene in materia di blocco degli sfratti.

Esso tenta di prestare ossequio alle note pronunzie della Corte costituzionale (in particolare le sentenze nn. 155 del 2004, 62 del 2004 e 310 del 2003), rifuggendo dal cosiddetto blocco generalizzato degli sfratti che, per la verità, non è lo scopo precipuo delle pronunzie della Corte quali, come è stato ricordato, si limitano a richiamare la necessità di una comparazione e di un bilanciamento tra interessi meritevoli di tutela e, soprattutto, tutti costituzionalmente previsti e sanciti.

Ovviamente, come tutti gli interventi che, invece di risolvere alla radice un problema sociale, subentrano nella fase patologica e finale di un rapporto, in questo caso normativo, è questo un intervento strategicamente e strutturalmente improprio, anche perché interseca, necessariamente, questioni di natura civilistica e processuale e non incide invece sulla questione reale, quella del disagio abitativo. Quest’ultimo non è un fenomeno contrattuale - non esiste conduttore che ami essere sfrattato - ma piuttosto socio-economico.

Credo però sia innegabile, come è stato già rilevato da altri colleghi intervenuti in discussione generale, non solo per una considerazione statistica, ma anche per la percezione del fenomeno, che purtroppo esso è tutt’altro che in fase di estinzione e di liquidazione. Vi è, ahimè, il congiunto fenomeno dell’aumento della mobilità e della ricerca di contratti più remunerativi e, quanto a tipologia, meno vincolanti. Inoltre, la drammatica diminuzione del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni rende la situazione molto più grave rispetto al più recente passato.

L’intervento, che dovrebbe essere circoscritto ad una fase contrattuale remota che interessa una platea che va dai 25.000 ai 30.000 soggetti, in realtà, è destinato ad occuparsi di una ben più vasta tipologia e casistica di soggetti. Anche sotto questo profilo non si può certamente ritenere, quindi, che la scelta dello strumento del decreto-legge sia adeguata.

Non per fare del "benaltrismo", ma tutti noi sappiamo - e lo ricordo nel momento in cui ci occupiamo di una questione puntuale - che mai come in questo caso è ben altra la strategia da adottare per risolvere questo tipo di problematiche: da interventi che incentivino la proprietà immobiliare privata, per la quale - com’è noto - il nostro Paese mostra una particolare propensione, con una conseguente rigidità del mercato locativo molto più alta rispetto a quella di altri Paesi europei, al rilancio del sistema abitativo di edilizia residenziale pubblica, da alcuni anni in stato comatoso.

Gli enti si limitano ad amministrare i patrimoni; le dismissioni effettuate o progettate non consentono di ricostituire quel patrimonio, altro punto cardine per una lotta effettiva alle problematiche che gli sfratti sollevano.

Infine, si dovrebbe prevedere un intervento sulle dinamiche contrattuali favorendo, ovviamente mediante sostegno, canoni calmierati, incoraggiando in vario modo tipologie contrattuali che siano vantaggiose non soltanto per i conduttori, sollevandoli da un onere sovente insostenibile, ma che possano anche soddisfare specifici interessi dei locatori.

Tutto ciò non solo per prestare ossequio ai ricordati princìpi della Corte costituzionale, ma per ribadire che il nostro Gruppo certamente non intende in alcun modo percorrere la scorciatoia politica ed istituzionale di un Parlamento che pone a carico di una categoria la soluzione di un problema di carattere generale.

Non si può quindi - perché sarebbe ingiusto - scaricare sui locatori necessità, effetti e conseguenze di un eventuale, ulteriore provvedimento di natura emergenziale, come quello di cui ci stiamo occupando, soprattutto in considerazione del fatto che non esistono categorie sociali indefinite, composte di conduttori e di locatori, poiché dietro ogni rapporto vi sono storie, umanità e sofferenze.

Dobbiamo pertanto tentare di mettere in piedi un’architettura di carattere generale che risolva possibilmente questi problemi in via generale e non si limiti ad intervenire in maniera precaria e approssimativa.

Il decreto-legge tenta poi di scaricare in parte sui Comuni la soluzione del problema, sostituendo la figura incerta e discutibile del rapporto contrattuale con la concessione amministrativa. Non vorrei essere, dal momento che sono anche amministratore locale, cattivo profeta nel chiedermi quando e come gli enti locali riusciranno a gestire un sistema di concessioni amministrative e, soprattutto, come riusciranno a rendere tali concessioni cogenti quando esse, come i contratti, giungessero a uno stato patologico finale.

Più in generale, come è stato detto, il decreto-legge moltiplica una già affollata giungla di tipologie contrattuali, ne stabilisce alcune, qualifica come soggetti interlocutori privilegiati i Comuni, ma - come sempre accade - non assegna significative e consistenti risorse affinché tale funzione e tale impegno vengano portati a compimento e, soprattutto, presenta ancora alcune notevoli incertezze che abbiamo segnalato con una serie di emendamenti, che anche noi riteniamo assolutamente non ostruzionistici, bensì additivi e propositivi.

La questione finale, ovviamente, è quella di mettere a disposizione più significative risorse e, soprattutto, individuare un percorso per cui si possa, a regime, uscire dall’ormai storica necessità di alternare provvedimenti di proroga del blocco degli sfratti a "non provvedimenti", come in questo caso è stato definito quello in esame, dal momento che stiamo intervenendo quando già è spirato l’ultimo termine concesso ed è quindi prevedibile che il disagio diventi drammatico ed esplosivo se non si interviene rapidamente.

Le questioni più note - almeno una certa dilazione del termine previsto e un intervento più significativo - sono tutte chiarissime e segnalate nei nostri emendamenti, così come un maggiore sostegno alle dinamiche contrattuali, se i Comuni devono rendersi protagonisti della situazione.

È anche e soprattutto dall’atteggiamento della maggioranza sulle nostre proposte che valuteremo, alla fine, come esprimere il nostro voto finale sul provvedimento in esame, che comunque non ci soddisfa e non ci piace. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Gasbarri. Ne ha facoltà.

GASBARRI (DS-U). Signor Presidente, colleghi, il decreto-legge che stiamo esaminando riguarda misure per affrontare il disagio abitativo - si dice - di alcune precise categorie sociali, così come lo stesso articolo 1 del decreto le definisce.

Il Governo è intervenuto con un ritardo di alcuni mesi in materia di sfratti. Il 30 giugno scorso è scaduta, infatti, l’ultima proroga possibile dell’esecuzione degli sfratti; quella varata dal decreto-legge n. 147 del 2003 è stata l’ultima proroga possibile, perché la Corte costituzionale recentemente, per la precisione lo scorso febbraio, ha fatto presente che nuove proroghe sarebbero state costituzionalmente illegittime.

Il decreto-legge in esame interviene, quindi, in una situazione di disagio abitativo delimitando l’area di operatività delle misure in esso previste a chi sia, o abbia nel proprio nucleo familiare, ultrasessantacinquenne o handicappato grave, e non disponga di altra abitazione o di reddito sufficiente per l’affitto di una nuova casa.

È già questo un primo limite del decreto: i suoi beneficiari, infatti, saranno molto pochi, anche se, come è emerso nel corso delle audizioni, è difficile, se non impossibile, avere dati certi. Molto pochi, perché esso esclude dalla platea del disagio abitativo su cui interviene tutti gli sfratti per morosità, la cui lievitazione avrebbe dovuto far mettere in primo piano il sostegno alle categorie maggiormente disagiate dal punto di vista socioeconomico, inserendo criteri di valutazione legati alle caratteristiche reddituali, ed estendendoli alla platea degli iscritti nelle liste di mobilità, a chi percepisce un trattamento di disoccupazione o di integrazione salariale, alle famiglie monoreddito. E per far ciò, sarebbe stata necessaria una sola operazione: aumentare il finanziamento del Fondo nazionale ex lege n. 431 del 1998, il cosiddetto Fondo sociale di contribuzione all’affitto.

Era - ripeto - l'unica operazione da fare. Vi sarebbe stato poi tutto il tempo necessario per avviare quella partecipazione attiva delle parti sociali, la discussione sul necessario completamento della riforma che regola l'intervento pubblico in materia di politiche sociali della casa.

La strada scelta dal Governo è stata un'altra. Ha ridotto la dotazione del Fondo sociale di 110 milioni di euro e premiato, con agevolazioni fiscali e contributi diretti, i contratti transitori e a canone libero, ritenuti da molti la causa non secondaria del caro affitti, degli sfratti e del disagio abitativo; una delle scelte che caratterizzano l'azione di un Governo, che fa finta di ignorare che, da una parte, lo snellimento delle procedure di esecuzione degli sfratti per finita locazione e, dall'altra, la dismissione del patrimonio immobiliare da parte degli enti previdenziali pubblici hanno originato una situazione in cui a pagare il prezzo maggiore sono le categorie disagiate, cioè tutti quelli che non hanno le risorse economiche per stipulare un contratto a libero mercato, perché non trovano più un ammortizzatore sociale del settore nel patrimonio immobiliare pubblico.

L'associazione dei Comuni italiani ha criticato con forza questo punto. Invece di stanziare fondi aggiuntivi, togliendo soldi alle famiglie già in graduatoria per i contributi di sostegno all'affitto, si compie il "miracolo" di affrontare l'emergenza creandone un'altra.

È facile ravvisare in ciò la volontà di questo Governo di scaricare il peso dell'emergenza sfratti sui Comuni che hanno visto il Fondo sempre più ridotto da finanziarie come quella per il 2005 che si sta esaminando in questi giorni, che per i Comuni prevede tagli rilevanti ai trasferimenti. Andava e va fatta, viceversa, una distinzione tra le risorse destinate al Fondo e le risorse aggiuntive alternative per l'emergenza sfratti.

Si è introdotto un nuovo ruolo degli ex IACP, la gestione degli sportelli per l'emergenza sfratti, trascurando il ruolo svolto in tutti questi anni dai Comuni che hanno il personale e l'esperienza. Invece, per gli ex IACP questo è un servizio tutto da inventare. Si tratta dello sportello di assistenza agli sfrattati, come definito all'articolo 1, per l'erogazione dei contributi previsti all'articolo 3, comma 1, e all'articolo 2, comma 8.

La decisione di affidare agli ex Istituti per le case popolare l'erogazione materiale dei contributi è stata giustamente definita una scelta infelice. Secondo la Conferenza Stato-Regioni, che ha espresso un parere negativo sul decreto-legge in esame, tale procedura ripropone ancora una volta un modello centralista che tende a far recuperare allo Stato un ruolo gestionale, ignorando completamente la competenza attribuita alle Regioni in materia di politiche abitative.

Da anni, ormai, sono i Comuni che censiscono i cittadini sfrattati, che elaborano le istruttorie, che provvedono ad assegnare le case popolari e a erogare i contributi. L'aver introdotto questa nuova funzione per gli ex IACP avrà come unico effetto quello di creare confusione e intralci burocratici.

Il decreto, inoltre, introduce un meccanismo estremamente complicato, con cinque nuovi tipi di contratto di locazione che vanno ad aggiungersi alle tipologie contrattuali previste dalla legge n. 431. Invece di avviare, presentando un disegno di legge apposito, il completamento della riforma della disciplina che regola l'intervento pubblico in materia di politiche sociali della casa, anche per superare le forti contrapposizioni che segnarono nel 1998 il varo della legge n. 431, si è scelto lo strumento del decreto-legge per infilarvi norme che stanno avendo soltanto l'effetto di riaprire, oltre che acuire, la tensione sociale, in particolare quella degli inquilini e delle loro associazioni.

Parlo di completamento della riforma perché la legge n. 431 è di fatto l'avvio del processo riformatore nel settore della casa. Se il Governo avesse imboccato la via maestra del confronto parlamentare e del colloquio con tutte - sottolineo tutte - le parti sociali avrebbe facilmente registrato la nostra disponibilità.

Quello che sempre ci ha orientato è la convinzione che se di regola non può che essere il mercato a stabilire il punto di equilibrio della domanda e dell'offerta, pur tuttavia, soprattutto nel delicato settore degli affitti (delicato perché presenta rilevanti aspetti di disagio sociale), l'intervento tempestivo dello Stato è necessario per evitare che il problema della casa diventi una vera e propria bomba sociale.

L'intervento dei Governi di centro-sinistra è culminato nel 1998 nella già ricordata legge n. 431 che ha reso possibile determinare il superamento della normativa del cosiddetto equo canone, nata per calmierare il mercato della casa, ma poi diventata causa di paralisi e blocco dello stesso.

Con il superamento dei cosiddetti patti in deroga e con l'individuazione del doppio regime - canone libero e canone concordato - la legge ha consentito di passare di fatto da un regime vincolistico ad una tendenziale liberalizzazione del canone, permettendo sia ai proprietari sia agli affittuari di vedere riconosciuti i loro diritti.

Con il decreto-legge in esame la maggioranza di centro-destra e il Governo hanno, viceversa, fatto le prove generali non del completamento della riforma, bensì della disarticolazione della legge n. 431, sposando le motivazioni di una sola delle parti in causa, senza preoccuparsi di mettere in campo il necessario senso di responsabilità e la ricerca dell'equilibrio fra i vari e contrapposti interessi e i soggetti in campo, responsabilità ed equilibrio che sono stati determinanti per il varo, appena sei anni fa, di un'attesa riforma del mercato degli affitti.

Da ultimo, l'articolo 6 del decreto-legge prevede un regime transitorio fino al 31 ottobre 2004 per favorire la sottoscrizione dei nuovi tipi di contratto di locazione previsti dall'articolo 2 del presente decreto. Infatti, si stabilisce che le procedure di sfratto possono essere differite al massimo fino al 31 ottobre 2004 e quindi solo entro tale data si può evitare lo sfratto sottoscrivendo nuovi tipi di contratto di affitto.

È una scelta assurda e a un tempo assolutamente insufficiente. Se si vuole prevedere un regime transitorio reale, la sospensione dei provvedimenti esecutivi di sfratto non può che essere stabilita fino al prossimo 30 giugno. Solo così si potrà consentire realmente la messa a regime delle misure contenute nel decreto, relative ad una soluzione alloggiativa e contrattuale alternativa.

Signor Presidente, colleghi, quelle che ho illustrato sono solo alcune delle perplessità nutrite dal Gruppo dei Democratici di Sinistra su un provvedimento che, pur in ritardo, interviene comunque su un problema delicato come quello degli sfratti o del disagio abitativo che dir si voglia.

Dalla lettura complessiva del decreto-legge si evince nettamente che da parte del Governo vi è una visione unilaterale del problema, unilateralità che è all'origine della scelta singolare, oltre che grave, di ignorare che il nodo della questione del disagio abitativo è il caro-affitti. Invece di porvi un freno si portano reiterati attacchi alla contrattazione e al canale aggirato degli affitti, l'unico in grado, come testimoniato dalle varie associazioni degli inquilini, di calmierare il mercato.

È poi naturale, a fronte di questa linea del Governo di centro-destra, che le associazioni degli inquilini rilancino in questi giorni la raccolta di firme per la petizione popolare con cui propongono il superamento del canone a libero mercato. Anche per questo parlavamo di necessità di equilibrio e di prudenza.

Il nostro giudizio nel tramutarsi in voto terrà nel debito conto il comportamento in Aula del Governo e della sua maggioranza durante l'esame degli emendamenti che abbiamo responsabilmente presentato. (Applausi dal Gruppo DS-U).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Manzione. Ne ha facoltà.

MANZIONE (Mar-DL-U). Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli senatori, potremmo cominciare dicendo che ormai si è perso il conto. Potrebbe essere questo il titolo del provvedimento che oggi stiamo esaminando in Aula in discussione generale. Ormai nessuno ricorda più se sono 36 o 37 i provvedimenti di proroga degli sfratti emanati finora.

Effettivamente non c’è certezza e probabilmente solo il Governo sarà in grado di operare una ricognizione quantitativa accurata e potrà precisare il dato, anche se sappiamo che lo stesso Governo parla di mera sospensione tecnica dei provvedimenti di rilascio degli immobili e non di sospensione degli sfratti in questo decreto-legge 13 settembre 2004, n. 240, che porta il chilometrico titolo "misure per favorire l’accesso alla locazione da parte di conduttori in condizioni di disagio abitativo conseguente a provvedimenti esecutivi di rilascio, nonché integrazioni alla legge 9 dicembre 1998, n. 431".

Fatto sta che le associazioni dei conduttori, gli inquilini, lo considerano un provvedimento truffa perché non affronta compiutamente il problema, che non viene e non verrà probabilmente risolto. Le associazioni dei proprietari lo ritengono insoddisfacente perché rappresenta un’ennesima proroga camuffata. I giuristi affermano che sostanzialmente questo provvedimento aggira le precise indicazioni ribadite dalla Corte costituzionale che ha diffidato il legislatore a non prevedere ulteriori proroghe generalizzate e indeterminate.

La Corte, con la sentenza n. 310 del 2003, ha infatti osservato come il legislatore, pur dovendosi far carico delle esigenze di coloro che si trovano in condizioni particolari di disagio, anche attraverso agevolazioni, non possa tuttavia indefinitivamente limitarsi, per di più senza alcuna valutazione comparativa, a trasferire l’onere relativo in via esclusiva a carico del privato locatore che potrebbe trovarsi in condizioni identiche o anche peggiori di disagio.

È l’ANCI, infine, che precisa come il Governo stia tentando di scaricare sugli enti locali tutte le conseguenze di quel disagio abitativo che non è stato correttamente affrontato con una seria politica per la casa. Questo appare, allo stato, il panorama rappresentato dal provvedimento che stiamo discutendo, così come viene percepito dai diversi angoli visuali.

Certo, vice ministro Tassone e rappresentanti della maggioranza, il problema è annoso e il numero stesso delle proroghe dimostra che non è una questione creatasi in questo momento storico, tuttavia le scelte strategiche di politica economica del Governo lo rendono, secondo me, ancora più complesso e più intrigato.

In questi tre anni di Governo Berlusconi, infatti, il disagio economico è diventato sempre più forte, i poveri sono sempre più poveri ed anche l’incontestabile perdita di potere di acquisto della nostra moneta induce i locatori proprietari a non considerare più remunerative le somme incassate quali corrispettivi per i vecchi contratti di locazione.

Ecco perché, obiettivamente, la situazione è intrigata ed il contesto, che nasce per responsabilità di questo Governo di centro-destra, rende ancora più difficile l’approccio a questa materia.

Quindi, pur non condividendo il provvedimento, come non lo condivido, cercherò di contribuire a migliorarlo e chiedo al Governo, e quindi a lei vice ministro Tassone, innanzitutto di allargare la platea dei conduttori ritenuti economicamente disagiati, considerando almeno le famiglie numerose, quelle monoreddito e quelle con malati cronici o gravi; di modificare il termine del 31 ottobre, giacché collocato a mio avviso impropriamente all’interno del provvedimento e dell’efficacia del decreto; di prevedere una comparazione, come chiedeva la Corte costituzionale, fra le condizioni disagiate del conduttore inquilino e quelle eventualmente disagiate del proprietario locatore; di rivedere poi le tipologie contrattuali di cui all’articolo 2, con particolare riferimento a quelle che prevedono la preventiva acquisizione da parte dell’ente Comune e la concessione amministrativa, che ci sembra più un refuso sostanziale che non un istituto giuridico realmente applicabile nella fattispecie in esame.

Occorre poi rivedere quantitativamente gli incentivi diretti previsti dal comma 3 dell'articolo 3, meglio specificati quantitativamente dall'articolo 4, assegnandoli in alcuni casi direttamente al conduttore, ed ancorandoli comunque anche alla durata del contratto. Infatti, se venissero considerati, così come sono considerati, interventi e contributi una tantum, a prescindere dalla durata e senza tener conto dell'annualità, sicuramente non potrebbero considerarsi idonei a risolvere un problema così grande.

Prima di concludere vorrei però chiedere direttamente al Governo e ai relatori, i colleghi Specchia e Mugnai, se queste misure, obiettivamente difficili, sono state in qualche modo già confrontate con le associazioni degli inquilini conduttori e dei locatori proprietari. Mi sono infatti sempre chiesto che cosa accadrà di questo provvedimento se i proprietari, come sembra, dovessero non aderire alle proposte degli inquilini di rinnovo dei contratti.

È del tutto evidente che, non essendo previsto né prevedibile per i proprietari un obbligo alla stipula, un atteggiamento di scarsa disponibilità di questi ultimi vanificherebbe completamente la portata del decreto-legge.

Ed allora, disponibilità a migliorare il decreto, bisogno però di chiarezza rispetto a scelte che non condividiamo, ma rispetto alle quali non assumeremo nessun atteggiamento ostruzionistico. (Applausi della senatrice Baio Dossi).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il sentore Moncada. Ne ha facoltà.

MONCADA (UDC). Signor Presidente, il disegno di legge n. 3106, oggi alla nostra attenzione, è di particolare delicatezza perché se da un lato vuole e deve (soprattutto dopo una sentenza della Corte suprema) rispettare la libertà di disporre di una proprietà spesso costruita con grandi sacrifici, dall'altro coinvolge un mondo sociale a basso reddito composto sovente da persone anziane (non userò, signor Presidente, il termine "ultrasessantacinquenni" perché, avendo settantatré anni, questo termine mi infastidisce).

Il decreto in esame è riuscito a trovare questo punto di incontro? A noi sembra di sì. È un'operazione difficile, anche se merita alcuni aggiustamenti, e alcuni termini che ho sentito, come "decreto-truffa" o "proroga camuffata", francamente sembrano ingiusti e fuori luogo.

Quali sono le osservazioni principali che vorremmo fare su questo decreto, che ritengo siano facilmente recepibili? Sembrerebbe indispensabile garantire il mantenimento dei punteggi acquisiti nei bandi per l'assegnazione degli alloggi residenziali pubblici a coloro che si sono avvalsi della disciplina prevista dall'articolo 2, almeno sino alla scadenza del rapporto locativo; altrimenti, stipulando un contratto locativo si perde il punteggio che si era guadagnato. Questa sembra un'osservazione abbastanza banale; e mi auguro comunque che il Governo vorrà recepirla.

Occorre certamente rivedere alcune scadenze temporali previste dall'articolo 6, ma solo perché i tempi concessi per gli adempimenti delle operazioni in esso previste sono strettissimi; anche questo sembra quasi logico.

Un collega domandava se abbiamo avuto incontri con gli inquilini, con i proprietari, con i sindacati, eccetera. Vi sono stati ripetuti incontri con tutte le associazioni di categoria e voto unanime era che la gestione del decreto fosse affidata ai Comuni, e non piuttosto agli Istituti autonomi case popolari, che - ahimè - non godono di grande fama, almeno tra queste associazioni, (in particolare, mi riferisco allo sportello per l'emergenza sfratti). Ho sentito qui dire - e non posso non concordare - che bisognerebbe garantire ai Comuni le risorse finanziare sufficienti e mi auguro che ciò sia stato fatto o si faccia.

Non si possono non regolare meglio i rapporti contrattuali previsti dal comma 6 dell'articolo 2, vincolandoli ai canoni previsti dagli accordi territoriali di cui al comma 3 dell'articolo 2 della legge n. 431 del 1998. Altrimenti, può succedere che nei contratti cosiddetti liberi il proprietario può stipulare il contratto chiedendo qualunque cifra e mettendo di fatto l'inquilino in condizione di non poter accettare. Allora, noi pensiamo che questi contratti cosiddetti liberi debbano essere almeno vincolati ai patti territoriali, che oggi esistono.

Infine, sembra poco opportuno applicare le agevolazioni fiscali previste dall’articolo 8 sia ai proprietari degli immobili locati con i cosiddetti contratti liberi (come ho già detto, i "quattro più quattro"), sia ai contratti comunemente intesi come concordati. In altre parole, signor Presidente, sembra poco opportuno applicare agevolazioni ai proprietari che stipulano contratti liberi e quindi bisognerebbe modificare quest’articolo.

Ecco, queste sono le osservazioni a caldo. Resta il problema per il nostro Paese della scarsità di abitazioni in affitto, con canoni spesso inaccessibili a quote significative di cittadini con fasce di reddito medio-basse (e penso anche alle giovani coppie).

Soluzione a questo problema a noi sembra quella di sviluppare politiche per l’edilizia sociale e residenziale in affitto e, anche se ci rendiamo conto della fase di pesante difficoltà economica che colpisce il nostro Paese, ci auguriamo che il Governo possa nel più breve tempo possibile affrontare in modo organico e, speriamo, definitivo il problema di garantire a tutti il sacrosanto diritto all’abitazione.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Legnini. Ne ha facoltà.

LEGNINI (DS-U). Signor Presidente, onorevoli colleghi, il disegno di legge oggi al nostro esame, di conversione del decreto-legge n. 240 del 2004, è stato emanato, almeno nelle intenzioni del Governo, al fine di approntare una disciplina finalizzata a superare l'emergenza abitativa di un numero rilevante di famiglie, già beneficiarie delle pregresse proroghe dell'esecuzione degli sfratti.

L'articolato, nell'intento di normare tale delicata materia e di dare seguito ai princìpi dettati dalla Corte costituzionale con le sentenze già menzionate da altri colleghi, introduce in realtà misure inadeguate, confuse, inique e destinate a rimanere, se non radicalmente modificate (come rilevato ampiamente dagli altri colleghi che mi hanno preceduto), largamente inefficaci nella fase della loro concreta applicazione.

In estrema sintesi, il Governo ha inteso rispondere all'emergenza sociale di cui trattasi introducendo un ventaglio di interventi e modelli contrattuali tampone che, nella migliore delle ipotesi, scaduto il ristretto periodo di loro efficacia, porranno le famiglie interessate nuovamente in una condizione di emergenza, riproponendo con ogni probabilità al legislatore la necessità di un nuovo intervento normativo e finanziario.

In sostanza, non è stata individuata, com’era necessario fare, una modalità risolutiva stabile del disagio abitativo delle categorie socialmente disagiate interessate da questo provvedimento, con la conseguenza che le misure all'esame presentano, ancora una volta, il carattere della temporaneità e quindi produrranno, al più, un effetto di nuova proroga e poco altro, in tal modo accrescendo il disagio delle famiglie interessate, le quali saranno destinate a vivere una nuova stagione di incertezze.

Le nostre censure al provvedimento, oltre al dissenso netto sul suo impianto complessivo, si articolano in una pluralità di emendamenti che mirano a modificare le norme maggiormente non condivisibili del decreto. Esse muovono da considerazioni obiettive che provvedo di seguito a sintetizzare.

Innanzitutto, l’individuazione dei soggetti beneficiari è fortemente restrittiva (anche questo dato è stato rilevato da altri colleghi). In realtà - com’è noto - la platea degli sfrattati è ben più ampia di quella presa in considerazione con il provvedimento in discussione e i gravi problemi sociali, a volte drammatici, che vivono altre decine di migliaia di pensionati, disoccupati o famiglie monoreddito, giovani coppie ed altre famiglie disagiate, non vengono in gran parte presi in alcuna considerazione dall'iniziativa legislativa di cui discutiamo.

Alcuni emendamenti all'articolo 1 tendono a porre rimedio, seppur parziale, a tale ristrettezza di operatività della nuova disciplina, includendo almeno tra i beneficiari delle misure altre categorie sociali deboli, quali i soggetti gravemente infermi (e non solo, quindi, gli handicappati gravi, come prevede il decreto) e le famiglie numerose (quelle con almeno tre figli a carico).

Si vuole, inoltre, estendere il periodo temporale preso in considerazione almeno fino all’emanazione del decreto-legge, cioè fino alla data del 13 settembre 2004, includendo quindi coloro che abbiano subìto un provvedimento di sfratto fino a tale data, ma abbiamo potuto verificare questa mattina che in tal senso sono stati presentati emendamenti anche da colleghi della maggioranza.

Il suddetto mancato apprestamento di qualsivoglia tutela a favore di moltissime famiglie, escluse dal novero di quelle individuate all’articolo 1 del decreto, impone, comunque, una riflessione più seria da parte di tutti, Governo in primis, per individuare linee di politica della casa che tengano conto delle crescenti difficoltà abitative di un numero sempre maggiore di famiglie, in una fase economica e sociale, come quella che viviamo, in cui si accrescono nuove povertà e gravi difficoltà per un numero crescente di cittadini.

In secondo luogo, le misure agevolative individuate non appaiono congrue in rapporto al tipo di disagio cui dovrebbero fornire risposta ed anzi, per taluni aspetti, esse si presentano, oltre che inique, confuse anche sotto il profilo giuridico.

Vengono individuate, come è stato rilevato, ben cinque tipologie di contratti, che appaiono del tutto inidonee a soddisfare le impellenti esigenze delle famiglie sfrattate perché, ad esempio, prevedono il ricorso alla contrattazione libera del canone, con le immaginabili conseguenze scaturenti dalla nota sperequazione di forza contrattuale tra locatore e conduttore sfrattato, o perché tendono a scaricare sui Comuni gli oneri e le problematiche di gestione dei rapporti fra le parti. Ma sulla posizione dei Comuni tornerò tra poco.

