LA CONVENZIONE SUI DIRITTI DEI MIGRANTI

E LA NORMATIVA ITALIANA SULLIMMIGRAZIONE[1]

 

 

 

La promozione del rispetto dei diritti delluomo e delle libert fondamentali senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione compito dellAssemblea generale dellOrganizzazione delle Nazioni Unite, che. LOrganizzazione persegue cos uno dei suoi fini essenziali. La diffusione del rispetto dei diritti umani invero funzionale alla creazione di relazioni pacifiche tra gli Stati (artt. 1 e 55 della Carta istitutiva dellONU -quale?); ne il fondamento se si guarda al preambolo della Dichiarazione universale dei diritti delluomo del 1948. Nellesercizio di tale competenza, lAssemblea, con risoluzione n. 45/158 del 18 dicembre 1990, ha adottato per consensus la International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of Their Families, dopo un complesso negoziato iniziato nel 1979.[2] La Convenzione si posta nella prospettiva di considerare la tutela dei lavoratori migranti quale questione riguardante la salvaguardia dei diritti delluomo piuttosto che la regolamentazione di una particolare categoria di rapporti di lavoro. probabilmente questo il motivo per cui la Convenzione stata conclusa in ambito ONU e non nel quadro dellOIL.

Il testo entrato in vigore sul piano internazionale il 1 luglio 2003, decorso il periodo di tempo (previsto dallart. 87, par. 1) seguente al deposito del ventesimo strumento di ratifica. La Convenzione attualmente risulta ratificata da ventidue Paesi e firmata da altri tra i quali non figura lItalia.[3] .2 Si tratta , in sostanza, di Paesi di provenienza e al pi di transito dei flussi migratori, mentre si registra il sostanziale disinteresse dei tradizionali Paesi di ricezione dei flussi stessi. Eppure, la Commissione sui diritti umani delle Nazioni Unite ha adottato il 15 aprile 2003 una raccomandazione con la quale invita gli Stati to consider seriously signing and ratifying or acceding to the Convention as a matter of priority,[4] ,3 ribadendo cos lesortazione gi formulata dallAssemblea generale nella risoluzione n. 45/158.

La Convenzione muove dal presupposto che i migranti non siano sufficientemente protetti e che il loro status giuridico richieda un appropriato strumento internazionale di tutela (punto 11 del preambolo). Essa persegue quindi il fine, sostanzialmente umanitario, di migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei migranti e dei loro familiari, uniformando le legislazioni degli Stati contraenti al rispetto di comuni e basilari principi (punto 9 del preambolo). Laccordo mira altres allobiettivo di indurre gli Stati (inclusi quelli di partenza e di transito dei flussi) ad adottare azioni che contrastino il traffico clandestino di lavoratori migranti. Funzionale a questo obiettivo il riconoscimento ai medesimi di determinati diritti fondamentali (punto 13 del preambolo), anche per scoraggiarne limpiego illegale (punto 15 del preambolo). noto, come si sottolinea nel punto 14 del preambolo, che nei migranti non documented or in a irregular situation che si concentrano condizioni di impiego assai sfavorevoli. La Convenzione, composta da un preambolo e novantatre articoli, suddivisa in nove parti che intendono quindi far sorgere in ciascun ordinamento statale un complesso di situazioni giuridiche attive a favore dei lavoratori migranti e dei loro familiari.

Una peculiarit della normativa convenzionale in linea con la scienza giuridica che qualifica i diritti umani quali beni indisponibili e inalienabili risiede nel fatto di essere destinata ad avere, nellordinamento interno, carattere imperativo; i diritti dei migranti sono, pertanto, irrinunciabili da parte dei titolari e inderogabili in sede contrattuale (art. 82). La natura, per cos dire, di necessaria applicazione attribuita in principio alle norme convenzionali va inoltre garantita dagli Stati contraenti, ai sensi dellart. 83, con la predisposizione di (non specificati) rimedi effettivi in caso di loro violazione.

Oltre alla sfera di applicazione delineata in modo ampio (parte I, artt. 1-6) e alla prevedibile affermazione del principio di non discriminazione circa il godimento dei diritti contemplati dalla Convenzione (parte II, art. 7), significativo appare lelenco di un nutrito numero di diritti fondamentali spettanti a tutti i lavoratori (e ai loro familiari) ancorch illegalmente presenti nel territorio statale (parte III, artt. 8-35), cui si aggiungono diritti concepiti a favore dei soli lavoratori regolari (parte IV, artt. 36-56). La condizione di speciali categorie di lavoratori (frontalieri, stagionali, autonomi ecc.) determinata, in singole disposizioni, con la tecnica del rinvio ai diritti contemplati nella parte III e, compatibilmente con la particolare situazione di ciascuna categoria, ai diritti di cui allanella parte IV (parte V, artt. 57-63). Il testo poi corredato da numerosi obblighi di condotta e di cooperazione imposti agli Stati membri al fine di promuovere le condizioni dei lavoratori migranti (e delle loro famiglie) e farle divenire come recita la rubrica della parte VI giuste, eque, umane e conformi alla legge (parte VI, artt. 64-71). Prevede poiinoltre; nonch da un meccanismo di controllo dellosservanza degli obblighi convenzionali da parte degli Stati membri, che incentrato, in estrema sintesi, sulla costituzione, presso le Nazioni Unite, di un apposito Comitato cui le parti contraenti debbono periodicamente trasmettere rapporti circa la conformit agli obblighi convenzionali (parte VII, art. 72-75).; iIn via facoltativa, uno Stato contraente pu inoltre accettare la competenza del Comitato a ricevere comunicazioni da altri Stati contraenti (art. 76) e da individui (art. 77) che segnalino la presunta inosservanza degli obblighi da parte dello Stato che abbia aderito a tali clausole facoltative. Qualora la questione non sia esaminata nel contesto di un altro strumento internazionale (art. 78), e siano esaurite le vie di ricorso interne, il Comitato esprime la sua valutazione. Essendo modellato sui quello adottato per i Patti del 1966, il sistema di controllo non produce esiti particolarmente stringenti; possiede tuttavia il duplice pregio di costringere lo Stato a giustificarsi in caso di inadempimento e di rendere pubblica la questione.

La Convenzione, da ultimo, come di consueto accade nei trattati internazionali, contiene numerose norme generali (parte VIII, artt. 79-83) e finali (artt. 85-93): le prime contribuiscono a precisare la portata degli obblighi convenzionali e sono quindi di primaria importanza soprattutto per quel che concerne gli obblighi e le responsabilit che riversa sugli Stati di partenza, di transito e di ricezione dei flussi immigratori clandestini; le seconde definiscono (senza particolari novit) le funzioni del depositario, le modalit di adesione, lesercizio del potere di denunciare la Convenzione, il procedimento di revisione, lapposizione di riserve, le regole applicabili in caso di controversie tra parti contraenti.

Lesame seguente si propone di cogliere la portata normativa della disciplina convenzionale relativa alla condizione del lavoratore migrante allo scopo di confrontarne il contenuto con la normativa italiana. Si terr conto, a questo fine, non solo delle pertinenti norme del testo unico n. 286/1998,[5]4 come modificato dalla c.d. legge Bossi Fini (189/2002), relative al trattamento in Italia del lavoratore straniero immigrato, ma anche delle norme internazionali in vigore perin il nostro PaeselItalia. Con ci si vogliono anche offrire brevi spunti di riflessione (la questione meriterebbe un approfondimento maggiore di quanto sia possibile qui effettuare) circa limpatto che potrebbe avere la Convenzione ONU nellordinamento interno qualora divenisse efficace in Italia. Brevi riflessioni conclusive si concentreranno sui principi ispiratori della Convenzione, allo scopo di confrontarli compararli con quelli che informano il diritto interno, con lo scopo diper verificare le possibili contiguit e difformit tra i modelli normativi di riferimento.[6].5

 

Lambito soggettivo di applicazione della Convenzione

La prima parte (artt. 1-6) individua in chiave estensiva i soggetti destinatari della Convenzione. Vi si includono i lavoratori migranti e i loro familiari, senza che sia possibile operare, tra essi, alcuna distinzione per motivi di sesso, razza, colore, religione, ecc. (art. 1, par. 1), per lintero periodo che concerne il processo di migrazione- che intercorre dalla preparazione della partenza fino al rientro nello Stato di origine o di residenza abituale (art. 1, par. 2). La Convenzione a differenza di alcuni accordi stipulati in ambito OIL possiede dunque una sfera soggettiva di efficacia non ristretta ai cittadini degli Stati contraenti, non fondata cio su un rapporto di stretta reciprocit; al contrario, ciascuno Stato contraente tenuto ad applicarla ai lavoratori migranti anche di Stati che non ne siano parti. Alla luce di questo elemento e della rilevata finalit umanitaria della Convenzione, nonch dellesistenza di un meccanismo di controllo delladempimento degli obblighi convenzionali che appare esprimere un interesse comune alladempimento stesso coerente prospettare che essa sia destinata, almeno in linea di principio, a porre obblighi valevoli erga omnes partes, con le conseguenze che discendono in caso di inadempimento dei medesimi secondo i principi generali del diritto internazionale in materia di responsabilit.

Il lavoratore migrante identificato nella persona che non possiede la cittadinanza dello Stato dove svolge unattivit remunerata (art. 2, par. 1); comprende altres i lavoratori frontalieri, stagionali, autonomi e le altre speciali categorie di lavoratori indicate dallart. 2, par. 2. Ne emerge un ampio concetto di migrante che include, in senso lato, chiunque svolga unattivit lavorativa al di fuori del Paese di cui cittadino. Ne restano escluse talune classi di lavoratori contemplate dallart. 3 (ad esempio, i lavoratori dipendenti di organizzazioni o agenzie internazionali, i rifugiati e gli apolidi ove non siano loro applicabili altri strumenti normativi internazionali, gli studenti), apparentemente perch si reputata non sussistere in questi casi lesigenza di apprestare specifiche forme di tutela.

