(Sergio Briguglio 13/2/2005)
RISPOSTE AI QUESITI POSTI DAL LIBRO VERDE
SULL'APPROCCIO DELL'UNIONE EUROPEA ALLA GESTIONE DELLA MIGRAZIONE ECONOMICA
In
questa nota si tenta di dare risposta ai quesiti posti dal Libro verde, sulla
base dell'esperienza maturata, negli ultimi quindici anni, in relazione al
fenomeno dell'immigrazione per lavoro in Italia.
1.
A quale livello di armonizzazione dovrebbe mirare l'UE?
1)
Fino a che punto andrebbe sviluppata una politica europea in materia di
immigrazione per lavoro e quale dovrebbe essere il grado di intervento
comunitario in materia?
Un
intervento comunitario in materia di immigrazione per lavoro puo' avere oggi
due finalita'. La prima e' associata all'obiettivo di garantire, in una certa
misura, la liberta' di circolazione dei lavoratori stranieri gia' soggiornanti
in uno degli Stati membri. Se la circolazione
intracomunitaria di uno cittadino di uno Stato terzo, titolare di permesso di
soggiorno
viene percepita dagli Stati membri come una minaccia, si richiede l'imposizione
di condizioni necessarie uniformi riguardo al primo ingresso.
E'
evidente pero' come, in presenza di un timore di questo tipo, la definizione
delle condizioni necessarie per l'ammissione al soggiorno per lavoro sia
destinata ad essere dominata dalla ricerca del massimo livello di restrizione,
giacche' soltanto questo livello riuscirebbe a dare tranquillita' a tutti gli
Stati membri.
In
questa linea, una politica europea in materia di immigrazione per lavoro
finirebbe per trasformarsi in una politica contro l'immigrazione per
lavoro. E apparirebbe paradossale il considerare come obiettivo imprescindibile
l'estensione della liberta' di circolazione al lavoratore straniero
regolarmente soggiornante, mentre se ne ingessa la possibilita' di primo
ingresso.
La
seconda possibile finalita' e' quella di garantire un funzionamento fisiologico
dei flussi migratori per lavoro, avendone riconosciuto l'utilita'.
Diversamente
dal caso precedente, un intervento comunitario potrebbe qui essere estremamente
utile, e, in un'ottica capovolta, dovrebbe mirare a definire, cosi' come
tentato con la proposta di direttiva COM 2001/386, le condizioni sufficienti
uniformi
- quelle, cioe', a fronte delle quali l'ammissione del lavoratore immigrato
deve essere considerata sostanzialmente automatica.
Il
verificarsi di tali condizioni - oggettivamente valutabili - dovrebbe far
scattare, quindi, una sorta di diritto di ammissione, con una forte
riduzione dei margini di discrezionalita' lasciati alle amministrazioni dei singoli
Stati membri. Resterebbe impregiudicata - e' inutile dirlo - la facolta' di
ciascuno Stato membro di adottare tutte le misure ritenute necessarie a tutela
della sicurezza e dell'ordine pubblico.
Per
non fare di questa seconda linea un percorso concretamente inattuabile, la
nozione di condizione sufficiente uniforme dovrebbe essere temperata da due
elementi: il primo, rappresentato dalla liberta' di ciascuno Stato membro di
prevedere condizioni di ammissione piu' ampie (per settori specifici del mercato,
o in occasione di congiunture particolarmente favorevoli, o sulla base di
accordi bilaterali, etc.); il secondo, di segno opposto, associato alla
facolta' di ciascuno Stato membro di porre dei limiti (anche non uniformi sul
territorio nazionale) all'ammissione di lavoratori stranieri, ove questo sia
richiesto da inderogabili esigenze. Per non vanificare l'intervento
comunitario, l'intervento limitativo dovrebbe rispettare i seguenti vincoli:
essere
pubblicizzato e adeguatamente motivato in sede comunitaria;
avere
carattere temporaneo;
essere
accompagnato da disposizioni che determinino in modo equo ed oggettivo la
graduatoria delle domande di ammissione, ove queste eccedano il tetto fissato.
Si
dovrebbe inoltre vigilare sul fatto che la limitazione non venga imposta de
facto -
eludendo, cosi', ogni vincolo formale -, con l'introduzione di ostacoli
(inerzia, dinieghi immotivati, adozione di misure piu' restrittive, etc.) al
conseguimento dei requisiti che di norma consentirebbero l'ammissione del
lavoratore straniero.
Il
percorso di ammissione legale per lavoro dello straniero non dovrebbe cioe'
perdere il carattere di certezza e trasparenza che nella proposta del 2001 gli
veniva conferito.
2)
La normativa europea in materia di immigrazione dovrebbe mirare ad un quadro
giuridico globale che disciplini tutti i cittadini di paesi terzi che giungono
nell'Unione europea, o dovrebbe concentrarsi preferibilmente su gruppi
specifici di immigrati?
Se
e' corretto quanto sostenuto nel punto precedente, una normativa europea
costituirebbe un elemento di progresso in materia di disciplina
dell'immigrazione solo se fosse capace di definire un quadro globale, ferme
restando le possibilita' di allargamento o di (motivata e temporanea)
restrizione, lasciate a ciascuno Stato membro.
Limitarsi
a regolamentare situazioni specifiche significherebbe aver preso atto della
improponibilita' di un approccio avanzato e coraggioso. In questo caso,
interventi settoriali potrebbero comunque avere valore se mirati a definire
standard minimi inderogabili per tutti gli Stati membri.
3)
Se si dovesse scegliere un approccio legislativo settoriale, quali gruppi di
migranti andrebbero scelti prioritariamente e perch?
Andrebbe
sicuramente evitato, per quanto detto nei punti precedenti, il tentativo di
costruire un approccio globale come somma di molti interventi settoriali.
Interventi di questo genere, se adottati, dovrebbero essere limitati alla
definizione di un sistema di tutele per i lavoratori stranieri appartenenti a
certe particolari categorie per le quali la migrazione coinvolge, direttamente
o indirettamente, il mercato del lavoro di diversi Stati membri: lavoratori in
distacco intrasocietario, lavoratori dipendenti da un imprenditore straniero o
di altro Stato membro trasferiti nell'ambito di appalti di opere o servizi,
lavoratori transfrontalieri, etc.
