La promozione del rispetto dei diritti delluomo e
delle libert fondamentali senza distinzione di razza, sesso, lingua o
religione compito dellAssemblea generale dellOrganizzazione delle Nazioni
Unite, che. LOrganizzazione
persegue cos uno dei suoi fini essenziali. La diffusione del rispetto dei
diritti umani invero funzionale alla creazione di relazioni pacifiche tra gli
Stati (artt. 1 e 55 della Carta istitutiva dellONU -quale?);
ne il fondamento se si guarda al preambolo della Dichiarazione universale dei
diritti delluomo del 1948. Nellesercizio di tale competenza, lAssemblea, con
risoluzione n. 45/158 del 18 dicembre 1990, ha adottato per consensus la International Convention on the
Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of Their Families,
dopo un complesso negoziato iniziato nel 1979.[2] La Convenzione si posta nella prospettiva
di considerare la tutela dei lavoratori migranti quale questione riguardante
la salvaguardia dei diritti delluomo piuttosto che la regolamentazione di una particolare categoria di
rapporti di lavoro. probabilmente questo il motivo per cui la Convenzione
stata conclusa in ambito ONU e non nel quadro dellOIL.
Il testo entrato in vigore sul piano internazionale
il 1 luglio 2003, decorso il periodo di tempo (previsto dallart. 87, par. 1)
seguente al deposito del ventesimo strumento di ratifica. La Convenzione
attualmente risulta ratificata da ventidue Paesi e firmata da altri tra i quali
non figura lItalia.[3] .2 Si tratta , in sostanza, di Paesi di provenienza e
al pi di transito dei flussi migratori, mentre si registra il sostanziale
disinteresse dei tradizionali Paesi di ricezione dei flussi stessi. Eppure, la
Commissione sui diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato il 15 aprile 2003
una raccomandazione con la quale invita gli Stati to consider seriously
signing and ratifying or acceding to the Convention as a matter of priority,[4] ,3 ribadendo cos lesortazione gi
formulata dallAssemblea generale nella risoluzione n. 45/158.
La Convenzione muove dal presupposto che i migranti non siano sufficientemente protetti e che il loro status giuridico richieda un appropriato strumento internazionale di tutela (punto 11 del preambolo). Essa persegue quindi il fine, sostanzialmente umanitario, di migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei migranti e dei loro familiari, uniformando le legislazioni degli Stati contraenti al rispetto di comuni e basilari principi (punto 9 del preambolo). Laccordo mira altres allobiettivo di indurre gli Stati (inclusi quelli di partenza e di transito dei flussi) ad adottare azioni che contrastino il traffico clandestino di lavoratori migranti. Funzionale a questo obiettivo il riconoscimento ai medesimi di determinati diritti fondamentali (punto 13 del preambolo), anche per scoraggiarne limpiego illegale (punto 15 del preambolo). noto, come si sottolinea nel punto 14 del preambolo, che nei migranti non documented or in a irregular situation che si concentrano condizioni di impiego assai sfavorevoli. La Convenzione, composta da un preambolo e novantatre articoli, suddivisa in nove parti che intendono quindi far sorgere in ciascun ordinamento statale un complesso di situazioni giuridiche attive a favore dei lavoratori migranti e dei loro familiari.
Una peculiarit della normativa convenzionale in linea con la scienza giuridica che qualifica i diritti umani quali beni indisponibili e inalienabili risiede nel fatto di essere destinata ad avere, nellordinamento interno, carattere imperativo; i diritti dei migranti sono, pertanto, irrinunciabili da parte dei titolari e inderogabili in sede contrattuale (art. 82). La natura, per cos dire, di necessaria applicazione attribuita in principio alle norme convenzionali va inoltre garantita dagli Stati contraenti, ai sensi dellart. 83, con la predisposizione di (non specificati) rimedi effettivi in caso di loro violazione.
Oltre alla sfera di applicazione delineata in modo
ampio (parte I, artt. 1-6) e alla prevedibile affermazione del principio di non
discriminazione circa il godimento dei diritti contemplati dalla Convenzione
(parte II, art. 7), significativo appare lelenco di un nutrito numero di
diritti fondamentali spettanti a tutti i lavoratori (e ai loro familiari)
ancorch illegalmente presenti nel territorio statale (parte III, artt. 8-35),
cui si aggiungono diritti concepiti a favore dei soli lavoratori regolari
(parte IV, artt. 36-56). La condizione di speciali categorie di lavoratori
(frontalieri, stagionali, autonomi ecc.) determinata,
in singole disposizioni, con la
tecnica del rinvio ai diritti contemplati nella parte III e, compatibilmente
con la particolare situazione di ciascuna categoria, ai diritti di cui allanella parte IV (parte V,
artt. 57-63). Il testo poi corredato da numerosi obblighi di condotta e di
cooperazione imposti agli Stati membri al fine di promuovere le condizioni dei
lavoratori migranti (e delle loro famiglie) e farle divenire come recita
la rubrica della parte VI giuste, eque, umane e conformi alla
legge (parte VI, artt. 64-71).
Prevede poiinoltre; nonch da
un meccanismo di controllo dellosservanza degli obblighi convenzionali da
parte degli Stati membri, che incentrato, in estrema sintesi,
sulla costituzione, presso le Nazioni Unite, di un apposito Comitato cui le
parti contraenti debbono periodicamente trasmettere rapporti circa la
conformit agli obblighi convenzionali (parte VII, art. 72-75).; iIn via facoltativa, uno
Stato contraente pu inoltre accettare
la competenza del Comitato a ricevere comunicazioni da altri Stati contraenti
(art. 76) e da individui (art. 77) che segnalino la presunta inosservanza degli obblighi da parte
dello Stato che abbia aderito a tali clausole facoltative.
Qualora la questione non sia esaminata nel contesto di un altro strumento
internazionale (art. 78), e siano esaurite le vie di ricorso interne, il
Comitato esprime la sua valutazione. Essendo modellato sui quello adottato
per i Patti del 1966, il sistema di controllo non produce esiti particolarmente
stringenti; possiede tuttavia il duplice pregio di costringere lo Stato a
giustificarsi in caso di inadempimento e di rendere pubblica la questione.
La Convenzione, da
ultimo, come di consueto
accade nei trattati internazionali, contiene
numerose norme generali (parte VIII, artt. 79-83) e finali (artt. 85-93): le
prime contribuiscono a precisare la portata degli obblighi convenzionali e sono
quindi di primaria importanza soprattutto per quel che concerne gli obblighi e
le responsabilit che riversa sugli Stati di partenza, di transito e di
ricezione dei flussi immigratori clandestini; le seconde definiscono (senza
particolari novit) le
funzioni del depositario, le modalit di adesione, lesercizio del potere di
denunciare la Convenzione, il procedimento di revisione, lapposizione di
riserve, le regole applicabili in caso di controversie tra parti contraenti.
Lesame seguente si propone di cogliere la portata
normativa della disciplina convenzionale relativa alla condizione del
lavoratore migrante allo scopo di confrontarne il contenuto con la normativa
italiana. Si terr conto, a questo fine, non solo delle pertinenti norme del
testo unico n. 286/1998,[5]4 come modificato dalla c.d. legge Bossi
Fini (189/2002),
relative al trattamento in Italia del lavoratore straniero
immigrato, ma anche delle norme internazionali in vigore perin il nostro PaeselItalia. Con ci si
vogliono anche offrire brevi spunti di
riflessione
(la questione meriterebbe un approfondimento maggiore di quanto sia possibile
qui effettuare) circa limpatto che potrebbe avere la Convenzione
ONU nellordinamento interno qualora divenisse efficace in Italia. Brevi
riflessioni conclusive si concentreranno sui principi ispiratori della
Convenzione, allo
scopo di confrontarli compararli con
quelli che informano il diritto interno, con lo scopo diper verificare le possibili
contiguit e difformit tra i modelli normativi di riferimento.[6].5
Lambito soggettivo di applicazione della Convenzione
La prima parte (artt. 1-6) individua in chiave estensiva i soggetti destinatari della Convenzione. Vi si includono i lavoratori migranti e i loro familiari, senza che sia possibile operare, tra essi, alcuna distinzione per motivi di sesso, razza, colore, religione, ecc. (art. 1, par. 1), per lintero periodo che concerne il processo di migrazione- che intercorre dalla preparazione della partenza fino al rientro nello Stato di origine o di residenza abituale (art. 1, par. 2). La Convenzione a differenza di alcuni accordi stipulati in ambito OIL possiede dunque una sfera soggettiva di efficacia non ristretta ai cittadini degli Stati contraenti, non fondata cio su un rapporto di stretta reciprocit; al contrario, ciascuno Stato contraente tenuto ad applicarla ai lavoratori migranti anche di Stati che non ne siano parti. Alla luce di questo elemento e della rilevata finalit umanitaria della Convenzione, nonch dellesistenza di un meccanismo di controllo delladempimento degli obblighi convenzionali che appare esprimere un interesse comune alladempimento stesso coerente prospettare che essa sia destinata, almeno in linea di principio, a porre obblighi valevoli erga omnes partes, con le conseguenze che discendono in caso di inadempimento dei medesimi secondo i principi generali del diritto internazionale in materia di responsabilit.
Il lavoratore migrante identificato nella persona
che non possiede la cittadinanza dello Stato dove svolge unattivit remunerata
(art. 2, par. 1); comprende altres i lavoratori frontalieri, stagionali,
autonomi e le altre speciali categorie di lavoratori indicate dallart. 2, par.
2. Ne emerge un ampio concetto di migrante che include, in senso lato, chiunque
svolga unattivit lavorativa al di fuori del Paese di cui cittadino. Ne
restano escluse talune classi di lavoratori contemplate dallart. 3 (ad
esempio, i lavoratori dipendenti di organizzazioni o agenzie internazionali, i
rifugiati e gli apolidi ove non siano loro applicabili altri strumenti
normativi internazionali, gli studenti),
apparentemente perch si reputata non sussistere in questi casi lesigenza di
apprestare specifiche forme di tutela.
Il testo convenzionale si rivolge, oltre che ovviamente ai lavoratori in regola con le disposizioni vigenti nello Stato di immigrazione in tema di ingresso, soggiorno e autorizzazione al lavoro, anche ai lavoratori considerati in tale Stato non-documented or in an irregular situation (art. 5); dunque ai lavoratori che non abbiano osservato le disposizioni interne sul controllo dellimmigrazione. Questo appare un elemento assai caratterizzante dellaccordo, che come si vedr conferisce una serie di diritti essenziali al lavoratore in s, ancorch irregolare.