Il testo convenzionale si rivolge, oltre che ovviamente ai lavoratori in regola con le disposizioni vigenti nello Stato di immigrazione in tema di ingresso, soggiorno e autorizzazione al lavoro, anche ai lavoratori considerati in tale Stato non-documented or in an irregular situation (art. 5); dunque ai lavoratori che non abbiano osservato le disposizioni interne sul controllo dellimmigrazione. Questo appare un elemento assai caratterizzante dellaccordo, che come si vedr conferisce una serie di diritti essenziali al lavoratore in s, ancorch irregolare.

Se si volge lo sguardo al diritto interno in materia di immigrazione, agevole osservare che esso -(anche in virt delloperare delle norme di adattamento allart. 11 della Convenzione OIL n. 143 del 1975-) concerne i lavoratori migranti, inclusi quelli irregolarmente presenti nel territorio, stranieri (non comunitari) o apolidi. Si pu anzi osservare che lordinamento italiano -(anche per effetto di norme internazionali, comunitarie e costituzionali -) possiede regole che disciplinano, pi in generale, la condizione dello straniero richiedente asilo politico, del rifugiato e dei c.d. sfollati. La Convenzione ONU non produrrebbe quindi un impatto significativo, sotto il profilo appena considerato, nellordinamento interno appunto perch esso possiede una disciplina che ratione personarum comprende qualunque straniero o apolide.

Il termine members of the family utilizzato per designare i soggetti ammessi a fruire della protezione delle norme convenzionali in virt di un rapporto familiare con il migrantenella Convenzione riferito, in primo luogo, al coniuge del lavoratore e a coloro che abbiano con questultimo a relationship that, according to applicable law, produces effects equivalent to marriage; in secondo luogo, ai dependent children and other dependent persons who are recognized as members of the family by applicable legislation or applicable bilateral or multilateral agreements between the States concerned (art. 4). Questa disposizione determina un passo in avanti rispetto allart. 13 della Convenzione OIL n. 143 (1975), la quale, nel regolare il ricongiungimento familiare a favore del coniuge, dei figli e dei genitori (se a carico) del migrante, presenta un carattere sostanzialmente facoltativo.

Se si confronta il concetto di famiglia accolto nella Convenzione ONU vale a dire il concetto, in s generico, di relazione idonea a produrre effetti equivalenti al matrimonio (art. 4) con quello in Italia previsto dal t.u. del 286/1998 a proposito del diritto al ricongiungimento familiare, si nota che il primo pi esteso del secondo. Invero, il diritto allunit familiare dellimmigrato riconosciuto, ai sensi dellart. 29 t.u., al coniuge (non legalmente separato) e, ai figli minori di diciotto anni a carico - (anche se nati fuori dal matrimonio o del coniuge se laltro genitore abbia prestato il consenso )- nonch, a certe limitate condizioni, ai genitori a carico. . Si tratta di nozioni collegate allesistenza e alla validit di rapporti di famiglia, che pone una questione preliminare da accertarsi pur in mancanza di un esplicita previsione del t.u. sulla base della disciplina italiana di diritto internazionale privato. Il riferimento al coniuge dellimmigrato probabilmente da intendersi nel senso di rapporto fondato sul matrimonio, ( anche se celebrato allestero). Vero peraltro che per effetto dellart. 8 della Convenzione europea dei diritti delluomo e, in misura minore, dellart. 29 Cost.(della Costituzione italiana?), il diritto allunit familiare dello straniero potrebbe implicare la tutela di forme di convivenza di fatto, le convivenze registrate e gli altri rapporti equivalenti al matrimonio, secondo il diritto straniero applicabile. In linea di principio, il diritto al ricongiungimento dovrebbe includere gli individui parti dei rapporti quasi coniugali che presentino unaffectio coniugalis stabile e durevole.

 

Il principio di non discriminazione.

Nel quadro normativo convenzionale, un ruolo centrale sembra riservato alla parte II, composta di un articolo unico (art. 7), secondo cui gli Stati contraenti non possono effettuare discriminazioni circa il godimento dei diritti enunciati nelle parti successive della Convenzione. In pratica, sono vietate discriminazioni per motivi di razza, sesso, religione, colore o per le altre ragioni indicate dallart. 7. La disposizione non dovrebbe svolgere la funzione di equiparare lo straniero al cittadino dello Stato di accoglienza, posto che il principio di uguaglianza cos inteso specificato in successive e apposite norme convenzionali (ad esempio, negli articoli 25 e 27). La circostanza che lart. 7 vieti inter alia le discriminazioni fondate sulla nazionalit dovrebbe implicare linammissibilit delle differenze di trattamento tra immigrati di cittadinanza diversa.

Sotto questo profilo, la Convenzione ONU non apporterebbe novit di rilievo nellordinamento interno, poich il principio di non discriminazione tra stranieri gi operante nellordinamento italiano per effetto di disposizioni costituzionali e, in particolare, delle disposizioni di adattamento al diritto internazionale consuetudinario e a taluni accordi cui il nostro paeselItalia aderisce da tempo. Con riferimento allordinamento internazionale, si pu prospettare che il principio di non discriminazione per motivo di razza, di cui allart. 55 lett. c) della Carta delle Nazione Unite, assuma un ruolo normativo per gli Stati membri dellOrganizzazione e, pi in generale, per tutti i componenti della comunit internazionale, determinando un obbligo che ciascuno Stato deve osservare nei confronti della comunit internazionale nel suo insieme, come stabil. L la Corte internazionale di giustizia, nel caso Barcelona Traction, incluse nella nozione di norma produttiva di obblighi erga omnes che ciascuno Stato cio, in view of the importance of the rights involved, deve osservare towards the international community as a whole the basic rights of the human persons e tra questi the protection from racial discrimination.[7]6

Daltronde, un principio - (di portata pi ampia rispetto alla classe sociale dei lavoratori migranti -) che vieta discriminazioni nel trattamento degli individui per motivi di razza, religione, sesso, nazionalit - (da intendersi nel senso di origine etnica)-, opinione politica e di ogni altro possibile elemento discriminante contenuto in varie fonti scritte dellordinamento internazionale.[8] .7 Trattandosi di fonti normative poste da accordo e rese esecutive con legge nellordinamento interno, esse assumono ovviamente valore obbligatorio per lo Stato., indipendentemente dallesistenza di una norma internazionale consuetudinaria corrispondente.

 

I diritti fondamentali dei lavoratori migranti, (ancorch non-documented)

La Convenzione annovera numerosi diritti e libert fondamentali che debbono essere attribuiti, rectius riconosciuti, ai lavoratori migranti (e loro familiari) anche se irregolari: il diritto alla personalit giuridica (art 24), il diritto alla vita (art. 9), il divieto di tortura e di altri trattamenti inumani o degradanti (art. 10), il divieto di essere tenuto in schiavit o servit e, entro certi limiti, di essere costretto a prestare lavoro forzato (art. 11), la libert di pensiero, coscienza e religione (art. 12), la libert di opinione (art. 13), la libert di corrispondenza (art. 14), il diritto a non essere privato arbitrariamente della propriet (art. 15), il diritto alla libert e alla sicurezza (art. 16), il divieto di arresto e di detenzione arbitraria (art. 16, par. 4), lobbligo di informare il lavoratore migrante dei motivi del provvedimento e dei capi di imputazione in una lingua a lui conosciuta (art. 16, par. 5), lesigenza di un controllo giurisdizionale dellarresto e di un processo di durata ragionevole (art. 16, par. 6), il divieto di detenzione per semplice violazione di obblighi contrattuali (art. 20); prevede poi il dovere imposto allo Stato di informare le autorit diplomatiche o consolari dello Stato di origine dellimmigrato, consentendogli altres piena libert di comunicare con le medesime autorit, e di dargli conoscenza dei diritti previsti in argomento dai trattati sulle relazioni diplomatiche e consolari (art. 16, par. 7) e il complementare diritto del migrante allassistenza diplomatica in caso di pregiudizio delle situazioni soggettive previste dalla Convenzione (art. 23), il divieto di detenzione per semplice violazione di obblighi contrattuali (art. 20).

Vale la pena sottolineare che lattribuzione dei diritti fondamentali ai lavoratori migranti non-documented non implica comunque lobbligo, in capo agli Stati contraenti, di regolarizzarne la posizione (art. 35). Coerentemente lart. 69, par. 2, si limita ad auspicare che gli Stati che adottino misure di sanatoria tengano conto della durata della permanenza e, in particolare, della situazione della famiglia del migrante. noto che le c.d. misure di sanatoria sono una costante delle riforme legislative italiane susseguitesi dal 1986. In punto di stretto dirittoAd ogni modo, la partecipazione alla Convenzione non imporrebbe alcun obbligo giuridico in questa direzione.

Le norme convenzionali pocanzi brevemente richiamate contemplano taluni diritti fondamentali ed essenziali dellessere umano, che non riguardano unicamente la condizione dei lavoratori migranti. Senza poter entrare, per motivi di tempo, nel dettaglio di questi obblighi convenzionali, non irragionevole sostenere che lordinamento italiano, almeno in linea di principio, gi vi si conformi. sufficiente rammentare che, ai sensi dellart. 2, par. 1, t.u., Aallo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. Questa disposizione svolge lutile compito di rammentare alloperatore giuridico interno lesistenza di norme internazionali, consuetudinarie e derivanti da accordo, nonch di principi costituzionali, che riconoscono a qualunque essere umano -(inclusi i migranti irregolari)- determinati diritti inviolabili. Non sembra necessario soffermarsi ulteriormente su questo punto, se non per ricordare talune convezioni adottate in sede OIL in vigore per lItalia: lart. 1 della Convenzione OIL n. 143 (1975), che impone agli Stati contraenti di respecter les droits fondamentaux de lhomme de tous les travailleurs migrants; la Convenzione OIL n. 29 (1930) sul lavoro forzato obbligatorio, che pone agli Stati contraenti lobbligo di abolire il lavoro forzato e quello obbligatorio in tutte le sue forme, intenso come tale il lavoro o servizio richiesto ad un individuo sotto la minaccia di una pena qualsiasi e per la cui esecuzione la persone non abbia prestato offerta spontanea, pur prevedendo alcune deroghe di carattere transitorio; la Convenzione OIL n. 105 (1957) sullabolizione del lavoro forzato, che vieta il lavoro forzato e obbligatorio quale misura coercitiva, educativa o sanzionatoria di carattere politico, quale mezzo di mobilitazione o di utilizzazione della manodopera a fini di sviluppo economico, quale strumento di disciplina del lavoro, quale punizione per la partecipazione a scioperi, nonch quale mezzo di discriminazione razziale, sociale, nazionale e religiosa.