4)
Sarebbe utile analizzare anche altri approcci, come ad esempio una procedura
europea accelerata? Quali altre opzioni potrebbero essere proposte?
L'analisi
puo' essere utile, per la diffusione di buone prassi. Tuttavia, sia
nell'ipotesi che si opti per un approccio globale, sia nel caso in cui ci si
debba arrendere all'impossibilita' di un simile approccio, dovrebbe sempre
essere riconosciuta agli Stati membri la liberta' di adottare, quando lo
considerino conveniente, criteri meno restrittivi di quelli definiti in sede
comunitaria. Qualunque procedura accelerata potrebbe quindi essere adottata -
nell'ambito dell'impostazione qui suggerita - dal singolo Stato membro.
2. Procedure di ammissione per l'occupazione
retribuita
2.1. Preferenza per il mercato del lavoro
interno
5)
Come si pu garantire che il principio della preferenza comunitaria venga
applicato in modo efficace?
E bene considerare come di norma il
lavoratore straniero residente allestero gi si trovi in una situazione di
obiettivo svantaggio ai fini dellaccesso alloccupazione in un dato Stato
membro rispetto ai lavoratori residenti nel territorio dell'Unione europea e, a
maggior ragione, rispetto a quelli residenti nello stesso Stato membro.
Conseguentemente,
una forma di "preferenza comunitaria" agisce gia', nei fatti, a
prescindere dalla previsione di un esplicito diritto di prelazione.
Un
modo per colmare questo svantaggio potrebbe essere dato, naturalmente,
dall'accettazione, da parte del lavoratore straniero, di livelli retributivi
piu' bassi di quelli corrisposti al suo concorrente nazionale o comunitario.
Ove
questa possibilita' di contrattare condizioni meno favorevoli al lavoratore
straniero sia limitata dalle disposizioni di natura legislativa o collettiva
vigenti nel mercato del lavoro degli Stati membri, si deve ritenere che, se un
datore di lavoro decide di orientarsi verso l'assunzione (legale) di un tale
lavoratore, e' perche' di fatto non ha potuto reperire un'alternativa nel
mercato nazionale o comunitario.
Piuttosto
che far valere astratti diritti di prelazione - che suonano, tra l'altro, come
un'indebita ingerenza pubblica nell'iniziativa economica privata -, la tutela
del lavoratore comunitario va, quindi, perseguita migliorando gli strumenti di
incontro tra domanda e offerta. La diffusione in tempo reale delle informazioni
relative a domanda e offerta, mediante Internet, puo' rappresentare un
contributo significativo a questo miglioramento. In particolare, dovrebbe
essere facilitata la pubblicazione del curriculum vitae dei lavoratori.
Fanno
eccezione il caso in cui si preveda, per il lavoratore straniero, la
possibilita' di fare ingresso in uno Stato membro per cercare occupazione e
quello in cui si consenta l'accesso all'occupazione allo straniero legalmente
presente per un soggiorno di breve periodo ad altro titolo (vedi la proposta
avanzata al punto 21). In questi casi, parte dello svantaggio di cui il
lavoratore straniero soffre, di norma, nei confronti dei lavoratori comunitari
e' annullato. Quanto detto sopra riguardo all'esistenza de facto di una preferenza
comunitaria perderebbe valore. Per questi casi, l'implementazione di una
preferenza de iure
potrebbe essere considerata opportuna (e anzi - come si dira' in seguito -
potrebbe garantire la compatibilita' della ricerca di lavoro sul posto da parte
dei lavoratori stranieri con la tutela dei disoccupati nazionali e comunitari).
Questa
preferenza potrebbe essere garantita, indirettamente, dalla previsione di forme
di incentivazione all'assunzione di lavoratori nazionali o comunitari, ovvero,
direttamente, con la solita modalita' del diritto di prelazione.
6)
E' ancora pertinente l'attuale definizione di preferenza comunitaria? In caso
contrario, come andrebbe modificata?
Sull'opportunita'
di rivedere questo concetto, si e' detto nel punto precedente. Ove pero' si
voglia, per il momento, mantenerne l'attuale equivalenza a un diritto di
prelazione, e' bene che questo privilegio sia opportunamente delimitato.
L'accertata
disponibilita' all'assunzione da parte di un lavoratore comunitario dovrebbe
avere carattere vincolante solo nei casi di assunzione numerica - nei quali, cioe', il
datore di lavoro attinge il nome del lavoratore da una lista, sulla base di una
graduatoria predeterminata - o nel caso di assunzione di un lavoratore
straniero che abbia avuto modo di cercare lavoro nello Stato membro durante un
soggiorno di breve durata (per ricerca di lavoro o per altro motivo - vedi punto
precedente).
Il
datore di lavoro dovrebbe invece essere pienamente libero di esercitare la
propria scelta, anche a vantaggio del lavoratore straniero, qualora questo sia
stato indicato nominativamente (sulla base, cioe', di una conoscenza pregressa
o del curriculum vitae); in particolare, il carattere vincolante dovrebbe essere
escluso nei casi in cui il rapporto di lavoro abbia carattere fiduciale (es.:
lavori di cura alla persona, come
l'assistenza a bambini e a disabili, il lavoro domestico, etc.). In caso
contrario, la preferenza comunitaria si tradurrebbe in una limitazione della
liberta' di iniziativa economica dei datori di lavoro e della concorrenza tra
lavoratori, con perdita di efficienza del mercato.
In
ogni caso, perche' il principio di preferenza comunitaria non si traduca nella
distruzione - senza vantaggio di alcuno - di opportunita' di lavoro o in un
meccanismo iperprotettivo per i lavoratori comunitari, i tempi di accertamento
della disponibilita' di manodopera comunitaria dovrebbero essere ridotti a
pochi giorni (massimo quindici). In altri termini, dovrebbero poter fruire del
diritto di prelazione solo quei lavoratori comunitari che siano realmente
intenzionati a trovare lavoro.