Se si volge lo sguardo al diritto interno in materia di immigrazione,
agevole osservare che esso -(anche
in virt delloperare delle norme di adattamento allart. 11 della Convenzione
OIL n. 143 del 1975-)
concerne i lavoratori migranti, inclusi quelli irregolarmente presenti nel
territorio, stranieri (non comunitari) o apolidi. Si pu anzi osservare che
lordinamento italiano -(anche per effetto di norme internazionali,
comunitarie e costituzionali -) possiede regole che disciplinano,
pi in generale, la condizione dello straniero richiedente asilo politico, del
rifugiato e dei c.d. sfollati. La Convenzione ONU non produrrebbe quindi un
impatto significativo, sotto il profilo appena considerato, nellordinamento
interno appunto
perch esso possiede una disciplina che ratione
personarum comprende qualunque straniero o apolide.
Il termine members of the family
utilizzato per designare i soggetti ammessi a fruire della
protezione delle norme convenzionali in virt di un rapporto familiare con il
migrantenella Convenzione riferito, in primo
luogo, al coniuge del lavoratore e a coloro che abbiano con questultimo a
relationship that, according to applicable law, produces effects equivalent to
marriage; in secondo luogo, ai dependent children and other dependent persons
who are recognized as members of the family by applicable legislation or
applicable bilateral or multilateral agreements between the States concerned
(art. 4). Questa disposizione
determina un passo in avanti rispetto allart. 13 della Convenzione OIL n. 143
(1975), la quale, nel regolare il ricongiungimento familiare a favore del
coniuge, dei figli e dei genitori (se a carico) del migrante, presenta un
carattere sostanzialmente facoltativo.
Se si confronta il concetto di famiglia accolto nella
Convenzione ONU vale a dire il concetto, in s generico, di relazione idonea
a produrre effetti equivalenti al matrimonio (art. 4) con quello in Italia previsto dal t.u.
del 286/1998 a proposito del
diritto al ricongiungimento familiare, si nota che il primo pi esteso del secondo.
Invero, il diritto allunit familiare dellimmigrato riconosciuto, ai sensi
dellart. 29 t.u., al coniuge (non legalmente separato) e, ai figli minori di
diciotto anni a carico - (anche
se nati fuori dal matrimonio o del coniuge se laltro genitore abbia prestato
il consenso )- nonch, a certe limitate condizioni, ai
genitori a carico. . Si tratta
di nozioni collegate allesistenza e alla validit di rapporti di famiglia, che
pone una questione preliminare da accertarsi pur in mancanza di un esplicita
previsione del t.u. sulla base della disciplina italiana di diritto
internazionale privato. Il
riferimento al coniuge dellimmigrato probabilmente da intendersi nel senso
di rapporto fondato sul matrimonio, ( anche se celebrato
allestero).
Vero peraltro
che per effetto dellart. 8 della Convenzione europea dei diritti
delluomo e, in misura minore, dellart. 29 Cost.(della Costituzione italiana?),
il diritto allunit familiare dello straniero potrebbe implicare la tutela di
forme di convivenza di fatto, le convivenze registrate e gli altri rapporti
equivalenti al matrimonio, secondo il
diritto straniero applicabile. In linea di principio, il diritto
al ricongiungimento dovrebbe includere gli individui parti dei rapporti quasi
coniugali che presentino unaffectio coniugalis stabile e durevole.
Il principio di non discriminazione.
Nel quadro normativo convenzionale, un ruolo centrale
sembra riservato alla parte II, composta di un articolo unico (art. 7), secondo cui gli Stati
contraenti non possono effettuare discriminazioni circa il godimento dei
diritti enunciati nelle parti successive della Convenzione. In pratica, sono
vietate discriminazioni per motivi di razza, sesso, religione, colore o per le altre
ragioni indicate dallart. 7. La disposizione
non dovrebbe svolgere la funzione di equiparare lo straniero al cittadino dello
Stato di accoglienza, posto che il principio di uguaglianza cos inteso
specificato in successive e apposite norme convenzionali (ad esempio, negli
articoli 25 e 27). La circostanza che lart. 7 vieti inter alia le discriminazioni fondate sulla nazionalit
dovrebbe implicare linammissibilit delle differenze di trattamento tra
immigrati di cittadinanza diversa.
Sotto questo profilo, la Convenzione ONU non apporterebbe
novit di rilievo nellordinamento interno, poich il principio di non discriminazione
tra stranieri gi operante nellordinamento italiano per effetto di
disposizioni costituzionali e, in particolare, delle disposizioni di
adattamento al diritto internazionale consuetudinario e a taluni accordi cui il nostro paeselItalia aderisce da tempo. Con riferimento
allordinamento internazionale, si pu prospettare che il principio di non
discriminazione per motivo di razza, di cui allart. 55
lett. c) della Carta delle
Nazione Unite, assuma un ruolo normativo per gli Stati membri
dellOrganizzazione e, pi in generale, per tutti i componenti della comunit
internazionale, determinando un obbligo che ciascuno Stato deve osservare nei
confronti della comunit internazionale nel suo insieme, come
stabil. L la
Corte internazionale di giustizia,
nel caso Barcelona Traction, incluse nella nozione di norma produttiva di
obblighi erga omnes che
ciascuno Stato cio, in view of the importance of the rights involved, deve
osservare towards the international community as a whole the basic rights
of the human persons e tra questi the protection from racial
discrimination.[7]6
Daltronde, un principio - (di portata pi ampia rispetto alla
classe sociale dei lavoratori migranti -) che vieta discriminazioni nel
trattamento degli individui per motivi di razza, religione, sesso, nazionalit - (da
intendersi nel senso di origine etnica)-, opinione politica e di
ogni altro possibile elemento discriminante contenuto in varie fonti scritte
dellordinamento internazionale.[8] .7 Trattandosi di fonti normative poste
da accordo e rese esecutive con legge nellordinamento interno, esse
assumono
ovviamente valore obbligatorio per lo Stato.,
indipendentemente dallesistenza di una norma internazionale consuetudinaria
corrispondente.
I diritti fondamentali dei lavoratori migranti, (ancorch
non-documented)
La Convenzione annovera numerosi diritti e libert
fondamentali che debbono essere attribuiti, rectius riconosciuti, ai lavoratori migranti (e
loro familiari) anche se irregolari: il diritto alla
personalit giuridica (art 24), il diritto alla vita (art. 9), il divieto di
tortura e di altri trattamenti inumani o degradanti (art. 10), il divieto di
essere tenuto in schiavit o servit e, entro certi limiti, di essere costretto
a prestare lavoro forzato (art. 11), la libert di pensiero, coscienza e
religione (art. 12), la libert di opinione (art. 13), la libert di
corrispondenza (art. 14), il diritto a non essere privato arbitrariamente della
propriet (art. 15), il diritto alla libert e alla sicurezza (art. 16), il
divieto di arresto e di detenzione arbitraria (art. 16, par. 4), lobbligo di
informare il lavoratore migrante dei motivi del provvedimento e dei capi di imputazione
in una lingua a lui conosciuta (art. 16, par. 5), lesigenza di un controllo
giurisdizionale dellarresto e di un processo di durata ragionevole (art. 16,
par. 6), il divieto di
detenzione per semplice violazione di obblighi contrattuali (art. 20); prevede
poi il dovere imposto allo Stato di informare le autorit diplomatiche o
consolari dello Stato di origine dellimmigrato, consentendogli altres piena
libert di comunicare con le medesime autorit, e di
dargli conoscenza dei diritti previsti in argomento dai trattati sulle
relazioni diplomatiche e consolari (art. 16, par. 7) e il complementare diritto
del migrante allassistenza diplomatica in caso di pregiudizio delle situazioni
soggettive previste dalla Convenzione (art. 23), il divieto di detenzione per
semplice violazione di obblighi contrattuali (art. 20).
Vale la pena sottolineare che lattribuzione dei
diritti fondamentali ai lavoratori migranti non-documented non implica
comunque lobbligo, in capo agli Stati contraenti, di regolarizzarne la
posizione (art. 35). Coerentemente lart. 69, par. 2, si limita ad auspicare
che gli Stati che adottino misure di sanatoria tengano conto della durata della
permanenza e, in
particolare, della
situazione della famiglia del migrante. noto che le c.d. misure di sanatoria
sono una costante delle riforme legislative italiane susseguitesi dal 1986. In punto di stretto dirittoAd ogni
modo, la partecipazione alla Convenzione non imporrebbe alcun obbligo
giuridico in questa direzione.
Le norme convenzionali pocanzi brevemente richiamate contemplano
taluni diritti fondamentali ed essenziali dellessere
umano, che non riguardano unicamente la condizione dei lavoratori migranti.
Senza poter entrare, per motivi di tempo, nel dettaglio di questi obblighi
convenzionali, non irragionevole sostenere che lordinamento italiano, almeno
in linea di principio, gi vi si
conformi. sufficiente rammentare che, ai sensi dellart. 2, par. 1, t.u., Aallo straniero comunque
presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i
diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto
interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto
internazionale generalmente riconosciuti. Questa disposizione svolge lutile compito di
rammentare alloperatore giuridico interno lesistenza di norme internazionali,
consuetudinarie e derivanti da accordo, nonch di principi costituzionali, che
riconoscono a qualunque essere umano -(inclusi i migranti irregolari)- determinati diritti inviolabili. Non sembra necessario soffermarsi
ulteriormente su questo punto, se non per ricordare talune convezioni adottate
in sede OIL in vigore per lItalia: lart. 1 della Convenzione OIL n. 143
(1975), che impone agli Stati contraenti di respecter les droits fondamentaux de lhomme de tous les
travailleurs migrants; la Convenzione OIL n. 29 (1930) sul lavoro forzato obbligatorio,
che pone agli Stati contraenti lobbligo di abolire il lavoro forzato e quello
obbligatorio in tutte le sue forme, intenso come tale il lavoro o servizio richiesto ad un
individuo sotto la minaccia di una pena qualsiasi e per la cui esecuzione la
persone non abbia prestato offerta spontanea, pur prevedendo alcune deroghe di
carattere transitorio; la Convenzione OIL n. 105 (1957) sullabolizione
del lavoro forzato, che vieta il lavoro forzato e obbligatorio
quale misura coercitiva, educativa o sanzionatoria di carattere politico, quale
mezzo di mobilitazione o di utilizzazione della manodopera a fini di sviluppo
economico, quale strumento di disciplina del lavoro, quale punizione per la
partecipazione a scioperi, nonch quale mezzo di discriminazione razziale,
sociale, nazionale e religiosa.