Riguardo poi agli obblighi concernenti i rapporti con le autorit diplomatiche e consolari dello Stato di origine del lavoratore migrante, noto che lItalia vi ha dato attuazione tramite gli usuali meccanismi di adattamento alle norme internazionali. Il t.u.esto unico del 286/1998 vi ha aggiunto disposizioni che servono a rammentare agli organi statali lesistenza di detti obblighi internazionali. Si cos stabilito che lautorit giudiziaria e quella di pubblica sicurezza sono tenute ad informare lautorit diplomatica o consolare pi vicina dello Stato cui appartiene lo straniero ogni volta che adottino inter alia provvedimenti di allontanamento dal territorio dello Stato; esse hanno altres lobbligo di consegnare alla rappresentanza oggetti e documenti appartenenti allo straniero, che non debbano essere trattenuti per motivi previsti dalla legge (v. in part., art. 2, par. 7). Lordinamento italiano prescrive dunque lapplicazione delle norme internazionali, in materia di relazioni consolari, sulla protezione dello straniero. Pertanto, lLoo straniero che sia destinatario di un provvedimento di espulsione dispone essenzialmente del diritto di prendere contatto con le proprie autorit. La sfera dei diritti spettanti allodello straniero si accresce ove questi sia sottoposto anche a provvedimenti restrittivi della libert personale. In questo ambito, rilevano in particolare le disposizioni di adattamento alla Convenzione sulle relazioni consolari del 1963, che attribuiscono ai funzionari del consolato -(seppure nel quadro delle leggi e dei regolamenti dello Stato di residenza: art. 36, par. 2-) il diritto di comunicare con i cittadini del proprio Stato e di recarsi presso di loro. Egualmente, i tali cittadinisoggetti dello Stato di invio partenza debbono avere la stessa libert di comunicare con i funzionari consolari e di recarsi presso di loro (art. 36, par. 1); o ancora, qualora linteressato ne faccia domanda, le autorit dello Stato di residenza debbono avvertire senza indugio quelle consolari qualora un cittadino del relativo Stato sia arrestato, incarcerato o sottoposto a detenzione. Le comunicazioni del consolato devono essere trasmesse prontamente allinteressato; degna di nota la disposizione secondo cui le autorit locali devono senza indugio informare linteressato del suo diritto di comunicare con le proprie autorit consolari (art. 36, par. 1 lett. b). Si ricordi infine che i funzionari consolari hanno il diritto di visitare i propri cittadini che siano sottoposti a detenzione, di intrattenersi e corrispondere con loro e di provvedere alla rappresentanza in giudizio, salvo che vi sia lespressa opposizione dellinteressato (art. 36, par. 1, lett. c).

Non sembrano esservi inoltre divergenze di particolare rilievo tra lordinamento penale italiano e gli articoli 17, 18 e 19 della Convenzione, che riguardano la condizione del migrante detenuto e sottoposto a procedimento penale per la commissione di reati comuni o previsti dalle norme statali sullimmigrazione. Il principio di legalit in materia penale (art. 19, par. 1) e le garanzie a favore dellimputato (art. 18) sono elementi essenziali dellordinamento giuridico interno applicabili a qualunque individuo, indipendentemente dal possesso della cittadinanza e dallappartenenza alla classe sociale dei lavoratori.

Talune differenze potrebbero prospettarsi circa i diritti, stabiliti dalla Convenzione ONU, del migrante imputato di non essere accomunato ad altri detenuti e ad essere soggetto to separate treatment appropriate to their status as unconvicted persons (art. 17, par. 2); e ancora il diritto del migrante che abbia violato la normativa interna sullimmigrazione ad essere detenuto in so far as practicable, separately from convicted persons or persons detained pending trial. In linea di massima il t.u. del 1998, nel regolare la fattispecie dellimmigrato espulso che abbia violato il divieto di reingresso nello Stato, non stabilisce la sua separazione dagli altri detenuti (ai sensi dellart. 13, commi 13 e 13 bis t.u. 1998, la disciplina penale piuttosto articolata: sia sufficiente ricordare che consentito larresto in flagranza e il fermo; previsto il procedimento con rito direttissimo (art. 13, comma 13 ter); il divieto di reingresso, ex artt. 13, commi 3 quinquies e 14, si protrae per dieci anni, e si estende al periodo maggiore di prescrizione del reato pi grave commesso dallo straniero, salvo situazioni particolari. (manca probabilmente qualche parentesi.)

 

Il diritto del lavoratore migrante di abbandonare uno Stato e la questione dellingresso in Stati diversi da quello di origine.

La Convenzione afferma decisamente, allart. 8, par. 1, il diritto del lavoratore migrante (e dei suoi familiari) di lasciare liberamente uno Stato, incluso quello di origine. La stessa norma con una formulazione negativa che ne dovrebbe implicare una interpretazione restrittiva ammette deroghe se conformi al principio di legalit, se necessarie a proteggere la sicurezza nazionale, lordine pubblico, la salute o la moralit comune, i diritti e le libert di altri individui, e infine se consistent with the other rights recognized nella parte III della Convenzione. Il testo sembra largamente riproduttivo dellart. 12 del Patto sui diritti civili e politici che, al par. 2, contempla il diritto allemigrazione e, al par. 3, limiti pressoch identici.

La Convenzione ONU completa questa disciplinail diritto allemigrazione allart. 8, par. 2, l dove afferma il diritto del lavoratore migrante di entrare e restare nel Paese di cui possiede la cittadinanza. Conviene forse rammentare che, gi in base al diritto internazionale generale, tale Paese obbligato a consentire lingresso dei propri cittadini.

Il testo convenzionale non contempla invece alcun obbligo, a carico degli Stati contraenti, di ammettere lingresso del lavoratore migrante proveniente da altri Stati contraenti. Il testo lascia la questione aperta, come dimostra lart. 79: Nothing in the present Convention shall affect the right of each State Party to establish the criteria governing admission of migrant workers and members of their families.[9].8

Nellordinamento internazionale non pu ritenersi affermata una norma consuetudinaria che stabilisca un diritto allingresso dello straniero: al contrario esso riconosce agli Stati una certa libert nel non ammettere stranieri, inclusi i lavoratori in cerca di impiego, sul proprio territorio. A prescindere da alcune categorie di persone che sembrano fruire di uno status di particolare protezione (rifugiati, fanciulli e forse anche le c.d. displaced persons), il diritto internazionale generale riconosce agli Stati la libert di non ammettere stranieri, inclusi i lavoratori in cerca di impiego, sul proprio territorio.[10] .9

Talune opinioni dottrinali che propendevano per unapertura sostanzialmente illimitata delle frontiere allo straniero sembrano oggi superate.[11] Non sarebbe peraltro corretto configurare una discrezionalit assoluta circa lammissione dei migranti. Non appare irragionevole, ad esempio, sostenere che incorrerebbe in un illecito internazionale lo Stato che adottasse forme di respingimento selettive dello straniero fondate su una ragione di discriminazione vietata, da ( oltre che da valori costituzionali propri di uno Stato democratico,) dal principio che non consente discriminazioni nel trattamento degli individui per motivi di razza, religione, sesso, nazionalit (da intendersi nel senso di origine etnica), opinione politica e di tutti gli altri possibili elementi discriminanti.[12] .10

Peraltro, il principio di uguaglianza, nel regolare lingresso di stranieri, potrebbe tuttavia subire una deroga in presenza di un motivo oggettivo e ragionevole. La preferenza nellammissione nel territorio statale verso individui che, pur non essendo attualmente cittadini, siano di origine italiana non si porrebbe a mio avviso quindi in difformit con il principio in questione ( ci che avverebbe nellambito delle quote riservate, di cui allart. 21, comma 1 t.u., previsto dalla legge n. 189/2002, secondo cui nella determinazione dei flussi di ingresso possono essere previste quote riservate a favore dei lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea retta di ascendenza che richiedano di essere inseriti in apposito elenco tenuto presso le rappresentanze diplomatiche o consolari).[13]11

Si sa inoltre che la Costituzione italiana non conferisce allo straniero il diritto ad entrare nello Stato. Come stabilito dalla Corte costituzionale, lo straniero non ha, di regola, un diritto acquisito di ingresso e di soggiorno in altri Stati; pu entrarvi e soggiornarvi solo conseguendo determinate autorizzazioni e, per lo pi, per un periodo determinato, sottostando a quegli obblighi che lordinamento giuridico dello Stato ospitante impone al fine di un corretto svolgimento della vita civile.[14].12

In definitiva, la disciplina della Convenzione ONU sullingresso dei lavoratori migranti stranieri, non produrrebbe un impatto radicalmente innovativo nellordinamento italiano, il quale adotta, come noto, una programmazione dei flussi migratori intesa a circoscrivere quelli che siano originati da motivi economici, che non sembra peraltro prospettare, ( almeno in termini generali, almeno) problemi di armonizzazione con le norme consuetudinarie internazionali. Anche se si volge lattenzione al diritto dello straniero migrante di lasciare il territorio italiano per tornare definitivamente nel suo Paese di origine, lordinamento interno italiano come tutti gli Stati di immigrazione non solo non pone specifici impedimenti, ma adotta una politica legislativa che incoraggia il rientro e, a certe condizioni, lo impone.[15]. 13

 

La condizione del migrante destinatario di misure di allontanamento dallo Stato di impiego.