7)
A quali altri migranti per motivi economici (a prescindere dai distacchi
intrasocietari) non si dovrebbe applicare la logica della preferenza
comunitaria?
Oltre
a quanto detto, al punto precedente, riguardo al carattere generalmente non
vincolante dell'accertamento relativo alla disponibilita' di manodopera
comunitaria, l'applicazione del principio di preferenza comunitaria (nel senso
classico) dovrebbe essere esclusa nei casi in cui l'ingresso debba avvenire,
per essere efficace, in tempi molto brevi (ad esempio, per lavori a carattere
stagionale, per l'allestimento di spettacoli, etc.).
8)
A prescindere dai residenti di lungo periodo, a quali categorie di cittadini di
paesi terzi se ve ne sono andrebbe accordato un trattamento preferenziale
rispetto ai lavoratori stranieri giunti solo di recente?
Il
trattamento preferenziale per stranieri gia' regolarmente soggiornanti dovrebbe
essere limitato a categorie particolarmente meritevoli di tutela (ad esempio:
straniero gia' soggiornante per motivi familiari, in caso di interruzione del
vincolo familiare, per divorzio o morte del familiare). Dovrebbe poi applicarsi
solo in relazione a opportunita' di lavoro che sorgano nello Stato membro di
soggiorno.
9)
Si dovrebbe concedere un diritto di priorit a precise condizioni ai
cittadini di paesi terzi che hanno temporaneamente lasciato l'Unione europea
dopo avervi lavorato per un determinato periodo?
Sul punto, deve essere premesso che
lauspicata ampiezza dei criteri di ammissione al soggiorno per lavoro dovrebbe
rendere meno drammatica la prospettiva di lasciare per un certo tempo il
territorio dell'Unione europea dopo essere stati autorizzati a soggiornarvi per
lavoro (vedi
punto 21). In questa prospettiva, non e' molto importante che sia previsto un
diritto di priorita'. Tale diritto pero' potrebbe essere riconosciuto ai
lavoratori stagionali, unitamente a una facilitazione della loro ammissione al
soggiorno per lavoro di lunga durata (non stagionale), condizionando entrambi i
vantaggi al rispetto dei termini previsti per l'uscita dal territorio degli Stati
membri a stagione lavorativa conclusa.
10)
Semplificare la mobilita' dei lavoratori di paesi terzi da uno Stato membro ad
un altro apporterebbe vantaggi all'economia dell'Unione e ai mercati nazionali
del lavoro? Come si potrebbe mettere in pratica tutto cio' in maniera efficace?
Con quali limitazioni/agevolazioni?
La
semplificazione della mobilita' dei lavoratori stranieri facilita, in generale,
l'allocazione ottimale delle risorse nei mercati degli Stati membri. Piu' sotto
(punto 21), verranno proposti dei criteri di ammissione al mercato del lavoro
che potrebbero risultare applicabili sia ai lavoratori stranieri intenzionati a
fare ingresso nel territorio dell'Unione europea, sia a quelli che gia' vi
soggiornano e che potrebbero trasferirsi da uno Stato membro all'altro.
11)
Come possono, i servizi pubblici dell'occupazione (SPO) e il portale della
mobilita' occupazionale di EURES 11 , contribuire ad agevolare la migrazione
della manodopera proveniente da paesi terzi?
Possono
prevedere la sistematica pubblicizzazione della domanda e dell'offerta di
lavoro, con l'inserimento in rete di informazioni standardizzate su condizioni
di lavoro offerte dai datori di lavoro e curricula vitae dei lavoratori. Non
bisogna pero' dimenticare che di questo sistema ben difficilmente possono
avvalersi i settori del mercato del lavoro a bassa qualificazione, come pure
quelli per i quali i rapporti di lavoro hanno carattere eminentemente fiduciale
(ad esempio, il settore dei servizi di cura alla persona) - settori che in
Italia assorbono una parte significativa dei flussi migratori.
2.2.
Sistemi di ammissione
12)
L'ammissione di cittadini di paesi terzi al mercato del lavoro dell'UE va
esclusivamente subordinata ad un effettivo posto di lavoro vacante o andrebbe
concessa agli Stati membri la possibilit di ammettere cittadini di paesi terzi
anche in assenza di tale requisito?
L'esistenza
di un posto di lavoro vacante dovrebbe essere considerato requisito sufficiente
per l'ammissione (fatti salvi gli ovvi requisiti relativi alla sicurezza
pubblica), ma non necessario.
Dovrebbe
essere lasciata ampia discrezionalita' agli Stati membri nel definire criteri
meno restrittivi, in relazione, in particolare, a periodi o settori lavorativi
in cui non esista nei fatti concorrenza tra lavoratori stranieri e lavoratori
nazionali o, addirittura, esista una indiscussa necessita' dei primi.
13)
Quale procedura va applicata ai migranti per motivi economici che non entrano
nel mercato del lavoro?
Allo scopo di evitare che vengano aggirate
le disposizioni di tutela del lavoratore vigenti negli Stati membri, sarebbe
opportuno imporre il rispetto degli standard di trattamento (in materia di
retribuzione, previdenza, condizioni di lavoro) stabiliti dalla legge nazionale
o dai contratti collettivi applicabili nel settore,
anche in caso - ad esempio - di lavoratore dipendente dall'appaltatore
straniero che debba realizzare un'opera o prestare un servizio per un
committente residente in uno Stato membro.
14)
La prova della necessita' economica da ritenersi un sistema efficace?
Andrebbe applicata in modo flessibile, tenendo conto, ad esempio, delle
caratteristiche regionali e settoriali, o delle dimensioni dell'impresa in
questione?
Si
e' detto sopra (punto 6) come il principio della preferenza comunitaria non
debba, in generale, corrispondere a un preciso diritto di prelazione, e di
come, quindi, l'eventuale presentazione di candidature comunitarie per un certo
posto di lavoro non debba essere considerata vincolante per il datore di lavoro.