Riguardo poi agli obblighi concernenti i rapporti con
le autorit diplomatiche e consolari dello Stato di origine del lavoratore
migrante, noto che lItalia vi ha dato attuazione tramite gli usuali
meccanismi di adattamento alle norme internazionali. Il t.u.esto unico del 286/1998 vi ha aggiunto
disposizioni che servono a rammentare agli organi statali lesistenza di
detti obblighi internazionali.
Si cos stabilito che lautorit giudiziaria e
quella di pubblica sicurezza sono tenute ad informare lautorit diplomatica o
consolare pi vicina dello Stato cui appartiene lo straniero ogni volta che
adottino inter alia
provvedimenti di allontanamento dal territorio dello Stato; esse hanno altres
lobbligo di consegnare alla rappresentanza oggetti e documenti appartenenti
allo straniero, che non
debbano essere trattenuti per motivi previsti dalla legge (v. in
part., art. 2, par. 7). Lordinamento
italiano prescrive dunque lapplicazione delle norme internazionali, in materia
di relazioni consolari, sulla protezione dello straniero. Pertanto, lLoo straniero che sia destinatario di un
provvedimento di espulsione dispone essenzialmente del diritto di prendere
contatto con le proprie autorit. La sfera dei diritti spettanti
allodello straniero si accresce ove questi sia
sottoposto anche a provvedimenti restrittivi della libert personale. In questo
ambito, rilevano in particolare le disposizioni di adattamento alla Convenzione
sulle relazioni consolari del 1963, che attribuiscono ai funzionari del
consolato -(seppure nel quadro delle leggi e dei regolamenti
dello Stato di residenza: art. 36, par. 2-) il
diritto di comunicare con i cittadini del proprio Stato e di recarsi presso di
loro. Egualmente, i tali cittadinisoggetti
dello Stato
di invio partenza debbono
avere la
stessa libert
di comunicare con i funzionari consolari e di recarsi presso di loro (art. 36,
par. 1); o ancora, qualora linteressato ne faccia domanda, le autorit dello
Stato di residenza debbono avvertire senza indugio quelle consolari qualora un
cittadino del relativo Stato sia arrestato, incarcerato o sottoposto a detenzione.
Le comunicazioni del consolato devono essere trasmesse prontamente
allinteressato; degna di
nota la disposizione secondo cui le autorit locali devono senza indugio
informare linteressato del suo diritto di comunicare con le proprie autorit
consolari (art. 36, par. 1 lett. b). Si ricordi infine che i funzionari consolari hanno
il diritto di visitare i propri cittadini che siano sottoposti a detenzione, di
intrattenersi e corrispondere con loro e di provvedere alla rappresentanza in
giudizio, salvo che vi sia lespressa opposizione dellinteressato (art. 36,
par. 1, lett. c).
Non sembrano esservi inoltre divergenze di particolare rilievo tra lordinamento penale italiano e gli articoli 17, 18 e 19 della Convenzione, che riguardano la condizione del migrante detenuto e sottoposto a procedimento penale per la commissione di reati comuni o previsti dalle norme statali sullimmigrazione. Il principio di legalit in materia penale (art. 19, par. 1) e le garanzie a favore dellimputato (art. 18) sono elementi essenziali dellordinamento giuridico interno applicabili a qualunque individuo, indipendentemente dal possesso della cittadinanza e dallappartenenza alla classe sociale dei lavoratori.
Talune differenze potrebbero prospettarsi circa i
diritti, stabiliti dalla Convenzione ONU, del migrante imputato di non essere
accomunato ad altri detenuti e ad essere soggetto to separate treatment
appropriate to their status as unconvicted persons (art. 17, par. 2); e ancora
il diritto del migrante che abbia violato la normativa interna
sullimmigrazione ad essere detenuto in so far as practicable, separately from
convicted persons or persons detained pending trial. In linea di massima il
t.u. del 1998, nel regolare la fattispecie dellimmigrato espulso che abbia violato
il divieto di reingresso nello Stato, non stabilisce la sua separazione dagli
altri detenuti (ai sensi dellart. 13, commi 13 e 13 bis t.u. 1998, la disciplina penale piuttosto
articolata: sia sufficiente ricordare che consentito larresto in flagranza e
il fermo; previsto il procedimento con rito direttissimo (art. 13, comma 13 ter); il divieto di reingresso, ex artt. 13, commi 3 quinquies e 14, si
protrae per dieci anni, e si estende al periodo maggiore di prescrizione del
reato pi grave commesso dallo straniero, salvo situazioni particolari. (manca probabilmente qualche parentesi.)
Il diritto del lavoratore migrante di abbandonare uno Stato e la questione dellingresso in Stati diversi da quello di origine.
La Convenzione afferma decisamente,
allart. 8, par. 1, il diritto del lavoratore migrante (e dei suoi
familiari) di lasciare liberamente uno
Stato, incluso quello di origine. La stessa norma con una formulazione
negativa che ne dovrebbe implicare una interpretazione restrittiva ammette
deroghe se conformi al principio di legalit, se necessarie a proteggere la
sicurezza nazionale, lordine pubblico, la salute o la moralit comune, i
diritti e le libert di altri individui, e infine se consistent with the other
rights recognized nella parte III della Convenzione. Il testo sembra
largamente riproduttivo dellart. 12 del Patto sui diritti civili e politici
che, al par. 2, contempla il diritto allemigrazione e, al par. 3, limiti
pressoch identici.
La Convenzione ONU completa questa disciplinail diritto
allemigrazione allart. 8, par. 2, l dove afferma il diritto del
lavoratore migrante di entrare e restare nel Paese di cui possiede la
cittadinanza. Conviene forse rammentare che, gi in base al diritto
internazionale generale, tale Paese obbligato a consentire lingresso dei
propri cittadini.
Il testo convenzionale non contempla invece alcun
obbligo, a carico degli Stati contraenti, di ammettere lingresso del
lavoratore migrante proveniente da altri Stati contraenti. Il testo lascia la questione aperta, come
dimostra lart. 79: Nothing in the present Convention shall affect the right
of each State Party to establish the criteria governing admission of migrant
workers and members of their families.[9].8
Nellordinamento internazionale non pu ritenersi
affermata una norma consuetudinaria che stabilisca un diritto allingresso
dello straniero: al contrario esso riconosce agli Stati una certa libert nel
non ammettere stranieri, inclusi i lavoratori in cerca di impiego, sul proprio
territorio. A prescindere da alcune categorie di persone che sembrano fruire di
uno status di particolare
protezione (rifugiati, fanciulli e forse anche le c.d. displaced persons), il diritto internazionale generale
riconosce agli Stati la libert di non ammettere stranieri, inclusi i
lavoratori in cerca di impiego, sul proprio territorio.[10] .9
Talune opinioni dottrinali che propendevano per
unapertura sostanzialmente illimitata delle frontiere allo straniero sembrano
oggi superate.[11]
Non sarebbe peraltro corretto configurare una discrezionalit assoluta circa
lammissione dei migranti. Non appare irragionevole, ad esempio, sostenere che
incorrerebbe in un illecito internazionale lo Stato che adottasse forme di
respingimento selettive dello straniero fondate su una ragione di
discriminazione vietata, da ( oltre che da valori
costituzionali propri di uno Stato democratico,) dal principio che non consente
discriminazioni nel trattamento degli individui per motivi di razza, religione,
sesso, nazionalit (da intendersi nel senso di origine etnica), opinione
politica e di tutti gli altri possibili elementi discriminanti.[12] .10
Peraltro, il principio di
uguaglianza, nel regolare lingresso di stranieri, potrebbe tuttavia subire una
deroga in presenza di un motivo oggettivo e ragionevole. La preferenza
nellammissione nel territorio statale verso individui che, pur non essendo
attualmente cittadini, siano di origine italiana non si porrebbe a mio avviso
quindi in difformit con il
principio in questione ( ci che avverebbe nellambito delle quote
riservate, di cui allart. 21, comma 1 t.u., previsto dalla legge n. 189/2002,
secondo cui nella determinazione dei flussi di ingresso possono essere previste
quote riservate a favore dei lavoratori di origine italiana per parte di
almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea retta di ascendenza che
richiedano di essere inseriti in apposito elenco tenuto presso le
rappresentanze diplomatiche o consolari).[13]11
Si sa inoltre che la Costituzione italiana non conferisce
allo straniero il diritto ad entrare nello Stato. Come stabilito dalla Corte
costituzionale, lo straniero non ha, di regola, un diritto acquisito di
ingresso e di soggiorno in altri Stati; pu entrarvi e soggiornarvi solo
conseguendo determinate autorizzazioni e, per lo pi, per un periodo
determinato, sottostando a quegli obblighi che lordinamento giuridico dello
Stato ospitante impone al fine di un corretto svolgimento della vita civile.[14].12
In definitiva, la disciplina della Convenzione ONU sullingresso
dei lavoratori migranti stranieri, non produrrebbe un impatto radicalmente
innovativo nellordinamento italiano, il quale adotta,
come noto, una programmazione dei flussi
migratori intesa a circoscrivere quelli che siano originati da motivi economici,
che non sembra peraltro prospettare, ( almeno in termini generali, almeno) problemi di armonizzazione con le
norme consuetudinarie internazionali. Anche se si volge lattenzione al diritto
dello straniero migrante di lasciare il territorio italiano per tornare
definitivamente nel suo Paese di origine, lordinamento interno italiano come tutti gli
Stati di immigrazione non solo non pone specifici impedimenti, ma adotta una
politica legislativa che incoraggia il rientro e, a certe condizioni, lo impone.[15]. 13
La condizione del migrante destinatario di misure di allontanamento dallo Stato di impiego.