Di maggiore interesse pare il confronto tra la disciplina italiana in tema di espulsione e lart. 22 della Convenzione. In estrema sintesi, il testo dellaccordo ONU si fonda sul divieto di espulsioni collettive e sul principio di legalit. La disciplina completata da una serie di elementi: occorre anzitutto comunicare per iscritto la decisione e le relative motivazioni in una lingua comprensibile allinteressato; al migrante poi conferito il diritto di proporre impugnazione giurisdizionale, avente effetto sospensivo, del provvedimento di allontanamento; gli inoltre attribuito il diritto alla compensation e al reingresso ove il provvedimento stesso sia annullato, nonch il diritto a sistemare le questioni concernenti le retribuzioni e altre pretese prima o dopo lespulsione; infine previsto il divieto di addebitare i costi di espulsione al migrante.

Considerato che la Convenzione estende la protezione dalle misure di allontanamento anche al migrante irregolare, essa innovativa rispetto allart. 13 del Patto sui diritti civili e politici, il quale annovera tra i suoi destinatari unicamente lo straniero che si trovi legalmente nel territorio dello Stato (lespulsione va presa in conformit alla legge;, il destinatario del provvedimento deve avere la possibilit di far valere le ragioni contro lespulsione e di sottoporre il caso allautorit competente e di farsi rappresentare dinanzi ad essa). La legislazione italiana regola peraltro listituto dellespulsione con una disciplina applicabile anche agli irregolari.

Nellordinamento internazionale si pu ragionevolmente sostenere che siano vietate le espulsioni collettive. Comunque sia, la legislazione italiana annovera unicamente fattispecie di allontanamento individuale fondate sul principio di legalit, ( racchiuse sostanzialmente in tre forme previste dal t.u. del 1998: lespulsione amministrativa (art. 13), lespulsione a titolo di misura di sicurezza (art. 15) e lespulsione a titolo di sanzione sostitutiva o alternativa alla detenzione (art. 16); cui se ne aggiunge una quarta, che consiste nellespulsione in attuazione della direttiva comunitaria sul reciproco riconoscimento delle decisioni di allontanamento dello straniero.

In base al t.u., il decreto di espulsione reso dallautorit amministrativa comunicato allinteressato, insieme alle modalit di impugnazione, in una lingua a lui conosciuta ovvero, ove ci non sia possibile, in francese, inglese o spagnolo (art. 13, comma 7). Poich lespulsione amministrativa implica un elemento di coercizione, oltre alla restrizione temporanea della libert personale, il relativo provvedimento sottoposto a controllo giurisdizionale anche in ossequio allart. 13 della Costituzione italiana. Contro il decreto di espulsione lo straniero pu, entro sessanta giorni, presentare ricorso unicamente dinanzi al Tribunale del luogo in cui ha sede lautorit che ha disposto lespulsione.[16] .14 Il controllo giurisdizionale peraltro configurato in modo tale da avvenire posteriormente allesecuzione del provvedimento e non implica quindi effetti sospensivi, a differenza della previsione convenzionale. Analogamente, Llordinamento interno non contempla ipotesi di compensation in caso di annullamento dellespulsione; il diritto al reingresso, sebbene non specificamente contemplato, appare una necessaria conseguenza delleventuale annullamento del provvedimento espulsivo.

Riguardo al diritto del migrante di ricevere la comunicazione dellespulsione in una lingua a lui conosciuta, se vero che lordinamento italiano non collima formalmente con questa previsione, occorre tuttavia considerare un filone giurisprudenziale che sembra attenuare la difformit prospettata. La disciplina interna risulta invero integrata dalla giurisprudenza costituzionale, secondo cui la piena comprensione della misura di espulsione considerata circostanza indefettibile, ai fini della legalit della procedura (Corte Costituzionale 22 giugno 2000, n. 227). La Corte ha ritenuto infondata la questione di legittimit costituzionale dellart. 13, comma 7 t.u., sollevata con riguardo allart. 24 della Costituzione italiana., nella parte in cui non prevede la rimessione in termini dellinteressato ai fini dellimpugnazione del provvedimento di espulsione o la proroga del termine stesso (stabilito in cinque giorni dalla comunicazione del decreto) qualora il decreto di espulsione, non tradotto nella lingua madre dellinteressato, non sia stato da questi adeguatamente compreso. Secondo la Corte, poich il sistema legislativo costruito sulla garanzia della piena conoscibilit del contenuto del provvedimento di espulsione (che, si noti, garanzia necessaria ai fini delleffettivo godimento del diritto alla tutela giurisdizionale ai sensi dellart. 24 Cost. e di numerosi accordi internazionali cui lItalia ha aderito),[17]15 qualora tale requisito non sussista, il giudice, facendo uso dei suoi poteri interpretativi dei principi fondamentali dellordinamento, dovr trarne una regola in armonia con lesigenza di non vanificare il diritto fondamentale in questione. In particolare, la Corte ha suggerito di fare ricorso alla giurisprudenza di merito, la quale per lipotesi in esame e sempre che la comunicazione dellatto non abbia comunque raggiunto lo scopo sancisce linefficacia del provvedimento non tradotto in lingua comprensibile e la sua inidoneit a far decorrere il termine per il ricorso. Si rammenti che, ai sensi dellart. 13, comma 8, il decreto di espulsione comunicato allinteressato unitamente allindicazione delle modalit di impugnazione e ad una traduzione in una lingua da lui conosciuta, ovvero, ove non sia possibile, in lingua francese, inglese o spagnola.

Il ricorso contro lespulsione sottoscritto personalmente dinanzi allautorit diplomatica o consolare italiana del paese di destinazione, che ne cura linoltro allautorit giudiziaria. Lo straniero pu scegliere un avvocato di fiducia con procura speciale rilasciata davanti allautorit consolare; ammesso al gratuito patrocinio e, se sprovvisto di difensore, assistito da un difensore designato dal giudice e, se necessario, da un interprete (art. 13, comma 8). dubbio per se, in siffatte circostanze, i diritti essenziali della difesa possano essere rispettati appieno. Lo straniero non ha contatti diretti col difensore, il quale non conosce la sua situazione personale e dunque non in grado di verificare se rientra in una delle situazioni tutelate dagli articoli 3 e 8 della CEDU o se lo straniero versi nella situazione prevista dallart. 19 t.u.

In ultima analisi, mentre la disciplina del t.u. non presenta particolari punti di frizione con gli obblighi di cui lo Stato gi destinatario in materia di espulsione dello straniero legalmente presente nel territorio (v. ad esempio lart. 13 del Patto sui diritti civili e politici), difformit si profilano tra la Convenzione ONU e la medesima disciplina riguardo allassenza di un effetto sospensivo dellimpugnazione del provvedimento di espulsione e al diritto alla compensation in caso di annullamento del provvedimento stesso. In senso opposto si pu argomentare per quel che concerne i costi di espulsione nei casi in cui lautorit di polizia non li ponga a carico dellimmigrato clandestino. Diversa invece la condizione dellimmigrato entrato in Italia con il permesso legato al contratto di soggiorno: in questo caso, la riforma Bossi-Fini ha previsto una sorta di garanzia fideiussoria del datore di lavoro qualora il migrante non disponga delle risorse necessarie.

 

Le condizioni di lavoro, la protezione sociale e la materia sindacale.

Tre Talune norme della Convenzione ONU concernono le condizioni di lavoro (art. 25), la protezione sociale (art. 27), lassistenza medica (art. 28) e i diritti sindacali del lavoratore migrante (art. 26). Nel complesso, il testo dellaccordo ruota intorno al principio della parit di trattamento con i cittadini dello Stato contraente di impiego, sia in tema di retribuzione e altre condizioni di lavoro (quali orario di lavoro, straordinari, riposo settimanale, ecc.), sia in tema di sicurezza sociale, ( purch il migrante osservi le prescrizioni imposte dal diritto locale). Detto principio inderogabile con atto di autonomia privata. Riguardo allassistenza medica la Convenzione adotta un approccio abbastanza restrittivo limitandola alle cure urgenti per la preservazione della vita dellinteressato, che debbono essere prestate anche nei confronti dei migranti irregolari. La libert sindacale e la protezione dei diritti sindacali del migrante sono attribuiti dal testo in modo ampio, ammettendosi deroghe conformi al principio di legalit e quelle necessarie in una societ democratica per la protezione della sicurezza nazionale, dellordine pubblico e dei diritti e delle libert di altre classi sociali.

Il t.u. stabilisce, allart. 2, par. 3, il principio della parit di trattamento con i cittadini italiani in materia di condizioni di lavoro dei migranti regolarmente soggiornanti e ai loro familiari. Non sarebbero tuttavia comunque tollerabili dallordinamento interno condizioni sfavorevoli, n tanto meno di sfruttamento, dei migranti irregolari. Potrebbero ricevere applicazione, in tali casi, le disposizioni improntate al principio della parit di trattamento contenute in accordi internazionali che hanno ricevuto esecuzione. Si pensi allart. 2, par. 2, del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali in connessione con i successivi articoli 7 (condizioni di lavoro), 8 (diritti sindacali) e 9 (sicurezza sociale). vero anche per che si pu dubitare delleffettivit del godimento dei diritti in questione da parte del migrante che si trovi in Italia in condizione di irregolarit:. Invero, la possibilit di fruire in concreto della parit di trattamento circa le condizioni di lavoro, la protezione sociale e la materia sindacale appare fortemente condizionata dalla condizione di clandestinit in cui versa limmigrato.

In termini assai pi protettivi si pronuncia il t.u. del 1998 sullimmigrazione riguardo alla tutela sanitaria dellimmigrato. Anzi, esso appresta una tutela maggiore rispetto alla Convenzione ONU, nonostante che nel t.u. il trattamento dello straniero immigrato si differenzi in ragione della regolarit o meno della sua presenza nel territorio statale. Allo straniero che sia entrato nello Stato in violazione della disciplina sullimmigrazione lordinamento riconosce solo il diritto essenziale alla salute. Invero, gli sono assicurate, ai sensi dellart. 35, par. 3, t.u., le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorch continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. La stessa disposizione indica, con elencazione non tassativa, le prestazioni sanitarie che lo Stato garantisce, le quali sembrano superare lo standard minimo previsto dalla Convenzione ONU, tanto pi se si considera che tali prestazioni possono assumere anche carattere di gratuit qualora i richiedenti siano privi di risorse economiche sufficienti, fatte salve le quote di partecipazione alla spesa a parit con i cittadini italiani (art. 36, par. 4).