Il gruppo di emendamenti presentati all'articolo 2 tende, da un lato, ad escludere il ruolo dei Comuni quale parte contrattuale, dall'altro, a ricondurre la determinazione dei canoni all'interno della disciplina della legge n. 431 del 1998, e segnatamente nell'alveo dei canoni agevolati e concordati, dall'altro ancora ad estendere i termini di validità dei contratti a periodi più lunghi di quelli previsti.

Si tende, inoltre, ad eliminare in ogni caso l'istituto della concessione amministrativa nel rapporto tra Comune e sfrattato, istituto (quello della concessione) che appare del tutto estraneo alla sostanza del rapporto stesso, sostituendolo con un normale contratto di sublocazione.

Un ulteriore profilo d'inaccettabilità del decreto attiene alla natura ed all'entità degli incentivi, che rischiano di diventare un regalo, peraltro di misera entità, ai locatori, con scarsa incidenza sul sistema complessivo di assetto stabile dei rapporti tra le parti, pure prefigurato nel provvedimento.

L'avere previsto l'erogazione del contributo direttamente ai proprietari non garantisce, infatti, che gli stessi si dispongano a praticare condizioni agevolate nella definizione del canone a favore degli inquilini ovvero a favorire la stipula di contratti di lunga durata. Inoltre, tale modalità di incentivazione si pone in palese contrasto con la disciplina ordinaria di cui alla legge n. 431 del 1998, istitutiva del Fondo nazionale per il sostegno all'accesso alle abitazioni in locazione.

È evidente che sarebbe stato molto più corrispondente ai bisogni degli inquilini sfrattati prevedere contributi finanziari, magari maggiori di quelli ordinariamente erogati a valere sul Fondo nazionale, da attribuire direttamente agli sfrattati al fine di consentire la stipula di nuovi contratti ed in tal modo stabilizzare i rapporti di locazione di cui discutiamo.

È, inoltre, necessario, ed in tal senso sono stati proposti specifici emendamenti, che sia i contributi destinati agli enti locali che quelli da assegnare a una delle parti contrattuali vadano trasformati da una tantum, come previsto, a contributi annuali e proporzionali alla durata dei contratti, e ciò al fine di favorire la stipula di contratti a più lunga scadenza, provvedendo in tal modo ad assistere le categorie disagiate interessate per un periodo congruo e non per brevissimi periodi, a volte mesi, come previsto nel decreto in esame.

Si propone, altresì, di rideterminare l'entità dei contributi con gli emendamenti specifici che sono stati all'uopo formulati.

Va, inoltre, evidenziato un ulteriore profilo di lacunosità del decreto, che abbiamo provveduto ad emendare aggiungendo il comma 7-bis all'articolo 3.

Come è stato già detto, accade che le famiglie di cui trattasi possono trovarsi utilmente collocate nelle graduatorie regionali o locali per l'assegnazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, sul presupposto di essere destinatarie di provvedimenti esecutivi di rilascio.

Con l’emendamento in questione, che peraltro non impegna in alcun modo finanziariamente lo Stato, si prevede la conservazione dello status di sfrattato ai fini dell’assegnazione di alloggi ERP, consentendo in tal modo ai soggetti interessati di conservare le loro posizioni nelle graduatorie anche se beneficiari delle misure di cui al decreto che ci occupa.

Voglio augurarmi che almeno tale norma aggiuntiva possa essere accolta, non incidendo essa sull’impianto del provvedimento e non necessitando di alcuna copertura finanziaria.

Un’altra serie di emendamenti tende a spostare i vari termini previsti nel decreto, la cui ristrettezza rischia di vanificare del tutto l’efficacia delle misure.

Il primo termine di cui si propone il differimento è quello di cui al comma 7 dell’articolo 3, termine entro il quale dovrà essere disposta l’assegnazione del contributo. È evidente, infatti, l’incongruità della data del 31 dicembre 2004, trattandosi di espletare un numero rilevante di adempimenti fino ad arrivare al momento nel quale dovrà essere disposta l’assegnazione del contributo.

Il secondo termine di cui si propone lo spostamento è quello di cui al primo comma dell’articolo 6, relativo al differimento dell’esecuzione dello sfratto in favore di chi ha dichiarato di volersi avvalere di una delle tipologie di contratto previste dall’articolo 2 del decreto. È evidente che la data del 31 ottobre 2004 è molto ravvicinata, prossima, ed è peraltro anteriore anche alla data di probabile conversione del decreto. Se ne propone, quindi, il differimento almeno al 30 giugno 2005.

Il terzo termine è quello previsto dall’articolo 8, di generale efficacia degli articoli da 1 a 6, previsto nel decreto fino al 31 dicembre 2004. Anche questo termine si propone venga differito almeno al 31 marzo 2005, per la suindicata ragione afferente alla necessità di dare tempo alle famiglie interessate di effettuare tutti gli adempimenti e le trattative previsti nel decreto.

Tali termini più ampi non si pongono in contrasto con le pronunzie della Consulta siccome essi sono funzionali non ad una proroga sic et simpliciter dell’esecuzione dei provvedimenti di rilascio ma ad un sistema, sia esso condivisibile o meno, che vuole, almeno per un periodo transitorio, stabilizzare le situazioni delle famiglie disagiate interessate, superando la logica delle proroghe.

Infine, riguardo al ruolo dei Comuni occorre evidenziare che i commi 3 e 4 dell’articolo 2, di cui proponiamo la soppressione, tendono chiaramente a scaricare sui Comuni stessi la gestione del problema sociale di cui discutiamo. Non vi sarebbe nulla da obiettare se agli enti locali fossero assegnate tutte le risorse necessarie per far fronte a tale situazione.

Il Governo, invece, indica chiaramente agli inquilini dove devono andare a bussare per risolvere i loro problemi, ma non si fa carico di garantire, come purtroppo accade ormai sistematicamente in molti provvedimenti legislativi, agli enti locali le risorse necessarie, non potendosi certamente ritenere soddisfacenti gli esigui contributi previsti all’articolo 4.

È facile prevedere che i Comuni, oltre a dover sopportare gli oneri e le attività necessarie per affrontare le emergenze, si troveranno alla fine del periodo transitorio a dover gestire direttamente le emergenze gravando ulteriormente i loro bilanci, già taglieggiati da numerosi provvedimenti di questo Governo, da ultimo la legge finanziaria di cui dovremo a breve occuparci.

In definitiva, quindi, il gioco del Governo è chiaro: con uno stanziamento minimo, una tantum, peraltro in gran parte gravante sul Fondo speciale destinato agli ordinari contributi agli inquilini, pertanto non aggiuntivo, intende trasferire nell’arco di poco tempo i problemi e gli oneri di cui stiamo discutendo agli enti locali, ancora una volta quindi penalizzati e delegati a risolvere le piaghe sociali del Paese.

Contraddittoria e inaccettabile è, infine, l’individuazione degli IACP o enti ad essi succeduti per la gestione del cosiddetto "sportello emergenza sfratti". Tali enti, come è noto, sono gravemente carenti di risorse finanziarie ed umane e non si comprende perché debbano fungere da intermediari nell’erogazione dei contributi, dopo che nella sostanza la gestione dell’emergenza viene accollata, come già detto, ai Comuni. Coerenza vorrebbe che gli enti locali, se chiamati ad affrontare tali diffuse situazioni di disagio, avessero i pieni poteri per farlo e potessero essi stessi erogare i contributi.

In conclusione, signor Presidente, il complesso degli emendamenti proposti, anche da colleghi senatori di altri Gruppi, tende a correggere e superare gli errori, le iniquità e l’inefficacia probabile delle misure proposte.

Ci auguriamo che la maggioranza rifletta sul contenuto del decreto, che riguarda - come è stato rilevato - decine di migliaia di situazioni sociali molto serie, e voglia predisporsi ad accogliere almeno le correzioni più importanti ed emendare gli errori più evidenti.

Per parte nostra, esprimiamo un giudizio fortemente negativo sull'intero provvedimento legislativo, come già hanno fatto tutte le organizzazioni degli inquilini e l'ANCI nelle audizioni espletate avanti alle Commissioni competenti.

Nel nostro Paese, con questo Governo, non esiste - com’è stato rilevato - una politica della casa: gli sfratti aumentano, i canoni aumentano, gli alloggi pubblici non vengono più da tempo costruiti e gli istituti di gestione dell'edilizia residenziale pubblica non riescono neanche a garantire le manutenzioni, ingessati come sono dalle ristrettezze finanziarie.

Nel contempo, si accrescono i bisogni di un numero crescente di famiglie, in particolare di anziani e di giovani coppie. Non soltanto questo decreto non fornisce alcuna seria risposta agli sfratti già soggetti a proroga, ma si annuncia, con la legge finanziaria, una vera e propria stangata sulla casa, destinata con ogni probabilità ad accrescere la misura dei canoni e le conseguenti difficoltà a reperire alloggi a condizioni accessibili.

Quella della casa è una delle emergenze che connotano il crescente disagio sociale nel nostro Paese. Ed è anche per questa ragione che esprimiamo la nostra contrarietà a questo provvedimento legislativo, a meno che la maggioranza non si determini ad accogliere le nostre proposte di modifica del decreto. (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U, Verdi-U, Misto-Com e Misto-RC).

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.

Ha facoltà di parlare il relatore, senatore Mugnai.

MUGNAI, relatore. Signor Presidente, i relatori hanno ascoltato con grande attenzione gli interventi che si sono susseguiti in Aula. Intanto, richiamano all’attenzione di quanti sono intervenuti il fatto che alcune proposte, avanzate nel contesto degli interventi in discussione generale, sono già state recepite. Esse fanno parte di emendamenti che gli stessi relatori, facendo tesoro della discussione svoltasi in Commissione, hanno ritenuto di presentare.

Si tratta di proposte emendative, frutto della precisa volontà di ottimizzare il testo al nostro esame, che consentono di raggiungere risultati ampiamente condivisi, ma che non ne possono né debbono completamente snaturarne la portata, come invece avverrebbe con altre proposte emendative.

Si consideri, infatti, che la situazione che questo decreto affronta è molto precisa poiché riguarda una platea di soggetti relativamente ristretta, se si tiene conto del fatto che è spalmata sul territorio nazionale, con caratteristiche molto particolari, tali da integrare uno dei presupposti della più volte richiamata pronunzia della Corte costituzionale e tale da non violare, proprio perché viene effettuata una valutazione di natura comparativa, uno dei princìpi ribaditi in quella stessa sentenza, coniugati ad un altro principio altrettanto significativo: il fatto, cioè, che non sia più consentito allo Stato e agli altri enti comunque coinvolti nelle politiche abitative di scaricare su una sola parte sociale la difficoltà della situazione abitativa in senso lato.

Detto questo, e sottolineando che gli emendamenti proposti dai relatori vanno nella direzione invocata dai colleghi intervenuti per rendere più concretamente operativo il decreto in via di conversione, vorrei svolgere qualche ulteriore riflessione, partendo da una considerazione estremamente interessante e pregevole fatta dal collega Manzione nel suo intervento: la preoccupazione, cioè, che questo provvedimento possa rimanere parzialmente privo di effetti, nella misura in cui i locatori possano non accedere alle proposte locative.

Intanto, vi è da considerare che una pluralità di ipotesi locative è già di per sé in grado di favorire la stipula di contratti, proprio perché meglio si adatta ad una vasta gamma di possibili tipologie e situazioni. Pertanto, proprio la pluralità di forme che da alcuni è stata censurata è, al contrario, una componente sicuramente positiva del provvedimento.

Peraltro, onorevoli colleghi, credo si debba essere tutti intellettualmente onesti nel riconoscere, con tutta evidenza, che la situazione determinatasi, che vede - cito, se la memoria non mi tradisce, un dato numerico riferito dal senatore Turroni - oltre cinque milioni di alloggi tuttora sfitti, non solo non possa essere imputata a questo Governo e alla maggioranza che lo sostiene, ma si radichi, purtroppo, proprio nella totale mancanza di politica abitativa che ha caratterizzato per oltre quarant’anni la vita di questo Paese.

Spesso, fra l’altro, a tale mancanza si è unita la miope scelta di ricorrere alla soluzione - di fatto più pratica - prima del blocco e poi delle sospensioni indiscriminate sine die degli sfratti, ulteriormente aggravate, in alcuni casi, anche da una generalizzata (poi ridotta con la legge n. 431 del 1998) determinazione vincolistica del canone.

Tale scelta può avere un senso laddove si intenda risolvere in tempi relativamente ristretti situazioni di disagio abitativo di fasce socialmente meno abbienti, ma certamente, alla lunga, non paga, in quanto denuncia, di fatto, la mancanza di una reale politica abitativa nel Paese.

Che tutto questo sia avvenuto lo dimostra il fatto che, nonostante l’invocata legge n. 431 del 1998, abbiamo ancora - ripeto - 5,5 milioni di alloggi sfitti. Ciò significa che la sospensione indiscriminata, il canone vincolistico, prima praticato quasi indiscriminatamente con la legge n. 492 del 1978 e poi residualmente con la legge n. 431 del 1998, non sono politiche che pagano. Le case non si costruiscono in un anno o due, né solo dal maggio 2001 - si dovevano costruire nei decenni antecedenti, e non è stato fatto - non si realizzano in qualche mese, onorevoli colleghi, e questo è un dato con il quale tutti ci dobbiamo confrontare, non soltanto l’attuale Governo.

Il provvedimento in esame si configura per la prima volta - questo va detto - in modo diverso rispetto al passato, dal momento che affronta una situazione concernente una serie di soggetti più abbisognevoli di altri, con provvidenze che favoriscono direttamente il reperimento di altri alloggi nell’immediato, e lo fa nell’emergenza di una situazione che comunque deve essere considerata realisticamente: non è più possibile prorogare ulteriormente la sospensione degli sfratti.

La politica abitativa è un’altra cosa; lo ripeto e lo sottolineo: le case non si costruiscono in un giorno, e soprattutto per tutti, non soltanto per i 26.000 potenziali beneficiari di questo provvedimento.

Un altro profilo che mi sembra meritevole di attenzione è che non vi è alcuno svilimento della più volte richiamata pronuncia della Corte costituzionale, proprio perché, sia pure in forma diversa, cioè attraverso un intervento economico, vi è comunque una forma di valutazione comparativa.

Infatti, si tiene conto, in questo specifico caso, delle particolari situazioni di 26.000 potenziali soggetti e non si adotta, sia pur per pochissimo tempo, un altro acritico provvedimento di sospensione. Si affronta invece una realtà comparata (si tiene conto degli ultrasessantacinquenni, di coloro che abbiano condizioni di reddito di un certo tipo e di coloro che sono gravi portatori di handicap) individuando le situazioni meritevoli di intervento in comparazione con le potenziali situazioni dei locatori.

Credo pertanto che, rispetto al passato, questo provvedimento ottimizzato e migliorato nel senso che gli stessi locatori auspicano, rappresenti un primo interessante passo in avanti nella politica abitativa.

Esso tiene conto di un fatto con il quale tutti, onorevoli colleghi, ci dovremo confrontare: non è più possibile applicare ancora una volta la politica tutto sommato miope, superficiale e anche semplicistica, dello scaricare su una sola parte sociale ciò che, comunque, deve essere invece di pertinenza dello Stato e degli altri enti pubblici deputati ad occuparsi di politica abitativa.

Concludo ricordando che i cinque milioni di alloggi sfitti - se il dato è reale - nonostante la invocata legge n. 431 del 1998, mettono in evidenza che nel passato vi è stato un fallimento gravissimo, che vi è un'eredità estremamente pesante della quale ci potremo liberare, nell'interesse di tutti coloro che hanno diritto ad avere una casa, solo se sapremo collaborare costruttivamente insieme. (Applausi del senatore Specchia).

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il relatore, senatore Specchia.

SPECCHIA, relatore. Saluto la Presidenza e i rappresentanti del Governo e ringrazio i colleghi che sono intervenuti, che hanno nuovamente portato un contributo importante alla discussione di questo problema e alla parziale risoluzione di questioni già affrontate in Commissione.

Noi relatori, come ricordava il collega Mugnai, proprio dall'ascolto dei diversi interventi e, ovviamente, in base alle nostre opinioni, abbiamo ricavato la necessità di essere noi stessi a presentare alcuni emendamenti che recepiscono alcune osservazioni svolte in Commissione e in Aula. Ad esempio, la competenza a gestire lo sportello per l'emergenza degli sfratti, che dovrebbe passare dagli IACP ai Comuni, la conservazione del punteggio derivante dal requisito di essere sfrattato, ai fini delle graduatorie IACP, lo spostamento per qualche mese di alcune date, come quella del 31 ottobre e 31 dicembre 2004.

Al momento, non abbiamo presentato proposte emendative su altri aspetti né riteniamo di poter condividere quelle posizioni che tendono sostanzialmente a modificare in modo profondo, a stravolgere la filosofia del provvedimento. Certo, rispettiamo le posizioni di tutti, ma la nostra opinione è questa.

D'altronde, alcune di quelle modifiche impongono anche impegni di spesa consistenti e le risorse finanziare non ci sono. Insomma, riteniamo che nel prosieguo dei lavori si potrà modificare e migliorare il testo del decreto-legge, ma, ripeto, rimanendo nell'ambito dell'ossatura, dell'impalcatura originaria.

Diceva giustamente il collega Mugnai - lo voglio sottolineare ancora una volta - che noi relatori, la maggioranza, il Governo, il Parlamento, tutti siamo consapevoli che vi è un problema di mancanza di case, di impossibilità di accedervi per le condizioni di disagio economico per questi circa 30.000 cittadini, ma anche per tanti altri.

Partendo dalla premessa che, da un lato, vi sono cittadini aventi diritto ad una casa i quali non sono nelle condizioni né di acquistare né di locare un'abitazione, e dall'altro vi sono i proprietari i quali non possono sostituirsi allo Stato e risolvere a proprie spese i problemi del disagio abitativo, lo Stato deve fare molto di più e avrebbe già dovuto farlo.

Sarebbe stato sufficiente, in anni in cui la situazione economica interna e internazionale era migliore rispetto a quella attuale, investire risorse, impegnando anche le Regioni in questa direzione, per costruire decine di migliaia di case di edilizia economica e popolare e venire incontro alle esigenze di numerose famiglie.

Credo che in questa direzione si muoveranno l'attuale maggioranza e il Governo non appena vi saranno condizioni economiche migliori. Siamo tutti consapevoli che di questo problema spesso angoscioso deve farsi carico lo Stato e che esso non può gravare sui proprietari.

Intanto facciamo ciò che è possibile e cerchiamo di migliorare il provvedimento al nostro esame, nella prospettiva di fare molto di più, come riteniamo utile e necessario.

PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.

TASSONE, vice ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Signor Presidente, il provvedimento è stato seguito dal collega vice ministro Martinat, ma gli spunti venuti nel corso della discussione generale m'inducono a svolgere qualche riflessione. Desidero ringraziare gli onorevoli senatori intervenuti, Malabarba, Turroni, Cavallaro, Gasbarri, Manzione, Moncada e Legnini, per il contributo che hanno offerto e i colleghi relatori per il lavoro svolto.

È stato rilevato diffusamente e con molta puntualità che quello in esame è un provvedimento d'urgenza, indirizzato ad una realtà particolare di grande disagio - 26.000 persone indigenti o con handicap - che ha riflessi anche di ordine morale.

Il provvedimento ripropone il tema abitativo nel nostro Paese, ma non ha l'ambizione di risolvere il problema. La fame di case, le vicende abitative hanno caratterizzato a lungo la storia politica del Paese e non soltanto la storia recente. Le difficoltà sono numerose e bisogna trovare un giusto equilibrio, tenendo conto anche dei Comuni e delle politiche del territorio, tra i problemi che interessano i proprietari di case e i problemi di coloro che sono alla ricerca dell'abitazione.

Si è parlato molto di queste vicende drammatiche e il Governo ha adottato interventi rispetto alle imposte gravanti sulla prima casa, per favorire il primo nucleo familiare; tutte queste misure devono trovare sistemazione nel quadro di un'azione politica del Governo. Nelle ultime fasi, però, ci siamo dovuti confrontare anche con le amministrazioni locali e con le Regioni.

A proposito dell’invocazione e dell’evocazione degli IACP, devo dire subito che molti IACP non esistono più, mentre esistono strutture regionali riqualificate a livello di indirizzo di governo regionale in coordinamento con l’attività nazionale.

Occorre trovare un accordo per raggiungere, come dicevo poc’anzi, un giusto equilibrio tra le varie esigenze - quelle degli inquilini, di coloro che non hanno abitazione, dei proprietari - in materia di politiche del territorio. Un semplice finanziamento ad hoc forse sarebbe insufficiente ma aprirebbe un processo che indurrebbe ad una ragionevole speranza.

Questo provvedimento, come già sottolineato dai relatori, presenta una novità rispetto al passato. Non si tratta di una proroga pura e semplice, ma della riqualificazione dell’attività di gestione del settore, valutando un’emergenza e soprattutto una situazione particolarmente meritevole di attenzione, tutela ed intervento.

Ma questo provvedimento richiama certo un’esigenza più vasta, non lo nascondo. Anche le proposte emendative, cui facevano riferimento i senatori Moncada, Manzione ed altri, devono essere valutate attentamente. I relatori hanno già dichiarato di averlo fatto e lo stesso Governo prenderà in considerazione tali apporti e contributi per evitare che vi possano essere discriminazioni, che un beneficio si possa trasformare in un non beneficio o che alcuni cittadini vengano tolti dal circuito di benefici già acquisiti.

Nel corso dell’esame delle proposte emendative i relatori ed il Governo saranno molto attenti alle osservazioni e ai contributi offerti, tenendo conto anche delle valutazioni estremamente negative. Queste, d’altronde, fanno parte del dibattito parlamentare e, come ha ribadito il relatore, non è di questi anni il problema della penuria abitativa che risale a molto tempo addietro.

Se in questa fase, prendendo lo spunto da questo provvedimento d’urgenza, si dovesse raggiungere un accordo migliorativo, ciò aiuterebbe certamente ad aprire una prospettiva per il Parlamento e per il Governo con il coinvolgimento, necessario e indispensabile per le loro responsabilità in quanto titolari del territorio, delle Regioni e degli enti locali.

Confermo, in conclusione, la mia disponibilità e la mia attenzione su questo provvedimento.

PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.

Seguito della discussione del disegno di legge:

(3107) Conversione in legge del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, recante disposizioni urgenti in materia di immigrazione (Relazione orale)

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca il seguito della discussione del disegno di legge n. 3107.

Ricordo che nella seduta pomeridiana del 6 ottobre i relatori hanno svolto la relazione orale, è stata respinta una questione pregiudiziale ed è stata dichiarata aperta la discussione generale.

È iscritto a parlare il senatore Malabarba. Ne ha facoltà.

MALABARBA (Misto-RC). Signor Presidente, il decreto al nostro esame non va certo in direzione della modifica della legge Bossi-Fini secondo quanto previsto dalla sentenza della Corte costituzionale. Non ci saranno, infatti, garanzie uguali per tutti i cittadini, italiani e stranieri, come invece prevede la nostra Costituzione.

Corre l’obbligo di far riferimento a quanto concretamente sta accadendo per dire che la volontà del Governo va proprio in direzione opposta a quella auspicata: quest'estate la vicenda della Cap Anamur e le morti in mare rimaste impunite; quindi, la firma di un accordo che rendeva improvvisamente democratico e rispettoso dei diritti umani il governo libico; infine, senza neanche la ratifica della fine dell’embargo, le prime applicazioni. Lo si annuncia con noncuranza: c’è sovraffollamento di irregolari a Lampedusa; probabilmente l’ultima tappa dei profughi è stata la Libia e allora che vengano rispediti lì.

Quello che è accaduto a Lampedusa non si configura solo come una palese violazione dei diritti fondamentali: deportazione di massa; impossibilità di accedere alla richiesta di asilo; identificazioni sommarie per registrare la presunta nazionalità dei profughi, basate sui caratteri antropomorfici.

Non è solo un atto di razzismo istituzionale, né la conferma di come, rispetto a tematiche così complesse, che coinvolgono la sopravvivenza di migliaia di persone, prevalga la ragion di Stato.

Quello che avviene si configura - misuro le parole signor Presidente - come un vero e proprio crimine contro l'umanità. I deportati, in manette di plastica e imbarcati in gran segreto, sono andati e andranno ad ingrossare la massa dei quasi 3.000 già intercettati in Libia e che attendono, seduti in un campo, di conoscere il proprio destino. Torneranno in un Paese da cui sono fuggiti compiendo a ritroso il viaggio che li ha portati ad attraversare il deserto? Troveranno il carcere, o peggio? O rientreranno nell'esercito dei lavoratori sottopagati in Libia, in attesa di ritentare la fuga?

Nulla sembra turbare la coscienza della politica. Le componenti cattoliche di maggioranza e di opposizione dimenticano i declamati principi ispiratori di solidarietà e accoglienza. Il ministro Pisanu colpisce ancora. Non ha bisogno dei rozzi proclami leghisti, fa quello che i padani declamano, in silenzio, come del resto è nel suo stile.

Presidenza del vice presidente SALVI

(Segue MALABARBA). Mentre il Governo deporta, illegalmente, gli immigrati arrivati dalle coste della Libia, domenica si è consumata un'altra tragedia, in Tunisia. Un barcone con 75 persone a bordo si è rovesciato: 22 i morti, 42 i dispersi. L'Italia, oltre che con la Libia, aveva stipulato un accordo bilaterale con Tunisi: più quote di ingresso in cambio di impegno nel contenimento dell'immigrazione cosiddetta irregolare. Intanto però la tragedia mediterranea va avanti.

Sulla procedura delle espulsioni di massa verso la Libia l'organizzazione umanitaria Amnesty International ha espresso un giudizio durissimo, parlando di "una gravissima violazione delle norme italiane e delle convenzioni internazionali in materia di diritto d'asilo".

Sulla base di questa denuncia ho presentato un'interpellanza con procedimento abbreviato, la cui discussione mi permetto di sollecitare. In qualche modo anche questo intervento ho voluto intenzionalmente spenderlo sulla vicenda di Lampedusa per l'urgenza di una specifica risposta del Governo.

Ci rendiamo conto che a nessuna organizzazione, infatti, è stato permesso di assistere alle identificazioni e ai riconoscimenti (che di certo sono avvenuti e stanno avvenendo con una preoccupante fretta)? Così come sono troppi gli interrogativi sollevati da associazioni umanitarie e dai partiti d'opposizione. Ci sono degli interpreti? Ci sono dei funzionari delle ambasciate per il riconoscimento? Ci sono degli avvocati? Perché non è presente alcuna associazione che abbia la possibilità di esporre ai neoarrivati i loro diritti, le loro possibilità? Colleghe di questo Senato sono state presenti la scorsa settimana a tali prodecure, e purtroppo le risposte a queste domande sono tutte negative, signor Presidente.

Tra le associazioni umanitarie è enorme la preoccupazione per le sorti dei "deportati". Temono che le procedure accelerate nascondano violazioni dei diritti umani. L'impossibilità di poter assistere alle procedure di riconoscimento risulta loro assolutamente sospetta. "Molti degli uomini e delle donne che raggiungono l'Italia affrontando viaggi pericolosissimi fuggono da guerre e persecuzioni. L'Italia ha il dovere di offrire loro la possibilità di vedersi riconoscere lo status di rifugiato attraverso la procedura stabilita dalle leggi nazionali. Questi trasferimenti forzati e arbitrari rappresentano una violazione gravissima". Queste parole le ha pronunciate Stefano Savi, direttore di "Medici senza frontiere" in Italia.

Gianfranco Schiavone, vice presidente nazionale del Consorzio italiano di solidarietà, è invece preoccupato del trattamento che potrà essere riservato ai "deportati" una volta in Libia: "Particolarmente grave è la scelta di rinviare gli stranieri arrivati in Italia verso Paesi che potrebbero non assicurare il rispetto dei diritti umani e che non hanno firmato le convenzioni internazionali in materia di diritto d'asilo. L'Italia si rende a tutti gli effetti corresponsabile di tali eventi".

Questa è l'Europa di Schengen, Maastricht, Dublino, dei Ministri che si incontrano e delle navi che affondano; che innalza bastioni inutili a difesa dei propri confini, o meglio dei privilegi della sua élite. Quella che si va definendo in questi mesi ha un termine suadente e minaccioso, "cooperazione rafforzata", e riguarda i cinque "grandi" della Unione Europea - Italia, Francia, Spagna, Gran Bretagna e Germania - i cui Governi stanno, fra contraddizioni, accelerando il processo.