Di maggiore interesse pare il confronto tra la
disciplina italiana in tema di espulsione e lart. 22 della Convenzione. In estrema sintesi,
il testo dellaccordo ONU si fonda sul divieto di espulsioni collettive e sul
principio di legalit. La disciplina completata da una serie di elementi:
occorre anzitutto comunicare per iscritto la decisione e le relative
motivazioni in una lingua comprensibile allinteressato; al migrante poi
conferito il diritto di proporre impugnazione giurisdizionale, avente effetto
sospensivo, del provvedimento di allontanamento; gli inoltre attribuito il
diritto alla compensation e al reingresso ove il provvedimento stesso sia
annullato, nonch il diritto a sistemare le questioni concernenti le
retribuzioni e altre pretese prima o dopo lespulsione; infine previsto il
divieto di addebitare i costi di espulsione al migrante.
Considerato che la Convenzione estende la protezione
dalle misure di allontanamento anche al migrante irregolare, essa innovativa
rispetto allart. 13 del Patto sui diritti civili e politici, il quale annovera tra i
suoi destinatari unicamente lo straniero che si trovi legalmente nel territorio
dello Stato (lespulsione va presa in conformit alla legge;,
il destinatario del provvedimento deve avere la possibilit di far valere le
ragioni contro lespulsione e di sottoporre il caso allautorit competente e
di farsi rappresentare dinanzi ad essa). La legislazione italiana regola
peraltro listituto dellespulsione con una disciplina applicabile anche agli
irregolari.
Nellordinamento internazionale si pu ragionevolmente
sostenere che siano vietate le espulsioni collettive. Comunque sia, la legislazione
italiana annovera unicamente fattispecie di allontanamento individuale fondate
sul principio di legalit, ( racchiuse sostanzialmente
in tre forme previste dal t.u. del 1998: lespulsione amministrativa (art. 13),
lespulsione a titolo di misura di sicurezza (art. 15) e lespulsione a titolo
di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione (art. 16); cui se ne
aggiunge una quarta, che consiste nellespulsione in attuazione della direttiva
comunitaria sul reciproco riconoscimento delle decisioni di allontanamento
dello straniero.
In base al t.u., il decreto di espulsione reso
dallautorit amministrativa comunicato allinteressato, insieme alle
modalit di impugnazione, in una lingua a lui conosciuta ovvero, ove ci non
sia possibile, in francese, inglese o spagnolo (art. 13, comma 7). Poich
lespulsione amministrativa implica un elemento di coercizione, oltre alla
restrizione temporanea della libert personale, il relativo provvedimento
sottoposto a controllo giurisdizionale anche in ossequio allart. 13 della Costituzione
italiana. Contro il decreto di espulsione lo straniero pu, entro
sessanta giorni, presentare ricorso unicamente dinanzi al Tribunale del luogo
in cui ha sede lautorit che ha disposto lespulsione.[16] .14 Il controllo giurisdizionale
peraltro configurato in modo tale da avvenire posteriormente allesecuzione del
provvedimento e non implica quindi effetti sospensivi, a differenza della
previsione convenzionale. Analogamente,
Llordinamento
interno non contempla ipotesi di compensation in caso di annullamento
dellespulsione; il diritto al reingresso, sebbene non specificamente
contemplato, appare una necessaria conseguenza delleventuale annullamento del
provvedimento espulsivo.
Riguardo al diritto del migrante di ricevere la
comunicazione dellespulsione in una lingua a lui conosciuta, se vero che
lordinamento italiano non collima formalmente con questa previsione, occorre
tuttavia considerare un filone giurisprudenziale che sembra attenuare la
difformit prospettata. La disciplina interna risulta invero integrata dalla
giurisprudenza costituzionale, secondo cui la piena comprensione della misura
di espulsione considerata circostanza indefettibile, ai fini della legalit
della procedura (Corte Costituzionale 22 giugno 2000, n. 227). La Corte ha
ritenuto infondata la questione di legittimit costituzionale dellart. 13,
comma 7 t.u., sollevata con riguardo allart. 24 della Costituzione
italiana., nella parte in cui non prevede la
rimessione in termini dellinteressato ai fini dellimpugnazione del
provvedimento di espulsione o la proroga del termine stesso (stabilito in
cinque giorni dalla comunicazione del decreto) qualora il decreto di
espulsione, non tradotto nella lingua madre dellinteressato, non sia stato da questi
adeguatamente compreso. Secondo la Corte, poich il sistema legislativo
costruito sulla garanzia della piena conoscibilit del contenuto del
provvedimento di espulsione (che, si noti, garanzia necessaria ai fini
delleffettivo godimento del diritto alla tutela giurisdizionale ai sensi
dellart. 24 Cost. e di numerosi accordi internazionali cui lItalia ha
aderito),[17]15 qualora tale requisito non
sussista, il giudice, facendo uso dei suoi poteri interpretativi dei principi
fondamentali dellordinamento, dovr trarne una regola in armonia con
lesigenza di non vanificare il diritto fondamentale in questione. In
particolare, la Corte ha suggerito di fare ricorso alla giurisprudenza di
merito, la quale per lipotesi in esame e sempre che la comunicazione
dellatto non abbia comunque raggiunto lo scopo sancisce linefficacia del
provvedimento non tradotto in lingua comprensibile e la sua inidoneit a far
decorrere il termine per il ricorso. Si rammenti che, ai sensi dellart. 13, comma 8, il
decreto di espulsione comunicato allinteressato unitamente allindicazione
delle modalit di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui
conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o
spagnola.
Il ricorso contro lespulsione sottoscritto personalmente dinanzi allautorit diplomatica o consolare italiana del paese di destinazione, che ne cura linoltro allautorit giudiziaria. Lo straniero pu scegliere un avvocato di fiducia con procura speciale rilasciata davanti allautorit consolare; ammesso al gratuito patrocinio e, se sprovvisto di difensore, assistito da un difensore designato dal giudice e, se necessario, da un interprete (art. 13, comma 8). dubbio per se, in siffatte circostanze, i diritti essenziali della difesa possano essere rispettati appieno. Lo straniero non ha contatti diretti col difensore, il quale non conosce la sua situazione personale e dunque non in grado di verificare se rientra in una delle situazioni tutelate dagli articoli 3 e 8 della CEDU o se lo straniero versi nella situazione prevista dallart. 19 t.u.
In ultima analisi, mentre la disciplina del t.u. non
presenta particolari punti di frizione con gli obblighi di cui lo Stato gi
destinatario in materia di espulsione dello straniero legalmente presente nel
territorio (v. ad esempio lart. 13 del Patto sui diritti civili e politici),
difformit si profilano tra la Convenzione ONU e la medesima disciplina
riguardo allassenza di un effetto sospensivo dellimpugnazione del
provvedimento di espulsione e al diritto alla compensation in caso di
annullamento del provvedimento stesso. In senso
opposto si pu argomentare
per quel che concerne i costi di espulsione nei casi in cui lautorit di
polizia non li ponga a carico dellimmigrato clandestino. Diversa invece
la condizione dellimmigrato entrato in Italia con il permesso legato al
contratto di soggiorno: in questo caso, la riforma Bossi-Fini ha previsto
una sorta di garanzia fideiussoria del datore di lavoro qualora il migrante non
disponga delle risorse necessarie.
Le condizioni di lavoro, la protezione sociale e la materia sindacale.
Tre Talune norme
della Convenzione ONU concernono le condizioni di lavoro (art. 25), la
protezione sociale (art. 27), lassistenza medica (art. 28) e i diritti
sindacali del lavoratore migrante (art. 26). Nel complesso, il testo
dellaccordo ruota intorno al principio della parit di trattamento con i
cittadini dello Stato contraente di impiego, sia in tema di retribuzione e altre
condizioni di lavoro (quali orario di lavoro, straordinari, riposo settimanale, ecc.), sia in tema di
sicurezza sociale, ( purch il migrante osservi
le prescrizioni imposte dal diritto locale). Detto principio
inderogabile con atto di autonomia privata. Riguardo allassistenza medica la
Convenzione adotta un approccio abbastanza restrittivo limitandola alle cure
urgenti per la preservazione della vita dellinteressato, che debbono essere
prestate anche nei confronti dei migranti irregolari. La libert sindacale e la
protezione dei diritti sindacali del migrante sono attribuiti dal testo in modo
ampio, ammettendosi deroghe conformi al principio di legalit e quelle
necessarie in una societ democratica per la protezione della sicurezza
nazionale, dellordine pubblico e dei diritti e delle libert di altre classi
sociali.
Il t.u. stabilisce, allart. 2, par. 3, il principio
della parit di trattamento con i cittadini italiani in materia di condizioni
di lavoro dei migranti regolarmente soggiornanti e ai loro familiari. Non sarebbero
tuttavia comunque tollerabili
dallordinamento interno condizioni sfavorevoli, n tanto meno di sfruttamento,
dei migranti irregolari. Potrebbero ricevere applicazione, in tali casi, le
disposizioni improntate al principio della parit di trattamento contenute in
accordi internazionali che hanno ricevuto esecuzione. Si pensi allart. 2, par.
2, del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali in
connessione con i successivi articoli 7 (condizioni di lavoro), 8 (diritti
sindacali) e 9 (sicurezza sociale). vero anche per che si pu dubitare
delleffettivit del godimento dei diritti in questione da parte del migrante
che si trovi in Italia in condizione di irregolarit:. Invero,
la possibilit di fruire in concreto della parit di trattamento circa le
condizioni di lavoro, la protezione sociale e la materia sindacale appare fortemente condizionata
dalla condizione di clandestinit in cui
versa limmigrato.
In termini assai pi protettivi si pronuncia il t.u.
del 1998 sullimmigrazione riguardo alla tutela sanitaria dellimmigrato. Anzi,
esso appresta una tutela maggiore rispetto alla Convenzione ONU, nonostante che nel t.u. il trattamento dello
straniero immigrato si differenzi in ragione della regolarit o meno della sua
presenza nel territorio statale. Allo straniero che sia entrato
nello Stato in violazione della disciplina sullimmigrazione lordinamento riconosce solo il diritto
essenziale alla salute. Invero, gli sono assicurate, ai sensi dellart. 35,
par. 3, t.u., le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque
essenziali, ancorch continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i
programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e
collettiva. La stessa disposizione indica, con elencazione non tassativa, le
prestazioni sanitarie che lo Stato garantisce, le quali sembrano superare lo
standard minimo previsto dalla Convenzione ONU, tanto pi se si considera che
tali prestazioni possono assumere anche carattere di gratuit qualora i richiedenti
siano privi di risorse economiche sufficienti, fatte salve le quote di
partecipazione alla spesa a parit con i cittadini italiani (art. 36, par. 4).