Il diritto alla salute, seppure nei limiti indicati dalle disposizioni appena menzionate, non appare neppure soggetto a condizione di reciprocit nellordinamento interno. Vero che tale condizione stata abrogata unicamente con riguardo allo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato (art. 2, par. 2). Tuttavia, sia la formulazione delle disposizioni menzionate, che sono redatte in termini assoluti tali cio da riflettere lesistenza di un autonomo interesse dello Stato a garantire il diritto alla salute anche per contenere o evitare conseguenze negative per la salute pubblica , sia levidente difficolt delle strutture sanitarie di procedere allaccertamento della condizione di reciprocit prima di praticare il trattamento medico, sia soprattutto la considerazione che il diritto alla salute assume carattere preminente quando in gioco la salvaguardia della vita umana, inducono a ritenere detta condizione di ardua applicazione in queste circostanze. Va inoltre sottolineato che laccesso alle strutture sanitarie da parte degli immigrati irregolari agevolato dalla circostanza che lintervento medico non comporta alcun tipo di segnalazione allautorit, salvo il caso in cui sia obbligatorio il referto, a parit di condizioni con il cittadino italiano (art. 36, par. 5).

A differenza della Convenzione ONU che contempla, come si visto, il diritto del migrante unicamente allassistenza medica urgente per la preservazione della vita, lart. 34 t.u. profila una tutela sanitaria pi estesa poich obbliga il lavoratore regolarmente presente nello Stato (subordinato, autonomo o iscritto nelle liste di collocamento, nonch ai loro familiari a carico) ad iscriversi al Servizio sanitario nazionale con parit di trattamento e con piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene allobbligo contributivo, allassistenza erogata in Italia dal Servizio medesimo.

 

Il diritto alla nazionalit dei figli dei lavoratori, allistruzione, allidentit culturale, al trasferimento dei beni personali.

I diritti allistruzione scolastica dei figli dei lavoratori migranti su base di eguaglianza con i cittadini dello Stato di impiego, da accordarsi anche in caso di lavoratore irregolare (art. 30), allidentit culturale dei migranti, implicante il mantenimento di legami culturali con lo Stato di origine e ladozione di misure appropriate da parte dello Stato di impiego (art. 31), nonch il diritto di trasferire risparmi e beni nello Stato di origine (art. 32) non sembrano porre particolari problemi di adeguamento nellordinamento interno, qualora la Convenzione divenisse efficace per lItalia.

La legislazione italiana dispone gi di strumenti che appaiono piuttosto avanzati circa il riconoscimento dei menzionati diritti. Basti rammentare che lart. 38 t.u. impone lobbligo scolastico ai minori stranieri presenti sul territorio, con una formulazione chiaramente comprendente i figli di immigrati non in regola con i requisiti sullingresso e sul permesso di soggiorno; e che, relativamente allaccesso allistruzione universitaria, in un settore non contemplato dalla Convenzione ONU, in principio ҏ assicurata la parit di trattamento tra lo straniero e il cittadino italiano (art. 39, par. 1); con una norma complementare (posta nellart. 39, par. 5 a favore dei lavoratori subordinati e autonomi) prevista, tra laltro, la possibilit di erogazione di borse di studio, sussidi e premi agli studenti stranieri e il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti allestero (art. 39, par. 3, lettere c,) e f).

Riguardo poi al rispetto dellidentit culturale del migrante, va sottolineato che, ai sensi dellart. 38, par. 3, t.u., compito della comunit scolastica accogliere le differenze linguistiche e culturali come valore da portare a fondamento del rispetto reciproco, dello scambio tra culture e della tolleranza; a tale fine promuove e favorisce iniziative volte allaccoglienza, alla tutela della cultura e della lingua dorigine e alla realizzazione di attivit interculturali comuni; e che spetta alle Regioni, anche attraverso gli enti locali, promuovere programmi culturali per i diversi gruppi nazionali (art. 38, par. 6). Infine, non consta che sussistano impedimenti al trasferimento di risparmi e beni del migrante nel suo Paese dorigine. Incidentalmente, va ricordato che la materia della circolazione di capitali verso Stati extra-comunitari ormai di piena competenza comunitaria, e che la possibilit di apportare restrizioni ai trasferimenti di capitali verso Paesi terzi, pur in astratto possibile ad opera delle istituzioni, appare improbabile perch difficilmente conciliabile con lobiettivo politico, ormai consolidatosi, di creare una moneta unica in grado di svolgere un ruolo preminente nelle relazioni finanziarie internazionali.

Se nuovamente lart. 29 della Convenzione ONU non dovrebbe porre difficolt nella parte in cui dispone il diritto del bambino del migrante ad avere un nome e alla registrazione della nascita, pi problematica potrebbe rivelarsi, a certe condizioni, lattuazione della medesima disposizione nel punto in cui stabilisce il diritto alla cittadinanza del bambino del lavoratore migrante. Piuttosto che configurare un obbligo assoluto, in capo allo Stato di impiego, di attribuire la cittadinanza al minore, la norma potrebbe ragionevolmente intendersi nel senso che un simile obbligo sorga in via sussidiaria per contrastare i fenomeni di apolidia: in particolare, allorch lordinamento dello Stato dorigine del migrante non attribuisca lo status civitatis al figlio appunto perch nato allestero. In questa prospettiva, non occorrerebbe apportare modifiche di grande rilievo allordinamento interno: lart. 1, comma 1, lett. b), della legge n. 91 del 1992 (recante la normativa sulla cittadinanza) utilizza, a titolo residuale, il criterio del ius soli per attribuire la cittadinanza italiana al figlio di genitori stranieri qualora il bambino non riceva la nazionalit da parte degli Stati di appartenenza di uno o di entrambi i genitori.

 

I diritti addizionali spettanti ai lavoratori documented or in a regular situation

Come accennato, la Convenzione (cfr. art. 36) integra lo status dei lavoratori , per cos dire, regolari (e dei loro familiari) con un nutrito insieme di diritti aggiuntivi a quelli, sopra considerati e posti nella parte III, spettanti anche ai migranti non-documented. I diritti di natura addizionale si prestano ad essere diversamente classificati in relazione alloggetto.

Il principio di non discriminazione nelle condizioni di impiego, i diritti sindacali e altre libert spettanti al migrante.

Un primo gruppo di norme concerne le condizioni di impiego e la materia sindacale. Un posto centrale riservato al diritto del migrante regolare di ricevere condizioni di lavoro e di vita in posizione di eguaglianza con i cittadini locali e, comunque, in linea con gli standard minimi di sicurezza, di salute e con i principi della dignit umana. Gli Stati contraenti debbono assumere, ai sensi dellex art. 70, le appropriate misure per realizzare tale obiettivo. Complementari a questa finalit appaiono il diritto del migrante di svolgere unattivit remunerata alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato di impiego (art. 55) e lobbligo, imposto agli Stati contraenti, di accordare agli immigrati un trattamento non meno favorevole di quello spettante ai cittadini rispetto alla protezione contro i licenziamenti, ai benefici a favore dei disoccupati, alle misure pubbliche avverso la disoccupazione, allaccesso a pubblici impieghi alternativi in caso di perdita o cessazione dellattivit lavorativa (art. 54).

Occorre poi ricordare che il testo convenzionale contempla: lobbligo degli Stati contraenti di consentire assenze temporanee dal territorio senza pregiudizio dellautorizzazione al soggiorno o al lavoro (art. 38); la libert di movimento del migrante sul territorio dello Stato di impiego e di scelta del luogo di residenza, fatte salve limitate eccezioni (art. 39); il diritto di costituire associazioni sindacali (art. 40); il diritto di scegliersi il lavoro subordinato, che pu essere peraltro soggetto a determinate condizioni o restrizioni ad opera dello Stato di impiego (art. 52).

In proposito, si pu anzitutto osservare che varie Convenzioni OIL pongono obblighi analoghi a quelli appena sinteticamente richiamati: si pensi, a titolo esemplificativo, alla Convenzione n. 143 (1975) che stabilisce una fondamentale norma di principio sulla eguaglianza con i cittadini de chances et de traitment in materia di impiego, di sicurezza sociale, dei diritti sindacali e culturali e delle libert individuali e collettive a favore dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie che si trovano legalmente sul territorio di uno Stato contraente; alla Convenzione OIL n. 87 del 1948 sulla libert sindacale e sulla protezione dei diritti sindacali, ( che pone agli Stati contraenti lobbligo di conferire senza alcuna distinzione ai lavoratori -(e ai datori di lavoro-) il diritto di costituire, senza necessit di autorizzazione preventiva, organizzazioni proprie e di iscriversi ad unorganizzazione di propria scelta alle sole condizioni stabilite dai rispettivi statuti; alla Convenzione OIL n. 118 del 1962 sulle norme minime sulla sicurezza sociale, che obbliga gli Stati contraenti ad accordare ai cittadini degli altri Stati contraenti lo stesso trattamento spettante per legge ai propri cittadini.

Nellordinamento italiano garantita al lavoratore immigrato regolare e ai suoi familiari parit di trattamento e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani dallart. 2, par. 3 t.u. Il diritto a ricevere un trattamento non meno favorevole di quello riservato al cittadino concerne anche i diritti sindacali. Un principio di equiparazione, con riguardo al godimento dei diritti civili da parte dello straniero regolarmente soggiornante nello Stato, ragionevolmente desumibile anche dallart. 2, par. 2, t.u., di per s considerato, il quale pur facendo salve eventuali disposizioni diverse contenute in convenzioni internazionali o in specifiche disposizioni del t.u. stabilisce che lo straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano; nonch dallart. 2, par. 5 t.u., a norma del quale (a)llo straniero riconosciuta parit di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nellaccesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti dalla legge.