Per capire cosa sia accaduto bisogna guardare ai cinque anni di applicazione del Trattato di Amsterdam, dal 1999 al 2004. L'Europa non è riuscita a definire politiche comuni, hanno prevalso i rapporti preferenziali di ogni singolo Stato con i Paesi di provenienza di migranti e richiedenti asilo: le clausole standard che dovevano essere definite entro il maggio scorso non hanno visto la luce. Dopo l'11 settembre i Paesi dell’Unione hanno tracciato linee comuni per contemperare la sicurezza interna con i doveri internazionali di protezione.

Da allora è stato un precipitare degli eventi: i Vertici di Laeken, Siviglia e Salonicco hanno portato a una omologazione fra migrazione economica e di potenziali richiedenti asilo, arrivando alle assurde proposte del ministro britannico Blunkett, di subordinare le politiche degli aiuti economici alla collaborazione nella riammissione dei migranti "irregolari".

In questo calderone, che ha macinato migliaia di vite in soli due anni, è accaduto di tutto: Governi di centro-sinistra o di destra hanno stipulato accordi con Paesi in cui la condizione dei diritti umani è oggetto di inchieste internazionali, si sono praticate espulsioni collettive, in violazione delle convenzioni che le proibiscono. Tragedie note e meno note, collettive o individuali si sono consumate quotidianamente nelle aree desertiche del continente africano, nel canale di Sicilia come al largo delle Canarie, nel tunnel della Manica e nei TIR che arrivano dalla Turchia.

Da una parte, un flusso regolare - altro che invasione - di persone che tentano di costruirsi un progetto di vita in Europa, chiamate dalle opportunità di lavoro e dal desiderio di realizzare, appunto, propri bisogni legittimi insoddisfatti. In mezzo, l'impossibilità ad entrare regolarmente, spendendo e rischiando di meno.

Dall'altra parte, Governi che prima pensano di regolare tutto attraverso flussi predeterminati, poi stabiliscono un legame schiavista fra domanda e offerta di lavoro, quindi decidono che è il caso di fermare tutto. La scelta, prima culturale e poi politica, è di privilegiare gli ingressi dall'Est Europa e di relegare ai margini le popolazioni che si affacciano sul Mediterraneo.

Gli accordi che i cinque hanno da poco raggiunto in Olanda prevedono che Paesi come Tunisia, Marocco, Libia, Egitto e Mauritania abbiano un rapporto preferenziale di cooperazione militare per contrastare l'arrivo dei "barbari". Si costruiranno carceri nel deserto che verranno chiamate con nomi soft, "centri di accoglienza e di smistamento", si selezioneranno le persone che potranno entrare in Europa e si rispediranno a morire gli esuberi.

Non è un futuro lontano, è quanto sta accadendo in Libia oggi. Un Paese ieri in cima alla testa degli Stati canaglia diventa referente, anzi, "il Paese della libertà" (pecunia non olet, ci sarebbe da dire), tanto da garantire al suo Governo armi e finanziamenti. Si investono milioni di euro per costruire centri di detenzione ubicati in località segrete di cui anche i Parlamenti ignorano le condizioni.

Eppure, fra soli cinque anni, nel 2010, il Mediterraneo diventerà zona di libero scambio. Le merci e non gli uomini veleggeranno senza dazi, i mercati dei Paesi deboli saranno saturati dai prodotti più competitivi e dalle clausole degli accordi imposti dall’Unione Europea. Allora, per alcuni Paesi si potrebbe profilare un tracollo economico - a dirlo non è Rifondazione Comunista, ma il Fondo monetario internazionale - e allora la fuga potrebbe realmente divenire l’unica alternativa.

Rifondazione Comunista ha presentato emendamenti per una sostanziale modifica della legge Bossi-Fini, in applicazione della sentenza della Consulta. Ci attenderemmo un ravvedimento della maggioranza, anche alla luce di quanto ora ho voluto ricordare.

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Pagliarulo. Ne ha facoltà.

PAGLIARULO (Misto-Com). Signor Presidente, onorevoli senatori, mi si consenta, in premessa, di esprimere anche il cordoglio dei Comunisti Italiani e mio personale alla signora Pomero e al signor Rinaudo, i genitori delle povere vittime dell’attentato di Taba, e di unire così il mio Gruppo allo sdegno unanime espresso questa mattina dall’Aula davanti all’atto terroristico.

Su questo, signor Presidente, siamo uniti. Siamo uniti dalla comune volontà di debellare l’idra terroristica; siamo uniti dal giudizio di mostruosità sul terrorismo come tale. Abbiamo opinioni diverse, e in qualche caso opposte, su come debellarlo, ma non è questo il momento per affrontare il tema al quale il presidente Pera si è riferito in inizio di seduta.

Affrontando ora il disegno di legge in oggetto, vorrei specificare che la discussione non può prescindere da quello che è successo in questi mesi, che succede e che - temo - succederà.

Nonostante ogni petizione di principio, nonostante ogni motivazione a posteriori, rimane il fatto che per diverso tempo, a proposito dei profughi inviati in Libia in un modo che a noi ha ricordato le deportazioni, il delegato dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite non ha potuto accedere nel centro di permanenza di Lampedusa, né alcuna struttura umanitaria ha potuto mettersi in contatto con alcun immigrato, non c'erano interpreti, né avvocati.

Usciamo da un anno terribile. Oggi la vicenda di quella che ho definito una deportazione, ieri il caso della Cap Anamur, sempre il dramma di un mare ove aumenta il numero di naufragi e di vittime, come ricordava il collega Malabarba.

Non ascrivo tutto ciò soltanto alla Bossi-Fini, sarebbe demagogico. Siamo davanti ad un fenomeno - si è detto tante volte - epocale e irreversibile, che richiede alte capacità di governo, grande duttilità nella politica di accoglienza, cautela e capacità di previsione nelle politiche di sicurezza, la caduta di qualsiasi pregiudizio.

Il punto è, signor Presidente, che per i Comunisti Italiani la Bossi-Fini si è mossa esattamente nella direzione opposta, aggravando una situazione già di per sé altamente drammatica. La sostanza è che il principio del contratto fra privati come condizione del permesso di soggiorno è drammaticamente fallito.

Anche quando ragioniamo sul disegno di legge n. 3107, pertanto, sento il peso, la difficoltà, l’angoscia, se mi è consentito, d'intendere che dietro l’articolo, il comma, il riferimento si muovono drammi personali e familiari, sullo sfondo delle tante catastrofi umanitarie che si sono concluse nelle acque del Mediterraneo.

C’è nel nostro Paese oggi un popolo di invisibili che viene trattato con indifferenza, quando non con cinismo. Non hanno nome, non hanno volto, spesso non hanno tomba. C’è un’enorme responsabilità delle classi dirigenti del nostro Paese.

Nel provvedimento in oggetto, signor Presidente, ancora una volta, non vedo né la capacità di recepire la dimensione di questi drammi e di queste catastrofi, né il tentativo di porsi all’altezza di quelle alte capacità di governo obiettivamente richieste dal carattere delle migrazioni in corso.

Tutto avviene con una specie di non detto, in uno stato di rimozione costituzionale, sia dell'articolo 2 ("La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo"), sia dell'articolo 3 ("Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge"), sia dell'articolo 10 ("Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge"), sia dell'articolo 13 ("Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge"), quell'articolo, come si sa, leso, a parere della Consulta, dalla Bossi-Fini.

Il testo della legge in oggetto dovrebbe risolvere il contrasto con tale articolo della Costituzione, che vieta qualsiasi forma di detenzione e qualsiasi forma di restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dall'autorità giudiziaria. Eppure, a nostro avviso avviene il contrario.

Come si sa, la soluzione prevista dal decreto non attiene al ruolo del tribunale ma a quello del giudice di pace, la cui recente istituzione nel nostro ordinamento prevede una competenza penale del tutto marginale. Viceversa, l'attribuzione al giudice di pace della competenza a trattare le procedure di convalida del fermo degli stranieri da espellere conferisce a tale figura una funzione largamente sovradimensionata in merito a delicatissimi provvedimenti che incidono sulla libertà personale e dunque su un principio costituzionale.

Per arrivare al concreto, il giudice di pace avrà un ufficio in questura, a conferma di una condizione di lavoro che potrebbe incidere sull'autonomia e sull'indipendenza del giudizio. Appare, inoltre - mi perdoni, signor Presidente, il termine forte - francamente miserabile l'introduzione di una indennità di 20 euro per ogni convalida di espulsione. Quante espulsioni in un giorno? O in una settimana? O in un mese? Quanto fa 20 euro per il numero di espulsioni? Francamente, signor Presidente, preferisco non commentare.

Infine, mi soffermo sulla trasformazione della contravvenzione punita con l'arresto fino a un anno per lo straniero che non ha ottemperato all'obbligo di espulsione in un delitto che prevede la reclusione fino a quattro anni. Una illegittimità, quella di permanere sul territorio nazionale nonostante l'obbligo di espulsione, che viene trasformata in un reato grave, spesso per persone il cui ritorno nel Paese di provenienza è problematico, altamente sconsigliabile o in alcuni casi impossibile.

E tutto ciò nel nostro Paese, le cui carceri, come si sa, sono già sovraffollate anche a causa di una foltissima presenza di extracomunitari per reati che hanno quasi sempre a che vedere con una drammatica marginalità sociale.

Così, signor Presidente, si fa rientrare dalla finestra ciò che si è detto di voler far uscire dalla porta. Si introduce, di fatto, il reato di clandestinità.

In definitiva, signor Presidente, a parere dei Comunisti Italiani, questo provvedimento peggiora la Bossi-Fini, una legge sulla quale abbiamo da tempo espresso un giudizio drasticamente negativo.

Noi pensiamo che quel grande fenomeno migratorio, che ho già definito epocale e irreversibile, non si possa in alcun modo comandare a colpi di provvedimenti di polizia, ma che vada governato in base a una grande politica.

Tale grande politica, signor Presidente, non c’è. Rimane un dramma di inarrivabili dimensioni, davanti a cui la risposta è una visione dello straniero ora come diverso ora come nemico. L’esatto contrario di ciò che, ad avviso dei Comunisti Italiani, occorre nel mondo d’oggi, nell’Europa che si sta unendo allargandosi, nella nostra società così fortemente permeata da culture laiche e cattoliche dell’accoglienza.

Chiediamo spesso ad altri di rispettare i diritti umani. Preoccupiamoci di più di rispettarli noi, qui ed ora, in Europa, in Italia. Nessuno può far finta che il problema riguardi solo gli altri. (Applausi dai Gruppi Misto-Com, DS-U, Mar-DL-U, Misto-RC e Verdi-U).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Turroni. Ne ha facoltà.

TURRONI (Verdi-U). Signor Presidente, sul decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241, noi Verdi, già in Commissione, abbiamo espresso tutte le nostre riserve e contrarietà. Intendiamo farlo anche in quest’Aula, perché dal giorno in cui abbiamo cominciato a discuterne (i colleghi che mi hanno preceduto lo hanno detto con molta nettezza e chiarezza) sono avvenuti nel Paese molti fatti - su cui tornerò in seguito - che ci riempiono di vergogna.

Le espulsioni collettive verificatesi a Lampedusa, senza che venissero salvaguardati i diritti individuali delle persone riconosciuti dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo, dovrebbero farci meditare e riflettere anche sul provvedimento che stiamo per votare, che peggiora una legge già per noi inaccettabile, la Bossi-Fini.

Noi Verdi, quindi, non possiamo far altro che continuare la battaglia - che ci ha visti protagonisti in questi anni - contro una legge intollerabile, che fa dei nostri simili, della miseria che li colpisce, delle situazioni di difficoltà in cui versano nei Paesi di provenienza persone che solo per questo motivo sono colpevoli di qualche cosa nei confronti di privilegi che ci ostiniamo a voler difendere ad ogni costo.

Vorrei ricordare in quest’Aula che, insieme ad alcuni colleghi della 1a Commissione, abbiamo recentissimamente effettuato una missione nell’ambito dell’indagine conoscitiva sull’esercizio del diritto di voto degli italiani residenti all’estero, nel corso della quale abbiamo visitato, negli Stati Uniti, la porta attraverso la quale passavano coloro che andavano a cercare un lavoro, una qualche possibilità, un qualche futuro, anche tanti nostri connazionali.

Ebbene, quella enorme fila di cartoni, scatole, valigie, bauli ammonticchiati all’interno del museo di Ellis Island altro non testimoniano che l’identica situazione in cui si trovavano gran parte dell’Europa e del nostro Paese cento-centocinquanta anni fa. Quella stessa miseria, quelle stesse situazioni intollerabili, quelle stesse negazioni dei diritti oggi riguardano centinaia di milioni di persone in altre parti del Globo.

Ebbene, la nostra società opulenta, che pure necessita di persone che svolgono lavori che da noi non si vogliono più fare o che necessita di persone per coprire posti di lavoro, essendo la nostra popolazione diminuita in termini assoluti, ci dovrebbe mettere in condizione di gestire, risolvere, accettare ed accogliere - affrontando questo problema gigantesco, che sarà il problema dei nostri prossimi anni - queste persone senza considerarle qualcosa di meno, di diverso, con meno diritti e che quindi deve essere trattato diversamente dai nostri concittadini.

Ho dato inizio al mio intervento in questo modo perché avversiamo decisamente l’ulteriore modifica della "Bossi-Fini", una legge inaccettabile come ancor più inaccettabile è questo decreto, che tende a rimediare alle illegittimità costituzionali dichiarate con le sentenze della Corte nn. 222 e 223 di quest’anno. Ma invece di rimediarvi, questo decreto costituisce una palese violazione di alcuni princìpi e di diritti costituzionalmente garantiti. Siamo sempre lì: non si riconoscono identici diritti a persone che dovrebbero goderne in quanto esseri umani.

Con il testo in esame, infatti, si va ben oltre le pronunzie della Consulta. Si ridisegna parte della materia, a cominciare dalla competenza sul procedimento di convalida dell’espulsione amministrativa. La normativa risultante dall’approvazione del decreto in esame sbilancia ancora di più la disciplina dell’immigrazione verso una politica ereditaria e repressiva che noi Verdi combattiamo decisamente.

La sentenza n. 222 del 2004 della Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 5-bis, del Testo unico sull’immigrazione, introdotto dal decreto-legge n. 51 del 2002, recante "Disposizioni urgenti recanti misure di contrasto all’immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da provvedimenti di accompagnamento alla frontiera", convertito nella legge n. 106 del 2002, nella parte in cui non prevede che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio, prima dell’esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le garanzie della difesa.

L’articolo 1, comma 1, del decreto in esame attribuisce al giudice di pace competenza esclusiva in materia di libertà personale dal momento che assegna a tale giudice la convalida dell’accompagnamento alla frontiera e del trattamento dello straniero in quei CPTA che noi abbiamo definito lager ed a ragione, non beneficiandosi all’interno di quei centri neppure delle stesse garanzie che si godono all’interno delle carceri.

È dubbio che le modalità ed i termini per il procedimento di convalida dell’espulsione, così come configurati dal novellato comma 5-bis per un reato contravvenzionale, cioè il mancato rinnovo del permesso di soggiorno, possano garantire il rispetto del dettato costituzionale in materia di libertà personale e di diritti inviolabili dell’uomo. Si tratta degli articoli 13 e 2 della Costituzione, richiamati anche giorni fa quando su questo stesso provvedimento, a nome dei Verdi, ho presentato una pregiudiziale di costituzionalità.

La Corte, già con la sentenza n. 105 del 2001, nel cercare un ragionevole contemperamento tra sicurezza pubblica e rispetto delle garanzie fondamentali degli individui nell’attuale quadro migratorio, ha ricordato al legislatore che, libero di scegliere gli strumenti più adeguati nell’affrontare tali problematiche, doveva tenere presente il quadro di garanzie costituzionali in tema di libertà personale e tutela giurisdizionale, valevoli per tutti gli individui, cittadini e stranieri, non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma appunto in quanto esseri umani.

La stessa Consulta, con la sentenza n. 105, prima citata, ha affermato come sia "la forza del precetto costituzionale dell’articolo 13 a imporre una accezione piena del controllo che spetta al giudice della convalida: un controllo che non può fermarsi ai margini del procedimento di espulsione, ma deve investire i motivi che hanno indotto l’amministrazione procedente a disporre quella particolare modalità esecutiva dell’espulsione - l’accompagnamento alla frontiera - che è causa immediata della limitazione della libertà personale dello straniero e insieme fondamento della successiva misura del trattenimento".

Sembra legittimo dubitare che i giudici onorari, cui nell’intenzione del Costituente dovrebbe essere riservata la competenza della cosiddetta giustizia minore, possano effettivamente garantire quel nucleo incomprimibile del diritto di difesa di cui all’articolo 24 della Costituzione e assicurare un controllo effettivo e non meramente cartolare su un provvedimento che riguarda la libertà (la libertà, la Casa delle Libertà; assente, questa libertà di tutti, in quella Casa, signor Presidente).

Tanto più che il giudizio di convalida, pur prevedendo la presenza necessaria del difensore, non contempla l’ipotesi del patrocinio gratuito per non abbienti, né la presenza, nel testo originario del decreto, di un interprete o la traduzione degli atti compiuti in sede di convalida nella lingua ufficiale dello Stato dello straniero, ciò che permetterebbe a quest’ultimo di esercitare più compiutamente il diritto alla difesa.

Se poi si considera che il ricorso avverso le decisioni del giudice di pace può esclusivamente essere di legittimità dinanzi alla Corte di cassazione, ben si comprende come la decisione di prima istanza risulti essere, in sostanza, quella definitiva.

Vi è di più. Il nuovo comma 5-ter dell’articolo 13 del Testo unico sull’immigrazione assegna alle questure il compito di fornire il supporto occorrente e la disponibilità di un locale idoneo "al fine di assicurare la tempestività del procedimento di convalida dei provvedimenti" di espulsione amministrativa.

Si tratta di una disposizione pericolosa, che sembra configurare una sorta di rito sommario di espulsione, con buona pace del principio di terzietà ed imparzialità del giudice di cui all’articolo 111 della Costituzione.

Ricordo che quando abbiamo sollevato questo problema in Commissione il rappresentante del Governo di turno (cioè presente in quella circostanza) disse che le questure, in realtà, stavano cercando altri locali, magari all’interno dei CPTA stessi.

Noi Verdi sottolineammo la fondamentale questione dei luoghi e delle loro caratteristiche, del rapporto tra il luogo, la sua configurazione e le sue caratteristiche e gli atteggiamenti, le modalità e le sensazioni che prova chi in quel luogo viene a trovarsi in stato di costrizione, di fatto privato della propria libertà, in attesa di qualcuno che lo giudichi e magari gli consenta di ottenere non già un’espulsione, ma la possibilità di perseguire ciò per cui si è mosso dal suo Paese.

Pensiamo che questi locali idonei forniti dalle questure possano essere qualcosa di davvero pericoloso, che contrasta con l’idea e i princìpi di giustizia cui vogliamo, invece, richiamarci proprio per la garanzia di imparzialità che dobbiamo offrire anche a queste persone, essendo il nostro un Paese che voglio ancora considerare, anche sotto questo profilo, assolutamente civile.

I motivi che ho fin qui richiamato ci inducono a concludere che non si tratta di un adeguamento alla citata sentenza n. 222 della Corte costituzionale, ma di una sua elusione. Questo è ciò su cui si fonda il decreto in esame.

La sentenza n. 223 del 2004 ha invece dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 14, comma 5-quinquies, inserito nel Testo unico sull'immigrazione dalla cosiddetta legge Bossi-Fini, nella parte in cui stabilisce che è obbligatorio l'arresto per il reato contravvenzionale di essersi trattenuto sul territorio italiano oltre i cinque giorni previsti nell'ordine di espulsione del questore (comma 5-ter del medesimo articolo 14).

In particolare, è stato sottolineato che "la norma censurata prevede (…) l'arresto obbligatorio per un reato contravvenzionale, per di più sanzionato con una pena detentiva (…) di gran lunga inferiore a quella per cui il codice ammette la possibilità di disporre misure coercitive". L'applicazione della misura precautelare, come la custodia nei CPTA, dunque, "non essendo finalizzata all'adozione di alcun provvedimento coercitivo, si risolve in una limitazione "provvisoria" della libertà personale, priva di qualsiasi funzione processuale" ed è, sotto questo aspetto, "manifestamente irragionevole".

I rilievi della Corte in materia di arresto sono dunque inequivocabili, nel senso di consentirlo solo qualora lo stesso risulti funzionale allo svolgimento del procedimento penale.

Le Commissioni riunite propongono, con l'emendamento 1.470, da un lato, di elevare i limiti edittali delle pene detentive previste per gli stranieri che si trattengono nel territorio italiano in violazione dell'ordine di allontanamento impartito dal questore e, dall'altro, di prevedere un secondo ordine di espulsione, con conseguente ulteriore e inaccettabile trattenimento.

Si riscrive così parte della legge Bossi-Fini per aggirare surrettiziamente la pronuncia della Corte, a conferma della natura autoritaria e repressiva del provvedimento, che rischia anche in questa parte di incorrere in nuove censure di incostituzionalità.

Come se non bastasse, interviene un altro emendamento approvato dalle Commissioni riunite, l’1.0.13, dal titolo inequivoco ("Misure di sostegno alle politiche di contrasto dell'immigrazione clandestina"), che al fine di prevenire l'immigrazione clandestina impegna il Ministero dell'interno, con una copertura peraltro fittizia, a contribuire alla realizzazione di nuovi CPTA-lager (chiamati eufemisticamente "strutture") nei Paesi di "accertata provenienza".

Il provvedimento si configura nel suo complesso come assolutamente inadeguato a rispondere ai rilievi avanzati dalla Corte. Anzi, approfitta delle sentenze della Consulta per far fronte alla perenne situazione emergenziale conseguente ai continui sbarchi sulle coste italiane, predisponendo norme inefficaci e incostituzionali, che non tengono in alcun conto le ripetute condanne emesse in sede europea e internazionale circa il comportamento del Governo italiano in materia. La stessa Carta dei diritti fondamentali di Nizza, pur non prevedendo particolari novità in materia di diritto di asilo, all'articolo 19 stabilisce il divieto di respingimento dello straniero nel Paese in cui è oggetto di persecuzione.

I miei colleghi - l'ho fatto anch'io all'inizio del mio intervento - hanno citato la tristissima vicenda di Lampedusa. Ebbene, dal 29 settembre ad oggi, signor Presidente, sono giunti a Lampedusa 1.787 clandestini; 544 sono stati avviati ai centri di accoglienza di Crotone, Caltanissetta e Ragusa, o perché richiedenti asilo o per accertamenti. Tuttavia, 1.153 sono stati identificati (neanche tutti, per la verità), respinti e riammessi - ha detto il Ministro dell'interno - in Libia. "Riammessi": bella parola, questa! In realtà, si è trattato di un'espulsione collettiva.

Ora, a proposito di questa "riammissione", vorremmo sapere in che modo sono stati accolti e come sono stati trattati nel Paese in cui sono stati riammessi. In quest'Aula sono state già pronunciate molte dure condanne a questo proposito: i Verdi le fanno tutte proprie.

Le espulsioni collettive sono vietate anche dalla Convenzione europea sui diritti dell'uomo. La norma (articolo 4) del IV Protocollo allegato alla Convenzione è di per sé lapidaria e chiarissima. L'Italia ha firmato la Convenzione europea, quindi anche quell'articolo, volto proprio a impedire operazioni di pulizia etnica e di rastrellamento indiscriminato: ogni cittadino straniero, anche se irregolare, ha diritto ad essere ascoltato singolarmente, affinché regolarmente sia valutata la sua posizione, cosa che non è avvenuta a Lampedusa, con un’espulsione di massa. E non basta che ad ogni clandestino corrisponda un decreto: sono provvedimenti fotocopia, una forma ipocrita per dire che l'espulsione non è collettiva.

Noi Verdi condanniamo questi atti del Governo. Si tratta di espulsioni e deportazioni collettive intollerabili per un Paese civile e per la nostra coscienza di cittadini.

Con questo decreto-legge si ridisegna una parte della normativa in materia di immigrazione, che si innesta nella legge Bossi-Fini, replicandone norme liberticide e rigidità procedurali. Si alimenta una situazione di violazione del patto costituzionale in materia di diritti della persona e di garanzie di tutela giurisdizionale. Non ci potrà essere in alcun modo un sostegno a questo provvedimento. (Applausi del senatore Zancan).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Fassone. Ne ha facoltà.

FASSONE (DS-U). Signor Presidente, onorevole Sottosegretario, signor relatore, colleghi, il decreto-legge della cui conversione ci occupiamo si presenta nella sua relazione introduttiva con l'atteggiamento irreprensibile e ingenuo di chi afferma nella sostanza di adempiere ad un dovere: le norme che leggete sarebbero scritte, per così dire, sotto dettatura della Corte costituzionale e ciò garantirebbe la legittimità, direi quasi la necessità, dell'intervento. Non è così e mi riprometto di dimostrarlo sommessamente.

Il fatto che io affronti questo tema da un'angolatura strettamente tecnica non significa certamente che io non sia sensibile agli aspetti drammatici, talora tragici, illustrati dai colleghi Malabarba, Pagliarulo, Turroni, e che saranno probabilmente evidenziati da altri; significa semplicemente che, a mio avviso, lo strumento giuridico è indispensabile per raggiungere certe finalità di dimensione sociale e la correttezza, la razionalità, l'adesione a certi valori dello strumento stesso sono indispensabili per avvicinare la soluzione di quei problemi.

L'allontanamento o l'espulsione del cittadino straniero irregolare non è certo un problema nato oggi e risponde ad una vexata quaestio: se lo si espelle ma non lo si accompagna coattivamente, è facile che si sottragga e si immerga nella clandestinità; se lo si accompagna coattivamente si pratica una coercizione fisica, una restrizione della libertà personale, soggetta all'apparato di garanzie previste dalla Costituzione, in sostanza all'intervento giurisdizionale; se si aspetta l'intervento giurisdizionale, vi è di nuovo il rischio che il cittadino straniero si immerga nella clandestinità. La risposta che dà il decreto-legge, e soprattutto il testo licenziato dalla Commissione, è una risposta pesante, certamente non è l'unica.

Credo che una breve retrospettiva possa essere utile perché so di parlare a persone attente alla razionalità anche giuridica degli interventi che quest'Aula licenzia. Una breve retrospettiva può partire dalla cosiddetta legge Martelli - tutte queste leggi hanno uno o più nomi di padri - la legge n. 39 del 1990, che non prevedeva alcuna sanzione penale per questa materia, ma prevedeva semplicemente l'accompagnamento coercitivo alla frontiera per l'ipotesi che il soggetto non avesse ottemperato alla intimazione di lasciare il territorio.

Anche la legge n. 40 del 1998, nota come legge Turco-Napolitano, non prevede sanzioni penali per questa materia; sceglie una via di mezzo, ammaestrata nell'esperienza di quegli anni, e privilegia l'espulsione senza accompagnamento, cioè un'intimazione alla quale segue una possibilità di ricorso avverso il provvedimento, e riserva l'accompagnamento alla frontiera solo al caso in cui lo straniero si sia trattenuto indebitamente nonostante l'intimazione.

Colpisce, dunque, non il fatto di essere nel territorio bensì il fatto della disobbedienza ovvero aggiunge la circostanza del concreto pericolo che si sottragga all'esecuzione. Quell'aggettivo "concreto" ci impedisce di sostenere che il pericolo sussiste per il fatto stesso che è uno straniero che non ha lavoro e non ha relazioni sociali. Si sceglie quindi una via di prudente mediazione.

Quando l’accompagnamento alla frontiera non può essere eseguito con immediatezza opera l’allocamento presso i centri di permanenza temporanea a cui segue la convalida del pretore e - sottolineo - del magistrato togato. Quando invece può essere eseguito immediatamente, si espelle lo straniero, che poi può fare ricorso dallo Stato di destinazione; nel caso di mancata ottemperanza, nessuna sanzione penale era prevista dalla legge n. 40 del 1998.

Su questo contesto, già molto meno avanzato sulla linea della repressione penale di quanto non sia la cosiddetta legge Bossi-Fini, interviene la sentenza n. 105 del 2001 della Corte costituzionale, che è importante perché segna il percorso seguito successivamente dalla sentenza n. 222 del 2004, che è quella alla quale il decreto-legge dichiara di voler ottemperare. Infatti, questa sentenza dirà testualmente: "Il percorso della presente decisione è interamente segnato dalla sentenza n. 105 del 2001". C’era quindi un campanello di allarme che bisognava ascoltare.