Il diritto alla salute, seppure nei limiti indicati dalle disposizioni appena menzionate, non appare neppure soggetto a condizione di reciprocit nellordinamento interno. Vero che tale condizione stata abrogata unicamente con riguardo allo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato (art. 2, par. 2). Tuttavia, sia la formulazione delle disposizioni menzionate, che sono redatte in termini assoluti tali cio da riflettere lesistenza di un autonomo interesse dello Stato a garantire il diritto alla salute anche per contenere o evitare conseguenze negative per la salute pubblica , sia levidente difficolt delle strutture sanitarie di procedere allaccertamento della condizione di reciprocit prima di praticare il trattamento medico, sia soprattutto la considerazione che il diritto alla salute assume carattere preminente quando in gioco la salvaguardia della vita umana, inducono a ritenere detta condizione di ardua applicazione in queste circostanze. Va inoltre sottolineato che laccesso alle strutture sanitarie da parte degli immigrati irregolari agevolato dalla circostanza che lintervento medico non comporta alcun tipo di segnalazione allautorit, salvo il caso in cui sia obbligatorio il referto, a parit di condizioni con il cittadino italiano (art. 36, par. 5).
A differenza della Convenzione ONU che contempla, come si visto, il diritto del migrante unicamente
allassistenza medica urgente per la preservazione della vita, lart. 34 t.u.
profila una tutela sanitaria pi estesa poich obbliga il lavoratore
regolarmente presente nello Stato (subordinato, autonomo o iscritto nelle liste di collocamento, nonch
ai loro familiari a carico) ad iscriversi al Servizio sanitario nazionale con
parit di trattamento e con piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai
cittadini italiani per quanto attiene allobbligo contributivo, allassistenza
erogata in Italia dal Servizio medesimo.
Il diritto alla nazionalit dei figli dei lavoratori, allistruzione, allidentit culturale, al trasferimento dei beni personali.
I diritti allistruzione scolastica dei figli dei lavoratori migranti su base di eguaglianza con i cittadini dello Stato di impiego, da accordarsi anche in caso di lavoratore irregolare (art. 30), allidentit culturale dei migranti, implicante il mantenimento di legami culturali con lo Stato di origine e ladozione di misure appropriate da parte dello Stato di impiego (art. 31), nonch il diritto di trasferire risparmi e beni nello Stato di origine (art. 32) non sembrano porre particolari problemi di adeguamento nellordinamento interno, qualora la Convenzione divenisse efficace per lItalia.
La legislazione italiana dispone gi di strumenti che
appaiono piuttosto avanzati circa il riconoscimento dei menzionati diritti.
Basti rammentare che lart. 38 t.u. impone lobbligo scolastico ai minori
stranieri presenti sul territorio, con una formulazione chiaramente
comprendente i figli di immigrati non in regola con i requisiti sullingresso e
sul permesso di soggiorno; e che, relativamente allaccesso allistruzione
universitaria, in un settore non contemplato dalla Convenzione ONU, in
principio ҏ assicurata la parit di trattamento tra lo straniero e il
cittadino italiano (art. 39, par. 1); con una norma complementare (posta
nellart. 39, par. 5 a favore dei lavoratori subordinati e autonomi)
prevista, tra laltro, la possibilit di erogazione di borse di studio, sussidi
e premi agli studenti stranieri e il riconoscimento dei titoli di studio
conseguiti allestero (art. 39, par. 3, lettere c,) e f).
Riguardo poi al
rispetto dellidentit culturale del migrante, va sottolineato che, ai sensi
dellart. 38, par. 3, t.u., compito della comunit scolastica accogliere le
differenze linguistiche e culturali come valore da portare a fondamento del
rispetto reciproco, dello scambio tra culture e della tolleranza; a tale fine
promuove e favorisce iniziative volte allaccoglienza, alla tutela della
cultura e della lingua dorigine e alla realizzazione di attivit
interculturali comuni; e che spetta alle Regioni, anche
attraverso gli enti locali, promuovere programmi culturali per i diversi gruppi
nazionali (art. 38, par. 6). Infine, non
consta che sussistano impedimenti al trasferimento di risparmi e beni del
migrante nel suo Paese dorigine. Incidentalmente, va ricordato che la materia
della circolazione di capitali verso Stati extra-comunitari ormai di piena
competenza comunitaria, e che la possibilit di apportare restrizioni ai
trasferimenti di capitali verso Paesi terzi, pur in astratto possibile ad opera
delle istituzioni, appare improbabile perch difficilmente conciliabile con
lobiettivo politico, ormai consolidatosi, di creare una moneta unica in grado
di svolgere un ruolo preminente nelle relazioni finanziarie internazionali.
Se nuovamente lart. 29 della Convenzione ONU non
dovrebbe porre difficolt nella parte in cui dispone il diritto del bambino del
migrante ad avere un nome e alla registrazione della nascita, pi problematica
potrebbe rivelarsi, a certe condizioni, lattuazione della medesima
disposizione nel punto in cui stabilisce il diritto alla cittadinanza del
bambino del lavoratore migrante. Piuttosto che configurare un obbligo assoluto,
in capo allo Stato di impiego, di attribuire la cittadinanza al minore, la
norma potrebbe ragionevolmente intendersi nel senso che un simile obbligo sorga
in via sussidiaria per contrastare i fenomeni di apolidia: in particolare,
allorch lordinamento dello Stato dorigine del migrante non attribuisca lo status
civitatis al figlio appunto
perch nato allestero. In questa prospettiva, non occorrerebbe apportare
modifiche di grande rilievo allordinamento interno: lart. 1, comma 1, lett.
b), della legge n. 91 del 1992 (recante la normativa sulla cittadinanza)
utilizza, a titolo residuale, il criterio del ius soli per attribuire la cittadinanza italiana al
figlio di genitori stranieri qualora il bambino non riceva la nazionalit da
parte degli Stati di appartenenza di uno o di entrambi i genitori.
I diritti addizionali spettanti ai lavoratori documented or in a regular situation
Come accennato, la Convenzione (cfr. art. 36)
integra lo status dei
lavoratori , per cos
dire, regolari (e dei loro familiari) con un nutrito insieme di
diritti aggiuntivi a quelli, sopra considerati e posti nella parte III,
spettanti anche ai migranti non-documented. I diritti di natura addizionale
si prestano ad essere diversamente classificati in relazione alloggetto.
Il principio di non
discriminazione nelle condizioni di impiego, i diritti sindacali e altre
libert
spettanti al migrante.
Un primo gruppo di norme concerne le condizioni di
impiego e la materia sindacale. Un posto centrale riservato al diritto del
migrante regolare di ricevere condizioni di lavoro e di
vita in posizione di eguaglianza con i cittadini locali e, comunque, in linea con gli standard minimi di
sicurezza, di salute e con i principi della dignit umana. Gli Stati contraenti
debbono assumere, ai sensi dellex art. 70, le appropriate misure per
realizzare tale obiettivo. Complementari a questa finalit appaiono il diritto
del migrante di svolgere unattivit remunerata alle stesse condizioni dei
cittadini dello Stato di impiego (art. 55) e lobbligo, imposto agli Stati
contraenti, di accordare agli immigrati un trattamento non meno favorevole di
quello spettante ai cittadini rispetto alla protezione contro i licenziamenti,
ai benefici a favore dei disoccupati, alle misure pubbliche avverso la
disoccupazione, allaccesso a pubblici impieghi alternativi in caso di perdita
o cessazione dellattivit lavorativa (art. 54).
Occorre poi ricordare che il testo convenzionale contempla: lobbligo degli Stati contraenti di consentire assenze temporanee dal territorio senza pregiudizio dellautorizzazione al soggiorno o al lavoro (art. 38); la libert di movimento del migrante sul territorio dello Stato di impiego e di scelta del luogo di residenza, fatte salve limitate eccezioni (art. 39); il diritto di costituire associazioni sindacali (art. 40); il diritto di scegliersi il lavoro subordinato, che pu essere peraltro soggetto a determinate condizioni o restrizioni ad opera dello Stato di impiego (art. 52).
In proposito, si pu anzitutto osservare che varie
Convenzioni OIL pongono obblighi analoghi a quelli appena sinteticamente
richiamati: si pensi, a titolo esemplificativo, alla Convenzione n. 143 (1975)
che stabilisce una fondamentale norma di principio sulla eguaglianza con i
cittadini de chances et de traitment in materia di impiego, di sicurezza
sociale, dei diritti sindacali e culturali e delle libert individuali e
collettive a favore dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie
che si trovano legalmente sul territorio di uno Stato contraente; alla
Convenzione OIL n. 87 del 1948 sulla libert sindacale e sulla protezione dei
diritti sindacali, ( che pone agli Stati
contraenti lobbligo di conferire senza alcuna distinzione ai lavoratori -(e ai datori di
lavoro-)
il diritto di costituire, senza necessit di autorizzazione preventiva,
organizzazioni proprie e di iscriversi ad unorganizzazione di propria scelta
alle sole condizioni stabilite dai rispettivi statuti; alla Convenzione OIL n.
118 del 1962 sulle norme minime sulla sicurezza sociale, che obbliga gli Stati
contraenti ad accordare ai cittadini degli altri Stati contraenti lo stesso
trattamento spettante per legge ai propri cittadini.
Nellordinamento italiano garantita al lavoratore
immigrato regolare e ai suoi familiari parit di trattamento e piena
uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani dallart. 2, par. 3
t.u. Il diritto a ricevere un trattamento non meno favorevole di quello riservato
al cittadino concerne anche i diritti sindacali. Un principio di equiparazione,
con riguardo al godimento dei diritti civili da parte dello straniero
regolarmente soggiornante nello Stato, ragionevolmente desumibile anche
dallart. 2, par. 2, t.u., di per s considerato, il quale pur facendo salve
eventuali disposizioni diverse contenute in convenzioni internazionali o in
specifiche disposizioni del t.u. stabilisce che lo straniero regolarmente
soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile
attribuiti al cittadino italiano; nonch dallart. 2, par. 5 t.u., a norma del
quale (a)llo
straniero riconosciuta parit di trattamento con il cittadino relativamente
alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei
rapporti con la pubblica amministrazione e nellaccesso ai pubblici servizi,
nei limiti e nei modi previsti dalla legge.