In proposito, utile sottolineare che lart. 43 t.u., nel reprimere qualunque forma di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, colpisce anche gli atti pregiudizievoli compiuti dal datore di lavoro. La disposizione completata dallart. 44 che contempla una speciale azione civile contro la discriminazione alla quale sono legittimati, a certe condizioni, anche le rappresentanze locali delle associazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale (art. 44, par. 10).

Il t.u. riafferma valori normativi gi presenti nellordinamento per effetto dei meccanismi di adattamento del diritto interno ad alcuni trattati internazionali e ad obblighi comunitari. Si pensi allart. 2, par. 2 (principio della parit di trattamento) del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali in connessione con i successivi articoli 7 (condizioni di lavoro), 8 (diritti sindacali) e 9 (sicurezza sociale), che potrebbero essere lettei, in chiave costituzionale, congiuntamente al principio di eguaglianza, al fine di ricostruire un diritto fondamentale incentrato sulla non discriminazione tra il cittadino italiano e lo straniero. Va inoltre ricordato che a Tampere nel 1999 il Consiglio europeo ha fissato come obiettivo politico dellUnione europea la parit di trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri, cui dovr affiancarsi una politica di integrazione che garantisca agli extracomunitari diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dellUnione ed eviti qualunque forma di discriminazione economica, sociale e culturale.

Riguardo alla libert del migrante, prevista dalla Convenzione, di scegliersi il lavoro subordinato lordinamento italiano configura almeno due limitazioni. Si allude, anzitutto, alla nuova figura del contratto di soggiorno (art. 5 bis t.u.), istituito con la riforma del 2002, il quale ha ancorato il permesso di soggiorno per motivo di lavoro alla stipula del contratto di soggiorno per lavoro subordinato; e, in secondo luogo, alleccezione del pubblico impiego. Invero, lart. 9, par. 4 lett. b) consente allo straniero titolare della carta di soggiorno (riservata in principio a coloro che siano regolarmente soggiornanti da almeno sei anni) di svolgere nel territorio dello Stato ogni attivit lecita, salvo quelle che la legge espressamente vieta allo straniero o comunque riserva al cittadino. Questa norma interpretata, nella prassi applicativa, nel senso di una generalizzata esclusione dello straniero dallaccesso al pubblico impiego. Ci si porrebbe in armonia con lart. 52 della Convenzione ONU solo se leccezione alla regola della libert di scelta del lavoro, prevista al par. 2 che consente restrizioni allaccesso a limitate categorie di impiego, funzioni, servizi o attivit se necessarie nellinteresse dello Stato e conformi alla legge fosse intesa in senso estensivo.

La protezione del migrante in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro e da misure di espulsione.

Complementari a quelle appena menzionate sono le norme convenzionali che contemplano il diritto dellimmigrato a non essere considerato irregolare e a non vedersi revocata lautorizzazione a restare sul territorio in caso di cessazione anticipata del rapporto di lavoro, salvo che lautorizzazione sia stata concessa specificamente per un determinato rapporto (art. 51); e il diritto a non essere espulso se non in conformit a quanto stabilito a favore dei migranti undocumented, che comporta in capo agli Stati contraenti, da un lato, lobbligo di non utilizzare surrettiziamente la misura di allontanamento al fine di privare il migrante del permesso in passato ottenuto regolarmente e, dallaltro, linvito a tenere conto, prima di procedere allespulsione, di considerazioni umanitarie e del tempo gi trascorso nello Stato da parte del migrante e della sua famiglia (art. 56).

Se si guarda alla disposizione di maggiore interesse contenuta nellart. 51 della Convenzione, va osservato che il testo unico del 1998 sembra informarsi ai medesimi principi. Invero, lart. 5, par. 5, fa salvo lart. 22, comma 11, che nella nuova versione (modificata dalla legge n. 189/2002) prevede che la perdita del posto di lavoro non comporta la revoca del permesso di soggiorno. Il lavoratore straniero pu essere iscritto nelle liste di collocamento per la durata residua del permesso di soggiorno e comunque per un periodo non inferiore a sei mesi.

I diritti del migrante al trasferimento di beni nello Stato di origine e di fruire di taluni benefici fiscali.

In termini protettivi si pongono altres le norme della Convenzione che ribadiscono il diritto di trasferire guadagni e beni nello Stato di origine (art. 47) e, soprattutto, intendono attribuire certi privilegi fiscali al lavoratore migrante. Invero, sia lo Stato di origine, (o di abituale residenza), sia lo Stato di impiego dovrebbero concedergli esenzione dai dazi doganali e dalla tassazione al momento della partenza e nello Stato di accoglienza, nonch al ritorno (art. 46). Inoltre lo Stato di impiego seppure compatibilmente con i suoi obblighi internazionali in materia di doppia tassazione dovrebbe praticare imposte sui redditi non meno favorevoli a quelle riservate ai propri cittadini in circostanze simili e, sempre in conformit al principio della parit di trattamento, consentire ai migranti e ai loro familiari deduzioni o esenzioni dalle tasse (art. 48). A quel che consta, lunica disposizione che sembra comportare una modifica dellordinamento interno lart. 47, essendo le altre due prescrizioni gi implicitamente accolte dalla legislazione in materia.

I diritti politici del migrante.

Altre disposizioni riguardano i diritti politici del migrante. Tra questi si annoverano il diritto di partecipare alla vita pubblica e lelettorato attivo e passivo nello Stato di origine (art. 41). Al contrario, circa il godimento dei diritti politici nello Stato di impiego, laccordo non sembra porre obblighi in capo agli Stati contraenti. Si limita infatti a stabilire che i lavoratori migranti fruiscono di quei diritti solo se lo Stato di impiego, nellesercizio della sua sovranit, li contempli (art. 42, par. 3). In modo non molto dissimile prospettata la partecipazione ad apposite istituzioni pubbliche dello Stato di impiego che si occupino dei problemi dei migranti, dato che la relativa norma configurata in termini esortativi (art. 42, par. 1). Maggiormente stringente potrebbe apparire invece la disposizione sulla partecipazione del migrante alle elezioni amministrative locali, la quale, nel sollecitare lo Stato di impiego a facilitarla in conformit alla propria legislazione (art. 42, par. 1), si presta ad essere interpretata nel senso dellattribuzione al migrante di un corrispondente diritto. Sotto questultimo profilo, la Convenzione ONU prospetta un avanzamento della condizione del migrante rispetto al Patto sui diritti civili e politici del 1966, il quale, allart. 25, riserva il godimento dei diritti politici esclusivamente ai cittadini dello Stato. Nellordinamento italiano, lart. 2, par. 4 t.u. (Lo straniero regolarmente soggiornante partecipa alla vita pubblica locale) e lart. 9, par. 4, lett. d (il titolare della carta di soggiorno pu partecipare alla vita pubblica locale, esercitando anche lelettorato quando previsto dallordinamento ) avrebbero dovuto preparare il terreno per una partecipazione effettiva dello straniero alle elezioni amministrative. Queste disposizioni peraltro non hanno per il momento ricevuto attuazione.[18]

La protezione sociale.

Occorre poi ricordare le molteplici disposizioni relative alla protezione sociale del migrante e dei suoi familiari, tra le quali a titolo esemplificativo si possono ricordare i diritti, a parit di condizioni con i cittadini dello Stato di impiego, concernenti laccesso al sistema educativo locale, alla formazione professionale, ai programmi di abitazione pubblica, ai servizi sociali e sanitari, alla partecipazione alla vita culturale (artt. 43 e 45); e il diritto dei familiari che fruiscono di un permesso a tempo indeterminato o rinnovabile di scegliersi e svolgere unattivit lavorativa (art. 53). In proposito, pu ricordarsi, in estrema sintesi, che in linea generale il testo unico del 1998 si informa al principio dellequiparazione dello straniero regolarmente soggiornante in Italia in materia di istruzione e diritto allo studio e alla professione (art. 37 ss.) e in materia di alloggio e assistenza sociale (art. 41), oltre a predisporre misure specifiche sullintegrazione sociale e culturale dello straniero (art. 42).

I diritti della sfera familiare.

Vi sono infine norme relative ai diritti della famiglia del lavoratore migrante, come il diritto allunit familiare (art. 44) e lesortazione allo Stato di impiego a considerare, in caso di decesso del migrante o di suo divorzio, la possibilit di concedere il permesso di restare ai membri della sua famiglia (art. 50). Valore giuridico vincolante possiede solo la prima disposizione; al diritto al ricongiungimento familiare, come previsto dalla legislazione ordinaria, si gi fatto cenno in precedenza.[19].16

 

Gli obblighi di condotta e di cooperazione imposti agli Stati membri al fine di promuovere la condizione dei lavoratori migranti.

La Convenzione, oltre a delineare lo status del migrante, comprende numerosi obblighi di condotta e di cooperazione imposti agli Stati membri al fine di migliorare le condizioni dei lavoratori migranti (e delle loro famiglie) e di renderle come recita la rubrica della parte VI giuste, eque, umane e conformi alla legge (parte VI, artt. 64-71).

Si possono ricordare, in proposito, gli obblighi di consultazione e cooperazione, che assumono carattere generale (art. 64) e specifico in tema di ritorno dei migranti nello Stato di origine (art. 67) e di contrasto dei flussi di immigrazione clandestina (art. 68, par. 1), cui si aggiunge il dovere, imposto agli Stati, di assumere all adequate and effective measures, comprensive di sanzioni ai datori di lavoro, per eliminare limpiego di lavoratori irregolari (art. 68, par. 2) ed evitare il perdurare di tali situazioni (art. 69, par. 1).

Vi poi lobbligo di predisporre uffici che si occupino della condizione del lavoratore migrante e dei suoi familiari, della formulazione e attuazione delle relative politiche, degli scambi di informazioni nel quadro delle forme di cooperazione con altri Stati contraenti, della diffusione delle informazioni sulle politiche e le normative che regolano limmigrazione e le questioni correlate (art. 65).