Si e' detto, in particolare, come debba essere escluso il carattere vincolante
di tale sistema di prelazione nei casi in cui il datore di lavoro abbia scelto
il lavoratore straniero sulla base di una conoscenza personale o della
selezione di un curriculum vitae; e, all'opposto, come una qualche priorita'
possa essere riconosciuta in caso di assunzione effettuata con chiamata
numerica (da liste, senza una specifica selezione del candidato da parte del
datore di lavoro) o nel caso in cui, ammettendo il lavoratore straniero a
cercare lavoro nel territorio di uno Stato membro, gli si permetta di entrare
in diretta concorrenza con il lavoratore comunitario.
A
queste affermazioni ne corrispondono altrettante sul peso da dare alla prova di
necessita' economica. In particolare, con riferimento alle dimensioni
dell'impresa, la tendenza dovrebbe essere quella di esonerare dalla prova di
necessita' economica le assunzioni di lavoratori stranieri da parte di piccola
impresa (nell'ambito della quale il rapporto di lavoro ha, di norma, carattere
fiduciale).
15)
E' opportuno stabilire un periodo minimo in cui va pubblicato un annuncio di
lavoro prima che possa essere preso in considerazione un candidato proveniente
da un paese terzo?
Si
e' detto (punto 6) come, nei casi in cui si voglia procedere alla prova di
necessita' economica, il termine oltre il quale, in mancanza di candidature
comunitarie alternative, la prova si deve considerare raggiunta deve essere
molto ridotto (dell'ordine di quindici giorni). Devono avere rilievo, infatti,
solo le candidature dei lavoratori comunitari fortemente motivati a trovare
occupazione.
16)
In quale altro modo si puo' efficacemente dimostrare che sia necessario
assumere un lavoratore proveniente da un paese terzo?
In
generale - come si e' detto (punto 5) - l'assunzione di un lavoratore straniero
ancora soggiornante nel suo paese presenta, di solito, molti svantaggi rispetto
a quella di un lavoratore nazionale o comunitario, in relazione al diverso
livello di conoscenza della lingua, alla diversa capacita' di inserimento, etc.
In questi casi, la volonta' espressa dal datore di lavoro di assumere il
lavoratore straniero dovrebbe essere di fatto considerata prova della
impossibilita' di coprire un determinato posto di lavoro con manodopera
nazionale o comunitaria. Tuttavia, a ben vedere, tale volonta'
potrebbe in realta' essere determinata dall'opportunita' di assumere un
lavoratore straniero disposto a ricevere un trattamento deteriore rispetto a
quello
praticato nel mercato del lavoro nazionale. La prova di
necessita' dell'assunzione dovrebbe allora essere rafforzata dall'impegno del
datore di lavoro di garantire al lavoratore straniero un trattamento non
inferiore a quello previsto dalle leggi e dai contratti collettivi nazionali in
vigore.
C'e'
un secondo caso per il quale la distanza iniziale tra datore di lavoro e
lavoratore non e' in grado di costituire un filtro idoneo a garantire, nei
fatti, la preferenza comunitaria: e' il caso dell'assunzione di lavoratori ad
alta qualificazione, per i quali la rilevanza del curriculum vitae puo' sopperire agli
altri svantaggi di cui patisce normalmente il lavoratore straniero.
L'assunzione di lavoratori di questo tipo, pero', difficilmente puo' essere
sospettata di non essere necessaria per l'economia degli Stati membri!
17)
La prova della necessita' economica andrebbe ripetuta alla scadenza del
permesso di lavoro, nel caso in cui il contratto di lavoro in virtu' del
quale il lavoratore straniero e' stato ammesso nell'Unione e' stato/sara'
rinnovato?
La
prova di necessita' economica puo' essere considerata necessaria in certi casi
(vedi sopra), in relazione all'ammissione di un lavoratore straniero al mercato
del lavoro. Non e' invece in alcun modo difendibile in sede di rinnovo del permesso
di soggiorno, ove si abbracci una visione positiva dell'immigrazione.
18)
Quali altri sistemi facoltativi potrebbero essere contemplati?
Come
si e' detto sopra, ciascuno Stato membro dovrebbe essere libero di adottare
criteri meno restrittivi di quelli corrispondenti alle condizioni
sufficienti
per l'ammissione di lavoratori stranieri al proprio mercato del lavoro.
19)
Un sistema di selezione puo' fungere da eventuale regola generale a livello UE
per ammettere i migranti per motivi economici al mercato del lavoro e quali
dovrebbero essere i requisiti pertinenti?
Nel
quadro della proposta qui avanzata, un sistema di selezione per soddisfare il
fabbisogno di qualifiche specifiche dovrebbe senz'altro rientrare tra le misure
che ciascuno Stato membro e' libero di adottare per definire criteri meno
restrittivi di ammissione al proprio mercato del lavoro.
20)
Come possono i datori di lavoro avere accesso ai CV dei candidati a livello UE
e come andrebbe rafforzato EURES in tale contesto?
Dovrebbe
essere ovviamente reso possibile l'accesso alle banche dati relative a domanda
e offerta di lavoro da parte dei datori di lavoro e dei lavoratori. Dovrebbero
essere predisposti strumenti per l'interrogazione rapida ed efficace delle
banche dati, utilizzando, se necessario, tecniche avanzate di data mining.
21)
Andrebbe prevista la possibilit di concedere un "permesso per le persone
in cerca di occupazione"?
Questo
e' il punto piu' importante per la definizione di una buona politica
dell'immigrazione per lavoro.
Il lavoratore straniero a bassa qualificazione
non ha alcuna possibilita' di essere chiamato nominativamente da un datore di
lavoro in uno Stato membro se e' costretto ad attendere tale chiamata nel
proprio paese, dal momento che nessun datore di lavoro sarebbe disposto ad
assumerlo "al buio" ne', per lavori di questo genere, sulla base del curriculum
vitae.
Per tale motivo, nella prassi, in assenza di disposizioni che consentano un
apposito soggiorno per la ricerca di lavoro, il lavoratore cerchera' comunque
di fare ingresso nello Stato membro allo scopo di incontrare direttamente il
potenziale datore di lavoro e stabilire con questi il rapporto di fiducia
necessario per la stipula di un contratto di lavoro. Tale ingresso potra'
avvenire secondo due diverse modalita': in modo clandestino o con un visto che
autorizzi un soggiorno di breve durata (turismo, visita a familiari, etc.).