La sentenza n. 105 nasce da un’eccezione plurima di molti magistrati, i quali sostengono che a poco serve la loro convalida, il loro giudizio portato semplicemente sul provvedimento di trattenimento presso i centri, se non possono avere riguardo anche al decreto di espulsione. Quand’anche non venisse convalidato il trattenimento, il provvedimento di espulsione rimarrebbe comunque operante, ed essendo un intervento restrittivo della libertà personale, esso si sottrae alla tutela giurisdizionale in violazione dell’articolo 13 della Costituzione. Questo dicono i giudici.

La Corte risponde che i giudici a quibus avrebbero ragione se la legge permettesse soltanto la lettura che essi ne danno. Ma, in realtà, l’espulsione sulla quale dicono di non poter condurre indagine è il presupposto logico del trattenimento presso i centri.

Dunque, la valutazione giudiziaria va portata e sull’uno e sull’altro. Quindi, la riserva di giurisdizione opera nei confronti dell’uno e dell’altro provvedimento, e la riserva di giurisdizione è quella di cui all’articolo 13 della Costituzione nella sua interezza, che significa appunto contraddittorio, difesa e attitudine del provvedimento giudiziario di mancata convalida a far cessare gli effetti negativi del provvedimento.

Questo era il campanello di allarme che occorreva tenere presente. Questo era il campanello di allarme che invece non fu ascoltato e, in tutta risposta, il decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51, convertito nella legge n. 106 dello stesso anno, introdusse, all’articolo 2, il comma 5-bis che prevedeva, sì, la convalida - che, ribadisco, era ad opera del magistrato togato - ma il provvedimento era dichiarato immediatamente esecutivo nonostante tutte le obiezioni sollevate anche in quest’Aula.

Conseguentemente l’eventuale mancata convalida non produceva gli effetti che l’assetto dell’articolo 13 della Costituzione pretende. Come se non bastasse, la legge n. 189 del 2002, nota come Bossi-Fini, completava l’opera non intervenendo più sulla giurisdizione ma sanzionando penalmente, ex comma 5-ter, dell’articolo 14, del decreto legislativo n. 286 del 1998 il fatto di trattenersi nonostante l’intimazione. Prevedeva l’arresto da 6 mesi ad un anno e quindi l’arresto obbligatorio.

A questo punto erano inevitabili le due sentenze alle quali oggi si intende ottemperare. La sentenza n. 222 del 2004 colpiva non la legge Bossi-Fini, come impropriamente si dice, ma il decreto-legge 4 aprile del 2002, proprio perché diceva che non erano state ascoltate le indicazioni che la Corte dava, realizzandosi la valutazione giurisdizionale ma non il contraddittorio, per la semplice ragione che se il provvedimento è esecutivo, davanti al giudice il soggetto non potrà difendersi. Di qui l’illegittimità della norma.

La sentenza n. 223 del 2004 colpisce invece l’arresto obbligatorio con una espressione icastica e significativa: siccome l’arresto obbligatorio deve essere convalidato dal giudice, che deve avere almeno la giuridica possibilità di protrarre lo stato di detenzione (ma qui non lo può fare), siamo in presenza di una misura precautelare che non essendo finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo si risolve in una limitazione provvisoria della libertà personale priva di qualsiasi funzione processuale.

Che cosa è successo? Il decreto-legge intende porre riparo alla prima censura costituzionale, quella della sentenza n. 222, affidando una procedura, e integralmente in contraddittorio, alla giurisdizione (e fin qui va bene), ma affidandola al giudice di pace.

Ora io non voglio assolutamente considerare il giudice di pace, come taluno ha detto, un giudice di serie B. Lo abbiamo sostenuto, proposto e voluto come giudice avente anche una competenza penale, avente una sua piena autonomia, avente un’estrazione molto qualificata, avente una formazione professionale tendenzialmente alta. Non mi sento quindi di dire che è un giudice di serie B. Però, alcune limitazioni sono oggettive ed ineludibili: il giudice di pace è a termine, perché deve essere confermato; è un giudice, quindi, che ha una qualche soggezione che il magistrato togato non ha. È un giudice che ha una qualificazione professionale minore, perché lo stabilisce la legge.

Non è dunque in contraddizione con quanto ho detto ritenerlo un giudice elevato, ma certamente meno attrezzato professionalmente del magistrato togato perché lo dice la legge. Infatti, la prima legge delega del 1991 gli affidava la competenza per i reati per i quali non sussistono particolari difficoltà interpretative. La nuova legge delega del 1999 gli affida la competenza quando non ricorre la necessità di procedere a indagini o a valutazioni complesse. Questo, invece, è il caso in questione, perché laddove l’irregolarità nasce semplicemente e formalmente dalla mancanza di un permesso di soggiorno, certamente la questione non è complessa e difficile, ma laddove c’è l’invocazione di un diritto di asilo, di una situazione di soccorso e di un’esigenza particolare, l’analisi è estremamente delicata e il giudice di pace non ha né la piena indipendenza, anche psicologica, necessaria, né la caratura professionale richiesta e, oltre a ciò, non ha nemmeno lo strumentario logistico necessario, tant’è vero che il decreto-legge si premura di dire che la questura gli fornisce, all’occorrenza, i locali.

Noi stiamo quindi delineando un giudice mero esecutore, un giudice mero passacarte, e questo non è bene. Ma la cosa peggiore deve ancora venire. La cosa peggiore non è nel decreto-legge ma nel testo licenziato dalla Commissione. Siccome questo fenomeno si ripete, signor Presidente, signor rappresentante del Governo, cioè di un testo governativo in qualche modo pulito, che poi viene pesantemente aggravato in sede parlamentare da un emendamento che, non a caso, vede come firmatari quattro componenti della maggioranza, fa sorgere il pensiero malizioso, ma forse non ingiustificato, che si continui a ricorrere a questo per bypassare l’articolo 87 della Costituzione.

Pertanto noi siamo costretti a lamentare non tanto questo metodo (la Commissione ovviamente è sovrana e, se ritiene, può apportare tutte le modifiche che crede) quanto il contenuto, perché veramente si tratta quasi del gioco delle tre tavolette: che cosa aveva detto la Corte con la sentenza n. 223? Non possiamo prevedere l’arresto obbligatorio perché non seguirà una misura cautelare dal momento che la pena non la prevede. E voilà: noi alziamo la pena e prevediamo la reclusione da uno a quattro anni. Quindi, lo straniero che si trattiene in violazione dell’intimazione è punito con la reclusione da uno a quattro anni. E visto che ci siamo (viene da dire con una espressione banale, ma purtroppo aderente alla realtà) diamo anche un colpetto sanzionatorio a quell’unica altra fattispecie che aveva il precetto ma non la sanzione: lo straniero che si trattiene nel territorio con permesso di soggiorno scaduto da oltre 60 giorni era soggetto bensì all’espulsione, ma non era prevista la sanzione qualora non ottemperasse. Guai ad avere un vuoto del genere! Puniamo anche questo da sei mesi a un anno. Già che ci siamo, inaspriamo anche le pene per il reingresso: erano da sei mesi a un anno di arresto, si passa da un anno a quattro anni.

Siamo davvero di fronte all’apoteosi della penalità, alla sagra del muscolo, al trionfo del diritto penale massimo, altro che minimo, come risoluzione dei problemi sociali!

Allora, è affidato alla sensibilità del Governo e del relatore, se riterranno, di rendersi conto che questo va esattamente nella direzione diametralmente opposta a quella suggerita dalla Corte. E, se non avverrà questo, avverrà quell’adeguamento empirico-empatico che mille volte accade in questi casi, perché la norma che il legislatore licenzia è il mattone di un edificio, ma l’edificio c’è già, a prescindere dalla norma.

Vogliamo leggere un momento che cosa ha detto la Corte costituzionale in un’altra sentenza e che cosa dice il contesto normativo? Chi è il destinatario dell’intimazione che non la osserva, con la legge Bossi-Fini? Questo avviene quando non è stato possibile trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporanea, ovvero quando sono decorsi i trenta più trenta giorni di permanenza presso il centro senza aver eseguito l’espulsione. In parole banali, quando non si sa dove mandarlo. Questo è colui che si sottrarrà, perché non potrà andare, o non vorrà, ma comunque non si sa dove mandarlo e allora lo si sanziona penalmente.

Badate bene, siete stati molto saggi, perché la mia prima reazione mentale è stata quella di pensare: ma che gran sciocchezza si sta facendo! Anche ammesso che lo si voglia condannare a un anno o più di galera, il giudice, in forza dell’articolo 16 del testo unico, può sostituire, anzi normalmente sostituisce questa galera con l’espulsione e quindi lo troviamo di nuovo nella necessità di lasciare il territorio. Poi mi sono accorto invece che no, siete stati molto accorti, lo riconosco, perché, ex articolo 16, comma 2, del testo unico, l’espulsione non può essere disposta per i delitti previsti dallo stesso testo unico puniti con pena edittale superiore nel massimo a due anni. Qui si prevedono quattro anni, quindi il giudice non lo può espellere subito come sanzione sostitutiva, gli farà fare l’anno o due di galera e poi lo espellerà di nuovo, quindi si riproporrà il problema; ma nel frattempo si sarà fatto un annetto di galera.

Allora, abbiamo inventato una specie di moto perpetuo detentivo, perché, se di nuovo non si saprà dove mandarlo, lui non ottempererà, magari semplicemente perché non ha i soldi, perché non ha relazioni sociali, perché là lo ammazzano, non vorrà andare e lo rimetteremo in galera.

Credo allora che questo intervento normativo sia infelice; apparentemente, come dicevo, si presenta come necessitato, in realtà rivela una profonda cultura della paura. Molto più saggia sarebbe stata una politica non centrata solo sulla repressione penale, come suggeriscono alcuni dei nostri emendamenti, come hanno già detto i colleghi. Il fenomeno dell’immigrazione non si contrasta con il carcere. Non si tratta del panico dei mille o duemila o diecimila di Lampedusa: per quelli opera con prudente discernimento l’istituto del respingimento alla frontiera…. (Richiami del Presidente). Signor Presidente, se mi concede un minuto, la ricambierò ritirando i miei emendamenti.

PRESIDENTE. Ci penserò. Prego, senatore Fassone.

FASSONE (DS-U). Non più di un minuto, signor Presidente.

PRESIDENTE. Concediamo il minuto "a prescindere", come direbbe il famoso Totò.

FASSONE (DS-U). La ringrazio. Per quelle situazioni - dicevo - c’è l'istituto del respingimento alla frontiera, prudentemente misurato sull’altro istituto della richiesta di asilo. Per questi, invece, va adottata un’altra politica, quella dell’integrazione, sulla quale si soffermeranno altri colleghi. Trascurare questa direttrice e scegliere il carcere significa dimenticare quell’espressione, che io credo di poter definire poetica, che usò Vaclav Havel a fronte del problema dell’immigrazione già alcuni anni or sono. Disse: l’Europa è una grande metafora; è il luogo dove la terra finisce e i popoli trovano riposo. Non c’è alternativa all’accoglienza e alla mediazione.

Voi un’alternativa l’avete cercata nelle altre direzioni, dando ragione in questo caso a quell’altro autore, Delumeau, il quale scriveva: "Nella storia della collettività le paure cambiano, ma la paura resta". (Applausi dai Gruppi DS-U, Mar-DL-U e del senatore Biscardini).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Battisti. Ne ha facoltà.

BATTISTI (Mar-DL-U). Signor Presidente, io credo, per riprendere il ragionamento del collega Fassone, che il provvedimento che stiamo discutendo rappresenti un sostanziale peggioramento della cultura che già ha ispirato la legge Bossi-Fini. Siamo di fronte ad un provvedimento necessitato in virtù delle due sentenze della Corte costituzionale, anche se i motivi che hanno ispirato quelle sentenze erano stati da larga parte dell’opposizione evidenziati già in sede di discussione di tale legge.

Ci preoccupa, signor Presidente, quello che è accaduto nei dieci-quindici giorni che ci stanno alle spalle ma che ormai accade tutte le estati, a Lampedusa piuttosto che sulle altre coste siciliane, o nei cosiddetti centri di permanenza temporanea, rispetto ai quali abbiamo anche discusso una mozione che ha evidenziato dati incontrovertibili quanto allarmanti che danno di quei centri, come già è stato sottolineato, l’immagine più di non luoghi che di luoghi in qualche modo organizzati.

Procediamo, ripeto, nello stesso segno di quella cultura che ha ispirato la Bossi-Fini, tradendo lo spirito delle due sentenze della Corte costituzionale; cercherò di motivare quest’affermazione.

La strada che abbiamo imboccato ci preoccupa. Siamo convinti che quello dell’immigrazione sia un fenomeno che non può essere fermato, bloccato, cancellato, annullato con un provvedimento di legge (e le ragioni sono molteplici), ma siamo altrettanto convinti che uno Stato tanto più dimostra capacità di governo di un fenomeno certamente complesso quanto più riesce a ridurne gli aspetti peggiori, sia per quanto riguarda i cittadini, sia sotto il profilo umanitario. Non è così, anche se questa dovrebbe essere la funzione del legislatore in tale materia.

C’è un recente e bellissimo libretto (lo definisco così in riferimento al numero delle pagine, non al contenuto) di un giurista, Paolo Grossi, intitolato "Prima lezione di diritto", che spiega bene qual è, anche in situazioni di questo tipo, il compito del legislatore. Egli fa un esempio intelligibile a tutti, quello di una lunga fila allo sportello di un qualsiasi ufficio, del Comune o di altro ente a cui ci rivolgiamo per ragioni di carattere burocratico. Nella fila una serie di persone si azzuffa per stabilire chi deve essere il primo a rivolgersi all’impiegato.

In questi casi, dice il giurista, funzione del diritto è quella di stabilire una regola, una norma per cui, anziché azzuffarsi davanti allo sportello, c’è una regolare fila in cui tutti hanno un vantaggio, perché tutti possono essere ricevuti e ascoltati e nessuno riesce a sopraffare l’altro.

Credo che l’ottica dovrebbe essere questa, perché noi non siamo in grado di fermare il fenomeno dell’immigrazione, né le ragioni che lo provocano. Siamo in grado, però, di comportarci da legislatori e a tale proposito, ripeto, quello che è accaduto nei giorni precedenti ci preoccupa perché è evidente che a Lampedusa abbiamo assistito ad esclusioni di carattere collettivo.

È evidente che queste sono vietate; vi è un espresso divieto di respingimento. Non si sono potuti rispettare quei dettati di carattere giuridico a cui tutti però dovremmo attenerci. Ed è evidente che è stato impedito l’accesso nel centro di permanenza di Lampedusa al delegato dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite, il quale ha rilasciato dichiarazioni sulle quali dovremmo riflettere.

Dice l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati: vi sono preoccupazioni in merito alle effettive intenzioni del Governo libico di garantire standard minimi di trattamento alle persone che potrebbero avere bisogno di protezione internazionale, anche in relazione al fatto che la Libia è tra quei Paesi che non hanno mai aderito alla Convenzione ONU sui rifugiati del 1951 e che non hanno mai siglato accordi che prevedano formalmente la presenza dell’Alto commissariato nel Paese. È stato vietato l’ingresso a tutte le associazioni presenti sul territorio: mancavano gli interpreti, gli avvocati. I tempi sono stati così brevi - e voglio usare un eufemismo - da far sorgere il dubbio che non sia stata possibile una reale identificazione dei vari soggetti.

È evidente che quello è il momento centrale della richiesta d’asilo, quello di avere cioè tempi e modalità in grado di garantire l’effettivo esercizio del diritto d’asilo, per la nostra Costituzione e per la Convenzione di Ginevra che abbiamo firmato e - lo sottolineo di nuovo - in virtù dell’articolo 4 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che stabilisce con chiarezza che le espulsioni collettive sono vietate.

Quanto è successo in questi giorni - ripeto - è in linea con quella cultura che ha prodotto la Bossi-Fini ed oggi questa modificazione. L’intervento del legislatore - su cui non mi dilungherò, altri lo hanno fatto meglio di me - avviene proprio in virtù di quelle due sentenze della Corte costituzionale, che tuttavia non hanno inteso soltanto e semplicemente indicare al legislatore un problema di natura tecnica. Esse hanno indicato anche il pensiero, e degli innumerevoli giudici che alla Corte costituzionale si sono richiamati e della Corte stessa, quando in riferimento sia al trattenimento presso i centri di permanenza temporanea, sia all’espulsione, sia all’accompagnamento, sottolinea - e non è la prima volta - come si tratti di un’azione diretta a un costringimento fisico di natura indeterminata, destinata a durare oltre le quarantotto ore senza previsione di un termine massimo; dunque di una misura incidente sulla libertà personale che non può essere adottata al di fuori delle garanzie previste dall’articolo 13 della Costituzione.

Allora cosa ci indica la Corte costituzionale, oltre a obbligare il legislatore a modificare quella parte di legislazione che ha ritenuto incostituzionale? Ci indica che a quei soggetti - gli extracomunitari - vanno riconosciuti tutti i diritti che la nostra Costituzione concede ai cittadini. Questo è il senso - ripeto - oltre all’intervento specifico.

Cosa fa il nostro legislatore? Non si cura del senso vero di quelle sentenze - non solo della prima, altre ne sono state già citate - ed interviene sui due aspetti sui quali era obbligato ad intervenire, riconoscendo ai cittadini extracomunitari che l’apparato giurisdizionale deve essere loro garantito perché siamo in tema di libertà personale. E come lo fa? Lo fa affidando al giudice di pace la convalida su quei provvedimenti, che, come ho detto, attengono alla libertà personale.

Sono due gli aspetti che ci preoccupano e che vogliamo sottolineare. Il primo è già stato evidenziato dal senatore Fassone: non saremo certo noi a sottolineare o dire che il giudice di pace è un giudice di serie B, ma è certo che egli non ha la stessa competenza professionale e, proprio in virtù di questo, non può fornire le stesse garanzie che riesce ad assicurare un giudice togato.

Che avremo allora? Avremo i cittadini italiani, che in tema di provvedimenti sulla libertà avranno un giudice a pieno titolo, a tutto tondo, con specifica formazione professionale e tutte le garanzie, e i cittadini extracomunitari che avranno un giudice un po’ meno preparato, il quale li garantirà un po’ meno. Dal punto di vista costituzionale, questa è una lesione inaccettabile. È evidente che le garanzie dell’articolo 13 della Costituzione si riferiscono a tutti e che quelle garanzie e non altre devono essere concesse a tutti.

Come ho già affermato in Commissione, dico questo anche sotto un altro profilo, anche guardando l’altro lato della moneta: non possiamo concepire che ci siano giudici diversi che si occupano dello stesso tema, cioè che ci siano giudici che si occupano di provvedimenti in materia di libertà personale per ciò che concerne i cittadini immigrati e giudici che se ne occupano solo per ciò che concerne i cittadini italiani e residenti. Il nostro atteggiamento è assolutamente contrario rispetto a questo punto.

Inoltre, anche le motivazioni con cui si giustifica l’adozione di questo provvedimento sono assolutamente risibili. Si afferma infatti che l’eccessivo carico di lavoro che l’introduzione dell’udienza di convalida dell’accompagnamento alla frontiera comporta, secondo il Governo, consiglia una complessiva rimeditazione della competenza in materia, attribuendola quindi al giudice di pace e liberando da essa il tribunale ordinario. Credo che anche in questo caso - lo dico con il massimo rispetto - ci sia un evidente dato di falsità.

Non so se qualcuno abbia mai verificato in che stato sono gli uffici del giudice di pace; essi versano, ahinoi, e lo dico senza divisioni tra maggioranza e opposizione, in uno stato drammatico, nel quale, a volte, non si sa nemmeno dove siano i fascicoli; angusti appartamenti, in cui i fascicoli sono racchiusi in armadi fatiscenti e dove non si riesce a portare avanti il lavoro esistente; i motivi e le ragioni, anche in questo caso, sono molti (scarsità di mezzi e quant’altro), ma non è questa la sede per affrontare tale tema. Tuttavia, certamente, quel giudice di pace oggi non è in grado di affrontare il suo ordinario lavoro; immaginiamo se egli dovrà occuparsi anche dei provvedimento di convalida, che certamente non saranno pochi: vedremo di sicuro il fallimento di questo tipo di visione.

Peraltro, tutto ciò con una spesa non indifferente, comprendendo anche il maggiore onere annuo per le indennità al giudice di pace (essendo, secondo le stime del Governo, quantificata in 1.733.210 euro), oltre alle spese che si dovranno affrontare in relazione ai locali, ove i funzionari di pubblica sicurezza dovranno coadiuvare i giudici di pace.

Avremo quindi una totale inefficienza, una spesa rilevante e una limitazione della garanzie. Vorrei capire per quale motivo, se ve ne fosse anche uno solo, non dovremmo osteggiare il provvedimento. Lo contrasteremo con gli emendamenti, come è stato fatto in Commissione, anche se sappiamo che non avremo né ascolto né successo.

Dovremo chiedere al Governo di fare chiarezza sulle politiche che ci aspettano nel futuro. Il Ministro dell'interno è persona competente e seria, più volte apprezzata per i suoi interventi, tuttavia tra i suoi interventi e le attività poste in essere dal Ministero c'è a volte una grandissima differenza. Abbiamo assistito a gravi violazioni dei diritti a Lampedusa e abbiamo ascoltato grandi dichiarazioni di rispetto dei diritti umani. Dovremo chiedere al Ministro di essere coerente con quanto stabilito dal Vertice di Tampere e riconfermato al vertice di Salonicco. Il Ministro ci deve dire che cosa intende fare il Governo in relazione ai rifugiati, al diritto d'asilo, alle politiche di immigrazione che devono coinvolgere il Dicastero degli affari esteri e devono avere unitarietà all'interno dell'Europa. Più volte il Ministro ha detto che ci vuole più Europa; ebbene, siamo noi a chiedere a lui più Europa, anziché più poliziotti che contrastino quel tipo di immigrazione.

Più volte il Ministro ha affermato che è necessario più lavoro legale: riveda allora i decreti sulle quote, ascolti gli imprenditori italiani e il presidente Montezemolo che chiedono più lavoratori stranieri, si renda conto che nella città di Roma quasi il 15 per cento delle imprese iscritte nel registro delle attività commerciali fa capo a cittadini regolarmente immigrati; risolva il problema dei tanti cittadini immigrati che sono stati regolarizzati ma devono aspettare tra i dieci e i diciotto mesi per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno che spetta loro.

L'elenco delle inadempienze del Governo in questa materia è, purtroppo, molto lungo. Considereremo l'atteggiamento della maggioranza nella discussione ma credo che il nostro voto e il nostro pensiero resterà contrario al disegno di legge. (Applausi dal Gruppo Mar-DL-U).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Maritati. Ne ha facoltà.

MARITATI (DS-U). Signor Presidente, signor Sottosegretario, relatore, colleghi, la legge Bossi-Fini, che ha sostituito indegnamente e rovinosamente la precedente normativa sul fenomeno dell'immigrazione, sottoposta per la seconda volta all'esame di legittimità della Corte costituzionale, ha subìto una pesante censura da parte del Giudice delle leggi, che ne ha evidenziato l’incostituzionalità nel punto in cui prevede la procedura di espulsione dello straniero privo di regolare permesso.

La censura della Corte ha colpito la legge in due punti, entrambi lesivi del principio fondamentale contenuto nell'articolo 13 della Costituzione. L'attuale versione della norma prevede, tra l'altro, che il provvedimento di espulsione del questore sia immediatamente esecutivo e che, nell'ipotesi in cui lo straniero espulso venga sorpreso nel territorio dello Stato, sia passibile della pena dell'arresto da sei mesi ad un anno, con la previsione dell’arresto immediato.

La Corte, richiamando puntualmente l’articolo 13 della Costituzione, ancora una volta ha ribadito che non può essere ammessa alcuna forma di detenzione né qualsiasi altra restrizione della libertà personale se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e che nei casi eccezionali di necessità ed urgenza previsti dalla legge l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori che devono essere convalidati, entro quarantotto ore, dall’autorità giudiziaria e se questa non lo fa si intendono revocati e restano privi di ogni effetto.

Il Governo è stato così costretto ad intervenire sulla legge in vigore scegliendo lo strumento del decreto-legge, che però, come spesso accade con l’attuale maggioranza, si limita ad un’osservanza del tutto formale e apparente dei principi costituzionali al cui rispetto è stato richiamato dalle decisioni della Corte, lasciando intendere di non voler ancora affrontare l’essenza del problema, che così rimane irrisolto.

Il decreto-legge, infatti, prevede una procedura di convalida affidandone la competenza al giudice di pace, che, come è noto e come è stato già ricordato ampiamente, è di recente istituzione nel nostro ordinamento, con una competenza di rilievo ma quasi esclusivamente non penale. Inoltre, sebbene in seguito gli sia stata conferita una competenza per reati di assai lieve entità, nell’attuale sistema è rimasto del tutto estraneo alle fasi relative all’emissione e/o valutazione dei provvedimenti restrittivi della libertà personale.

Le scelte del legislatore sono state molto chiare. Un giudice di pace, che non ha lo stato giuridico e le prerogative del magistrato ordinario, tratta materie per la gran parte non penali, soprattutto in tema di libertà personale, non certo in forza di una sorta di sfiducia a priori, ma piuttosto in ragione del suo stato giuridico, che non gli consente di offrire quelle necessarie garanzie di competenza e di indipendenza nel delicato settore delle limitazioni della libertà personale.

Il decreto-legge al nostro esame, al contrario, attribuisce al giudice di pace la competenza a trattare la procedura di convalida del fermo degli stranieri espellendi, con l’espressa motivazione che nell’ipotesi in cui fosse incaricato il giudice ordinario vi sarebbe un pericolo di intasamento ulteriore della già gravata macchina della giustizia. Lo si legge nella relazione introduttiva al decreto. È una motivazione veramente singolare: è un po’ come se fosse consentito violare i princìpi generali dell’ordinamento e gli stessi princìpi costituzionali in forza di esigenze o di carenze organizzative e funzionali dell’amministrazione della giustizia. Rilevo, inoltre, che si tratta di una competenza in materia di libertà non in relazione alla materia trattata, ma, per la prima volta nel nostro ordinamento, si conferisce una competenza in ragione della cittadinanza delle persone sottoposte al vincolo di libertà. È un aspetto veramente grave.

Vi è di più, dal momento che al giudice di pace, il cui carico di lavoro per le sue ordinarie competenze è, come ricordato, assai gravato, vengono unicamente riconosciute indennità aggiuntive pari a 20 euro per ogni convalida di espulsione, introducendo così nel nostro sistema giudiziario, e per di più nel settore dei provvedimenti che incidono sulla libertà personale, un vero e proprio lavoro a cottimo.

Il giudice di pace, per finire, dovrà operare in questo settore servendosi di locali che le questure metteranno a sua disposizione, nei limiti del possibile, con il personale necessario al lavoro di interprete. Appare quanto mai evidente che non si tratta di una previsione che attiene solo alla logistica del lavoro, ma ad un tipo di organizzazione che non potrà non avere serie ripercussioni sulla libertà e sull’indipendenza del giudice di pace, già di per sé non attrezzato a svolgere il delicato compito di decidere sulla libertà personale di un numero elevatissimo di persone che la polizia si accinge ad espellere senza indugi di sorta in forza di direttive politiche ben determinate da parte del Governo.

È sufficiente guardare a quanto è accaduto giorni fa nell’isola di Lampedusa, dove sono stati stracciati i princìpi fondamentali che attengono ai diritti della persona contenuti nella nostra Costituzione e nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Le esigenze di rispetto dei valori costituzionali a tutela dei quali si è espressa di recente la Corte restano quindi sostanzialmente inevase, giacché l'articolo 13 della nostra Costituzione subordina espressamente ogni forma di restrizione della libertà personale alla decisione - con atto motivato - dell'autorità giudiziaria, richiamandosi, ovviamente, alle competenze che in merito stabilisce il codice di procedura penale, per cui non è pensabile che tale precetto possa essere rispettato attribuendo ex abrupto ad un giudice privo assolutamente di competenze in materia di provvedimenti sulla libertà personale una mole di casi che attengono, invece, in modo specifico ed esclusivo alla valutazione di provvedimenti amministrativi che, come è stato ribadito dalla stessa Corte, incidono profondamente sulla libertà personale di chi si vuole espellere dal territorio nazionale.

Del tutto erroneo appare, quindi, l'assunto del relatore, il quale per sfuggire a queste obiezioni afferma che comunque il giudice di pace in questo caso sarebbe chiamato unicamente a valutare la legittimità del provvedimento amministrativo adottato dagli organi di polizia e non ad adottare egli stesso provvedimenti atti a restringere la libertà personale. La risposta sembra più una giustificazione difensiva di maniera che non una degna motivazione che possa rafforzare la legittimità del decreto di cui discutiamo.