La Convenzione, infine, esprime una certa diffidenza verso forme di intermediazione privata nei rapporti tra il migrante che si trova nel suo Paese dorigine e il datore di lavoro dello Stato di impiego. Invero, il reclutamento in Stati stranieri di manodopera appare sostanzialmente circoscritto ai servizi pubblici e a quelli stabiliti in base ad accordi bilaterali appositamente stipulati. Lapertura nel reclutamento ad uffici di diversa natura ammessa solo previa autorizzazione statale (art. 66).

 

Osservazioni conclusive

In via conclusiva, sembra opportunogiova soffermarsi sui principi ispiratori della Convenzione del 1990 allo scopo di confrontarli con quelli che informano il diritto internoaliano in materia di condizione giuridica del lavoratore migrante, con lobiettivo di verificare le possibili contiguit e difformit tra i modelli normativi concernenti il trattamento dello straniero migrante.

La Convenzione si evidentemente posta nella prospettiva di considerare la materia del trattamento dei lavoratori migranti quale questione riguardante essenzialmente la salvaguardia dei diritti delluomo, piuttosto che la regolamentazione di una particolare categoria di rapporti di lavoro o di una particolare categoria sociale. Ci appare chiaramente dal preambolo (supra, par. 1), oltre che dalla sua portata normativa (supra, parr. 2 ss.). Sembra inoltre che la Convenzione abbia inteso valorizzare la posizione e lo status del lavoratore migrante in considerazione della sua diversit, senza perseguire in tutti i settori lequiparazione della condizione del migrante a quella del cittadino dello Stato di impiego (che peraltro imposta sotto alcuni profili, come in tema di retribuzione, di sicurezza sociale, ecc.). Sembra quasi che il lavoratore migrante sia considerato non come un soggetto progressivamente e inevitabilmente mirante al godimento dei diritti assicurati al cittadino dello Stato di impiego, bens come un individuo che debba fruire di determinati diritti peculiari alla diversit della sua condizione, reputati indispensabili per proteggere la sua duplice (ma indissolubile) condizione di lavoratore e di essere umano. In effetti, si potuto constatare che la condizione del lavoratore migrante, definita nella disciplina convenzionale, non tende sempre e ad essere equiparata allo status del cittadino.

Se si guarda invece al modo dessere dellordinamento interno, intendendo con esso non solo il testo unico sullimmigrazione, ma anche linsieme delle norme internazionali e costituzionali, non sembra irragionevole sostenere che lordinamento italiano, almeno in linea di principio, gi si conformi al modello che ispira la Convenzione. sufficiente rammentare che, -ai sensi dellart. 2, par. 1, t.u.-, (gi richiamato) Aallo straniero comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato sono riconosciuti i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. Ovviamente differenze su punti specifici permangono e leventuale adesione richiederebbe, in assenza di riserve, una revisione della legislazione italiana. Non intendo prospettare una visione eccessivamente ottimistica di questultima. Mi sembra tuttavia che non sia configurabile una divaricazione di fondo tra il modello di tutela del lavoratore migrante adottato in sede convenzionale e la concezione dellimmigrato lavoratore contenuta nellattuale modo dessere dellordinamento italiano, anche sotto il delicato profilo qui richiamato a titolo esemplificativo dei diritti politici del migrante (supra par. 9).

In definitiva, la Convenzione ONU non sembra possedere una radicale portata innovativa rispetto al diritto internazionale esistente e al diritto interno in materia di immigrazione. Per certi versi, infatti, appare una sorta di restatement di norme, di origine consuetudinaria o derivanti da accordo, gi in vigore nellordinamento internazionale in materia di diritti fondamentali dellessere umano, che a loro volta non regolano in modo specifico la condizione dei lavoratori migranti e concernono invece, pi in generale, le persone straniere di altre classi sociali, sebbene da quelle stesse norme traggano ovviamente beneficio anche i migranti. Si allude alle disposizioni -(quella generale, contenuta nellart. 7, e quelle specifiche previste, ad esempio, dagli articoli 25 e 27-) che si informano al principio di non discriminazione, nonch alla parte III che sancisce diritti e libert fondamentali che debbono essere attribuiti, rectius riconosciuti, ai lavoratori migranti (e loro familiari,) anche se irregolari o clandestini. La Convenzione riflette il contenuto di note disposizioni contenute nei Patti del 1966 e spesso riproduce quanto gi stabilito in varie convenzioni concluse nel quadro dellOIL.;[20]17 tolte alcune righe (si ricordino, a titolo esemplificativo, la n. 143 del 1975 il cui art. 1 impone agli Stati contraenti di respecter le droits fondamentaux de lhomme de tous les travailleurs migrants e le n. 29 (1930) e n. 105 (1957) in tema di lavoro forzato); senza contare che, nellordinamento italiano, lart. 2, par. 1 del Testo unico n. 286 del 1998 sullimmigrazione e sulla condizione dello straniero riconosce in generale al non cittadino, e quindi anche al lavoratore migrante, comunque presente alla frontiera o nel territorio dello Stato i diritti fondamentali della persona umana previsti dalle norme di diritto interno, dalle convenzioni internazionali in vigore e dai principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti. (gi detto a p. 24)

In tale ambito, ilIl testo convenzionale non avrebbe un impatto apprezzabile negli Stati che rispettino concretamente le norme internazionali (e le corrispondenti disposizioni interne di adattamento), limitandosi piuttosto ad offrire agli operatori un utile quadro normativo di riferimento, organico e sistematico, dei diritti fondamentali dei migranti. Entro questi termini, potrebbe anche non essere completamente condivisibile il preambolo della Convenzione nel punto in cui asserisce la scarsit degli strumenti internazionali a tutela dei lavoratori migranti. vero tuttavia che la codificazione di taluni principi basilari in un testo specificamente dedicato ai migranti, mezzo idoneo ad assicurarne la diffusione e la divulgazione. In ci pu probabilmente ravvisarsi, per alcuni versi, una delle finalit primarie della Convenzione.[21]

In altre parti, tuttavia, la Convenzione intende imporre agli Stati contraenti obblighi nuovi, che solo in limitatissime fattispecie si rivelano significativamente protettive del lavoratore migrante regolare (si allude, ad esempio, a taluni benefici fiscali, alla partecipazione ad elezioni amministrative nello Stato di impiego, alla estensione del concetto di familiare che include le relazioni idonee a produrre effetti equivalenti al matrimonio s che il diritto al ricongiungimento dovrebbe spettare anche agli individui parti dei rapporti quasi familiari che presentino unaffectio coniugalis stabile e durevole). Considerata la limitatezza del favor che ne segue, verosimilmente giustificato dalla vulnerabilit che caratterizza la condizione del migrante e dal rafforzamento delle prospettive di integrazione nel contesto di una nuova societ, non sembrano comprensibili da un punto di vista strettamente giuridico le preoccupazioni degli Stati che accolgono i flussi di immigrati; tanto pi che essi potrebbero decidere di aderire alla Convenzione utilizzando cum grano salis lo strumento della riserva.[22].18

Sotto questi profili - ( non molti, in verit-) la Convenzione richiederebbe, in assenza di riserve, una revisione della legislazione italiana e, in particolare, del Testo unico del 1998 in senso pi favorevole al migrante, (anche se non mancano ipotesi in cui lordinamento interno appresta, almeno formalmente, un tutela pi accentuata di quella convenzionale: il caso, ad esempio, del diritto allassistenza medica degli immigrati regolari e irregolari). Accanto a questo ostacolo alladesione alla Convenzione, se ne profila un secondo. Il testo convenzionale concerne infatti una materia che, in seguito alle modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam al pilastro comunitario, in parte di competenza della Comunit a norma dellart. 63, par. 3, Trattato Ce, disposizione che come noto ha attribuito al Consiglio inter alia il potere di adottare misure in materia di politica dellimmigrazione riguardanti le condizioni di ingresso e di soggiorno di cittadini di Paesi terzi, compresi quelli per il ricongiungimento familiare, e in materia di immigrazione e soggiorno irregolari.[23] I settori di competenza attribuita, solo in minima parte gi esercitati dalla Comunit, sono senzaltro di natura condivisa, ma ci non comporta automaticamente che gli Stati possano assumere unilateralmente obblighi sul piano internazionale, dato che lattribuzione di nuove, ( seppur circoscritte,) competenze alla Comunit sul piano interno, implica parallelamente, in base ai principi che informano il sistema comunitario, il potere di concludere accordi internazionali con Stati terzi da parte della Comunit. Non ovviamente possibile approfondire questo punto. Pu soltanto sottolinearsi la probabilit che la Convenzione ONU costituisca una classica ipotesi di accordo misto, alla cui adesione dovrebbero quindi partecipare insieme Comunit e Stati membri. La circostanza che la Convenzione sia aperta alla firma e alla partecipazione soltanto di entit statuali (art. 86) non costituirebbe comunque un ostacolo insormontabile. In circostanze analoghe, la Comunit ha surrettiziamente aderito ad accordi internazionali con apposita autorizzazione conferita agli Stati membri per i settori di sua competenza.[24]

 

Se vero che gli ostacoli giuridici alladesione appaiono tecnicamente non insuperabili, ci si pu interrogare sui motivi per cui la Convenzione registra il sostanziale disinteresse dei tradizionali Paesi di ricezione dei flussi migratori. Si potrebbe prospettare che i problemi alladesione risiedano in ragioni di politica del diritto. possibile che uno strumento convenzionale, fondato sullattribuzione di diritti fondamentali allimmigrato non-documented e a quello regolare, mal si concili con gli orientamenti politici prevalenti in Europa. In particolare, una concezione matura dellimmigrazione, che considera il migrante e i suoi familiari soggetti cui occorra riconoscere determinati diritti essenziali nella consapevolezza che il right based liberalism implichi inevitabilmente che determinati diritti civili e sociali, da ascriversi universalmente a tutti gli individui in quanto persone, siano da riconoscere anche al migrante sia potrebbe apparire una prospettiva avente undi scarso fascino relativamente scarso. Alcuni Paesi europei vorrebbero infatti soltanto controllare lafflusso degli stranieri e desidererebbero proporsi non come luoghi di immigrazione, bens di soggiorno, ancorch prolungato, al termine del quale dovrebbe essere favorito il rientro nei Paesi dorigine.