Una situazione di questo tipo ha caratterizzato
l'immigrazione in Italia almeno dal 1986 ad oggi. Le assunzioni di lavoratori
"residenti all'estero" riguardano, nei fatti, solo persone gia'
entrate, in qualche modo, in Italia per cercare lavoro. Dopo averlo trovato,
nei casi in cui il datore di lavoro sia sufficientemente scrupoloso da voler
dare legalita' al rapporto di lavoro, i lavoratori tornano temporaneamente in
patria, rientrando poi in Italia una volta ottenuto, a seguito della formale
chiamata, il visto di ingresso per lavoro.
Questo meccanismo presenta evidentemente una
serie di gravi difetti:
condiziona
l'accesso ad un soggiorno legale stabile in Italia all'attraversamento di una
fase di permanenza illegale;
da'
luogo ad uno spreco di risorse e di tempo (associato al temporaneo rimpatrio
del lavoratore);
lascia
in condizione illegale i lavoratori nei casi in cui il cui datore di lavoro non
sia intenzionato a fare emergere il rapporto di lavoro; tali lavoratori devono
affidarsi a eventuali provvedimenti di sanatoria per approdare alla condizione
di soggiorno legale.
Che
quest'ultimo aspetto sia tutt'altro che marginale e' attestato dai dati
registrati in Italia: nel periodo 1988-2002 il numero di permessi di soggiorno
per lavoro rilasciati a seguito di assunzione di uno straniero residente
all'estero
(sia pure mediante l'escamotage descritto) e' stato pari a circa 285.000;
quello dei permessi di soggiorno per lavoro rilasciati in seguito a sanatoria
ha raggiunto il valore di 1.360.000!
Se
non si vogliono perpetuare questi errori, e' quindi necessario consentire forme
legali di ricerca di lavoro sul posto.
In
Italia queste forme hanno costituito l'eccezione alla regola, essendo state
previste dalla normativa per un periodo molto breve: il biennio 2000-2001. In
quegli anni e' stato possibile l'ingresso di immigrati in cerca di lavoro, a
condizione che avessero in Italia uno sponsor che garantisse per il
loro mantenimento durante il periodo di ricerca di lavoro e, in caso di
fallimento di tale ricerca, per il loro rimpatrio. E' stato altresi' possibile
l'ingresso, per ricerca di lavoro, a seguito di dimostrazione, da parte del
migrante, della capacita' di mantenersi da se' - anche in assenza, cioe', di
garanzia da parte di terzi.
Entrambe
queste modalita' di accesso al mercato del lavoro, improvvidamente soppresse
con la riforma del 2002 (Legge 189/2002), si sono rivelate un grande successo,
moderato dai tetti numerici assai esigui imposti, in relazione a questi
ingressi, dai governi in carica in quel biennio.
L'istituzione
di canali di questo genere potrebbe rientrare, ovviamente, nell'ambito delle
misure lasciate alla libera scelta degli Stati membri. E' pero' importante che
si comprenda come, anche nella definizione di quelle che abbiamo chiamato condizioni
sufficienti
per l'ammissione al mercato del lavoro, vada tenuta in debito conto la
necessita', per il lavoratore, di intraprendere una ricerca di lavoro legale
nel territorio degli Stati membri. Detto in altri termini: le condizioni
sufficienti (quelle di fronte alle quali ciascuno Stato membro dovrebbe, di
norma, consentire l'ammissione al mercato del lavoro) possono anche essere
definite in modo rigoroso; il lavoratore straniero non deve pero' veder
preclusa la possibilita' di maturare i corrispondenti requisiti a causa di
disposizioni che non tengano conto di come funziona concretamente il mercato.
Sulla
base di quanto esposto sopra a proposito dell'esperienza italiana, sono
possibili due soluzioni (non alternative, ma complementari) a questo problema.
La prima consiste - ovviamente - nel riconoscimento della possibilita' di
ingresso per ricerca di lavoro, con l'istituzione di un apposito permesso. La
seconda, non meno interessante, e gia' contemplata nella proposta della
Commissione (COM 2001/386, art. 5), e' rappresentata dal consentire l'accesso
al permesso di soggiorno per lavoro, una volta che siano stati maturati gli
altri requisiti, anche allo straniero gia' presente legalmente sul territorio
dello Stato membro ad altro titolo, anche per un soggiorno di breve durata
(turismo, ad esempio).
I vantaggi di una norma che consenta il rilascio
di un permesso di soggiorno per lavoro al titolare di un permesso di breve
durata (quale che ne sia la denominazione formale) sono rappresentati, per il
lavoratore,
dalla
possibilita' di mantenere tutto il percorso migratorio nell'alveo della
legalita', senza rischiare di incorrere nelle sanzioni contro l'immigrazione
illegale;
dalla
possibilita' di evitare il ricorso ai servizi costosi e rischiosi dei
trafficanti di immigrazione clandestina;
dalla
possibilita' di incontrare direttamente il datore di lavoro e di dar vita a un rapporto
di lavoro tra parti pienamente consapevoli;
dal
mancato spreco di risorse e di tempo associato al temporaneo rimpatrio.
Questi ultimi due elementi costituiscono,
evidentemente, un vantaggio condiviso con il datore di lavoro.
Agli Stati membri, oltre che dall'abbattimento
del traffico di immigrazione clandestina (e delle spese necessarie per
contrastarlo), deriverebbe un grande beneficio dal ruolo svolto dal mercato
stesso nel determinare - senza che occorrano irrealizzabili censimenti - l'effettiva
richiesta di manodopera straniera. In queste condizioni, l'imposizione di tetti
numerici potrebbe - in accordo con le indicazioni della proposta della
Commissione (COM 2001/386) - essere ricondotta al suo ruolo piu' corretto:
quello di eventuale limitazione degli effetti collaterali indesiderati
dell'immigrazione, ove ve ne siano. In altri termini, la fissazione di un tetto
numerico potrebbe (e dovrebbe) rispondere al solo obiettivo di evitare
eccessive tensioni sociali, non essendo invece affatto opportuno che lo Stato
si interponga tra domanda e offerta di lavoro, pretendendo di gestirne
l'incontro.