In proposito, utile sottolineare che lart. 43 t.u., nel reprimere qualunque forma di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, colpisce anche gli atti pregiudizievoli compiuti dal datore di lavoro. La disposizione completata dallart. 44 che contempla una speciale azione civile contro la discriminazione alla quale sono legittimati, a certe condizioni, anche le rappresentanze locali delle associazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale (art. 44, par. 10).
Il t.u.
riafferma valori normativi gi presenti nellordinamento per effetto dei
meccanismi di adattamento del diritto interno ad alcuni trattati internazionali
e ad obblighi comunitari. Si pensi allart. 2, par. 2 (principio della parit
di trattamento) del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e
culturali in connessione con i successivi articoli 7 (condizioni di lavoro), 8
(diritti sindacali) e 9 (sicurezza sociale), che potrebbero essere lettei, in chiave
costituzionale, congiuntamente al principio di eguaglianza, al fine di
ricostruire un diritto fondamentale incentrato sulla non discriminazione tra il
cittadino italiano e lo straniero. Va inoltre ricordato che a Tampere nel 1999
il Consiglio europeo ha fissato come obiettivo politico dellUnione europea la
parit di trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente
nel territorio degli Stati membri, cui dovr affiancarsi una politica di
integrazione che garantisca agli extracomunitari diritti e obblighi analoghi a
quelli dei cittadini dellUnione ed eviti qualunque forma di discriminazione
economica, sociale e culturale.
Riguardo alla libert del migrante, prevista dalla Convenzione, di scegliersi il lavoro subordinato lordinamento italiano configura almeno due limitazioni. Si allude, anzitutto, alla nuova figura del contratto di soggiorno (art. 5 bis t.u.), istituito con la riforma del 2002, il quale ha ancorato il permesso di soggiorno per motivo di lavoro alla stipula del contratto di soggiorno per lavoro subordinato; e, in secondo luogo, alleccezione del pubblico impiego. Invero, lart. 9, par. 4 lett. b) consente allo straniero titolare della carta di soggiorno (riservata in principio a coloro che siano regolarmente soggiornanti da almeno sei anni) di svolgere nel territorio dello Stato ogni attivit lecita, salvo quelle che la legge espressamente vieta allo straniero o comunque riserva al cittadino. Questa norma interpretata, nella prassi applicativa, nel senso di una generalizzata esclusione dello straniero dallaccesso al pubblico impiego. Ci si porrebbe in armonia con lart. 52 della Convenzione ONU solo se leccezione alla regola della libert di scelta del lavoro, prevista al par. 2 che consente restrizioni allaccesso a limitate categorie di impiego, funzioni, servizi o attivit se necessarie nellinteresse dello Stato e conformi alla legge fosse intesa in senso estensivo.
La protezione del migrante in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro e da misure di espulsione.
Complementari a quelle appena menzionate sono le norme convenzionali che contemplano il diritto dellimmigrato a non essere considerato irregolare e a non vedersi revocata lautorizzazione a restare sul territorio in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro, salvo che lautorizzazione sia stata concessa specificamente per un determinato rapporto (art. 51); e il diritto a non essere espulso se non in conformit a quanto stabilito a favore dei migranti undocumented, che comporta in capo agli Stati contraenti, da un lato, lobbligo di non utilizzare surrettiziamente la misura di allontanamento al fine di privare il migrante del permesso in passato ottenuto regolarmente e, dallaltro, linvito a tenere conto, prima di procedere allespulsione, di considerazioni umanitarie e del tempo gi trascorso nello Stato da parte del migrante e della sua famiglia (art. 56).
Se si guarda alla disposizione di maggiore interesse contenuta nellart. 51 della Convenzione, va osservato che il testo unico del 1998 sembra informarsi ai medesimi principi. Invero, lart. 5, par. 5, fa salvo lart. 22, comma 11, che nella nuova versione (modificata dalla legge n. 189/2002) prevede che la perdita del posto di lavoro non comporta la revoca del permesso di soggiorno. Il lavoratore straniero pu essere iscritto nelle liste di collocamento per la durata residua del permesso di soggiorno e comunque per un periodo non inferiore a sei mesi.
I diritti del migrante al trasferimento di beni nello Stato di origine e di fruire di taluni benefici fiscali.
In termini protettivi si pongono
altres le norme della Convenzione che ribadiscono il diritto di trasferire guadagni
e beni nello Stato di origine (art. 47) e, soprattutto, intendono attribuire
certi privilegi fiscali al lavoratore migrante. Invero, sia lo Stato di origine, (o di abituale
residenza),
sia lo Stato di impiego dovrebbero concedergli esenzione dai dazi doganali e
dalla tassazione al momento della partenza e nello Stato di accoglienza, nonch
al ritorno (art. 46). Inoltre lo Stato di impiego seppure compatibilmente con
i suoi obblighi internazionali in materia di doppia tassazione dovrebbe
praticare imposte sui redditi non meno favorevoli a quelle riservate ai propri
cittadini in circostanze simili e, sempre in conformit al principio della
parit di trattamento, consentire ai migranti e ai loro familiari deduzioni o
esenzioni dalle tasse (art. 48). A quel che
consta, lunica disposizione che sembra comportare una modifica
dellordinamento interno lart. 47, essendo le altre due prescrizioni gi
implicitamente accolte dalla legislazione in materia.
I diritti politici del migrante.
Altre disposizioni riguardano i diritti politici del
migrante. Tra questi si annoverano il diritto di partecipare alla vita pubblica
e lelettorato attivo e passivo nello Stato di origine (art. 41). Al contrario, circa il godimento
dei diritti politici nello Stato di impiego, laccordo non sembra porre obblighi in capo agli
Stati contraenti. Si limita infatti a stabilire che i lavoratori migranti
fruiscono di quei diritti solo se lo Stato di impiego, nellesercizio della sua
sovranit, li contempli (art. 42, par. 3). In modo non molto dissimile
prospettata la partecipazione ad apposite istituzioni pubbliche dello Stato di
impiego che si occupino dei problemi dei migranti, dato che la relativa norma
configurata in termini esortativi (art. 42, par.
1). Maggiormente stringente potrebbe apparire invece la disposizione sulla
partecipazione del migrante alle elezioni amministrative locali, la quale, nel
sollecitare lo Stato di impiego a facilitarla in conformit alla propria
legislazione (art. 42, par. 1), si presta ad essere interpretata nel senso
dellattribuzione al migrante di un corrispondente diritto. Sotto questultimo
profilo, la Convenzione ONU prospetta un avanzamento della condizione del
migrante rispetto al Patto sui diritti civili e politici del 1966, il quale, allart.
25, riserva il godimento dei diritti politici esclusivamente ai cittadini dello
Stato. Nellordinamento italiano, lart. 2, par. 4 t.u. (Lo straniero
regolarmente soggiornante partecipa alla vita pubblica locale) e lart. 9,
par. 4, lett. d (il titolare della carta di soggiorno pu partecipare alla
vita pubblica locale, esercitando anche lelettorato quando previsto
dallordinamento ) avrebbero dovuto preparare il terreno per una
partecipazione effettiva dello straniero alle elezioni amministrative. Queste
disposizioni peraltro non hanno per il momento ricevuto attuazione.[18]
La protezione sociale.
Occorre poi ricordare le molteplici disposizioni
relative alla protezione sociale del migrante e dei suoi familiari, tra le
quali a titolo esemplificativo si possono ricordare i diritti, a parit di
condizioni con i cittadini dello Stato di impiego, concernenti laccesso al
sistema educativo locale, alla formazione professionale, ai programmi di
abitazione pubblica, ai servizi sociali e sanitari, alla partecipazione alla
vita culturale (artt. 43 e 45); e il diritto dei familiari che fruiscono di un
permesso a tempo indeterminato o rinnovabile di scegliersi e svolgere
unattivit lavorativa (art. 53). In proposito, pu ricordarsi, in estrema sintesi, che in linea generale il testo unico del 1998 si informa al
principio dellequiparazione dello straniero regolarmente soggiornante in
Italia in materia di istruzione e diritto allo studio e alla professione (art.
37 ss.) e in materia di alloggio e assistenza sociale (art. 41), oltre a
predisporre misure specifiche sullintegrazione sociale e culturale dello
straniero (art. 42).
I diritti della sfera familiare.
Vi sono infine norme relative ai
diritti della famiglia del lavoratore migrante, come il diritto allunit
familiare (art. 44) e lesortazione allo Stato di impiego a considerare, in
caso di decesso del migrante o di suo divorzio, la possibilit di concedere il
permesso di restare ai membri della sua famiglia (art. 50). Valore giuridico
vincolante possiede solo la prima disposizione; al diritto al ricongiungimento
familiare, come previsto dalla legislazione ordinaria, si gi fatto cenno in
precedenza.[19].16
Gli obblighi di condotta e di cooperazione imposti agli Stati membri al fine di promuovere la condizione dei lavoratori migranti.
La Convenzione, oltre a delineare lo status del migrante, comprende numerosi obblighi di
condotta e di cooperazione imposti agli Stati membri al fine di migliorare le
condizioni dei lavoratori migranti (e delle loro famiglie)
e di renderle come recita la rubrica della parte VI giuste, eque, umane e
conformi alla legge (parte VI, artt. 64-71).
Si possono ricordare, in proposito, gli obblighi di consultazione e cooperazione, che assumono carattere generale (art. 64) e specifico in tema di ritorno dei migranti nello Stato di origine (art. 67) e di contrasto dei flussi di immigrazione clandestina (art. 68, par. 1), cui si aggiunge il dovere, imposto agli Stati, di assumere all adequate and effective measures, comprensive di sanzioni ai datori di lavoro, per eliminare limpiego di lavoratori irregolari (art. 68, par. 2) ed evitare il perdurare di tali situazioni (art. 69, par. 1).
Vi poi lobbligo di predisporre uffici che si occupino della condizione del lavoratore migrante e dei suoi familiari, della formulazione e attuazione delle relative politiche, degli scambi di informazioni nel quadro delle forme di cooperazione con altri Stati contraenti, della diffusione delle informazioni sulle politiche e le normative che regolano limmigrazione e le questioni correlate (art. 65).