Tuttavia, sempre sul piano politico-legislativo, sarebbe opportuno non trascurare i vantaggi che i Paesi di immigrazione potrebbero ricevere dalladesione alla Convenzione, vantaggi che sono racchiusi nelle disposizioni che pongono determinati vincoli in capo agli Stati di partenza dei flussi migratori. A parte lovvio riferimento agli obblighi di assistenza che devono fornire i Paesi di origine dei migranti e dei loro familiari allo scopo di consentirne il ritorno e il reinserimento (art. 67), si pensi allobbligo di facilitare la partecipazione alla vita pubblica del Paese dorigine (art. 41), ci che consentirebbe di mantenere un legame significativo con il medesimo in vista del rientro; al dovere di fornire adeguati servizi consolari per rispondere alle esigenze sociali, economiche e culturali dei migranti e dei loro familiari (art. 65, par. 2), ci che potrebbe alleviare i corrispondenti oneri del Paese di accoglienza. Si pensi ancora agli obblighi di consultazione e collaborazione allo scopo di prevenire ed eliminare la circolazione illegale e clandestina dei migranti (art. 68), obblighi che risultano estesi anche agli Stati di transito. Sotto questultimo profilo, va osservato che la disposizione permetterebbe di creare, su base consensuale, un vero e proprio vincolo, mentre attualmente gli Stati dellUnione perseguono lo stesso obiettivo cercando di persuadere i Paesi di origine e di transito dei flussi migratori tramite la politica della condizionalit, consistente nel subordinare la stipulazione di accordi commerciali al concreto impegno a contrastare limmigrazione clandestina. Si consideri poi che la politica della persuasione dispone di mezzi ridotti. In Italia lart. 1, paragrafi 2 e 3, della legge n. 189 del 30 luglio 2002 utilizza la leva dei programmi di cooperazione e di aiuto, e comunque esclude opportunamente quelli che realizzano interventi a scopo umanitario. NellUnione eEuropea, invece, vi una disponibilit ad utilizzare gli incentivi economici, mentre lorientamento opposto prevale allorch si affronta la questione degli aiuti allo sviluppo, i quali dovrebbero rimanere fermi anche nei confronti dei Paesi che non collaborino nelle repressione dellimmigrazione clandestina.[25] .19 E ci a prescindere dal fatto che laiuto allo sviluppo costituisca un impegno morale ovvero giuridicamente rilevante in punto di diritto internazionale generale.[26] Ladesione alla Convenzione permetterebbe almeno, attraverso specifiche clausole, di imporre agli Stati di origine e di transito la repressione del traffico clandestino dei migranti.

 

Prof. Avv. Roberto Baratta

Ordinario di diritto internazionale nellUniversit di Macerata


The paper deals with the impact that the International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of Their Families, adopted in 1990 by the General Assembly of the United Nations, might have on the Italian immigration law if Italy becomes a Party to the same Convention. The analysis compares the regimes both of the Convention and of the Italian system of law, provided that the latter, as is known, already incorporates some international conventions on the protection of workers and on the protection of human rights. On the whole, it seems reasonable to argue that the basic principles of the United Nation Convention on Migrant Workers and those which govern Italian immigration law do not show deep inconsistencies. In other words, although the comparison points out some differences among the two regimes, both of them aim at safeguarding the fundamental rights of migrant workers and of the member of their families. Consequently, the adhesion by Italy to the UN Convention would imply neither a radical change, nor too many innovations of Italian domestic law, particularly if the acceptance of the Convention will be joined, at an international level, by a cautious use of the instrument of reservations.



[1] Testo della relazione del Prof. Roberto Baratta al Convegno internazionale Migrazioni, diritti umani, sicurezza nazionale organizzato dalla Fondazione Scalabrini (Roma 28 novembre 2003, CNEL)

[2] Cfr. Lillich, The Human Rights of Aliens in Contemporary International Law, Manchester, 1984, p. 75; il testo della Convenzione riprodotto in Int. Legal Materials, 1991, p. 1517 ss.)

[3] 2 Cfr. United Nations, Press Release L/T/43/71,19.03.2003, in www.un.org

[4] 3 Economic and Social Council, doc. E/CN.4/2003/L.67

[5]4 In seguito richiamato con la dicitura t.u.

[6] 5 Non sar puntualmente esaminata la parte VII del testo - relativa al meccanismo di controllo,- che non direttamente inerente ai profili che qui interessano

[7] 6 International .Court of .J.ustice, Reports 1970, p. 32, par. 33.

[8] 7 Cfr., ad esempio, gli artt. 1, 2 e 7 della Dichiarazione universale dei diritti delluomo, cui pu essere attribuito almeno un valore interpretativo del diritto esistente e in particolare dei Patti del 1966; e gli artt. 3, 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.

[9] 8 Uno dei rischi che deriverebbero dalladesione alla Convenzione riguarda lesistenza di un presunto obbligo di consentire lingresso degli immigrati e, in ogni caso, di regolarizzare la posizione di quelli entrati in violazione dei requisiti previsti dalla legislazione interna: si tratta di timori gi emersi durante il lungo negoziato internazionale. Cfr Goodwin-Gill, Migration: International Law and Human Rights, in Managing Migration. Time for a New International Regime (a cura di Ghosh), Oxford, 2000, p. 179)

[10] 9 La prassi statunitense, britannica e francese sono decisamente orientate in tal senso.: cfr., rispettivamente, A Digest of International Law (a cura di Moore), vol. IV, Washington, 1906, p. 67 ss.; A British Digest of International Law, Part VI (a cura di Parry e Fitzmaurice), London, 1965, p. 9 ss.; Kiss, Rpertoire de la pratique franaise en matire de droit international public, tome II, Paris, 1966, pp. 53 e 242; in dottrina cfr. Plender, International Migration Law, Leiden, 1972, pp. 38 ss. e 136 ss. E, soprattutto, Calamia, Ammissione ed allontanamento degli stranieri, Milano, 1980, p. 19 ss., per una valutazione critica della prassi che conduce lautore a conclusioni che prospettano lesistenza di limiti a siffatto potere statale.

[11] Cfr. il sintetico quadro delineato da Doehring, Aliens, Admission, in Encyclopedia of Public International Law (diretto da Bernhardt), vol. 1, Amsterdam, London, New York, Tokyo, 1993, p. 107 ss.

[12] 10 Cfr. artt. 1, 2 e 7 della Dichiarazione universale dei diritti delluomo; artt. 3, 26 del Patto internazionale sui diritti civili e politici.

[13]11 E ci che avverebbe nellambito delle quote riservate, di cui allart. 21, comma 1 t.u., previsto dalla legge n. 189/2002, secondo cui nella determinazione dei flussi di ingresso possono essere previste quote riservate a favore dei lavoratori di origine italiana per parte di almeno uno dei genitori fino al terzo grado in linea retta di ascendenza che richiedano di essere inseriti in apposito elenco tenuto presso le rappresentanze diplomatiche o consolari.

[14]12 Sentenza 23 luglio 1974 n. 244, Obradovic, in Giurisprudenza. costituzionale. 1974, p. 2360 ss., a p. 2363; nonch, nella medesima direzione, lordinanza 10 dicembre 1987, n. 503, Sowyoto, ivi, 1987, p. 3317 ss., e la sentenza 21 novembre 1997, n. 353, in Riv. dir. int. priv. procRivista di diritto internazionale privato e processuale., 1998, p. 391 ss.

[15]13 Si pensi al nuovo istituto del contratto di soggiorno.

[16] 14 Ove lespulsione sia stata pronunciata dal Ministro dellinterno, il ricorso va invece presentato al TAR Lazio: art. 13, comma 11.

[17]15 Si noti, che garanzia necessaria ai fini delleffettivo godimento del diritto alla tutela giurisdizionale ai sensi dellart. 24 Cost. e di numerosi accordi internazionali cui lItalia ha aderito.

[18] E in corso di esame, in sede politico-legislativa, una proposta avanzata dalla Vicepresidenza del Consiglio dei ministri.

[19] 16 Vedi supra I diritti fondamentali dei lavoratori migranti (ancorch non-documented).

[20]17 Si ricordino, a titolo esemplificativo, la n. 143 del 1975 il cui art. 1 impone agli Stati contraenti di respecter les droits fondamentaux de lhomme de tous les travailleurs migrants e le n. 29 (1930) e n. 105 (1957) in tema di lavoro forzato

[21] Per un esame delle norme internazionali relative ai migranti ante Convenzione cfr. Leben, Le droit international et les migrations de travailleurs, in Socit Franaise pour le Droit International. Colloque de Clermont-Ferrand, Les travailleurs trangers et le droit international, Paris, 1979, p. 47 ss.

[22] 18 Il regime di apposizione delle riserve si informa, ai sensi dellart. 91, al tradizionale criterio della compatibilit con loggetto con e lo scopo della Convenzione.

[23] In argomento cfr. Nascimbene, LUnione europea e i diritti dei cittadini dei Paesi terzi, in Diritto dellUnione europea, 1998, p. 511 ss.

[24] Vedi, ad esempio, la recente autorizzazione del Consiglio agli Stati membri a firmare nellinteresse della Comunit la Convenzione dellAja del 1996 sulla protezione dei minori, in GUUE L 48 del 21 febbraio 2003, p. 1

[25] 19 Vedi i risultati del Consiglio europeo svoltosi a Siviglia il 21-22 giugno 2002.

[26] In questa seconda direzione cfr. Villani, Il diritto allo sviluppo: diritto umano e dei popoli, in Il sistema universale dei diritti umani allalba del XXI secolo, Atti del Convegno nazionale per la celebrazione del 50 Anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani Roma, 10/11 dicembre 1998, Roma, 1999, p. 99 ss.