A una scelta di questo genere possono essere
mosse diverse obiezioni:
il
rischio di danneggiare, con un eccesso di offerta straniera, la manodopera
nazionale o comunitaria (o comunque gia' residente) disoccupata;
il
rischio di ammissione indiscriminata di persone incapaci di provvedere al
proprio sostentamento;
il
rischio di un prolungamento irregolare del soggiorno, con conseguente aggravio
dei costi e delle difficolta' associati all'espulsione degli stranieri in
posizione illegale.
A
tali obiezioni si puo' dare risposta introducendo opportuni correttivi. In
particolare, il rischio di danneggiamento della manodopera comunitaria
disoccupata puo' essere fortemente ridimensionato - come detto al punto 5 -
rendendo obbligatorio l'accertamento di indisponibilita' di candidati
comunitari (o stranieri, gia' soggiornanti legalmente, appartenenti a categorie
meritevoli di tutela) ai fini della stipula di un contratto di lavoro
subordinato a tempo indeterminato o di durata comunque rilevante.
Il rischio di ammettere persone incapaci di
provvedere al proprio sostentamento sarebbe automaticamente rimosso
dall'accertamento della disponibilita' di risorse necessarie al mantenimento
per tutto il periodo di (breve) soggiorno autorizzato condizione, questa,
gia' prevista in tutti gli Stati membri per la concessione di un visto di
ingresso per soggiorni di breve durata.
Il rischio di una transizione alla condizione di
soggiorno illegale dello straniero ammesso per soggiorno di breve durata e'
gia' largamente presente, anche in mancanza di disposizioni che consentano una
successiva ammissione al soggiorno per lavoro: nel 1999, ad esempio, con
l'avvicinarsi del Giubileo, sono entrati legalmente in Italia per soggiorni di
questo genere oltre 600.000 turisti e pellegrini provenienti da paesi non
appartenenti all'Unione europea. La possibilita' di accesso al permesso per
lavoro non accrescerebbe di per se' quel rischio. Lo ridurrebbe, anzi, privando
quanti trovino un effettivo inserimento lavorativo di qualunque incentivo allo
scivolamento in una condizione di soggiorno illegale.
Un'accentuazione dei vantaggi fin qui
prospettati potrebbe essere ottenuta prevedendo anche la possibilita' di
proroghe del soggiorno di breve durata, finalizzate ad una piu' efficace
ricerca di inserimento lavorativo stabile e condizionate ancora alla
dimostrazione della capacita' di autosostentamento - senza, quindi, rischio di
aggravio della spesa sociale. Questa possibilita' costituirebbe per lo
straniero un ulteriore impulso a mantenere la propria permanenza in condizione
di piena legalita'.
Il pericolo di una accentuazione delle
difficolta' e dei costi associati alla repressione delle eventuali violazioni
della normativa potrebbe poi essere del tutto eliminato prevedendo che lo
straniero che voglia fruire della prorogabilita' dei permessi di soggiorno di
breve durata e della possibilita' di accesso a un permesso di soggiorno per
lavoro depositi, in ingresso
copia
del passaporto e impronte digitali (o altri dati biometrici idonei):
l'associazione delle corrispondenti informazioni permetterebbe, in caso di
necessita', l'immediata identificazione dello straniero e l'eseguibilita' di un
eventuale provvedimento di allontanamento a suo carico (non piu' intralciabile
dall'occultamento o dalla distruzione dei documenti di identita');
un
biglietto "aperto" per l'eventuale rimpatrio (o una garanzia
equivalente, sotto forma di fideiussione bancaria o altro).
3.
Procedure di ammissione per il lavoro autonomo
22)
L'Unione europea dovrebbe disporre di norme comuni in materia di ammissione di
lavoratori autonomi di paesi terzi? Se si', quali dovrebbero essere le
condizioni?
Per
molti aspetti valgono le stesse considerazioni svolte in relazione al lavoro
subordinato: se l'unico scopo delle disposizioni comuni e' quello di rendere
possibile e "meno preoccupante" la libera circolazione per lavoro
degli stranieri gia' regolarmente soggiornanti in uno Stato membro, e' cosa
preferibile prendere atto dell'immaturita' degli Stati membri rispetto al
fenomeno, lasciare a ciascuno Stato la facolta' di gestire in proprio la
politica dell'immigrazione per lavoro e riconoscere che la libera circolazione
di cui si diceva non e' poi obiettivo di cosi' grande rilievo.
Se,
invece, la finalita' e' quella di pervenire ad una gestione positiva dei flussi
migratori, e' auspicabile che
siano
stabiliti, anche per il lavoro autonomo, le condizioni sufficienti per l'ammissione del
lavoratore;
si
lasci agli Stati membri piena facolta' di derogare in melius a queste disposizioni
comuni;
si
consenta agli Stati membri di derogare in pejus alle disposizioni
comuni in caso di necessita', dovendo pero' tali deroghe
-
avere
carattere temporaneo,
-
essere
motivate in sede comunitaria,
-
essere
accompagnate dalla adozione di criteri oggettivi per la definizione della
graduatoria delle domande di ammissione, ove queste eccedano il tetto fissato.
La
definizione delle condizioni sufficienti dovrebbe tener conto dell'esistenza di
almeno quattro diverse categorie di lavoratori autonomi: professionisti,
imprenditori e operatori commerciali, piccoli artigiani, lavoratori parasubordinati.
Per
tutte le categorie, requisito essenziale dovrebbe essere la disponibilita' di
mezzi di sostentamento in misura tale da escludere che il lavoratore debba
ricorrere a forme di asistenza pubblica.
Per
i professionisti, a questo requisito dovrebbe accompagnarsi quello relativo al
possesso dei titoli abilitanti allo svolgimento della professione.