La
Convenzione, infine, esprime una certa diffidenza verso forme di
intermediazione privata nei rapporti tra il migrante che si trova nel suo Paese dorigine e il
datore di lavoro dello Stato di impiego. Invero, il reclutamento in Stati
stranieri di manodopera appare sostanzialmente circoscritto ai servizi pubblici
e a quelli stabiliti in base ad accordi bilaterali appositamente stipulati.
Lapertura nel reclutamento ad uffici di diversa natura ammessa solo previa
autorizzazione statale (art. 66).
Osservazioni conclusive
In via conclusiva, sembra
opportunogiova soffermarsi sui principi ispiratori
della Convenzione del 1990 allo scopo di confrontarli con quelli che informano
il diritto internoaliano in materia di
condizione giuridica del lavoratore migrante, con lobiettivo di
verificare le possibili contiguit e difformit tra i modelli normativi
concernenti il trattamento dello straniero migrante.
La Convenzione si evidentemente posta nella prospettiva
di considerare la materia del trattamento dei lavoratori migranti quale questione
riguardante essenzialmente la salvaguardia dei diritti delluomo, piuttosto che la regolamentazione di una
particolare categoria di rapporti di lavoro o di una particolare categoria
sociale. Ci appare chiaramente dal preambolo (supra, par. 1), oltre che dalla sua portata
normativa
(supra, parr. 2 ss.). Sembra inoltre che la
Convenzione abbia inteso valorizzare la posizione e lo status del lavoratore migrante in considerazione
della sua diversit, senza perseguire in tutti i settori lequiparazione della
condizione del migrante a quella del cittadino dello Stato di
impiego (che
peraltro imposta sotto alcuni profili, come
in tema di retribuzione, di sicurezza sociale, ecc.). Sembra quasi che il lavoratore migrante
sia considerato non come un soggetto progressivamente e inevitabilmente mirante
al godimento dei diritti assicurati al cittadino dello Stato di impiego, bens
come un individuo che debba fruire di determinati diritti peculiari alla
diversit della sua condizione, reputati indispensabili per proteggere la sua
duplice (ma indissolubile) condizione di lavoratore e di essere umano. In effetti,
si potuto constatare che la condizione del lavoratore migrante, definita nella disciplina convenzionale,
non tende sempre e ad essere
equiparata allo status del
cittadino.
Se si guarda invece al modo dessere dellordinamento
interno, intendendo con esso non solo il testo unico sullimmigrazione, ma anche linsieme delle
norme internazionali e costituzionali, non sembra irragionevole sostenere che
lordinamento italiano, almeno in linea di principio, gi si conformi al
modello che ispira la Convenzione. sufficiente rammentare che, -ai sensi dellart. 2, par.
1, t.u.-, (gi
richiamato) Aallo straniero comunque presente alla
frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali
della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni
internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente
riconosciuti. Ovviamente differenze su punti specifici permangono e
leventuale adesione richiederebbe, in assenza di riserve, una revisione della
legislazione italiana. Non intendo prospettare una
visione eccessivamente ottimistica di questultima. Mi sembra tuttavia che non
sia configurabile una divaricazione di fondo tra il modello di tutela del
lavoratore migrante adottato in sede convenzionale e la concezione
dellimmigrato lavoratore contenuta nellattuale modo
dessere dellordinamento italiano, anche sotto il delicato profilo qui
richiamato a titolo esemplificativo dei diritti politici del migrante (supra par. 9).
In definitiva, la Convenzione ONU non sembra possedere
una radicale portata innovativa rispetto al diritto internazionale esistente e
al diritto interno in materia di immigrazione. Per certi versi, infatti, appare
una sorta di restatement di norme, di origine consuetudinaria o derivanti da
accordo, gi in vigore nellordinamento internazionale in materia di diritti
fondamentali dellessere umano, che a loro volta non regolano in modo specifico
la condizione dei lavoratori migranti e concernono invece, pi in generale, le
persone straniere di altre classi sociali, sebbene da quelle stesse norme traggano
ovviamente beneficio anche i migranti. Si allude alle disposizioni -(quella generale,
contenuta nellart. 7, e quelle specifiche previste, ad esempio, dagli articoli
25 e 27-)
che si informano al principio di non discriminazione, nonch alla parte III che
sancisce diritti e libert fondamentali che debbono essere attribuiti, rectius riconosciuti, ai lavoratori migranti (e
loro familiari,)
anche se irregolari o clandestini. La Convenzione riflette il contenuto di note
disposizioni contenute nei Patti del 1966 e spesso riproduce quanto gi
stabilito in varie convenzioni concluse nel quadro dellOIL.;[20]17 tolte
alcune righe (si ricordino, a titolo
esemplificativo, la n. 143 del 1975 il cui art. 1 impone agli Stati contraenti
di respecter le droits
fondamentaux de lhomme de tous les travailleurs migrants e le n. 29 (1930) e
n. 105 (1957) in tema di lavoro forzato); senza
contare che, nellordinamento italiano, lart. 2, par. 1 del Testo unico n. 286
del 1998 sullimmigrazione e sulla condizione dello straniero riconosce in
generale al non cittadino, e quindi anche al lavoratore migrante, comunque
presente alla frontiera o nel territorio dello Stato i diritti fondamentali
della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni
internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente
riconosciuti. (gi detto a p. 24)
In tale
ambito, ilIl
testo convenzionale non avrebbe un impatto apprezzabile negli Stati che
rispettino concretamente le norme internazionali (e le corrispondenti
disposizioni interne di adattamento), limitandosi piuttosto ad
offrire agli operatori un utile quadro normativo di riferimento, organico e
sistematico, dei diritti fondamentali dei migranti. Entro questi termini,
potrebbe anche non essere completamente condivisibile il preambolo della
Convenzione nel punto in cui asserisce la scarsit degli strumenti
internazionali a tutela dei lavoratori migranti. vero tuttavia che la
codificazione di taluni principi basilari in un testo specificamente dedicato
ai migranti, mezzo idoneo ad assicurarne la diffusione e la divulgazione.
In ci pu probabilmente ravvisarsi, per alcuni versi, una delle finalit
primarie della Convenzione.[21]
In altre parti, tuttavia, la Convenzione intende
imporre agli Stati contraenti obblighi nuovi, che solo in limitatissime
fattispecie si rivelano significativamente protettive del lavoratore migrante
regolare (si allude, ad esempio, a taluni benefici fiscali, alla partecipazione
ad elezioni amministrative nello Stato di impiego, alla estensione del concetto
di familiare che include le relazioni idonee a produrre effetti equivalenti
al matrimonio s che il diritto al ricongiungimento dovrebbe spettare anche
agli individui parti dei rapporti quasi familiari che presentino unaffectio
coniugalis stabile e
durevole). Considerata la limitatezza del favor che ne segue, verosimilmente giustificato dalla
vulnerabilit che caratterizza la condizione del migrante e dal rafforzamento
delle prospettive di integrazione nel contesto di una nuova societ, non
sembrano comprensibili da un punto di vista strettamente giuridico le
preoccupazioni degli Stati che accolgono i flussi di immigrati; tanto pi che
essi potrebbero decidere di aderire alla Convenzione utilizzando cum grano
salis lo strumento della
riserva.[22].18
Sotto questi profili - ( non molti, in verit-) la Convenzione
richiederebbe, in assenza di riserve, una revisione della legislazione italiana
e, in particolare, del Testo unico del 1998 in senso pi favorevole al migrante, (anche se non
mancano ipotesi in cui lordinamento interno appresta, almeno formalmente, un
tutela pi accentuata di quella convenzionale: il caso, ad esempio, del diritto allassistenza
medica degli immigrati regolari e irregolari). Accanto a questo
ostacolo alladesione alla Convenzione, se ne profila un secondo. Il testo
convenzionale concerne infatti una materia che, in seguito alle modifiche
apportate dal Trattato di Amsterdam al pilastro comunitario, in parte di
competenza della Comunit a norma dellart. 63, par. 3, Trattato Ce,
disposizione che come noto ha attribuito al Consiglio inter alia il potere di adottare misure in materia di
politica dellimmigrazione riguardanti le condizioni di ingresso e di soggiorno
di cittadini di Paesi terzi, compresi quelli per il ricongiungimento familiare,
e in materia di immigrazione e soggiorno irregolari.[23]
I settori di competenza attribuita, solo in minima parte gi esercitati dalla
Comunit, sono senzaltro di natura condivisa, ma ci non comporta automaticamente
che gli Stati possano assumere unilateralmente obblighi sul piano
internazionale, dato che lattribuzione di nuove, ( seppur circoscritte,)
competenze alla Comunit sul piano interno, implica parallelamente, in base ai
principi che informano il sistema comunitario, il potere di concludere accordi
internazionali con Stati terzi da parte della Comunit. Non ovviamente
possibile approfondire questo punto. Pu soltanto sottolinearsi la probabilit
che la Convenzione ONU costituisca una classica ipotesi di accordo misto,
alla cui adesione dovrebbero quindi partecipare insieme Comunit e Stati
membri. La circostanza che la Convenzione sia aperta alla firma e alla
partecipazione soltanto di entit statuali (art. 86) non costituirebbe comunque
un ostacolo insormontabile. In circostanze analoghe, la Comunit ha
surrettiziamente aderito ad accordi internazionali con apposita autorizzazione
conferita agli Stati membri per i settori di sua competenza.[24]
Se vero che gli ostacoli giuridici alladesione appaiono
tecnicamente non insuperabili, ci si pu interrogare sui motivi per cui la
Convenzione registra il sostanziale disinteresse dei tradizionali Paesi di
ricezione dei flussi migratori. Si potrebbe prospettare che i problemi
alladesione risiedano in ragioni di politica del diritto. possibile che uno
strumento convenzionale, fondato sullattribuzione di diritti fondamentali
allimmigrato non-documented e a quello regolare, mal si concili con gli
orientamenti politici prevalenti in Europa. In particolare, una concezione
matura dellimmigrazione, che considera il migrante e i suoi familiari soggetti
cui occorra riconoscere determinati diritti essenziali nella consapevolezza
che il right based liberalism
implichi inevitabilmente che determinati diritti civili e sociali, da
ascriversi universalmente a tutti gli individui in quanto persone, siano da riconoscere anche al migrante sia potrebbe
apparire una prospettiva avente undi scarso
fascino relativamente scarso. Alcuni Paesi
europei vorrebbero infatti soltanto controllare lafflusso degli stranieri e
desidererebbero proporsi non come luoghi di immigrazione, bens di soggiorno,
ancorch prolungato, al termine del quale dovrebbe essere favorito il rientro
nei Paesi dorigine.