La Corte costituzionale ha inoltre censurato la legge Bossi-Fini nella parte in cui (comma 5-quinquies dell'articolo 14) prevede l'arresto obbligatorio per lo straniero sorpreso sul territorio nazionale dopo che nei suoi confronti il questore abbia emesso l'ordine di lasciare il Paese, cioè per un fatto che la stessa legge considera contravvenzione, punita con l'arresto da sei mesi ad un anno e quindi in contrasto con il principio per cui non è consentita la cattura preventiva per reati puniti con una pena al di sotto di un certo limite indicato dalle leggi.

Il decreto del Governo ha risolto in maniera quanto mai sorprendente il problema, o tenta di risolverlo, modificando la natura del reato - ecco quindi una trasformazione ad hoc - da contravvenzione a delitto, prevedendo addirittura la reclusione da uno a quattro anni e poi da sei mesi ad un anno - come è già stato rilevato - per chi si trattenga sul territorio nazionale a permesso scaduto. A parte l'evidente sproporzione della pena (la presenza illegittima sul territorio dello Stato viene equiparata ad una rapina), va considerato che gli stranieri che dopo il decreto di espulsione non vengono rimpatriati coattivamente (come è stato fatto - lo ricordo ancora una volta - a Lampedusa e in altre circostanze) sono generalmente tutti coloro la cui identità nazionale non sia stata accertata, il più delle volte perché il Paese di provenienza non intende riconoscerli e riammetterli, così che vi sarà una moltitudine di persone che, per non aver adempiuto all'ordine di lasciare il territorio nazionale perché non possono ritornare nella loro patria, finiranno in carcere per un delitto ritenuto così grave, andando così ad ingrossare paurosamente le già stipate celle delle galere nazionali.

Sarebbe molto istruttivo che molti di voi, colleghi della maggioranza, visitaste le nostre carceri, per vedere lo scenario allucinante di centinaia, migliaia di stranieri rinchiusi nelle patrie galere per reati non gravi, nella gran parte dei casi: le file andranno ancora di più ad ingrossarsi per quel reato assurdo previsto dal vostro decreto.

La soluzione prospettata ha inoltre il grave limite di lasciare irrisolto il grave problema di cosa accadrà a quei detenuti nel momento in cui, scontata la pena, dovranno scegliere una nuova patria; e se non saranno in grado di farlo? Subiranno un nuovo ordine di allontanamento, un nuovo processo e nuovo carcere! Il problema non solo resta, ma risulta sensibilmente aggravato grazie alla vostra logica di mostrare i muscoli, ma di non affrontare i problemi sociali alla radice con gli strumenti più idonei.

La maggioranza si trova pertanto ad affrontare situazioni che diventano sempre più gravi e delicate, nonostante i suggerimenti forniti dall’opposizione, che ha formulato un consistente numero di emendamenti migliorativi del decreto; continua ad adoperare l'unico argomento di cui sembra capace, vale a dire quello della mera repressione, che risulta sempre di più il meno adatto a governare il fenomeno migratorio.

Ciò è dimostrato, oltre che dal contenuto dei tre articoli di cui è composto il decreto, in sostanza, anche dai non pochi emendamenti, certo peggiorativi, formulati e in gran parte già approvati in Commissione dalla maggioranza: ho già detto dell'aggravamento delle pene a carico degli stranieri che non osservino l'ordine del questore.

I nostri emendamenti non hanno nulla di ostruzionistico, sono tutti improntati ad un sostanziale miglioramento della normativa vigente; eppure, vi siete trincerati ancora una volta dietro la miopia della prevalenza dei numeri!

La vostra legge non funziona: lo dimostrano i numeri e le vostre azioni repressive, come quelle consumate - ripeto - di recente a Lampedusa, che oltre a non incidere minimamente sulla soluzione dei mille problemi, li esasperano, producono danni materiali e morali al Paese.

Riservandomi di approfondire le nostre proposte in sede di esame degli emendamenti, mi limito a ricordare e ad evidenziare che l'emendamento 01.1, del senatore Viviani, cui ho apposto la mia firma, come altri colleghi, se approvato offrirebbe una soluzione tra le migliori per incidere positivamente sullo stato di clandestinità di un numero rilevantissimo di stranieri, nei confronti dei quali ovviamente non vi sarebbe più alcuna necessità di attivare le costose e difficili procedure di espulsione, con un enorme beneficio per la stessa nostra economia. Sono certo che, se approvassimo quell’emendamento, in buona parte l’immigrazione illegale diventerebbe inutile.

Per finire, credo che questo decreto non dovrebbe rappresentare ancora una volta l'occasione mancata, quanto meno al fine di evitare che la Corte costituzionale torni inesorabilmente a censurare una delle leggi più inefficaci e dannose, qual è la Bossi-Fini.

Come ho ricordato all'inizio di quest’intervento, la Corte ha dichiarato l’illegittimità della legge in due punti, partendo dal richiamo espresso al rispetto dell'articolo 13 della Costituzione, che dalla previsione normativa sull’espulsione senza il vaglio giudiziario risultava violato.

Bene, analoga violazione (e qui vi prego - mi rivolgo ovviamente al relatore - di riflettere) si registra nel punto in cui la procedura di convalida da parte del giudice non è prevista per la procedura di respingimento alla frontiera; dunque, per questa ipotesi di respingimento alla frontiera non è prevista la stessa procedura di garanzia, soprattutto quando il respingimento viene differito e l'espellendo rinchiuso in uno dei centri di permanenza temporanea.

Le disposizioni previste da questo decreto non introducono alcuna forma di controllo giudiziario sul provvedimento di respingimento differito, né quindi sull’accompagnamento di fatto, e allora non esiste, a mio giudizio, alcuna differenza tra questa ipotesi e il caso esaminato dalla Corte e pertanto quest’ultima, colleghi della maggioranza, è la sede istituzionalmente più appropriata e corretta per intervenire, prima di attendere un'altra inesorabile sentenza censoria della Corte. Per questo abbiamo presentato uno specifico emendamento al fine di estendere anche a questa ipotesi le garanzie cui ci richiama la Corte.

La nostra posizione, quindi, è decisamente contraria a questo decreto, ma con spirito decisamente costruttivo, nella speranza che il buon senso prevalga tra voi, colleghi della maggioranza, affinché sia possibile varare finalmente un testo di legge migliorativo sull’immigrazione e non già, sotto alcuni aspetti, come rischiate di fare ancora una volta, peggiorativo. (Applausi dal Gruppo DS-U).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Zancan. Ne ha facoltà.

ZANCAN (Verdi-U). Signor Presidente, signor Sottosegretario, colleghi, sono costretto ad una premessa brevissima. Nella seduta di martedì 19 febbraio 2002, un senatore dell’opposizione (e uso questo termine "opposizione" nel significato più alto che a tale termine si può dare), cioè il sottoscritto, ebbe a presentare una questione pregiudiziale che suonava letteralmente così: "Tutto questo" - ovverosia l’espulsione - "può essere ottenuto attraverso un provvedimento del questore che non è certamente quell'atto motivato dell'autorità giudiziaria previsto dall'articolo 13, secondo comma, della Costituzione. Vi è dunque una palese violazione del principio di eguaglianza (…), perché si può agire, nei confronti del cittadino straniero, in modo diverso rispetto al cittadino del nostro Stato".

Ho fatto questa premessa senza nessuna iattanza, anzi, con molta tristezza, ma augurandomi che questo non succeda per una seconda volta.

Il disegno di legge al nostro esame, specialmente in forza dell’emendamento 1.470, a firma dei Capigruppo della maggioranza, approvato in Commissione, è avviatissimo a fare la stessa fine.

Allora, metto agli atti innanzitutto questa premessa. Due sentenze ineccepibili della Corte costituzionale come due fari avevano illuminato la materia sorda e grigia della legge Bossi-Fini. Bastava seguire la luce, non era un compito difficile quello che spettava al Governo in sede di emanazione del decreto-legge.

Ma quei fari non sono stati seguiti perché, una volta che è stato deciso dalla Corte che l’espulsione è un provvedimento limitativo della libertà, che quindi non può essere assunto se non con atto motivato dell’autorità giudiziaria convalidato nel contraddittorio, si è inventata la competenza del giudice di pace. Non piace a questo Governo e a questa maggioranza ubbidire alla Corte costituzionale, e allora si fanno invenzioni nocive e perniciose al solo fine di non rispettare le sentenze della Corte.

Per il giudice di pace, istituito con la legge n. 347 del 1991, era prevista l’attribuzione di competenze penali e civili, ma come sappiamo le competenze penali vennero congelate in forza di riserve avanzate hic inde, da una parte e dall’altra, maggioranza e opposizione, sia pure a ruoli invertiti, fino alla legge del 1999 di delega al Governo, che peraltro entrò in vigore il 2 gennaio 2002: un iter che dura la bellezza di undici anni, che attesta le perplessità, le riserve, le difficoltà di ogni tipo nell’attribuire la competenza, direbbe Dostoevskij, sui delitti e sulle pene al giudice di pace.

La legge entra in vigore ma, come ha giustamente ricordato un minuto fa il senatore Maritati, non attribuisce nessuna competenza in materia cautelare, perché non è possibile al giudice di pace incidere cautelarmente sulla libertà. E anche quando ha una competenza in materia di cautele su diritti reali, l’impugnazione viene rivolta al tribunale della libertà, identico al giudice ordinario. Dunque, non ha alcuna competenza, ha un’esperienza molto recente in materia di libertà.

Allora, se proprio vogliamo chiamare le cose con il loro nome, signor Sottosegretario, lei che in Commissione ha così vigorosamente sostenuto questa scelta, a mio giudizio senza alcuna razionalità, della competenza del giudice di pace, non parliamo (lo hanno già detto molti colleghi e io mi aggiungo alla lista) di competenze di serie A e di serie B, che è offensivo, ma parliamo - questo sì mi sembra giusto - di esperimento in corpore vili.

Non si può infatti attribuire da un giorno all’altro tanto delicata questione che si deve svolgere in una udienza di convalida, il che significa contraddittorio, rispetto dei termini, sentire le ragioni di una parte e dell’altra, contraddittorio di convalida molto più difficile della convalida del giudice rispetto all’arresto in flagranza, perché il giudice convalida da solo, mentre qui siamo ad un’udienza di convalida tecnicamente molto difficile.

Attribuire una materia così delicata, che investe, per esempio, la delicatissima materia del diritto di asilo, che investe veramente la richiesta di libertà rispetto ad una persecuzione in patria (credo che nulla vi sia di più difficile e delicato), ad un giudice che non ha nessuna esperienza in materia, a un giudice totalmente inesperto è un atto di ribellione, di disprezzo per la sentenza della Corte: "Hai voluto un giudice? Ti diamo questo giudice, a tuo rischio e pericolo". Quindi, a rischio e pericolo del rispetto della sentenza della Corte, a rischio e pericolo del cittadino in corpore vili, perché è uno straniero con il quale si possono fare esperimenti.

Quanto poi alla seconda sentenza della Corte, se si trattasse dei vecchi compiti di scuola, quelli della mia età, il professore avrebbe segnato l’errore in blu con tre punti esclamativi: errore gravissimo. Infatti, consentire l’arresto quando non ci sono i minimi edittali per consentirlo è, sotto un profilo di tecnica giuridica, un errore marchiano, sfuggito al legislatore della Bossi-Fini, ma veramente marchiano, un errore elementare che tra l’altro incidendo sulla libertà ha anche delle conseguenze grossolane.

La Corte è costretta a mettere i tre punti esclamativi, ma il Governo non ama essere corretto, così come la maggioranza non ama essere corretta. Infatti, ti inventa la lievitazione della sanzione "da sei mesi a un anno" a quattro anni, che è una risposta di perversa arroganza e di disubbidienza al dictum della Corte. A parte che intaserà il lavoro giudiziario con effetti nefasti; a parte che intaserà le nostre carceri con effetti nefasti; a parte che inciderà sulla libertà di nostri confratelli stranieri con effetti nefasti per loro e le loro famiglie, soprattutto essa non è giustificata da una norma che si deve muovere per attuare il dictum della Corte (questo è il suo binario, questa è la sua necessità e urgenza), ma si sostituisce una pena, in quei termini assolutamente inaccettabili che l’emendamento 1.470 prevede.

Ci sarebbero anche dei vizi nel testo originario del decreto, ma purtroppo, ahimè, ciò vorrebbe dire correggere un testo che ormai nei fatti, non nella realtà giuridica, sembra essere superato.

Sotto questo profilo, signor Presidente, colleghi, il piano inclinato, già cominciato quando il Senato aveva respinto la questione pregiudiziale avanzata nel febbraio 2002, non è affatto concluso e purtroppo sta ulteriormente precipitando in princìpi legislativi contrastanti con la nostra civiltà giuridica. (Applausi dei senatori Legnini e Biscardini).

PRESIDENTE. È iscritto a parlare il senatore Guerzoni. Ne ha facoltà.

GUERZONI (DS-U). Signor Presidente, Sottosegretario, onorevoli relatori, questo decreto è un atto dovuto che si sarebbe potuto evitare allorché, esaminata la Bossi-Fini, Governo e maggioranza avessero avuto ragionevolezza o avessero ascoltato le puntuali proposte dell’opposizione proprio su questo punto. È insomma un atto dovuto che risolve male, come hanno dimostrato già diversi interventi, quali quelli dei senatori Fassone, Maritati e Zancan poc’anzi, il problema proposto dalla sentenza della Corte.

Aggiungo un’argomentazione: con la scelta del giudice di pace, oltre alle critiche che essa merita e che sono state già illustrate, avremo proprio quello che il Governo, in relazione al provvedimento, dice di volere evitare: vi sarà un intasamento probabilmente superiore a quello che sarebbe avvenuto o avverrebbe se si ricorresse al tribunale. Le sedi del giudice di pace interessate a questi 50-60.000 provvedimenti annui sono molto poche; e si trovano in luoghi di forte concentrazione dell’immigrazione, in particolare nella sede del capoluogo. Perciò, il rischio di intasamento è evidente e l’obiettivo che si raggiungerà è l’opposto di quello che il Governo si prefigge.

A me tocca argomentare, signor Presidente, la forte censura politica che noi riserviamo a questo atto del Governo ed alla sua politica in materia di immigrazione. Da questo punto di vista è grave quanto contenuto nel decreto ma ancora più grave è, se possibile, quello che non c’è. Quello che c’è - non voglio abusare del tempo ma è già stato detto - finisce per piegare, sbilanciare, come ha giustamente detto il senatore Turroni, ulteriormente la normativa del centro-destra in materia immigratoria, la sola che conosciamo, verso norme che hanno il carattere di vere e proprie leggi di polizia; norme repressive. È già stato detto.

In un emendamento votato dalla maggioranza e accolto dal Governo in Commissione si ricorre addirittura ad una seconda espulsione, nel caso in cui sia stata elusa la prima, soltanto per introdurre, come è già stato rilevato, questo soggetto in un circuito penale inarrestabile. E si tenga conto che si prevede ciò a prescindere dal fatto che il soggetto abbia compiuto un reato ulteriore, qualora volessimo definire reato quello precedente. Quello che è barbaro addirittura - e uso l’espressione in termini ponderati - è che la previsione del carcere permanente è addirittura contemplata anche per quel soggetto che non viene espulso, non per sua responsabilità ma perché non vi è nessun Paese che lo ritenga un proprio cittadino e che lo voglia accogliere.

Anche in quel caso si opera tale scelta, anziché proporre, ad esempio, per quel soggetto, come vorrebbero il senso di giustizia e una politica di governo positiva, un permesso di soggiorno in attesa di rimpatrio, come noi proponiamo e come sarebbe più logico se si volesse perseguire effettivamente la sicurezza e la regolarità.

Alludo ancora ai Centri di permanenza transitoria, che si vogliono moltiplicare senza una disamina critica: sono presìdi di polizia in cui succede di tutto e dai quali si fugge facilmente, come giornalmente rende noto la stampa; essi sono in predicato di costituzionalità, anche perché la legge Bossi-Fini li ha appesantiti, raddoppiando e portando a 60 giorni la durata della permanenza. Già la Corte aveva avanzato osservazioni sulla costituzionalità di tali presìdi allorché si trattava di 30 giorni, menzionando anche il tempo limite.

Sono - ripeto - presìdi di polizia senza organici propri, né dirigenza; le questure interessate devono mettere a disposizione il proprio personale, che è già inadeguato, e di conseguenza servizi essenziali come le indagini di polizia ed il controllo della legalità sul territorio vengono abbandonati o ridotti, ponendo a rischio la sicurezza e l’ordine pubblico.

Sono presìdi, signor Sottosegretario vorrei dirle anche questo, del tutto o molto inefficaci, perché da quel che si sa gli esiti positivi sono al massimo il 30-40 per cento, mentre si è costretti a liberare il 60 per cento dei soggetti inseriti in questi centri, che in gran parte va ad alimentare l’irregolarità e la clandestinità. Eppure, si vorrebbe moltiplicare questi centri.

Vi è poi una terza questione. Con l’emendamento 1.0.13 delle Commissioni riunite la maggioranza e il Governo vogliono inserire nel decreto l’intervento di sostegno alle politiche preventive di contrasto all’immigrazione con riferimento alla Libia. La Libia non è citata, ma il riferimento è chiaro. Signor rappresentante del Governo, si può porre in essere tale azione senza bisogno di una norma, dal momento che il Governo di centro-sinistra lo ha già fatto per l’Albania e perciò l’ordinamento ne dà la possibilità. È allora evidente che il Governo pensi ad altre cose, che non condividiamo; non sappiamo quali accordi siano stati definiti con il Governo libico sulla questione, il Parlamento non è stato informato.

Sui centri e su tale ultima questione, signor Presidente, chiediamo che il Ministro venga a fornire chiarimenti in Aula durante il dibattito sul decreto in esame. Si tratta di un emendamento del tutto generico, la cui necessità, come ho detto, indica che si vuole fare cosa diversa rispetto a quanto si è fatto per l’Albania, perché l’ordinamento, qualora si volesse andare in quella direzione, consentirebbe già di agire senza approvare nuove norme.

Il secondo punto sul quale desidero intrattenermi e del quale denuncio la gravità è che in questo decreto manca il tagliando alla legge Bossi-Fini, ossia mancano quelle correzioni alla normativa in vigore che il Ministro ha proposto, direi fino alla nausea, in Senato nel luglio scorso, nonché in questi mesi fino a qualche settimana fa (cioè fino all’apparire del decreto) sulla stampa, nel corso di interviste e di dichiarazioni. Si tratta di correzioni che vengono chieste da ogni parte, dai sindacati alla Caritas, alla Confindustria. Ebbene, ciò è grave e, oltre che deludere, pone a grave rischio la credibilità del Ministro dell’interno. Lo dico con rammarico, perché questa questione - come è stato già evidenziato dal senatore Malabarba e da altri senatori - si pone anche per quanto è avvenuto a Lampedusa.

Non ho tempo per riprendere questo tema, ma è chiaro che non siamo persuasi, non siamo convinti di ciò che ha detto il Ministro: lì sono state eseguite espulsioni coatte, contrarie alla legge, in contrasto con le direttive comunitarie e con i trattati internazionali. Non ci avete persuaso, non ci avete dimostrato che le cose sono andate altrimenti. Anche su questo è bene che il Ministro venga a riferire in Aula.

Ebbene, perché non c'è questo tagliando? Il relatore ci ha detto in Commissione che le nostre denunce sono puntuali, i problemi ci sono, le proposte che avanziamo sarebbero anche ragionevoli, però vanno oltre gli orizzonti della legge Bossi-Fini. Ecco il punto, ecco perché al Ministro è stato impedito di fare il tagliando: perché probabilmente - anzi senza il "probabilmente" - nel Governo e nella maggioranza è resuscitato sulla questione il braccio di ferro tra AN, Lega e il resto della maggioranza ed il Ministro non ha avuto la possibilità di procedere a quelle azioni che pure aveva preannunciato, a danno naturalmente degli immigrati e della società italiana.

Noi insistiamo, non ci rassegniamo a prendere atto della situazione perché, da un lato, si riconosce la giustezza e la necessità di intervenire, dall'altro si propone l'impotenza, non si fronteggiano i problemi che sono diventati via via vere e proprie emergenze.

Consideriamo la Bossi-Fini una legge sciagurata e mi pare che gli esiti lo dimostrino, i fatti lo provino. Si tratta di una normativa in parte priva di significato, inapplicabile perché strampalata, vessatoria all'eccesso, iperburocratizzata. Le questure e le caserme dei carabinieri non hanno il personale e i mezzi sufficienti per applicarla. Devo dare atto a prefetti, questori, a tanti agenti della polizia e ai Carabinieri che con spirito di sacrificio e con buon senso evitano danni peggiori di quelli che già ci sono.

Si tratta di una legge che rappresenta un calvario quotidiano per famiglie, immigrati, imprese, che alimenta la clandestinità. Come scriveva la settimana scorsa il "Corriere della Sera", citando la Corte dei conti, si calcola che i clandestini e gli irregolari in Italia siano dai 500.000 agli 800.000, questo a meno di un anno da una sanatoria che ne ha regolarizzati circa 700.000. L'irregolarità e la clandestinità crescono perché gli ingressi sono molto minori di quelli di cui c'è bisogno. Ha un bel dire il Ministro che caposaldo principale di una buona politica di immigrazione è l'ingresso regolare, perché nei fatti fa l'opposto.

A gennaio e febbraio le famiglie italiane che hanno bisogno di una colf o di una badante non possono averla fino a quando non è stabilita la quota dell'anno successivo. Quest'anno mancano circa 16.000 lavoratori stagionali alle imprese agricole e turistiche del nostro Paese. La clandestinità e l'irregolarità aumentano perché il 50 per cento delle espulsioni non vanno a buon termine, come scriveva sempre la settimana scorsa il "Corriere della Sera". Non mancano casi numerosi di famiglie e di imprese che, piuttosto che un regolare straniero che non conoscono, avendo bisogno di un rapporto di fiducia, preferiscono l'illegale, l'irregolare, il clandestino di cui hanno fiducia e che voi vi ostinate a non regolarizzare. Ecco perché aumenta l'irregolarità, proprio provocata in buona parte dalle politiche del Governo.

In tre anni dalla legge Bossi-Fini i minori soli, stranieri e clandestini in Italia, sono passati da 13.000 a 43.000: ecco un risultato di alta civiltà di questa normativa. Il Governo non adotta alcuna politica per l'integrazione.

Vi vantate di non aver toccato con la legge Bossi-Fini le norme per l'integrazione della legge Turco-Napolitano, ma non spendete una lira, non prendete una sola iniziativa volta a far funzionare quelle norme e tutti gli oneri sono scaricati su Comuni, Province e Regioni, privi di mezzi, oppure sulla scuola. Tra l'altro quest'anno il ministro Moratti taglia gli insegnanti di sostegno, proprio quelli di cui hanno bisogno i ragazzi delle famiglie degli immigrati che in numero crescente frequentano ogni anno le nostre scuole.

In questo modo si sono venute determinando una serie di emergenze. Intendiamo protestare perché le modifiche promesse dal Ministro per lunghi mesi sono assenti nel provvedimento, né si può argomentare che il decreto-legge è volto esclusivamente a dare seguito alla sentenza della Corte costituzionale, perché è la stessa maggioranza ad avere introdotto misure che vanno ben oltre quest'ambito.

Noi avanziamo proposte, che al Ministro non è stato consentito presentare, per risolvere alcuni dei problemi che ho prima citato. Due questioni ci premono innanzitutto: sveltire al massimo il rinnovo dei permessi di soggiorno e il nulla osta per i ricongiungimenti familiari. Nonostante la legge Bossi-Fini preveda venti giorni, in realtà occorrono in media otto mesi per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno, a Roma addirittura un anno.

A Roma 300.000 persone debbono attendere un anno per avere il rinnovo del permesso di soggiorno e nel frattempo non possono rimpatriare, non possono instaurare un rapporto di lavoro, non possono stipulare un contratto di affitto, perdono il rapporto con la sanità e con l'assistenza: è una vergogna, indegna di un Paese civile.

Quasi un milione di immigrati regolari in Italia versa in una condizione di semiclandestinità per circa un anno ad ogni rinnovo del permesso di soggiorno. Abbreviando la durata dei permessi avete fatto esplodere le incombenze burocratiche dell'Amministrazione dell'interno, mettendo queste persone in condizioni di vita impossibili.

Ci preme, inoltre, risolvere la questione dei bambini soli, dei minorenni clandestini in Italia, che hanno diritto ad un trattamento umano, civile e legale, e il cui permesso di soggiorno non può essere condizionato al non esaurimento delle quote d'immigrazione. Il minore è un'emergenza non programmabile, è un'eventualità da risolvere al di fuori delle quote.

Il tipo di scelta adottata non è ragionevole, così come non è ragionevole l'accorciamento della durata dei permessi di soggiorno. Siamo l'unico Paese dell'Unione Europea a prevedere un permesso di lavoro di un anno, con incombenze terribili e non affrontabili, contrario alle direttive comunitarie che privilegiano la lunga durata dei permessi di soggiorno. A proposito della necessità di più Europa, che il Ministro rivendica giustamente e che noi condividiamo, anche in questo si procede in direzione opposta.

Nel decreto-legge vi è anche una previsione per la formazione professionale all'estero dei giovani stranieri da portare in Italia; è una proposta anche giusta, che possiamo condividere, ma cosa accadrà con la vigente normativa? Accadrà che le persone formate a nostre spese andranno a lavorare in altri Paesi europei ove vige una condizione migliore di quella italiana.

L’Italia rischia di essere il Paese dall’immigrazione peggiore. Alla faccia della competitività, delle esigenze dell’economia (la più anziana, la meno professionalizzata), perché altrove, mi riferisco ai Paesi dell’Europa, non al mondo in generale, le condizioni sono migliori che non in Italia.

Queste sono alcune delle ragioni per le quali insisteremo in Aula affinché le priorità di cui ho detto, e che saranno contenute nei nostri emendamenti, trovino quell’ascolto che non hanno trovato in Commissione da parte del Governo e della Commissione stessa.

PRESIDENTE. Dichiaro chiusa la discussione generale.

Ha facoltà di parlare il relatore, senatore Boscetto.

BOSCETTO, relatore. Signor Presidente, colleghi senatori, non spenderò molte parole in replica alle interessanti argomentazioni emerse nel corso della discussione generale.

Il primo tema, che esula dalla normativa in esame, riguarda le cosiddette deportazioni da Lampedusa. Parecchi colleghi intervenuti hanno parlato di espulsioni collettive in violazione della Convenzione europea sui diritti dell’uomo, e precisamente dell’articolo 4.

Si può sostenere qualsiasi tesi, ma non si può usare il termine giuridico "espulsione" per quello che invece, giuridicamente, è un "respingimento". Il concetto di respingimento non viene tratto da un’interpretazione generale del sistema, ma viene espresso dall’articolo 10 del testo unico (che non è stato toccato dalla legge Bossi-Fini, per cui ci troviamo in presenza di una norma della legge Turco-Napolitano che il senatore Guerzoni conosce bene essendone stato relatore), che a proposito del respingimento recita (lo leggo perché tutti ne parlano, ma finora non è mai stato letto in questa sede): "1. La polizia di frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai varchi di frontiera senza avere i requisiti richiesti dal presente testo unico per l’ingresso nel territorio dello Stato.

2. Il respingimento con accompagnamento alla frontiera è altresì disposto dal questore nei confronti degli stranieri: a) che entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati all’ingresso o subito dopo; b) che, nelle circostanze di cui al comma 1, sono stati temporaneamente ammessi nel territorio per necessità di pubblico soccorso.

3. Il vettore che ha condotto alla frontiera uno straniero privo dei documenti di cui all’articolo 4, o che deve essere comunque respinto a norma del presente articolo, è tenuto a prenderlo immediatamente a carico ed a ricondurlo nello Stato di provenienza, o in quello che ha rilasciato il documento di viaggio eventualmente in possesso dello straniero.

4. Le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 e quelle dell’articolo 4, commi 3 e 6, non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l’asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero l’adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari.

5. Per lo straniero respinto è prevista l'assistenza necessaria presso i valichi di frontiera.

6. I respingimenti di cui al presente articolo sono registrati dall'autorità di pubblica sicurezza".

A Lampedusa non c'è stata, quindi, un'espulsione collettiva in violazione dell'articolo 4 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo, ma c'è stata l'applicazione di questa norma. Sono arrivati alla frontiera degli stranieri, sono stati assistiti e rifocillati e poi sono stati respinti verso il Paese di provenienza, trattenendo, o meglio tenendo in Italia coloro che hanno fatto richiesta di asilo. Si comprenderà facilmente come, quindi, parlare di deportazioni, con tutte quelle aggettivazioni negative che abbiamo sentito, sia un fuor d'opera.

