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Assegni familiari più facili per gli immigrati
 

L’assegno per il nucleo familiare arriva prima della residenza. Per la Cassazione, il trattamento prende il via anche se il Comune tarda ad aggiornare lo stato di famiglia del dipendente extracomunitario che ha chiamato in Italia moglie e figli. In questo modo, applicando all’articolo 4 della legge 943/1986 — l’ormai consolidata interpretazione estensiva del concetto di residenza — i giudici di legittimità accendono le speranze di tutti gli immigrati tutelati nel ricongiungimento familiare, rimasti vittima di lungaggini burocratiche.
La sentenza n. 16795 della sezione lavoro (depositata il 25 agosto) fa una precisa distinzione tra residenza anagrafica ed effettiva presenza del nostro Paese dei familiari "invitati" in Italia dal titolare dell’assegno. Ai fini della decorrenza del sostegno economico, sottolineano infatti gli Alti magistrati, non conta il perfezionamento amministrativo della ricongiunzione, ma l’arrivo in Italia del resto della famiglia. Insomma, bando ai formalismi del Codice civile (articolo 43) o a quelli della legge quando il ricompattamento della famiglia è dimostrabile in altro modo.
Il caso specifico, deciso in sentenza, è quello di un immigrato albanese, in causa con l’Inps per la retrodatazione dell’esborso. Nonostante la data di ingresso di moglie e figlia nel Paese fosse il 23 giugno 1997, l’Istituto ha iniziato a staccare l’assegno solo a partire dal 4 luglio dell’anno seguente; ossia il giorno dell’iscrizione anagrafica dei familiari nella popolazione residente nel Comune del capofamiglia.
I giudici, accogliendo le argomentazioni del ricorrente, hanno riepilogato la precedenti "aperture" della giurisprudenza in tema di assegno al nucleo. Già con la decisione 4419/00 è stato precisato che tra i requisiti del trattamento non figura la convivenza; poi con la sentenza 1954/03 è stato chiarito il concetto di residenza familiare: per valutarla, si deve «aver riguardo al luogo in cui i familiari hanno il centro dei propri legami affettivi, derivanti dallo svolgersi della vita quotidiana di relazione e delle normali relazioni sociali».
Viene da sé — conclude la Corte — che, guardandola in questa prospettiva allargata, la nozione di residenza può «anche non coincidere con l’iscrizione anagrafica», che ha un valore meramente presuntivo, contestabile con ogni mezzo di prova.
A detta dell’Alto collegio, prima di negare la pretesa del lavoratore, la Corte di appello avrebbe dovuto verificare se si potesse ravvisare in altro modo la residenza di fatto dei due familiari in Italia, presso di lui o in altri luoghi, per i quali esistono gli obblighi di permanenza o di reperibilità a cui sono soggetti i cittadini comunitari, muniti di permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare.
Il riferimento è ai centri di raccolta, di prima accoglienza o alle altre strutture che impongono dei vincoli amministrativi agli immigrati presenti nel Paese. E sono questi i riscontri che dovrà fare ora la Corte di appello alla quale sarà restituito il fascicolo.
Ancora un risultato positivo, dunque, della lettura elastica del concetto di residenza; una visione poco formalistica che ormai si va consolidando nella giurisprudenza di Corte e che ha fatto notizia soprattutto in ambito fiscale. Basti ricordare la sentenza 13085 del 2003 che ha riconosciuto l’agevolazione "prima casa" ai coniugi in comunione legale, anche se uno dei due non ha la residenza; conta il centro di interessi della famiglia nella sua globalità.

27 agosto 2004

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