Per
imprenditori e operatori commerciali, si dovrebbe richiedere la dimostrazione
di risorse adeguate ad intraprendere e mantenere l'attivita' imprenditoriale o
commerciale. Facilitazioni potrebbero essere previste nei casi in cui tali attivita'
abbiano un impatto positivo sull'occupazione nello Stato membro. Sembra
difficile, invece, dubitare che esse abbiano un impatto positivo sullo sviluppo
economico, a prescindere da esplicite dimostrazioni.
Per
i piccoli artigiani, in considerazione del carattere spesso modesto
dell'attivita' e della necessita' di un inserimento progressivo nel mercato
dello Stato membro, si potrebbe procedere in modo simile a quello descritto per
il lavoro subordinato. Il lavoratore autonomo dovrebbe essere ammesso a
soggiornare per breve periodo, al fine di avviare l'attivita', sulla base della
capacita' di mantenersi da se' (nello stesso modo in cui e' ammesso un
turista), e dovrebbe poter stabilizzare la propria posizione a seguito della
dimostrazione di un reddito sufficiente.
Considerazioni
analoghe valgono per i lavoratori parasubordinati. Rientrano in questa
categoria i lavoratori che svolgono la propria attivita' lavorativa in forma di
collaborazione coordinata e continuativa: la prestazione ha carattere autonomo,
ma e' vincolata alla coordinazione con l'attivita' del committente (e, quindi,
in qualche modo, all'inserimento nell'impresa). Figure di questo tipo, sempre
piu' diffuse nei mercati del lavoro post-industriali, non possono essere
considerate alla stregua dei professionisti di alto livello, dal momento che si
tratta spesso - anche nel caso dei lavoratori nazionali - di soggetti giovani e
a basso reddito. Ne' possono essere ricondotte agevolmente alla categoria dei
lavoratori subordinati; e' prevista, per esempio, la possibilita' di prestare
contemporaneamente la propria opera a vantaggio di piu' committenti. Come per
gli artigiani, l'ammissione (temporanea) dovrebbe essere consentita sulla base
della dimostrata capacita' di mantenimento; la stabilizzazione del soggiorno,
sulla base della maturazione di reddito sufficiente. Data la somiglianza tra
l'attivita' parasubordinata e quella subordinata (somiglianza che, anche nel
mercato del lavoro nazionale, rischia di rendere la prima una facciata finalizzata
all'elusione delle tutele applicabili alla seconda) si potrebbe pensare di
applicare, nei casi in cui il lavoratore sia stato ammesso nel territorio dello
Stato membro a cercare opportunita' di lavoro, il diritto di prelazione (per un
tempo limitato) in favore dei lavoratori comunitari. Tale diritto non dovrebbe
invece essere fatto valere in caso di contratto stipulato "a
distanza" sulla base dei requisiti personali del lavoratore.
23)
Dovrebbero essere previste eventuali procedure pi flessibili per l'ammissione
nell'Unione di lavoratori autonomi per un periodo inferiore a 12 mesi al fine
di portare a termine un contratto specifico concluso con un cliente
comunitario? Se s, quali?
Nell'ambito
della proposta qui avanzata, la risposta non puo' che essere affermativa nel
caso degli artigiani e dei lavoratori parasubordinati (vedi sopra). La
flessibilita' sarebbe rappresentata dalla possibilita' di entrare nel
territorio di uno Stato membro e cercare sul posto contratti di lavoro, a
condizione di essere in grado di mantenersi economicamente.
Per
gli imprenditori, dovrebbe applicarsi la condizione che impone un trattamento
dei propri dipendenti (anche se stranieri) non inferiore a quello previsto
dalle disposizioni di legge o dai contratti collettivi applicabili nello Stato
membro (vedi punto 13).
Quanto
ai professionisti, dovrebbe valere comunque il requisito relativo al
riconoscimento dei titoli abilitanti allo svolgimento della professione.
4.
Domande di permesso/i di lavoro e di soggiorno
24)
Dovrebbe esserci a livello UE un "permesso di lavoro-soggiorno"
combinato? Quali sarebbero i relativi vantaggi/svantaggi? O si dovrebbe invece
proporre una domanda unica (per entrambi i permessi di lavoro e di soggiorno)?
Ci sono altre alternative?
Se
venisse accettato l'impianto qui proposto, dovrebbero essere considerati
diversi casi. Un cittadino straniero potrebbe essere gia' soggiornante per
altri motivi corrispondenti a un soggiorno di lunga durata - ad esempio, per
motivi familiari, per studio o in qualita' di rifugiato. In questi casi, salve
alcune limitazioni, la normativa italiana consente di intraprendere attivita'
lavorativa a parita' di condizioni con chi soggiorni gia' per motivi di lavoro
(e, in generale, con il lavoratore nazionale), senza dover ottenere, cioe', una
specifica autorizzazione o uno specifico permesso. E' opportuno che questa
possibilita' sia introdotta, senza restrizioni, anche in sede comunitaria.
E'
poi possibile che un lavoratore straniero sia ammesso al soggiorno per lavoro,
avendo maturato i requisiti mentre ancora risiede all'estero. Anche in questo
caso non avrebbe senso prevedere due diversi permessi, dato che
l'autorizzazione a lavorare costituirebbe requisito essenziale per l'ammissione
al soggiorno.
Infine,
e' possibile che uno straniero soggiornante per breve periodo in uno Stato
membro (per ricerca di lavoro, per turismo, etc.) maturi i requisiti per
l'ammissione al soggiorno per lavoro. In questo caso, evidentemente, il primo
titolo di soggiorno (se previsto) sarebbe rilasciato a condizioni diverse dal
permesso di soggiorno per lavoro. Inoltre, a differenza del caso di stranieri
soggiornanti per motivi familiari, di studio, etc., l'ammissione allo
svolgimento di attivita' lavorativa non occasionale (con contratto di lavoro
subordinato o di collaborazione autonoma) potrebbe essere condizionata - come
detto - alla preventiva applicazione del principio di preferenza comunitaria.