C'è stata un'applicazione puntuale della legge, c'è stato un trattamento di carattere umanitario, con successivo respingimento e l'apertura alla possibilità di farsi riconoscere la condizione di rifugiato attraverso il riconoscimento del diritto di asilo. Mi pare che altro non si debba dire sull'argomento.

Un altro tema emerso prepotentemente dalla discussione è quello che riguarda asseritamente la minore garanzia che darebbero i giudici di pace rispetto ai giudici togati. Non ho capito se si vuol dire che il ricorso al giudice non togato comporti l'incostituzionalità del ricorso stesso a tale categoria di giudici.

Mi pare che nessuno abbia portato il ragionamento fino a queste estreme conseguenze. Ho sentito tuttavia dire che si appronterebbe (o si sta approntando, si è approntata, si sta per adottare) una normativa in cui, in materia di libertà, i cittadini italiani sarebbero trattati come cittadini di serie A, mentre gli stranieri, vedendosi quale giudice competente il giudice di pace, sarebbero trattati come persone di serie B.

È un ragionamento - non voglio aggiungere nulla a quanto così bene ha già detto il collega Bobbio - che non trova assolutamente cittadinanza né nel testo della legge, né nella volontà di chi questa legge sta portando avanti, dopo averla scritta.

Abbiamo un'attribuzione di competenza al giudice di pace, che è sembrato essere un giudice più che sufficiente per delibare, nella materia dell'espulsione da parte del questore, l'esistenza o meno dei requisiti, la legittimità del provvedimento del questore nel rispetto di tali requisiti e quindi far proseguire, dopo la sospensione, l'efficacia di quel provvedimento, oppure caducarlo.

Nell'attribuzione delle competenze per materie si è fatta una valutazione che esclude, intanto, la possibilità di porre in essere un provvedimento privativo della libertà, ma si guarda ad un aspetto più amministrativo che penalistico, andando a verificare tutte quelle logiche di congruità dell'atto del questore per vedere se esso è conforme a legge, e non incide quindi sulla libertà personale attraverso un'espulsione non legittima, oppure se invece la non conformità alla legge non c'è, e quindi si rende vano quel provvedimento non conforme a legge.

Ma come possiamo ritenere che i giudici di pace, che hanno un loro inserimento ben preciso nell’ordinamento giudiziario, non abbiano le competenze per poter svolgere quest’attività? Si badi bene, non sono competenti per le più complesse problematiche in materia di asilo; a fronte di una richiesta di asilo da parte di uno straniero, il giudice di pace lo manderà davanti alle apposite commissioni per seguire tutto l’iter stabilito dalla legge Bossi-Fini in materia: commissione di primo grado, commissione di secondo grado, tutto quello che noi ben conosciamo, nell’ambito di una tutela del tutto diversa nella quale l’intervento del giudice di pace si limita - ripeto - a rimettere lo straniero che chiede asilo alle competenti commissioni.

Quindi, il resto delle verifiche consisterà nel vedere se c’è un documento, accertare le ragioni di clandestinità, sentire le eventuali argomentazioni dello straniero circa il non possesso del documento per le più diverse ragioni, ove questa possa essere una tesi difensiva, chiarire alcuni punti e procedere a una decisione. Non dobbiamo pensare che il giudice di pace si faccia carico di qualcosa di più complesso e complicato come sarebbe - ribadisco - la materia del diritto d’asilo e la verifica della condizione di rifugiando.

Mi pare quindi che anche a questi dubbi sull’intervento del giudice di pace si possa dare una risposta positiva nei termini della scelta fatta dal decreto-legge in via di conversione, non dimenticando che questi giudici si collocano in una situazione ben particolare (voglio ancora ripeterlo), perché basta vedere qual è il loro incardinamento professionale nella nostra giustizia, che ha i magistrati togati, i giudici di pace e i veri magistrati onorari, quelli sui quali si basano molte attività di tantissimi uffici in tutta Italia. Infatti, portando alle estreme conseguenze un ragionamento come quello che l’opposizione ha voluto fare, si potrebbe dire che un magistrato onorario non togato, non essendo giudice di pace, ha più capacità e dà più garanzie di un giudice di pace: e questa è una prova per paradosso che credo abbia la sua efficacia.

Ho ancora quattro minuti e quindi…

PRESIDENTE. Per la precisione due minuti, signor relatore. Comunque, se ha bisogno di quattro, ne prenda quattro.

BOSCETTO, relatore. In due minuti si può dire veramente poco. Forse, un brevissimo accenno al fatto che il collegamento fra l’ingresso nei Paesi europei con un lavoro ormai esiste in tutte le legislazioni europee e viene incluso nelle direttive di settore sull'immigrazione.

Quando si parla di arresti reiterati per coloro che non vogliono lasciarsi identificare, si deve ricordare (ultimo argomento) come il problema dell’identificazione sia fondamentale.

In questo momento si sta discutendo in sede europea la carta d’identità dei cittadini europei, estremamente sofisticata, con dentro dati biometrici e tutti i dati possibili ed immaginabili, che costituirà nel prossimo futuro un mezzo tecnico di elevatissima perfezione.

Siamo partiti imponendo le impronte digitali, ma sappiamo, in un mondo nel quale la sicurezza è sempre più compromessa, che l’identificazione dei cittadini europei, e soprattutto degli stranieri che vengono senza dichiarare il proprio nome e la propria patria, è fondamentale.

Allora, se c’è un aggravamento delle sanzioni in materia, esso va a toccare solo colui che pervicacemente, dopo essere stato espulso, rientra, non si è fatto identificare e continua a rifiutare l’identificazione, per cui solo lui sa da dove viene e dove dovrebbe essere condotto. Il fatto di rimanere del tutto muto di fronte a queste fondamentali richieste di identificazione fa sì che ci debba essere una sanzione, man mano più pesante. E’ l’altra logica alla base del provvedimento che stiamo esaminando.

Signor Presidente, la ringrazio del minuto in più che mi ha concesso. Ho toccato solo alcune questioni, alle quali mi sembrava fosse giusto dare risposta. Riservo al prosieguo della discussione ulteriori risposte ad altri problemi che sono emersi e che mi hanno stimolato, come già era accaduto in Commissione.

PRESIDENTE. Rinvio il seguito della discussione del disegno di legge in titolo ad altra seduta.

Interpellanze e interrogazioni, annunzio

PRESIDENTE. Comunico che sono pervenute alla Presidenza interpellanze e interrogazioni, pubblicate nell'allegato B al Resoconto della seduta odierna.

Ricordo che il Senato tornerà a riunirsi in seduta pubblica oggi, alle ore 16,30, con l’ordine del giorno già stampato e distribuito.

La seduta è tolta (ore 14,01).



Allegato B

Disegni di legge, annunzio di presentazione

Sen. Cutrufo Mauro

Disciplina delle strutture ricettive della nautica da diporto (3144)

(presentato in data 07/10/2004 )

Disegni di legge, nuova assegnazione

Commissioni 2° e 13° riunite

in sede referente

Sen. Ripamonti Natale

Modifiche al codice penale in materia di tutela dell' ambiente e dei beni culturali (1741)

previ pareri delle Commissioni 1° Aff. cost., 7° Pubb. istruz.

Già assegnato, in sede referente, alla 2ª Commissione permanente(Giustizia)

(assegnato in data 12/10/2004 )

Commissioni 2° e 13° riunite

in sede referente

Sen. Ripamonti Natale

Delega al Governo per l' istituzione presso i tribunali di una sezione specializzata per i reati ambientali (1816)

previ pareri delle Commissioni 1° Aff. cost., 5° Bilancio, 9° Agricoltura

Già assegnato, in sede referente, alla 2ª Commissione permanente(Giustizia)

(assegnato in data 12/10/2004 )

Commissioni 2° e 13° riunite

in sede referente

Sen. Scalera Giuseppe

Norme per la tutela dall' inquinamento acustico notturno derivante da antifurti sonori (3088)

previ pareri delle Commissioni 1° Aff. cost.

Già assegnato, in sede referente, alla 2ª Commissione permanente(Giustizia)

(assegnato in data 12/10/2004 )

Affari assegnati

In data 7 ottobre 2004 è stato deferito alla 4a Commissione permanente, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, primo periodo, e per gli effetti di cui all'articolo 50, comma 2, del Regolamento, l'affare in ordine alla idoneità delle strutture militari e civili a garantire la sicurezza degli ambienti e delle vite umane di fronte ai rischi di infezioni nucleari batteriologiche e chimiche (Atto n. 560).

 

Governo, richieste di parere su documenti

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, con lettera in data 7 ottobre 2004, ha trasmesso, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 10 marzo 1998, n. 76, la richiesta di parere parlamentare in ordine allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di ripartizione della quota dell'otto per mille dell'IRPEF devoluta alla diretta gestione statale per l'anno 2004 (n. 412).

Ai sensi della predetta disposizione e dell'articolo 139-bis del Regolamento, tale richiesta è stata deferita alla 5a Commissione permanente, che dovrà esprimere il proprio parere entro il 1° novembre 2004. La 1a, la 3a, la 7a e la 13a Commissione permanente potranno formulare le proprie osservazioni alla Commissione di merito, in tempo utile affinché questa possa esprimere il parere entro il termine assegnato.

 

Governo, trasmissione di documenti

Il Ministro per i rapporti con il Parlamento, con lettera in data 29 settembre 2004, ha inviato, ai sensi dell'articolo 12, comma 1, del decreto legislativo 25 febbraio 1999, n. 66, la relazione di inchiesta relativa ad incidente aereo avvenuto in data 20 febbraio 2003 all'aeroporto di Brescia Montichiari (Atto n. 559).

Detto documento è stato trasmesso, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento, alla 8a Commissione permanente.

 

Il Ministro della difesa, con lettera in data 4 ottobre 2004, ha inviato, ai sensi dell'articolo 9, comma 2, della legge 29 ottobre 1997, n. 374, le relazioni dei Ministri degli affari esteri, della difesa e delle attività produttive, sullo stato di attuazione della citata legge n. 374 del 1997 recanti "Norme per la messa al bando delle mine antipersona", riferite al primo semestre 2003 (Doc. CLXXXII, n. 4) e al secondo semestre 2003 (Doc. CLXXXII, n. 5).

Detti documenti sono stati trasmessi, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento, alla 3a, alla 4a e alla 10a Commissione permanente.

 

Il Ministro della salute, con lettera in data 4 ottobre 2004, ha inviato, ai sensi dell'articolo 8, comma 3, della legge 5 giugno 1990, n. 135, la relazione sullo stato di attuazione delle strategie attivate per fronteggiare l'infezione da HIV nell'anno 2003 (Doc. XCVII, n. 4).

Detto documento è stato trasmesso, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento, alla 12a Commissione permanente.

 

Il Ministero dell'economia e delle finanze, con lettera in data 5 ottobre 2004, ha inviato, ai sensi dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 1985, n. 808, - in allegato alla relazione previsionale e programmatica per l'anno 2005 - la relazione sullo stato dell'industria aeronautica per l'anno 2003 (Doc. XIII, n. 4-quinquies).

Detto documento è stato trasmesso, ai sensi dell'articolo 125 del Regolamento, alla 5a e alla 10a Commissione permanente.

Corte dei conti, trasmissione di relazioni sulla gestione finanziaria di enti

Il Presidente della Sezione del controllo sugli Enti della Corte dei conti, con lettere in data 5 e 6 ottobre 2004, ha inviato, in adempimento al disposto dell'articolo 7 della legge 21 marzo 1958, n. 259, la determinazione e la relativa relazione sulla gestione finanziaria:

dell'Istituto nazionale di studi romani (INSR), per l'esercizio 2003 (Doc. XV, n. 269). Detto documento è stato deferito, ai sensi dell'articolo 131 del Regolamento, alla 5a e alla 7a Commissione permanente;

dell'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori (ISFOL), per l'esercizio 2002 (Doc. XV, n. 270). Detto documento è stato deferito, ai sensi dell'articolo 131 del Regolamento, alla 5a e alla 11a Commissione permanente;

dell'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), per l'esercizio 2002 (Doc. XV, n. 271). Detto documento è stato deferito, ai sensi dell'articolo 131 del Regolamento, alla 5a e alla 11a Commissione permanente.

 

Alle determinazioni sono allegati i documenti fatti pervenire dagli enti suddetti ai sensi dell'articolo 4, primo comma, della legge stessa.

 

 

Regioni, trasmissione di relazioni

Ai sensi dell'articolo 19-bis, comma 5, della legge 11 febbraio 1992, n. 157, e successive modificazioni, sono state trasmesse le relazioni sullo stato di attuazione delle deroghe in materia di protezione della fauna selvatica e di prelievo venatorio, previste dall'articolo 9 della direttiva 79/409/CEE, riferite all'anno 2003:

dalla provincia autonoma di Bolzano-Alto Adige (Doc.

CXCIX, n. 16);

dalla regione Toscana (Doc. CXCIX, n. 17);

Detti documenti sono stati trasmessi, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, secondo periodo, del Regolamento, alla 9a e alla 13a Commissione permanente.

Petizioni, annunzio

Sono state presentate le seguenti petizioni:

i signori Emmanuele Giusti, di Taranto, e Aldo Martello, di Poiana Maggiore (Vicenza), chiedono l'adozione di talune modifiche agli articoli 49, 50, 69 e 92 della Costituzione, al fine di favorire la stabilità di governo e di contrastare la cosiddetta "partitocrazia" (Petizione n. 901);

il signor Salvatore Acanfora, di Bari, chiede:

- nuove norme in materia di procreazione assistita, con riguardo, in particolare, all'ammissione della fecondazione eterologa, e, in generale, a tutela della ricerca in materia (Petizione n. 902);

- che sia autorizzata la sperimentazione di nuove terapie contro talune patologie gravi (Petizione n. 903);

- nuovi provvedimenti a tutela della salute, con particolare riguardo a quella femminile (Petizione n. 904);

- che venga aumentato l'organico della polizia stradale (Petizione n. 905);

- la rivalutazione della professione dell'insegnante (Petizione n. 906);

- il ritorno al sistema proporzionale per l'elezione delle Camere (Petizione n. 907);

- che siano resi pubblici i bilanci degli organi costituzionali (Petizione n. 908);

 

 

 

il signor Francesco Di Pasquale, di Cancello ed Arnone (Caserta), chiede provvedimenti a favore degli installatori di addobbi pubblici luminosi (Petizione n. 909);

il signor Marino Savina, di Roma, chiede che le metropolitane siano provviste di impianti di ricetrasmissione per la telefonia mobile (Petizione n. 910);

il signor Luciano Bartoli, di Frosinone, chiede una revisione dell'imposizione fiscale sui redditi (Petizione n. 911).

 

Tali petizioni, a norma del Regolamento, sono state trasmesse alle Commissioni competenti.

 

Interpellanze

BOCO - Ai Ministri degli affari esteri e dell'economia e delle finanze - Premesso:

che la legge 21 marzo 2001, n. 73, "Interventi a favore della minoranza italiana in Slovenia e in Croazia", ha prorogato fino al dicembre 2003 lo stanziamento a favore della Comunità italiana in Slovenia e in Croazia, disposto al comma 2 dell'articolo 14 della legge 9 gennaio 1991, n. 19;

che la legge 28 luglio 2004, n. 193, "Proroga e rifinanziamento della legge 21 marzo 2001, n. 73, recante interventi in favore della minoranza italiana in Slovenia e in Croazia", al comma 1 dell'articolo 2 ha prorogato al 31 dicembre 2006 le suindicate disposizioni e ha autorizzato "la spesa di euro 4.650.000 per ciascuno degli anni 2004, 2005 e 2006";

che in base alla Convenzione, stipulata fra il Ministero degli affari esteri, l'Unione italiana e l'Università popolare di Trieste, circa 500.000 euro sono da erogare, già da un anno e mezzo, all'Unione italiana;

che il 3 ottobre 2004 Stefano Zilli, presidente della Giunta dell'Unione italiana, in rappresentanza della Comunità degli Italiani della Slovenia e della Croazia, ha denunciato al quotidiano "Il Piccolo" di Trieste " le difficoltà in cui si trovano le istituzioni culturali dei connazionali ", con particolare riferimento al Centro studi di musica classica "Luigi Dalla Piccola" e al "Dramma italiano" di Fiume, alla grave situazione della Comunità degli Italiani di Zara, la cui sede - danneggiata da un incendio nell'estate scorsa - è tuttora inagibile, nonchè all'esigenza di realizzare la ricezione di Rtv Capodistria nel territorio istriano e quarnerino;

che il 6 ottobre 2004 la Mailing List Histria, gruppo di discussione operante su Internet con lo scopo di preservare e di tutelare l'identità culturale istriana, fiumana e dalmata di carattere italiano, ha chiesto ai parlamentari di farsi portavoce di questo disagio presso le autorità competenti, ottenendo significative testimonianze di attenzione,

si chiede di sapere:

se, ai sensi dell'articolo 2 della legge 21 marzo 2001, n. 73, e dei commi 2 e 3 dell'articolo 2 della legge 28 luglio 2004, n. 193, il Governo intenda urgentemente erogare la somma di euro 500.000 all'Unione italiana in Slovenia e in Croazia, predisponendo le occorrenti variazioni di bilancio;

se sia intenzione dei Ministri in indirizzo dare di quanto sopra tempestiva assicurazione all'Unione italiana, affinché si possano garantire e non si interrompano le molteplici attività messe in atto dalla nostra Comunità in Slovenia e in Croazia, per il mantenimento e la promozione dell'identità, della lingua e della cultura italiana su un territorio di storico insediamento.

(2-00623)

Interrogazioni

FALOMI - Al Ministro dell'interno - Premesso che:

numerose associazioni per la tutela dei diritti dei migranti hanno sollevato il caso delle lungaggini burocratiche legate al rinnovo del permesso di soggiorno da parte di cittadini immigrati regolarmente presenti nel nostro paese;

lo stesso Ministero dell’interno ha riconosciuto l'esistenza di questo problema concedendo un permesso speciale che autorizzava quegli immigrati che avevano avanzato domanda di rinnovo a lasciare il nostro paese e potervi fare rientro entro e non oltre il 30 settembre 2004;

vi sono centinaia di uomini e donne che attendono il rinnovo da più di 24 mesi e migliaia di immigrati che attendono da tempi ben più lunghi di quelli prescritti nel "Testo Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione" all'art. 5, comma 9;

considerato che:

il permesso di soggiorno è lo strumento necessario, oltre che alla mobilità internazionale, anche per ogni banale azione quotidiana come l'accesso al credito, la richiesta di autorizzazioni amministrative, l'acquisto di beni immobili e quant'altro;

come nel caso dei signori Akermi Moncef Ben Mustafa, nato il 5/11/67 in Tunisia, Mokrari Ismail, nato il 05/11/68 in Albania, Mokrari Ailda, nata il 01/01/73 in Albania, ed Hoxholli Dritan, nato il 12/12/70 in Albania (i quali sono in attesa rispettivamente da 18, 12, 12, 12 mesi del rinnovo del permesso di soggiorno da parte del Commissariato di pubblica sicurezza di Anzio il primo e da parte del Commissariato di polizia di stato Aurelio gli altri tre), tali ritardi comportano spesso gravi danni anche di carattere economico, non permettendo l'apertura di attività commerciali, impedendo rinnovi di contratti di lavoro, ecc.;

le lunghe attese per il rinnovo del permesso di soggiorno costringono gli immigrati a vivere in un cono d'ombra che in alcuni casi rischia di avere la sciagurata funzione di contatto con la criminalità e la malavita, anche in considerazione delle situazioni di indigenza che possono venire a crearsi con i lunghissimi tempi di attesa,

si chiede di sapere:

quali cause abbiano portato le Questure e gli uffici immigrazione di queste ad accumulare ritardi così generalizzati e lunghi nell'adempimento delle pratiche per i rinnovi;

se e quali azioni strutturali il Ministero dell’interno intenda perseguire per adempiere al rinnovo, o al rilascio o alla conversione entro il termine dei 20 giorni previsti dal decreto legislativo n. 286 del 25 luglio 1998;

se e quali azioni di breve periodo intenda compiere il Ministero dell’interno per velocizzare le pratiche già accumulate in questi anni e che rischiano di sviluppare una spirale di ritardi senza fine;

quale tipo di impedimenti specifici abbia fatto sì che si accumulassero ritardi così ingenti nel rinnovo dei permessi di soggiorno dei sopracitati Akermi Moncef Ben Mustafa, Mokrari Ismail, Mokrari Ailda ed Hoxholli Dritan.

(3-01763)

EUFEMI - Al Ministro delle comunicazioni - Premesso che:

la società Sky Italia sta procedendo alla sostituzione dei decoder e delle relative smart card imponendo all’utenza la tecnologia NDS;

tale processo di sostituzione provoca pesanti conseguenze per i cittadini-utenti che si vedono costretti ad abbandonare i decoder di proprietà con tecnologia Seca e a chiamare la stessa società per procedere ad una lungo e complesso procedimento di attivazione che si rileva particolarmente oneroso dovendo sopportare a proprio carico la spesa del traffico telefonico,

si chiede di sapere:

se si ritenga accettabile che una tale scelta aziendale venga scaricata sull'utenza in termini di costi così elevati;

a quanto ammonti per gli utenti il costo complessivo di tale operazione, calcolando il numero degli abbonati alla società Sky per il costo medio delle operazioni telefoniche necessarie per l'avvio delle nuove tecnologie;

se non si ritenga che tale scelta aziendale dovrebbe rientrare nelle promozioni interamente aziendali senza costi per l'utenza e quindi senza alcun onere né diretto né indiretto;

quali siano le valutazioni del Ministro rispetto alla limitazione di libertà che si viene a determinare con l'impossibilità di accedere alla ricezione di canali prima ricevibili dal satellite;

quali siano le valutazioni del Ministro rispetto all’abbondanza di pubblicità nei programmi di Sky Italia che, in quanto tv a pagamento, dovrebbe esserne priva in ragione del particolare contatto che lega l’abbonato alla tv a pagamento;

se non ritenga che tutto ciò rappresenti un abuso della posizione dominante della società Sky Italia;

se non ritenga che la normativa sul decoder unico venga continuamente aggirata mettendo in atto azioni vessatorie nei confronti dei cittadini- utenti;

se e quali azioni intenda urgentemente avviare per garantire il rispetto della legge sul decoder unico a tutela dei principi di libertà.

(3-01764)

VITALI - Ai Ministri dell'interno e della giustizia - Premesso:

che giovedì 7 ottobre 2004 alle ore 18 circa l'autorità giudiziaria statunitense ha emesso un ordine federale di sequestro dell'hardware fisicamente in uso agli uffici di Londra del provider statunitense Rackspace. Rackspace, con uffici negli Stati Uniti e a Londra, e' uno dei provider che ospitano i server che contengono i siti web di Indymedia tra cui la sezione italiana (http://www.italy.indymedia.org). Questo atto ha colpito più di 20 siti di Indymedia in tutto il mondo. Allo stesso tempo un secondo server che ospita trasmissioni di diverse stazioni radiofoniche e' stato disconnesso;

alle 22.38 dell'8 ottobre 2004 una notizia ANSA ha riportato le dichiarazioni di un portavoce dell'FBI, Joe Parris, il quale ha spiegato che l'intervento dell'FBI per bloccare i server del sito Indymedia è avvenuto su richiesta dell'Italia e della Svizzera e che quindi quella in corso non era un'operazione dell'FBI. L'intervento, ha detto Parris alla AFP, e' stato fatto "a nome di paesi terzi da parte di responsabili del Ministero della giustizia contro un server, Rackspace, che fornisce spazio sul web a Indymedia";

che tra i dati contenuti nei server sequestrati dalle Autorità statunitensi ve ne sono di riservati e di certo totalmente estranei alle motivazioni del provvedimento, tra cui la banca dati di legali contenente gli atti attualmente depositati dal pubblico ministero nel processo genovese sull'irruzione alla scuola Diaz, che vede imputati numerosi appartenenti alla Polizia di Stato;

che comunque, come previsto anche dalla legislazione statunitense (28 USC Sec. 1782), l'assistenza nelle indagini prevede garanzie e limiti derivanti dalla normativa internazionale;

che pertanto l'ordine di sequestro proveniente dall'Italia deve avere natura giudiziaria;

che il trattato di mutua assistenza citato dalle autorità statunitensi (Money Laundering and Terrorist financing Act 2003, MLAT) prevede ipotesi di reato che nulla hanno a che vedere con l'attività di informazione svolta da Indymedia. L'applicazione del trattato di mutua assistenza infatti è possibile nelle indagini riguardanti il riciclaggio di denaro e l'associazione a delinquere con finalità di terrorismo (section IV - Money Laundering and Terrorist financing Act 2003, MLAT - 18 USC Sec. 981 - 18 USC Sec. 2331) e dunque nuovamente e a maggior ragione in Italia tale sequestro può essere attivato solo su richiesta da parte dell'Autorità Giudiziaria,

si chiede di sapere:

se ai Ministri risultino le ragioni che hanno portato ad un intervento di sequestro di spazio web utilizzato per l'attività di informazione indipendente e come tale coperta dalla garanzia costituzionale e che ha condotto comunque alla sottrazione di contenuti non riconducibili a nessuna delle ipotesi previste dalla normativa internazionale e riservati;

se ai Ministri risulti che vi sia stato da parte delle Autorità italiane il rispetto dei presupposti e delle garanzie previste dalla legge.

(3-01765)

VITALI - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Premesso:

che sin dalla primavera scorsa è nota al Ministero in indirizzo la gravità della situazione della scuola dell’infanzia in provincia di Bologna, dove, a fronte di circa 700 bambini a tutt’oggi ancora in lista di attesa, sarebbe necessaria l’assegnazione di 78 nuovi docenti e del relativo personale ausiliario per consentire l’istituzione di 30 nuove sezioni a tempo pieno e il completamento di 18 sezioni a orario parziale;

che gli amministratori locali – Amministrazione regionale e provinciale, Assemblea dei sindaci, Organismo provinciale per il miglioramento dell’offerta formativa – in questi mesi hanno ripetutamente manifestato la loro preoccupazione e indignazione al Ministero, sia per il mancato utilizzo di strutture scolastiche di cui gli enti locali si sono dotati in questi anni, sopperendo anche a carenze dello Stato, sia per la mancata applicazione della legge nazionale 53/2000, secondo la quale il sistema educativo di istruzione e formazione deve articolarsi anche nella scuola dell’infanzia;

che, per sanare intanto le situazioni di emergenza, l’assessore alle Politiche scolastiche della Provincia di Bologna aveva valutato indispensabile la nomina di almeno 17 nuovi insegnanti;

che la dirigente dell’Ufficio scolastico regionale, Lucrezia Stellacci, dopo aver parlato direttamente con il Ministro, aveva annunciato 40 nuove nomine di docenti per l’Emilia-Romagna, di cui solo 13 destinate alla provincia di Bologna, ma che a tutt’oggi nemmeno questo parziale impegno risulta essere stato mantenuto,

si chiede di sapere:

se il Ministro in indirizzo abbia valutato gli effetti estremamente negativi del perdurare di questa situazione della scuola dell’infanzia, sotto il profilo della qualità educativa e del riconoscimento di un diritto sancito dalla riforma dal Ministro stesso varata;

quando ritenga di dare seguito alle promesse fatte, che allevierebbero almeno in parte le difficoltà degli enti locali impegnati a garantire un servizio essenziale per tante famiglie.