Tuttavia, sempre
sul piano politico-legislativo, sarebbe opportuno non trascurare i vantaggi che
i Paesi di immigrazione potrebbero ricevere dalladesione alla Convenzione,
vantaggi che sono racchiusi nelle disposizioni che pongono determinati vincoli
in capo agli Stati di partenza dei flussi migratori. A parte lovvio
riferimento agli obblighi di assistenza che devono fornire i Paesi di origine
dei migranti e dei loro familiari allo scopo di consentirne il ritorno e il
reinserimento (art. 67), si pensi allobbligo di facilitare la partecipazione
alla vita pubblica del Paese dorigine (art. 41), ci che consentirebbe di
mantenere un legame significativo con il medesimo in vista del rientro; al
dovere di fornire adeguati servizi consolari per rispondere alle esigenze
sociali, economiche e culturali dei migranti e dei loro familiari (art. 65,
par. 2), ci che potrebbe alleviare i corrispondenti oneri del Paese di
accoglienza. Si pensi ancora agli obblighi di consultazione e collaborazione
allo scopo di prevenire ed eliminare la circolazione illegale e clandestina dei
migranti (art. 68), obblighi che risultano estesi anche agli Stati di transito.
Sotto questultimo profilo, va osservato che la disposizione permetterebbe di
creare, su base consensuale, un vero e proprio vincolo, mentre attualmente gli
Stati dellUnione perseguono lo stesso obiettivo cercando di persuadere i
Paesi di origine e di transito dei flussi migratori tramite la politica della
condizionalit,
consistente nel subordinare la stipulazione di accordi commerciali al concreto
impegno a contrastare limmigrazione clandestina. Si consideri poi che la
politica della persuasione dispone di mezzi ridotti. In Italia lart. 1,
paragrafi 2 e 3, della legge n. 189 del 30 luglio 2002 utilizza la leva dei
programmi di cooperazione e di aiuto, e comunque esclude opportunamente quelli
che realizzano interventi a scopo umanitario. NellUnione eEuropea, invece, vi una
disponibilit ad utilizzare gli incentivi economici, mentre lorientamento
opposto prevale allorch si affronta la questione degli aiuti allo sviluppo, i
quali dovrebbero rimanere fermi anche nei confronti dei Paesi che non
collaborino nelle repressione dellimmigrazione clandestina.[25] .19 E
ci a prescindere dal fatto che laiuto allo sviluppo costituisca un impegno
morale ovvero giuridicamente rilevante in punto di diritto internazionale
generale.[26]
Ladesione alla Convenzione permetterebbe almeno, attraverso specifiche
clausole, di imporre agli Stati di origine e di transito la repressione del
traffico clandestino dei migranti.
Prof. Avv. Roberto Baratta
Ordinario di diritto internazionale nellUniversit di Macerata
The paper deals
with the impact that the International
Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members
of Their Families, adopted in 1990 by the
General Assembly of the United Nations, might have on the Italian immigration
law if Italy becomes a Party to the same Convention. The analysis
compares the regimes both of the
Convention and of the Italian
system of law, provided that
the latter, as is known, already incorporates some
international conventions on the protection of workers and on the protection of human rights. On the whole, it seems reasonable to argue that the basic principles of the United Nation
Convention on Migrant Workers and those which govern Italian immigration law do
not show deep inconsistencies. In other words,
although the comparison points out some differences among the two regimes, both of them aim at safeguarding the fundamental rights of migrant workers and of the member of
their families. Consequently,
the adhesion by Italy to the UN Convention would imply neither a radical change, nor too many
innovations of Italian domestic law, particularly if the acceptance of the
Convention will be joined, at an international level, by a cautious use
of the instrument of reservations.
[1] Testo della relazione del Prof. Roberto Baratta al Convegno internazionale Migrazioni, diritti umani, sicurezza nazionale organizzato dalla Fondazione Scalabrini (Roma 28 novembre 2003, CNEL)
[2] Cfr. Lillich, The Human Rights of Aliens in Contemporary
International Law,
Manchester, 1984, p. 75; il testo della Convenzione riprodotto in Int. Legal Materials, 1991, p. 1517 ss.)
[3] 2 Cfr. United Nations, Press Release L/T/43/71,19.03.2003,
in www.un.org
[4] 3 Economic and Social Council, doc. E/CN.4/2003/L.67
[5]4 In seguito richiamato con la dicitura t.u.
[6] 5 Non
sar puntualmente esaminata la parte VII del testo - relativa al meccanismo di
controllo,-
che non direttamente inerente ai profili che qui interessano
[7] 6 International .Court of .J.ustice,
Reports 1970, p. 32, par. 33.
[8] 7 Cfr.,
ad esempio, gli artt. 1, 2 e 7 della Dichiarazione universale dei diritti
delluomo, cui pu essere attribuito almeno un valore interpretativo del
diritto esistente e in particolare dei Patti del 1966; e gli artt. 3, 26 del
Patto internazionale sui diritti civili e politici.
[9] 8 Uno
dei rischi che deriverebbero dalladesione alla Convenzione riguarda
lesistenza di un presunto obbligo di consentire lingresso degli immigrati e,
in ogni caso, di regolarizzare la posizione di quelli entrati in violazione dei
requisiti previsti dalla legislazione interna: si tratta di timori gi emersi
durante il lungo negoziato internazionale. Cfr Goodwin-Gill, Migration:
International Law and Human Rights, in Managing
Migration. Time for a New International Regime (a cura di Ghosh), Oxford, 2000, p. 179)
[10] 9 La
prassi statunitense, britannica e francese sono decisamente orientate in tal
senso.: cfr.,
rispettivamente, A Digest of
International Law (a cura di
Moore), vol. IV, Washington, 1906, p. 67 ss.; A British Digest of International Law, Part VI (a cura di Parry e Fitzmaurice), London,
1965, p. 9 ss.; Kiss, Rpertoire de la pratique franaise en matire de
droit international public, tome II, Paris, 1966, pp. 53 e 242; in dottrina
cfr. Plender, International
Migration Law, Leiden,
1972, pp. 38 ss. e 136 ss. E, soprattutto, Calamia, Ammissione ed allontanamento degli stranieri, Milano, 1980, p. 19 ss., per una valutazione
critica della prassi che conduce lautore a conclusioni che prospettano
lesistenza di limiti a siffatto potere statale.
[11] Cfr. il sintetico quadro delineato da Doehring, Aliens,
Admission, in Encyclopedia of Public International Law (diretto da Bernhardt), vol. 1, Amsterdam, London,
New York, Tokyo, 1993, p. 107 ss.
[12] 10 Cfr.
artt. 1, 2 e 7 della Dichiarazione universale dei diritti delluomo; artt. 3,
26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.
[13]11 E ci che avverebbe nellambito delle
quote riservate, di cui allart. 21, comma 1 t.u., previsto dalla legge n.
189/2002, secondo cui nella determinazione dei flussi di ingresso possono
essere previste quote riservate a favore dei lavoratori di origine italiana
per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea retta di
ascendenza che richiedano di essere inseriti in apposito elenco tenuto presso
le rappresentanze diplomatiche o consolari.
[14]12 Sentenza 23 luglio 1974 n. 244, Obradovic, in Giurisprudenza.
costituzionale. 1974, p. 2360 ss., a p. 2363;
nonch, nella medesima direzione, lordinanza 10 dicembre 1987, n. 503, Sowyoto, ivi, 1987, p. 3317 ss., e la sentenza 21 novembre 1997, n. 353, in Riv. dir. int. priv. procRivista di
diritto internazionale privato e processuale., 1998, p. 391 ss.
[15]13 Si pensi al nuovo istituto del
contratto di soggiorno.
[16] 14 Ove
lespulsione sia stata pronunciata dal Ministro dellinterno, il ricorso va
invece presentato al TAR Lazio: art. 13, comma 11.
[17]15 Si noti, che
garanzia necessaria ai fini delleffettivo godimento del diritto alla tutela
giurisdizionale ai sensi dellart. 24 Cost. e di numerosi accordi
internazionali cui lItalia ha aderito.
[18] E in corso di esame, in sede politico-legislativa,
una proposta avanzata dalla Vicepresidenza del Consiglio dei ministri.
[19] 16 Vedi
supra I diritti fondamentali dei lavoratori
migranti (ancorch non-documented).
[20]17 Si ricordino, a
titolo esemplificativo, la n. 143 del 1975 il cui art. 1 impone agli Stati
contraenti di respecter les droits fondamentaux de lhomme de tous les
travailleurs migrants e le n. 29 (1930) e n. 105 (1957) in tema di lavoro
forzato
[21] Per un esame delle norme internazionali relative
ai migranti ante Convenzione cfr. Leben, Le droit
international et les migrations de travailleurs, in Socit Franaise pour le Droit International.
Colloque de Clermont-Ferrand, Les
travailleurs trangers et le droit international, Paris, 1979, p. 47 ss.
[22] 18 Il
regime di apposizione delle riserve si informa, ai sensi dellart. 91, al
tradizionale criterio della compatibilit con loggetto con e lo scopo della
Convenzione.
[23] In argomento cfr. Nascimbene, LUnione
europea e i diritti dei cittadini dei Paesi terzi, in Diritto
dellUnione europea, 1998, p.
511 ss.
[24] Vedi, ad esempio, la recente autorizzazione del
Consiglio agli Stati membri a firmare nellinteresse della Comunit la
Convenzione dellAja del 1996 sulla protezione dei minori, in GUUE L 48 del 21 febbraio 2003, p. 1
[25] 19 Vedi
i risultati del Consiglio europeo svoltosi a Siviglia il 21-22 giugno 2002.
[26] In questa
seconda direzione cfr. Villani, Il diritto allo sviluppo: diritto umano e dei
popoli, in Il sistema universale dei diritti umani allalba
del XXI secolo, Atti del Convegno nazionale per la celebrazione del 50 Anniversario
della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani Roma, 10/11 dicembre 1998, Roma, 1999, p. 99 ss.