(3-01766)

Interrogazioni con richiesta di risposta scritta

FALOMI - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Premesso che, secondo quanto risulta all'interrogante:

negli ultimi quattro anni il dirigente scolastico dell'Istituto Tecnico Industriale "Vallauri" di Reggio Calabria, Carmelo Gatto, avrebbe reiteratamente adottato provvedimenti disciplinari e attivato provvedimenti di sospensione o licenziamento e/o allontanamento dal proprio posto di lavoro di docenti con conseguenti gravi ricadute negative sul diritto al lavoro ed alla retribuzione di ben cinque docenti nelle persone dei professori Ugo Neri, Maurizio Bascià, Felice Iatì, Roberto Scaramuzzino e Antonio Surace;

tutti i provvedimenti adottati nei confronti dei suddetti docenti (quali sospensioni dall’insegnamento, sospensioni cautelari dei docenti, allontanamento forzoso di un docente dalla propria sede di servizio con messa a disposizione presso gli uffici del Provveditore agli Studi pro tempore di Reggio Calabria, trasferimento d’ufficio forzoso del docente "scomodo" presso altra sede lontana dalla propria città) sono stati dichiarati illegittimi o sospesi in via cautelare dal Tribunale di Reggio Calabria - Sezione del Lavoro;

a seguito di una aggressione fisica subita nel dicembre 2000 dall'ing. Neri ad opera del dott. Gatto, causata dalla volontà del primo di denunciare al Consiglio di Istituto ed al Provveditore agli Studi alcune irregolarità contabili relative ad un viaggio di aggiornamento del Dirigente Scolastico, lo stesso prof. Neri ha presentato regolare denuncia alla pubblica sicurezza;

nei confronti dei professori Ugo Neri e Maurizio Bascià, in data 20/02/2001, il dirigente ha emesso decreto di sospensione cautelare con la seguente motivazione: "Considerato che, in conseguenza dei fatti e delle circostanze sopra esposte, l’ulteriore permanenza in servizio dei proff. Bascià Maurizio e Neri Ugo, docenti con contratto a tempo indeterminato, determina un nocumento grave alla regolarità dell’andamento scolastico ed al prestigio dell’istituzione scolastica, in quanto gli atti posti in essere risultano in grave contrasto con i doveri inerenti alla funzione docente, arrecando grave pregiudizio alla scuola, alla pubblica amministrazione, agli alunni, alle famiglie per l’illecito uso di somme amministrate per conto della scuola, determinando azioni pregiudizievoli avendo acquistato attrezzature tecnico-scientifiche inadatte all’uso cui venivano destinate";

la Direzione Generale Istruzione Tecnica dell'allora Ministero della pubblica istruzione ha emesso nota in data 27/02/01 nella quale dichiara che "…la vicenda … risulterebbe conclusa e pertanto un allontanamento dal servizio in via cautelare dei docenti si appalesa del tutto incoerente rispetto alle finalità dell’art. 506 del decreto legislativo n. 297/94, oltre a sostanziarsi in un provvedimento illegittimo sotto il profilo dello sviamento di potere. Esso, allo stato dei fatti, si configura più come un atto sanzionatorio che cautelare …";

il dirigente Gatto avrebbe un comportamento particolarmente accanito e persecutorio nei confronti del prof. Neri, tanto da disporre nei suoi confronti la visita medico-legale collegiale con l’intento di accertarne la presunta incapacità all’insegnamento perché invalido civile, con grado di invalidità pari al 74%, in quanto affetto da ipoacusia bilaterale, ciò nonostante tale handicap sia recuperato con l’uso delle protesi acustiche. Nonostante l'idoneità all'insegnamento dichiarata dalla AUSL in data 22/03/2001, il dirigente scolastico Gatto emetteva un decreto con il quale disponeva la cessazione di qualunque attività presso il Vallauri del prof. Ugo Neri;

il Giudice del Lavoro del Tribunale di Reggio Calabria, in data 14/05/2001, ha ordinato "l’immediata reitegrazione del ricorrente prof. Neri Ugo; la sospensione in via cautelare di tutti i provvedimenti impugnati (ad eccezione di quello di revoca dell’autorizzazione a svolgere la libera professione di ingegnere); la trasmissione degli atti alla Corte dei Conti";

in data 17/05/2001, con nota prot. n. 118 ris, la Direzione Regionale Scolastica della Calabria ha avviato un procedimento disciplinare contro il dirigente Gatto per i fatti narrati;

il dott. Gatto ha proposto reclamo avverso all’Ordinanza del Giudice del Lavoro. Ciò nonostante il Tribunale di Reggio Calabria con ordinanza del Tribunale del Lavoro del 09/07/2001, n. Con.10471, ha rigettato il reclamo del dott. Gatto e ha disposto la trasmissione di copia degli atti alla Procura della Repubblica;

dalle pregresse vicende sono scaturiti tre procedimenti penali con capo di imputazione a carico del dirigente Gatto previsto e punito dall’art. 323 del codice penale (abuso di ufficio), essendo inoltre individuata la persona del prof. Neri quale parte offesa. Tali procedimenti sono stati unificati a carico del dirigente Gatto, che è stato rinviato a giudizio per reati ai sensi dell’art. 323 del codice penale (abuso di ufficio), essendo inoltre individuata la persona del prof. Ugo Neri quale parte offesa;

la Dirigenza Generale Regionale della Calabria, con decreto prot. n° 9029 del 17/07/2001, ha disposto che " Il prof. Ugo Neri è reintegrato nel posto e nella sede di servizio con sede di servizio con decorrenza 22.2.2001, col conseguente ripristino di tutti i diritti giuridici ed economici correlati al periodo della sofferta sospensione";

il dirigente Gatto, con nota prot. n. 5131 del 30/08/2001, ha contestato al prof. Neri che" le assenze dal servizio della S.V. – dal 23 marzo 2001 a tutt’oggi – non risultano in alcun modo giustificate", con l’intento di ribaltare sul professor Neri precise responsabilità derivategli dal non avere riammesso lo stesso in servizio;

il dirigente Gatto, con una nota del 13/09/2001, ha decretato che il prof. Neri è stato assente ingiustificato per 162 giorni a decorrere dal 23/03/2001 e ha trasmesso l’atto alla Direzione Provinciale del Tesoro al fine di operare a carico del prof. Neri il recupero delle somme di stipendio al lordo percepite durante il periodo di sofferta sospensione;

la Dirigente regionale Anna Maria Fonti Iembo, per il Direttore Generale dott. Franco Inglese, con nota n° 40/ris del 20/09/2001, ha sollecitato la sospensione dal servizio del dirigente scolastico Gatto scrivendo: "Fra l’altro, con recentissima nota n° 75/ris del 14/09/2001, il dirigente Gatto ha comunicato la punizione dell’avvertimento scritto al prof. Neri Ugo sostanzialmente per gli stessi motivi per cui lo aveva sospeso dal servizio con atti reiterati, tutti sospesi dai provvedimenti giudiziari citati, nonostante il prof. Ugo Neri sia nel frattempo transitato in altro istituto dal 1° settembre 2001. […[ Dimostrando, anche con questi ultimi provvedimenti, assoluta labilità e inconcludenza gestionale, si ripropone la immediata sospensione cautelare del dirigente Gatto, in attesa di procedere disciplinarmente a suo carico, ferma restando la richiesta di accertamento delle sue responsabilità amministrative e contabili in relazione all’intera vicenda";

in data 15/02/2003 il Giudice del Lavoro dott.ssa Patrizia Morabito, con ordinanza n. 188/02, Reg.Proc.Spec, dichiarava l’immediata sospensione in via cautelare del decreto del dirigente scolastico dell’ITIS "Vallauri" di Reggio Calabria prot. n. 5495/A/1 del 13/09/2001. Per l’effetto ordinava al Ministero dell’economia e delle finanze l’immediata cessazione delle trattenute stipendiali in forza di quelle mensilmente operate sulla retribuzione del ricorrente. Ordinava altresì di trasmettersi copia degli atti al Procuratore della Repubblica in sede per quanto di eventuale competenza;

la vicenda appena esposta in merito alle trattenute stipendiali operate ingiustamente al prof. Ugo Neri dal dirigente Gatto è rimessa alle valutazioni del processo penale in atto presso la II Sezione del Tribunale Penale in composizione collegiale – Presidente dott. Lucisano, proc. n. 470/04 R. GIP, con imputato per il reato previsto e punito dall’art. 323 del codice penale ancora il dirigente Gatto e parte offesa il prof. Neri;

considerato che:

la gravissima situazione perpetrata ai danni del prof. Ugo Neri oggi prosegue, nei confronti dei già citati prof. Roberto Scaramozzino, Antonio Surace e Felice Iatì, e potrebbe configurare una fattispecie di mobbing e burn out;

nonostante le citate vicende anche giudiziarie, il dott. Gatto continua ad emettere sanzioni disciplinari e sospensioni cautelari rivolte a più docenti , con fini intimidatori e persecutori;

nelle ultime settimane, dopo essere stato costretto a riammettere in servizio, sia pure con ritardo, sia il docente Felice Iatì sia il docente Roberto Scaramuzzino, in forza delle ordinanze cautelari del Giudice del Lavoro di Reggio Calabria, che revocavano i decreti di sospensione cautelare dei docenti, dopo oltre un mese, il predetto dirigente Gatto ha emesso fino al 12 luglio 2004 ben tre decreti di "licenziamento per giusta causa senza alcun preavviso" nei confronti del docente Antonio Surace e degli stessi Iatì e Scaramuzzino, annullando in concreto gli effetti delle ordinanze giudiziali del Tribunale del Lavoro;

a fronte delle ulteriori ordinanze cautelari del Giudice del Lavoro di Reggio Calabria emesse nel settembre 2004, che revocavano i decreti di "licenziamento per giusta causa senza alcun preavviso" nei confronti dei docenti Antonio Surace e Roberto Scaramuzzino, il dirigente Gatto non ha nel frattempo riammesso il prof. Roberto Scaramuzzino, ma ha riammesso il prof. Antonio Surace con decreto del 20/09/2004 per poi nuovamente licenziarlo con decreto di "licenziamento per giusta causa senza alcun preavviso" del 21/09/2004;

questi docenti, già sottoposti ad un martellamento di provvedimenti disciplinari come la sospensione dal servizio e il licenziamento, versano in uno stato di stress e di prostrazione psichica che potrebbero indurre gravi conseguenze sulla loro salute. Oltre che privati della totalità degli emolumenti mensili (ancora mai recuperati, nonostante il chiarissimo esito a loro favorevole del rito cautelare con l'annullamento della sospensione cautelare e dei decreti di cessazione dal servizio) si trovano a sostenere anche una situazione economica disagevole;

lo stesso dirigente Gatto ha richiesto, addirittura, come dirigente dell'Istituto "Vallauri", la destituzione del professor Francesco Scordamaglia, docente in altra scuola, coordinatore provinciale del sindacato "Gilda degli Insegnanti", "colpevole", nell'esercizio delle prerogative sindacali, di aver denunciato, dovutamente e responsabilmente, le vessazioni subite dai colleghi docenti e le inadempienze istituzionali;

il dirigente scolastico dell'ITIS "Vallauri" ha segnalato, con evidente tentativo intimidatorio, la "ribellione alle istituzioni democratiche dello Stato" del professore Scordamaglia, mediante la sua denuncia pubblica al Ministro dell'interno, al Capo della Polizia, al Prefetto, al Questore ed al Procuratore della Repubblica di Reggio Calabria. Tutto ciò nonostante Francesco Scordamaglia sia docente in altra scuola ed abbia la sola responsabilità di essere coordinatore provinciale del sindacato "Gilda degli Insegnanti", "colpevole", nell'esercizio delle prerogative sindacali, di aver denunciato, dovutamente e responsabilmente, le vessazioni subite dai colleghi docenti e le inadempienze istituzionali;

inoltre, il dirigente scolastico Gatto, in questo clima di conflitto permanente, avrebbe tentato altresì di coartare la volontà di alcuni docenti, perché fossero dalla sua parte;

il dirigente, dopo aver predisposto la sospensione cautelare dal servizio di docenti, mediante un'architettata, artificiosa e reiterata sequenza di provvedimenti sanzionatori, da ultimo ha utilizzato una risibile strategia di mera elencazione di presunte mancanze (mai contestate preliminarmente, con ulteriore costante lesione del diritto alla difesa) inerenti a doveri quotidiani del docente, dal Gatto citati testualmente, "di lealtà e di buona amministrazione, vulnerando la regolare funzionalità del servizio e il buon andamento (efficienza ed efficacia) dell'attività della pubblica amministrazione";

il Direttore Generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per la Calabria, Ugo Panetta, nonostante fosse stato tempestivamente portato a conoscenza dei provvedimenti, forse per evitare eventuali scontri con il dirigente in questione, finora, per quanto consta all'interrogante, ha avallato e consentito la sospensione, poi annullata dal Giudice del Lavoro, dalle funzioni di docente, senza stipendio da ben oltre cinque mesi, nonostante decreti che apparirebbero basati su elementi raccolti, quasi "a puntate", con "postille" a richiesta, emergenti dalla specifica corrispondenza tra l'ITIS "Vallauri" e la Direzione Generale della Calabria;

il Direttore Generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per la Calabria, Ugo Panetta, nonostante fosse stato portato a conoscenza dai sindacati delle ordinanze di citazione in giudizio emesse dal tribunale di Reggio Calabria a carico del dirigente Gatto per i numerosi e gravi abusi a carico del prof. Ugo Neri, non ha saputo rilevare nella documentata continuazione di comportamenti illegali anche a carico di altri insegnanti della stessa scuola elementi tali da giustificare l’attivazione di tutte le procedure di legge atte ad assicurare il buon andamento della scuola e tutelare la serenità degli insegnanti, degli alunni e delle famiglie dell’istituto tecnico "Vallauri" di Reggio Calabria;

il medesimo direttore generale Panetta ha di fatto consentito che gli studenti, anche impegnati con i recenti esami di Stato, per effetto delle sospensioni dei professori rimanessero senza docente per oltre tre mesi e durante gli stessi esami di Stato, con lesione grave del diritto allo studio ed all'istruzione;

il medesimo direttore generale Panetta ha convalidato, comunque, i provvedimenti emessi dal dirigente scolastico Gatto, senza tener conto delle eventuali domande risarcitorie che i dipendenti, in presenza di un danno ingiusto, potrebbero avanzare, con grave danno, se accolte, all'Erario, nonostante si configurino come licenziamenti in serie ed in contrasto pratico con il Giudice del Lavoro, mentre ha provveduto di recente, in altro caso molto meno grave, pesante e dannoso, a non convalidare analogo decreto di licenziamento nei confronti di una docente di Crotone,

si chiede di sapere:

quali provvedimenti si intenda adottare per accertare le cause di tale grave situazione venutasi a creare nell'Istituto Tecnico Industriale "Vallauri" di Reggio Calabria, dove si sono registrati e continuano a registrarsi così tanti e gravi provvedimenti disciplinari a carico di docenti, senza che questi possano difendersi dagli addebiti loro contestati in sede amministrativa, anche se le sanzioni sono puntualmente annullate dalla Magistratura del Lavoro e sono ad oggi sotto la valutazione della Magistratura Penale sia in fase istruttoria che dibattimentale;

se non si ritenga di dover intervenire perché il Direttore Regionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca della Calabria, dott. Ugo Panetta, eserciti la dovuta attività di controllo e di vigilanza istituzionale, con equità, rispetto della libertà di insegnamento e la necessaria attenzione, e perché verifichi se il dirigente scolastico Gatto versi in una situazione di incompatibilità ambientale tale da non poter continuare a dirigere quell'istituzione scolastica, restituendo alla comunità scolastica tranquillità, nel rispetto dell'immagine professionale degli operatori e della stessa istituzione e al fine di ridare serenità ai dipendenti e alle loro famiglie e tutelare il libero esercizio dell'attività sindacale;

se, infine, il Ministro non ritenga opportuno, in carenza di dovuta analoga attività direttoriale, procedere all'immediata revoca ed annullamento di tutti gli illegittimi provvedimenti di licenziamento, con emanazione di consequenziali provvedimenti di reintegrazione nel servizio.

(4-07428)

GASBARRI - Ai Ministri dell'interno e della giustizia - Premesso:

che lo scorso 30 settembre si è svolta a Tivoli (Roma) una manifestazione, promossa dalla "Città dei diritti" – organizzazione politica che si occupa di problematiche relative al disagio sociale – indetta per commemorare il trentesimo anniversario della morte di Fabrizio Ceruso;

che all'iniziativa hanno preso parte la signora Heidi Giuliani e il consigliere comunale di Roma Nunzio D'Erme;

che nel corso dell'incontro una ventina di persone, non invitate, ha cercato di interrompere i lavori e che, alla reazione dei presenti, gli estranei hanno minacciato, inveito e lanciato oggetti, tra i quali bottiglie e petardi;

che tutto quanto è successo è stato registrato dalle locali forze dell'ordine che hanno denunciato i provocatori per "adunata sediziosa";

che, successivamente, il 2 ottobre scorso due aderenti alla "Città dei diritti" sono stati aggrediti all'interno del loro laboratorio artigiano: V.L. di 43 anni è stato malmenato e il nipote, D.B., di 23 anni, è stato accoltellato;

che quanto esposto non è che l'ennesimo di una serie di episodi di matrice fascista, fenomeno che si ripropone da qualche tempo a Tivoli, città che purtroppo ben conosce la violenza squadrista per averne subito gli effetti in anni passati, anche in termini di morti;

che, solo per citare alcuni esempi, nel 1999 è stata distrutta la sede di Rifondazione Comunista, a novembre dell'anno scorso è stato aggredito uno storico esponente della sinistra tiburtina e recentemente è stata distrutta la lapide di travertino dedicata a Peppino Impastato antistante il "Ponte della pace" sul fiume Aniene;

che tutte le "azioni" sono sempre state "rivendicate" da firme della galassia dell'estremismo di destra;

che in relazione agli episodi del 30 settembre e del 2 ottobre la Polizia ha identificato e denunciato un esponente dell'estrema destra, già noto per gesta analoghe nell'ambito del "teppismo da stadio",

si chiede di sapere:

quale valutazione dia il Ministro dell'interno di quanto sta accadendo a Tivoli;

se non ritenga di dover intervenire presso il Prefetto e la Questura di Roma, perché valutino se il Commissariato della Polizia di Stato e la Stazione dei Carabinieri di Tivoli siano in grado di fronteggiare il fenomeno sia in termini di strutture che di organici;

se il Ministro della giustizia non ritenga di verificare lo stato della Procura della Repubblica di Tivoli affinché le attività di repressione della Polizia di Stato e dei Carabinieri trovino corrispondenza nell'istruzione e nella conclusione dei procedimenti penali.

(4-07429)

GRUOSSO - Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti - Premesso che:

al Compartimento ANAS di Basilicata si registrano disfunzioni tecniche ed organizzative nell'attività di esercizio per la grande viabilità;

il numero esiguo degli addetti non consente la regolare manutenzione e la gestione del pronto intervento a garanzia degli standard di sicurezza;

questa situazione determina tensioni e forme di discriminazioni tra i lavoratori sia a livello economico che organizzativo, disattendendo le normative vigenti sulla sicurezza del lavoro;

a questo problema può essere data una risposta positiva con l'assunzione dei lavoratori precari che hanno prestato la loro opera a tempo determinato da molti anni con la professionalità necessaria;

le organizzazioni sindacali hanno più volte sottoposto all'attenzione della Direzione generale le questioni sopra esposte senza alcun riscontro, evidenziando una gestione unilaterale e poco sensibile a corrette relazioni sindacali;

sempre le stesse organizzazioni sindacali hanno ribadito la propria contrarietà all'ipotesi di societarizzazione poco chiara e alla costituzione di nuovi uffici speciali che servirebbero solo a togliere altre competenze ai compartimenti regionali;

considerato che il persistere di tale situazione potrebbe determinare condizioni difficili per la sicurezza della viabilità nazionale nella Regione Basilicata con ulteriore riduzione di servizi,

si chiede di sapere se e quali iniziative si intenda intraprendere per evitare il progressivo depotenziamento del compartimento ANAS di Basilicata e per assicurare, sia in termini di organici che di organizzazione delle attività, le condizioni indispensabili per una maggiore efficienza del servizio e la sicurezza dei cittadini.

(4-07430)

IOVENE, CORTIANA - Ai Ministri dell'ambiente e per la tutela del territorio e per i beni e le attività culturali - Premesso:

che in Calabria, come in altre regioni, il Governo sin dal 1997 ha dichiarato lo stato di emergenza, ai sensi dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, nominando nel 2000 come Commissario delegato per l'emergenza rifiuti il Presidente della Giunta Regionale della Calabria, Chiaravalloti, e da poche settimane il Dott. Domenico Bagnato;

che già dal 2003 il Commissario delegato avviava un procedimento per l'individuazione del sito dove ubicare un impianto di selezione e trattamento di RSU nel comprensorio del Pollino Cosentino, procedendo ad una serie di incontri con le amministrazioni comunali interessate (26 comuni facenti parte del consorzio denominato ACEA);

che in data 28 ottobre 2003 si procedeva all'individuazione dei siti potenzialmente idonei; il primo di questa graduatoria è risultato essere un terreno di circa 40 ettari ricadente nel comune di Altomonte (questa la graduatoria: Altomonte, Petrosa, Terranova, Lungro, Santa Caterina Albanese);

che il Comune di Santa Caterina Albanese proponeva, con deliberazione del consiglio comunale n. 2 dell'8 gennaio 2004, il sito in località "Macchie" del proprio territorio comunale (mai indicato durante tutto il precedente procedimento);

che pertanto, in ultimo esame, con ordinanza regionale n. 2858, il sito indicato idoneo alla costruzione risulterebbe essere quello ricadente nel sopracitato comune di S. Caterina Albanese;

considerato:

che la zona interessata per l'ubicazione dell'impianto è di chiara vocazione agricola e che la produzione verrebbe drasticamente ridotta;

che nelle immediate vicinanze dal luogo previsto sorgono diversi centri abitati (frazioni di Pauciuri, Peiorata e Palombaro nel Comune di Malvito);

che la realizzazione dell'impianto recherebbe un notevole pregiudizio alla salute degli abitanti dei vicini centri abitati, all'ambiente, e non di meno alle attività economiche dell'intera area interessata, andando ad incidere anche sulla corretta gestione e pianificazione del territorio;

che è stata effettuata una raccolta di firme da parte dei cittadini dei comuni interessati (sono state raccolte poco meno di 900 firme, quasi l'intera popolazione dei paesi limitrofi l'ubicazione dell'impianto);

che in data 15 settembre 2003 i comuni consorziati ribadivano che l'impianto e la discarica di servizio non avrebbero dovuto essere ubicati "nelle zone previste di interesse agro-alimenatre ed individuate nella proposta di legge di iniziativa popolare per il distretto agro-alimentare di qualità e nelle aree a valenza turistica, ambientale ed archeologica";

che nelle immediate vicinanze e, da recenti studi, nel luogo indicato sorge un importante insediamento archeologico del IV sec. A. C., con edifici atti alla conservazione dei materiali e dei prodotti agricoli e con impianti termali, da tempo studiato da istituti nazionali (Università della Calabria, soprintendenza archeologica della Calabria) ed internazionali riconosciuti (École Française de Rome);

che la zona è esposta ad alto rischio di inondazioni (da uno studio svolto dal CNR di Cosenza), in quanto a ridosso del fiume Esaro e adiacente al torrente Ricosoli, in un'area di bacino dalle caratteristiche ostative ad un intervento come quello in specie;

che sono stati effettuati sondaggi idrogeologici che riscontrano la presenza di un terreno assolutamente inadatto alla costruzione dell'impianto, in quanto a pochi metri nel sottosuolo vi sono numerose falde acquifere e quindi il rischio di inquinamento delle stesse, e di conseguenza delle condutture dell'acqua potabile, è a dir poco allarmante;

che tutta la zona interessata dalla costruzione è tutelata dal vincolo ambientale;

che sono stati effettuati, da parte del vicino Comune di Malvito, dei cittadini del Comune di Santa Caterina Albanese, dai proprietari dei terreni da espropriare, diversi ricorsi al TAR di Catanzaro e un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica,

si chiede di sapere:

per quali motivi siano stati scartati i 4 siti precedenti a Santa Caterina Albanese nella graduatoria dello studio effettuato;

se non si ritenga che le motivazioni addotte dalla popolazione, e riportate in premessa, consiglino di rivedere la decisione e individuare un'area più consona;

se il Governo intenda indirizzare la propria azione e quella del Commissario regionale al fine di meglio ponderare la situazione complessiva e trovare forme di concertazione con i diversi soggetti del territorio, anche per scongiurare legittime ed inevitabili proteste e manifestazioni della cittadinanza;

se e quali interventi si intenda adottare per riuscire a salvaguardare l'incolumità della salute dei cittadini interessati, dell'ambiente circostante e dello sviluppo economico dell'intera area circostante la costruzione.

(4-07431)

DE PETRIS - Al Ministro dell'interno - Premesso che:

a quanto risulta all'interrogante, la sera del 30 settembre 2004 un nutrito gruppo di persone munito di manganelli e coltelli ha tentato di impedire lo svolgimento di una pubblica manifestazione per ricordare la morte di Fabrizio Ceruso e Carlo Giuliani, alla quale partecipavano tra gli altri anche il consigliere comunale di Roma Nunzio D’Erme e la signora Heidi Giuliani, madre di Carlo Giuliani;

durante la manifestazione il gruppo "squadrista" in questione inneggiava canzoni e slogan di appartenenza fascista pronunciando anche frasi di insulto nei confronti di Fabrizio Ceruso e Carlo Giuliani;

a fronte delle annunciate minacce, l’intervento delle forze di polizia é stato quantomeno scarso (due soli agenti di polizia) e tardivo, al punto che si é permesso di lanciare razzi e bottiglie sui partecipanti e sui passanti;

la sera del 2 ottobre due dei partecipanti all’iniziativa sono stati aggrediti, all’interno del loro laboratorio artigiano, da quattro uomini armati;

oggi i due si trovano ricoverati in ospedale per percosse e ferite da armi da taglio;

a parere dell'interrogante è necessario evidenziare che purtroppo questa é solo l’ultima di una serie di aggressioni ed azioni squadristiche che il gruppo di ispirazione "fascista" compie nella città di Tivoli da oltre due anni,

si chiede di conoscere:

i motivi che hanno spinto i responsabili dell’ordine pubblico della città di Tivoli a sottovalutare così palesemente la nascita e l’evoluzione di una cellula di ispirazione "fascista";

se non si ritenga opportuno ed urgente, ove ricorra il caso, di intervenire per via gerarchica, qualora si individuino i responsabili di quanto avvenuto;

se non si ritenga opportuno, alla luce dei fatti sopra esposti, attivarsi affinché venga alzato il livello di vigilanza da parte delle forze dell'ordine nella cittadina di Tivoli, al fine di impedire la riorganizzazione e nascita di gruppi di ispirazione "fascista" autori di episodi di così grave violenza.

(4-07432)

ZAPPACOSTA - Al Ministro della difesa - Premesso che:

la legge 23 agosto 2004, n. 226, concernente "Sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore", ha fissato le caratteristiche del "volontario a ferma prefissata", annuale o quadriennale;

con decreto ministeriale 1° settembre 2004 il Ministero della difesa ha bandito l’arruolamento di 23.500 volontari in ferma prefissata per l’anno 2005, individuando sei centri di selezione per gli accertamenti dei requisiti psico-fisico-attitudinali;

il Centro di Medicina Militare di Chieti, con la fine della leva militare, è rimasto sottoutilizzato, nonostante la presenza di personale altamente specializzato e di strumentazioni di prim’ordine, e rischia anche la dismissione;

un numero maggiore di centri di selezione garantirebbe una migliore valutazione dei tanti candidati all’arruolamento, in considerazione del fatto che, secondo le disposizioni della legge 226/04, l’arruolamento nei Corpi di polizia, civile e militare, sarà possibile solo attraverso il passaggio nelle file dell’Esercito;

il Centro di selezione attualmente presente a Foligno non effettuerà più accertamenti psico-fisico-attitudinali per i volontari a ferma prefissata, mentre manterrà quelli per i sottufficiali ed ufficiali;

la riorganizzazione dei centri di selezione per gli accertamenti psico-fisico-attitudinali non comporterebbe oneri a carico del bilancio del Ministero della difesa che, anzi, non chiudendo il Centro di Medicina Militare di Chieti, risparmierebbe sulle indennità di trasferimento del personale ivi impegnato ed attualmente sottoutilizzato;

la città di Chieti, tradizionalmente legata ai suoi storici presidi militari, vive in questa fase un periodo di stasi economica dovuta anche alla perdita di alcuni tra i più importanti centri di selezione militare, come la Scuola Allievi Carabinieri ospitata presso la Caserma "Rebeggiani",

si chiede di sapere:

se si intenda mantenere in attività il Centro di Medicina Militare di Chieti;

se si ritenga opportuno ampliare il numero dei centri di selezione per gli accertamenti dei requisiti psico-fisico-attitudinali relativi ai bandi di concorso per la selezione di volontari in ferma prefissata, includendovi il Centro di Medicina Militare di Chieti, al quale verrebbe trasferita parte delle operazioni di selezione previste nei centri individuati dal decreto ministeriale 1° settembre 2004.

(4-07433)

DE PETRIS - Al Ministro dell'ambiente e per la tutela del territorio - Premesso che:

tra le competenze dei comuni rientra la gestione dei rifiuti urbani, la tutela dell'igiene pubblica e, per alcuni profili, la tutela dell'ambiente;

in tema di rifiuti di imballaggio i comuni, ai sensi dell'articolo 39, comma 1, del decreto legislativo n. 22 del 1997, hanno l'obbligo specifico di organizzare sistemi adeguati per la raccolta differenziata, che deve essere garantita in modo omogeneo sul territorio ed effettuata secondo criteri che privilegino l'efficacia, l'efficienza e l'economicità del servizio, nonché il coordinamento con la gestione di altri rifiuti;

il citato decreto n. 22 del 1997, all'articolo 41, individua il CONAI come l'organismo, costituito in forma paritaria da produttori ed utilizzatori di imballaggi, delegato a garantire il raggiungimento degli obiettivi di recupero e riciclaggio ed il necessario raccordo con l'attività di raccolta differenziata svolta dai comuni; in particolare il comma 3 del suddetto articolo dispone che lo strumento per garantire l'attuazione del principio di corresponsabilità gestionale tra produttori, utilizzatori e pubblica amministrazione ed incentivare e sviluppare la raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio sia l'accordo di programma quadro da sottoscrivere tra CONAI ed ANCI;

l'alternativa al sistema di accordo quadro sarebbe stata la libera contrattazione tra comuni e/o gestori del servizio e riciclatori di rifiuti, ferma restando la possibilità, per i comuni più grandi, di stipulare accordi specifici sul territorio;

appare evidente la difficoltà per i piccoli e medi comuni - e i conseguenti aumenti di costo - per raccogliere e collocare i rifiuti di imballaggio, a scapito della quantità di rifiuti avviata alla raccolta differenziata;

è comprensibile pertanto l'importanza di avviare tale accordo a garanzia delle realtà più deboli, assicurando una corretta gestione dei rifiuti di imballaggio e limitando i problemi logistici e di stoccaggio; va inoltre sottolineato che l'Accordo ha determinato la definizione di un corrispettivo economico sicuro nel tempo, salvaguardando soprattutto i piccoli e medi comuni dall'incertezza di un mercato caratterizzato da prezzi altamente variabili;

giova ricordare che, ai sensi del citato decreto n. 22 del 1997 (articolo 38, commi 9 e 10), la gestione dei rifiuti di imballaggio, compreso il conferimento in raccolta differenziata, non deve comportare oneri economici per il consumatore e soprattutto i costi devono essere a carico dei produttori ed utilizzatori;

a quanto risulta, invece, lo Statuto del CONAI (approvato con decreto interministeriale del 30 ottobre 1997 e successive modificazioni ed integrazioni) prevede che i corrispettivi riconosciuti ai comuni corrispondano al solo costo aggiuntivo sostenuto per sostituire la raccolta ordinaria con quella differenziata, con la prevedibile conseguenza che non vengono coperti i costi totali sostenuti per la gestione dei rifiuti di imballaggio, ma solo il maggior costo sostenuto per l'introduzione della raccolta differenziata; detta situazione comporta ovviamente che una parte dei costi della raccolta differenziata venga in concreto sostenuta dai cittadini attraverso la fiscalità generale;

questo quadro normativo ha quindi comportato una strutturale insufficienza del sostegno economico fornito dal CONAI al sistema della raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio, che si concretizza nell'inadeguatezza dei corrispettivi versati ai comuni;

l'articolo 41, lettera g), del citato decreto n. 22/97, stabilisce che il CONAI organizza, in accordo con le pubbliche amministrazioni, le campagne di informazione ritenute utili ai fini dell'attuazione del programma generale di prevenzione, ma, fino ad oggi, i fondi destinati alla comunicazione, che ammontano in media a 20 milioni di euro all'anno, sono gestiti dal CONAI senza alcuna trasparenza ed è lo stesso CONAI a scegliere modi, tempi, fonte e quantità delle campagne pubblicitarie, senza alcun momento di confronto - se non con gli enti scelti dallo stesso consorzio - con i soggetti direttamente interessati, i comuni, in quanto direttamente responsabili dell'andamento della raccolta differenziata in termini qualitativi e quantitativi;

la legge è stata disattesa anche nell'acquisizione del parere della Conferenza unificata (di cui all'articolo 42, comma 3, del decreto legislativo n. 22 del 1997) in merito al programma generale di prevenzione, limitando anche in questo caso le possibilità di confronto con gli enti locali e le regioni,

si chiede di sapere se il Ministro interrogato non intenda attivare correttamente la procedura prevista dalla legge, al fine di eliminare ogni vizio nel processo di approvazione del programma, che ne limiterebbe l'efficacia e la validità, considerato che il piano attuale tiene unicamente conto delle istanze del CONAI, senza considerare le esigenze e le valutazioni degli enti locali,

così come giustamente previsto dal decreto n. 22 del 1997.

(4-07434)

CICCANTI - Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca - Premesso:

che, con nota n. 329 del 22.09.2004 indirizzata ai parlamentari, l’Assessorato alle Politiche Sociali della Regione Marche ha rappresentato lo stato di malcontento e protesta venutisi a creare in molti ambienti scolastici, a causa della drastica diminuzione dei posti di sostegno disposta dal Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale delle Marche nel provvedimento di dotazione organica dei posti di sostegno in deroga, già insufficiente lo scorso anno rispetto alle necessità registrate;

che l’importanza del recupero e l’integrazione delle persone con disabilità impegna, civilmente prima che politicamente, tutti i livelli di governo istituzionale, da quello locale a quello nazionale, al fine di garantire il diritto all’istruzione anche ai disabili;

che tale scelta pregiudica ed inficia anni ed anni di interventi formativi, che hanno sensibilizzato e specializzato il corpo docente e fatto registrare livelli di professionalità significativi ai fini dell’efficacia e della qualità dei processi di integrazione,

si chiede di sapere:

se e quali interventi si intenda adottare per recuperare la misura organizzativa del Direttore Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale delle Marche, duramente stigmatizzata anche dall’Assessorato alle politiche sociali della Regione Marche;

se si ritenga che il contenimento della spesa pubblica, attraverso la riparametrazione di modelli organizzativi, debba avvenire gerarchizzando diversamente le priorità, riconoscendo al primo posto la tutela ed il sostegno scolastico agli alunni disabili;

quali politiche di integrazione si intenda sviluppare per il futuro;

se si intenda prevedere forme politiche integrate con le regioni per difendere i livelli di qualità di assistenza finora raggiunti.

(4-07435)

BEDIN - Al Ministro degli affari esteri - Premesso che è da circa un anno e mezzo che la Comunità italiana in Croazia e Slovenia attende che le vengano erogati circa 500.000 euro da destinare ai direttori artistici delle Comunità degli italiani dei due Paesi, al Centro studi di musica classica "Luigi dalla Piccola", nonché al cofinanziamento del Dramma italiano;

considerato che:

si tratta di finanziamenti destinati alla comunità italiana che sono previsti dalla legge e dalla Convenzione tra il Ministero degli affari esteri e l'Unione italiana;

in questo periodo la più importante organizzazione della minoranza italiana di Croazia e Slovenia ha dovuto ricorrere a finanziamenti di fortuna, in particolare ad un prestito concessole dall'Università popolare di Trieste, con il quale ha potuto far fronte agli arretrati per il 2003 e alle spese dei primi mesi del 2004;

ora anche questo aiuto si è prosciugato e la situazione si va facendo sempre più imbarazzante e preoccupante;

osservato che la penuria di risorse per le attività culturali compromette anche altri interventi in situazioni contingenti, come quella che riguarda la Comunità degli italiani di Zara, la cui sede risulta inagibile, dopo l'incendio dell'estate scorsa;

valutato che esiste il rischio di un prossimo blocco delle attività culturali della minoranza italiana, nonostante i tanti incontri e le rassicurazioni da parte delle massime istituzioni italiane e delle competenti autorità che i fondi saranno stanziati,

si chiede di sapere quali siano gli intendimenti del Governo in ordine allo stanziamento dei finanziamenti previsti dalla Convenzione con l'Unione italiana, nonché ad una valutazione sulla sussistenza delle condizioni per un finanziamento straordinario alla Comunità italiana di Zara.

(4-07436)

DE PETRIS - Ai Ministri della difesa e delle infrastrutture e dei trasporti - Premesso che:

la spiaggia di Villanova, sita nel Comune di Falconara, ospita capanni, rimessaggio barche all'aperto ed al coperto ed una struttura pubblica denominata "Ex tiro a segno" all'interno della quale trovano sede circoli ed associazioni territoriali di Falconara;

la spiaggia, nonostante sia confinante con i capannoni che ospitano le ditte appaltatrici operanti nella raffineria API, è sede di una non trascurabile attività marinara e balneare, anche perché in un passato recente la raffineria occupava spazi più ridotti di quelli attuali;

con l'ultima espansione della raffineria avvenuta a scapito della spiaggia fu garantito comunque ai cittadini, ai velisti, ai piccoli pescatori che la fruibilità della spiaggia sarebbe stata limitata soltanto con la riduzione dello spazio a disposizione a seguito dell'allargamento del perimetro e della recinzione della raffineria;

a sud della spiaggia di Villanova la gran parte dell'arenile è soggetta a concessione per usi pubblici;

da alcuni giorni (in particolare da quando si è verificato un incidente nella Raffineria e da quando il bitume, rilasciato in mare dalla Raffineria, è stato spiaggiato), in questa spiaggia le pattuglie armate dell'esercito, che presidiano il perimetro interno dell'API con funzione di prevenzione antiterroristica, stazionano fuori dal perimetro e si avvicinano a coloro che stanno recandosi sulla spiaggia invitandoli ad allontanarsi e a non scendere in spiaggia, a causa di un presunto divieto della cui esistenza non si ha notizia, che non è riportato su alcuna segnaletica e non risulta neanche al Comune di Falconara ed al Servizio Vigili Urbani;

al contrario la segnaletica stradale non solo consente l'accesso, ma individua addirittura a ridosso della spiaggia un parcheggio,

si chiede di sapere:

in che modo si ritenga che possa essere garantita la libera fruizione della spiaggia di fronte a comportamenti dei militari che la limitano;

se risulti per quale motivo avvenga la militarizzazione di spazi aperti al pubblico e sui quali per tutta l'estate non c'è stato impedimento alcuno;

quali disposizioni siano state impartite agli addetti alla sorveglianza armata e se non si ritenga che l'impedimento all'uso libero della spiaggia costituisca una ulteriore ed iniqua appropriazione di territori da parte della Raffineria API di Falconara;

se risulti quanti mezzi e uomini siano impegnati in questa operazione di presidio del territorio.

(4-07437)

MINARDO - Al Ministro delle attività produttive - Considerato l'irrefrenabile aumento del prezzo della benzina e del gasolio di queste ultime settimane, che sta mettendo in gravi difficoltà tutti i settori dell'economia ed in particolare gli autotrasportatori;

considerato, inoltre, che i prezzi elevati del petrolio indeboliscono la forza della ripresa economica in tutto il Paese e che il conseguente aumento del prezzo della benzina sta notevolmente danneggiando tutti gli impulsi determinanti per lo sviluppo occupazionale, turistico, agricolo ed industriale del territorio;

ritenuto che sul petrolio e sui gas gravano accise, imposte di fabbricazione e di consumo,

si chiede di sapere se il Governo intenda considerare la riduzione delle accise gravanti sui prodotti petroliferi, che potrebbe essere un primo passo per iniziare a risolvere i problemi del mondo produttivo del Mezzogiorno, in modo da risollevare una fase economica che necessita di impulsi determinanti per lo sviluppo occupazionale, turistico, agricolo ed industriale della nostra terra.

(4-07438)

IOVENE - Al Ministro dell'interno - Premesso:

che in Calabria, ed in particolare nella provincia di Vibo Valentia, continuano a verificarsi da molti mesi gravi episodi intimidatori nei confronti di amministratori locali, di rappresentanti politici e operatori economici;

che il Sindaco di Gerocarne (Vibo Valentia), Raffaele Schiavello, ha rassegnato le proprie dimissioni a seguito dell'attentato incendiario messo in atto contro l'auto della moglie la settimana scorsa;

che la notte scorsa un attentato incendiario è stato compiuto contro il Municipio di Acquaro, piccolo centro nella provincia di Vibo Valentia;

che sei colpi di pistola calibro 38 sono stati sparati nei giorni scorsi contro un negozio di abbigliamento, facente parte della catena di proprietà della famiglia Bertucci, appena aperto a Vibo Valentia;

che quelli di questi giorni sono solo gli ultimi atti criminali e vandalici avvenuti in provincia di Vibo Valentia;

considerato:

che, come denunciato dalla Lega Nazionale delle Autonomie Locali, sulla base di una indagine da essa realizzata, la Calabria è al primo posto in Italia per intimidazioni ai danni di Sindaci, amministratori locali e funzionari pubblici;

che, come già più volte denunciato, in tutta la provincia di Vibo Valentia negli ultimi mesi si sono susseguiti atti intimidatori nei confronti di amministratori locali, imprenditori e commercianti, determinando un clima di paura e di insicurezza;

che il fenomeno degli atti intimidatori rappresenta, nella provincia di Vibo Valentia, come nel resto della Calabria, un dato di perdurante allarme sociale;

che questi gravi atti di intimidazione offendono la coscienza civile di una intera collettività,

si chiede di sapere:

se e quali iniziative si intenda assumere, sia sul terreno della prevenzione che su quello del controllo del territorio, al fine di dare maggiore sicurezza e di garantire agli amministratori pubblici un sereno svolgimento dei propri compiti;

se non si ritenga opportuno, visto quanto esposto in premessa, predisporre un piano straordinario di tutela e vigilanza prevedendo un controllo attento del territorio ed una valida azione preventiva e repressiva;

se e quali azioni di contrasto, prevenzione e repressione si intenda mettere in atto al fine di stroncare l'azione della criminalità organizzata e garantire ai cittadini maggiore sicurezza e tranquillità.

(4-07439)

MARTONE - Ai Ministri dell'ambiente e per la tutela del territorio, per i beni e le attività culturali e delle comunicazioni - Premesso che:

in data 29 luglio 2004 veniva rilasciata dal comune di Camogli (Genova) alla società H3G Spa la concessione per la realizzazione di un impianto di teleradiocomunicazioni per la diffusione del servizio di telefonia cellulare di terza generazione, denominato UMTS;

tale edificazione veniva consentita con concessione edilizia presso un terreno ubicato fra Via Di Mezzo e Salita Priaro;

l'impianto in oggetto è costituito da un traliccio in metallo alto 8 metri dove verranno posizionate alle estremità delle parabole direzionali;

nel progetto presentato dalla società H3G al comune è evidenziato che "sia il posizionamento a mezza costa, sia le ridotte dimensioni e la naturale mimetizzazione tra la vegetazione esistente sono tali da conferire alla stazione radio base un basso impatto ambientale, garantendone, quindi, un compatibile inserimento nel contesto in cui insiste", affermazione avvalorata dalla stessa società H3G attraverso un fotomontaggio (disegno tecnico) allegato, nel quale viene mascherato il traliccio di 8 metri con improbabili ulivi della medesima altezza;

mercoledì 29 settembre 2004 la società H3G ha dato inizio ai lavori di costruzione ed innalzamento del traliccio con l'ausilio di un elicottero per accelerare al massimo i tempi di messa in opera, creando notevoli inconvenienti agli abitanti della zona e alla vegetazione adiacente l'area interessata;

considerato che:

l'area individuata per l'installazione è di proprietà privata, ma soggetta a vincolo ambientale ai sensi della parte III del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;

l'antenna è in fase di installazione in una zona nella quale sono presenti strutture sensibili (asilo nido, scuola materna, residenza protetta per anziani, Convento dei Padri Olivetani) e molte abitazioni private;

sul territorio del comune di Camogli esistono già molte antenne, edificate anche in aree sottoposte a tutela ambientale (sul Monte di Portofino all'interno del Parco naturale regionale omonimo; sul Monte Esoli, nell'ambito della cornice del medesimo parco; sul campanile della Chiesa di San Rocco, località di pregio storico-artistico dello stesso comprensorio);

il territorio camoglino, che ospita circa cinquemila abitanti, risulta così area sproporzionatamente coperta di antenne;

considerato altresì che:

in concomitanza con l'avvio dei lavori si è costituito un comitato cittadino contro la costruzione della nuova antenna, il quale ha fatto richiesta al Sindaco, attraverso una petizione popolare che ha raccolto numerose adesioni e la presentazione di un esposto, di procedere alla sospensione immediata dei lavori di costruzione già in atto;

a tale richiesta è seguita l'ordinanza del Sindaco in data 4/10/04 di sospensione immediata dei lavori di costruzione per sessanta giorni;

tra le motivazioni dell'ordinanza del Sindaco si riportano in premessa:

forti perplessità sul proseguimento dei lavori, stante il rischio per la salute pubblica derivante dall'installazione in prossimità di strutture sensibili e nelle immediate vicinanze di una strada pedonale (Salita Priaro Superiore);

il preliminare parere dell'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente (ARPAL), che rappresenta alcune perplessità circa la proposta progettuale e condiziona il parere favorevole all'esito positivo delle misure di collaudo;

la zona in cui ricade l'immobile, sottoposta al vincolo paesistico-ambientale di cui alla parte III del Codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 42/2004);

necessità di garantire la salute pubblica e consentire gli approfondimenti tecnici chiesti dall'ARPAL,

si chiede di sapere:

se si intenda assumere iniziative urgenti al fine di garantire la tutela paesaggistica del territorio di Camogli ed in particolare dell'area sottoposta al vincolo di cui al decreto legislativo n. 42/2004, minacciata dalla presenza di un eccessivo numero di tralicci altamente impattanti con il contesto ambientale e dalla nuova installazione in corso;

se non si ritenga opportuno, sentite le amministrazioni comunali competenti per territorio, chiedere alla Soprintendenza ai beni paesaggistici di esprimere un esplicito parere in merito, in quanto l'utilizzo della formula del silenzio-assenso non è adeguato alla rilevanza paesaggistica e ambientale del territorio, così violando l'art. 136 del citato decreto legislativo n. 42/04;

quali motivazioni tecniche siano state addotte per ritenere plausibile il progetto della società H3G riguardante la possibilità di una naturale mimetizzazione tra la vegetazione esistente (classiche piante di ulivi alte circa 4 - 5 metri) ed una antenna di 8 metri;

se e quali iniziative si intenda assumere al fine di garantire, da parte delle autorità competenti, lo svolgimento degli opportuni approfondimenti tecnico-scientifici in relazione alle disposizioni e ai principi di cui alla legge-quadro sull'inquinamento elettromagnetico (legge n. 36/2001) nonché per garantire la tutela della salute pubblica;

se corrisponda a verità la notizia secondo cui l'antenna in questione è solo la prima di una serie di antenne, ognuna appartenente ai diversi gestori di telefonia mobile presenti sul territorio italiano (una richiesta pare sia già depositata all'ARPAL).

(4-07440)

SPECCHIA - Al Ministro dell'ambiente e per la tutela del territorio - Premesso:

che la Commissione Europea ha lanciato la proposta di costituire un nuovo registro che prenda in considerazione fino a 90 sostanze dannose per la salute contro le attuali 50;

che l’attuale registro europeo delle emissioni inquinanti (EPER) consente di conoscere il livello d’inquinamento di numerose aziende;

che nella "lista nera" delle aziende che da sole producono più del 10 per cento delle emissioni totali rilevate in Europa, per una determinata categoria di inquinanti, figurano anche alcune società italiane, come l’ILVA di Taranto per il monossido di carbone ed altre sostanze, la "Radici Chimica" e lo stabilimento Syndial di Porto Torres per le emissioni nell’aria;

che per quanto riguarda invece gli inquinanti nelle acque sono citati lo stabilimento di Porto Marghera e l’Enipower di Brindisi;

che è opportuno conoscere lo stato attuale dell’inquinamento provocato dalle aziende sopra citate e da altre aziende;

con particolare riferimento all’Enipower di Brindisi,

l’interrogante chiede di conoscere:

lo stato attuale dell’inquinamento prodotto;

se il Ministro in indirizzo non ritenga opportuno che siano forniti agli Enti locali e ai cittadini i dati innanzi richiesti e se e quali azioni siano state messe in atto per eliminare o ridurre drasticamente le emissioni inquinanti nell’acqua e nell’aria prodotte dalle aziende innanzi citate.

(4-07441)

DE PAOLI - Al Presidente del Consiglio dei ministri e ai Ministri della salute e dell'economia e delle finanze - Premesso:

che la legge n. 281 del 1991 prevede che i Comuni italiani provvedano ad allestire strutture idonee al ricovero ed alla cura di animali randagi;

che, nonostante il notevole intervallo intercorso dalla promulgazione della legge suddetta, la maggior parte dei Comuni italiani non ha ancora ottemperato alle disposizioni ivi contenute;

che nei pochi Comuni in cui si è provveduto ad allestire strutture pubbliche di pronto soccorso e degenza o di semplice ricovero tali strutture non sono in grado di garantire condizioni idonee di assistenza e spesso sono condannate al collasso per sovraffollamento,

si chiede di sapere:

se non si ritenga opportuno che i Comuni si adoperino perché si dia finalmente attuazione alle disposizioni della legge 281/91, al fine di risolvere lo stato di grave disagio in cui vengono a trovarsi sia gli animali in stato di abbandono o vittime di sevizie, sia i cittadini che, pur volendo prestare soccorso ai randagi in condizioni precarie, non possono avvalersi di strutture pubbliche a tale scopo istituite;

se non si ritenga altresì necessario vigilare sull'utilizzo da parte dei Comuni dei contributi previsti dalla legge suddetta o, nei casi in cui il Ministero dell'economia non abbia provveduto all'erogazione dei fondi necessari, espletare quanto prima questa doverosa procedura, peraltro prevista dalla legge.

(4-07442)

DANZI - Al Ministro della salute - Premesso:

che i medici specialisti in criminologia clinica hanno constatato che con la riforma dell'accesso alla dirigenza del Servizio sanitario nazionale la loro specializzazione, riconosciuta affine nei precedenti decreti ministeriali alla psichiatria ed alla medicina legale nonché alla medicina delle farmacotossicodipendenze, è stata ricompresa tra le specializzazioni affini limitatamente alla medicina legale rimanendo del tutto estranea all'area della psichiatria;

che con i decreti del Presidente della Repubblica 10/12/1997, nn. 483 e 484, il Governo ha emanato il regolamento recante la disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale ed il regolamento recante la determinazione dei requisiti per l'accesso alla Dirigenza Sanitaria Aziendale e dei criteri per l'accesso al secondo livello dirigenziale per il personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale, rimettendo ad un successivo decreto del Ministero della salute la concreta individuazione dei servizi ed delle specializzazioni necessarie per accedere agli incarichi dirigenziali di ciascuna disciplina;

che in particolare all'art. 74 del decreto del Presidente della Repubblica n. 483 è stato specificato che alla specializzazione ed al servizio nella disciplina sono equivalenti le specializzazioni ed il servizio in una delle discipline equipollenti ai sensi della normativa regolamentare concernente i requisiti di accesso al II livello dirigenziale del Servizio sanitario nazionale;

che l'individuazione è stata compiuta a mezzo dei decreti ministeriali 30 e 31 gennaio 1998, che hanno definito le tabelle relative alle specializzazioni affini previste dalla disciplina concorsuale per il personale dirigenziale del Servizio sanitario nazionale e alle tabelle relative alle discipline equipollenti previste dalla normativa regolamentare per l'accesso al II livello per il personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale;

che nelle suddette tabelle ministeriali non è stata ricompresa la specializzazione in criminologia clinica riconosciuta affine alla psichiatria e alla medicina legale dal decreto ministeriale 10.3.1983 nonché alla medicina delle farmacotossicodipendenze dal decreto ministeriale 10.12.1991;

che nel testo definitivo del decreto del 2 agosto 2000, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 19.8.2000, la specializzazione in criminolgia clinica è stata ricompresa tra le specializzazioni affini limitatamente alla medicina legale rimanendo del tutto estranea all'area di psichiatria;

che in virtù della nuova normativa i medici specialisti in criminologia clinica hanno visto disconoscersi all'improvviso il valore del proprio titolo di specializzazione;

che dal 1998 si vedono esclusi da tutti i concorsi banditi per l'assegnazione del personale nei SERT,

si chiede di sapere quali siano gli intendimenti del Ministro in indirizzo in ordine ad un suo intervento, con le modalità che giudicherà più opportune, affinché la specializzazione in criminologia clinica conseguita prima dell'entrata in vigore delle nuove tabelle ministeriali (1998) venga riconosciuta a pieno titolo quale disciplina equipollente o affine alla medicina legale ed alla psichiatria, salvaguardando così le posizioni professionali acquisite dai medici in costanza del rapporto professionale con il Servizio sanitario nazionale.

(4-07443)

FLORINO - Al Ministro dell'interno - Premesso:

che, con deliberazione n. 40 del 26/07/2004, il Consiglio comunale di Monte di Procida (Napoli) ha nominato, in applicazione delle disposizioni normative di cui all’art. 234 del decreto legislativo 267/2000, il Collegio dei revisori nelle persone di Di Meo Salvatore, Spinelli Gustavo, Mozzarella Giuseppe;

che la procedura di scelta è stata effettuata con criteri di massima imparzialità, basandosi sui curricula dei candidati e su una votazione condotta con criteri di massima trasparenza;

che l’esito della votazione e, quindi, la designazione dei nominativi scelti dal Consiglio comunale nella sua collegialità non è stata condivisa dal Sindaco di Monte di Procida non essendo stato prescelto il candidato dal medesimo sostenuto;

che lo stesso Sindaco, pur di impedire che venisse definitivamente nominato un collegio dei revisori voluto dal Consiglio comunale, unico organo deputato ai sensi dell’art. 234 del testo unico 267/2000, alla scelta di tale Organismo di controllo contabile, ma non condiviso dallo stesso Sindaco, ha sostenuto che la procedura seguita nella votazione per la nomina del suddetto collegio, per mero errore, non è risultata conforme a quella indicata nell’art. 63, comma 2, dello Statuto comunale;

che in relazione a tale asserito quanto non riscontrato vizio di legittimità il Sindaco, con deliberazione n.43 adottata nella seduta del 29.7.2004, ha ottenuto l’annullamento in autotutela della menzionata deliberazione n. 40 del 26.7.2004, che invece, in base agli elementi in possesso dell’interrogante, risultava immune da qualsiasi vizio;

che l’azione amministrativa dell’organo di Governo del Comune di Monte Procida, capeggiato dal sindaco Giuseppe Nicola Coppola, non è scevra da altre singolari procedure che, ad avviso dell’interrogante, appaiono in contrasto con la normativa di settore;

che, infatti, tra l’altro, la Giunta comunale di Monte di Procida è avvezza ad adottare procedure negoziali di scelta contraente mediante infinite ed ingiustificate proroghe, che risulterebbero disposte in violazione dell’art.44 della legge n. 724/1994. Se ne citano di seguito alcuni esempi:

proroga ditta R.D.R. per il servizio di manutenzione impianto di sollevamento;

proroga Ditta GdM s.r.l. di Napoli per il servizio di manutenzione dell’impianto di depurazione;

proroga ditta CO.GE.NU.RI. s.a.s. per il servizio di manutenzione dell’impianto di pubblica illuminazione;

proroga ditta MITA nel settore dell’igiene urbana;

che risulterebbero caratterizzate da profili di illegittimità anche le seguenti perizie di variante, in quanto appaiono adottate con procedure contrastanti con il disposto normativo di cui all’art. 25 della legge n. 109/94:

perizia di variante per lavori sistemazione della strada Via P.Coletta;

perizia di variante per lavori di sistemazione della darsena dei pescatori nel porto di Acquamorta;

perizia di variante per lavori di recupero funzionale degli spazi interni al cimitero comunale;

perizia di variante per lavori di ristrutturazione dell’impianto di pubblica illuminazione di un tratto di Via Panoramica, tratto Via Bellavista e 1° traversa di Via Croci e Via Diaz,

l’interrogante chiede di conoscere se il Ministro in indirizzo non intenda disporre accertamenti presso il Comune di Monte di Procida per verificare la fondatezza dei fatti denunciati e, se confermati, se non intenda attivare le procedure per adottare il decreto di rimozione di cui all’art. 142 del decreto legislativo n. 267/2000 a carico della Giunta municipale di Monte di Procida per gravi e persistenti violazioni di legge.

(4-07444)

Interrogazioni, da svolgere in Commissione

 


A norma dell’articolo 147 del Regolamento, la seguente interrogazione sarà svolta presso la Commissione permanente:

8a Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni):

3-01764, del senatore Eufemi, sulla Sky Italia.

 



Errata corrige

Nel Resoconto sommario e stenografico della 659ª seduta pubblica del 28 settembre 2004, a pagina 30, alla quarta riga del sesto capoverso, sostituire le parole: "dall'Autorità per l'informazione nella pubblica amministrazione", con le seguenti: "dall'Autorità per l'informatica nella pubblica amministrazione ".

Nel Resoconto sommario e stenografico della 665ª seduta pubblica del 5 ottobre 2004, a pagina 15, il titolo: "Commissione parlamentare per la tutela e la promozione dei diritti umani, Ufficio di Presidenza" deve intendersi: "Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, Ufficio di Presidenza".

Nel Resoconto sommario e stenografico della 669ª seduta pubblica del 7 ottobre 2004, a pagina 22, sostituire il titolo: "Regioni, trasmissione di relazioni" con il seguente: "Garante del contribuente, trasmissione di documenti".