In
generale, comunque, gli Stati membri dovrebbero essere stimolati ad evitare la
duplicazione dei controlli. Cosi', poco importa che nominalmente si mantenga,
anche per i soggiorni di lunga durata, la nozione di visto di ingresso separata
da quella di permesso di soggiorno. E' importante pero' che, concesso il primo,
il rilascio del secondo sia un fatto automatico, e non condizionato ad altri
controlli di merito.
5.
Possibilit di cambiare datore di lavoro/settore
25)
Dovrebbero essere previste limitazioni alla mobilit dei cittadini di paesi
terzi all'interno del mercato del lavoro dello Stato membro di residenza? In
caso affermativo, quali (relative al datore di lavoro, al settore, alla
regione, ecc.), in quali circostanze e per quanto tempo?
Di
norma, una volta ammesso al soggiorno per lavoro, il lavoratore non dovrebbe
patire restrizioni di alcun genere (coerentemente col principio di parita' con
il lavoratore nazionale stabilito dalla Convenzione OIL n. 143/1975).
Ove
pero' lo Stato membro abbia introdotto misure restrittive straordinarie con
limitazioni regionali o settoriali, queste potrebbero essere imposte anche in
relazione alla mobilita' interna o intersettoriale dei lavoratori gia' ammessi
per lavoro.
26)
Chi dovrebbe essere titolare del permesso: il datore di lavoro, il lavoratore o
entrambi (permesso congiunto)?
Solo
il lavoratore. In caso contrario, sarebbe intollerabilmente accresciuto il
livello di dipendenza del lavoratore dal datore di lavoro, con grave
diminuzione della liberta' e del potere contrattuale del lavoratore stesso.
6.
Diritti
27)
Quali diritti specifici dovrebbero essere concessi ai cittadini di paesi terzi
che lavorano temporaneamente nell'Unione?
In
generale, il lavoratore straniero dovrebbe godere della parita' di diritti con
il lavoratore comunitario, conformemente al dettato della Convenzione OIL n.
143/1975. In particolare, lo straniero regolarmente soggiornante per lavoro
dovrebbe poter stipulare qualunque contratto di lavoro subordinato o autonomo,
a prescindere dal titolo originario dell'autorizzazione.
28)
Il godimento di determinati diritti dovrebbe essere subordinato ad un soggiorno
minimo? In caso affermativo, quali
diritti e per quale periodo minimo?
Limitazioni
possono essere introdotte nell'accesso alle misure assistenziali per i
lavoratori ammessi, sulla base della loro capacita' di provvedere al proprio
mantenimento, a soggiornare temporaneamente in uno Stato membro alla ricerca di
un'occupazione. In altri termini, la necessita' di ricorrere a misure
assistenziali dovrebbe essere vista come il venir meno dei requisiti richiesti
per quel tipo di soggiorno.
Questo
non significa che debba essere negato l'accesso alle misure assistenziali di
carattere urgente, quanto, piuttosto, che il ricorso a tali misure, se
prolungato oltre un certo limite, puo' costituire motivo per negare il rinnovo
del permesso di soggiorno di breve durata e il rilascio del permesso di
soggiorno di lunga durata (per lavoro).
Non
e' inaccettabile, sul piano logico, che il ricorso prolungato a misure
assistenziali sia considerato motivo ostativo al primo rinnovo del permesso di
soggiorno per lavoro, salvo il caso in cui tale ricorso sia stato giustificato
da gravi motivi di salute. Non e' invece accettabile che osti al rinnovo il
mancato raggiungimento di una certa soglia di reddito, se questa circostanza
non ha comportato un aggravio per l'assistenza pubblica
Non
dovrebbero invece essere posti limiti all'accesso alle misure di sicurezza
sociale previste in corrispondenza al determinarsi di circostanze avverse che
prescindono totalmente dalla volonta' o dal comportamento della persona,
purche' le condizioni richieste si siano verificate successivamente
all'ingresso legale nel territorio dello Stato membro (si pensi al trattamento
di invalidita' in seguito ad incidente avvenuto senza colpa dell'interessato).
Il
requisito di un soggiorno legale pregresso prolungato non dovrebbe essere
richiesto ai fini del godimento di alcuno dei diritti fondamentali (ad esempio,
in materia di salute o tutela dell'unita' familiare). Puo' invece essere
richiesto ai fini dell'accesso a diritti in materia politica, dovendo pero', in
questo caso, essere disgiunto da ogni requisito ulteriore relativo alla
capacita' reddituale.
Il
soggiorno legale prolungato dovrebbe inoltre fare insorgere in capo allo
straniero il diritto di non essere allontanato se non per motivi di ordine
pubblico o sicurezza dello Stato. Questo diritto dovrebbe essere garantito con
il rilascio di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, non piu'
condizionato, quindi, alla dimostrazione di disponibilita' di reddito.
Di
per se', non e' necessario che la titolarita' di un permesso di soggiorno a
tempo indeterminato comporti un automatico diritto a stabilirsi in altro Stato
membro. Potrebbe, quindi, essere distinta dallo status armonizzato di residente
di lungo periodo, e i singoli Stati membri potrebbero mantenere la liberta' di
prevedere condizioni di rilascio del permesso a tempo indeterminato piu'
favorevoli di quelle previste per il riconoscimento di tale status. In questo
modo, il cittadino straniero potrebbe mettersi al riparo dal rischio di
allontanamento anche prima di essere accettato, dagli altri Stati membri, come
residente di lungo periodo.
29)
Dovrebbero esservi incentivi ad es., condizioni migliori per il
ricongiungimento familiare o per ottenere lo status di residente di lungo
periodo per attirare determinate categorie di lavoratori di paesi terzi? In
caso affermativo, per quale motivo e di quali incentivi dovrebbe trattarsi?
Nell'ottica
- delineata al punto precedente - di un permesso a tempo indeterminato indipendente
dallo status di residente di lungo periodo, gli incentivi potrebbero riguardare
l'ottenimento di tale permesso e restare, quindi, di competenza dei singoli
Stati membri.
Condizioni
facilitate per il riconoscimento dello status di residente di lungo periodo,
riguardando il complesso degli Stati membri, potrebbero essere introdotte, a
livello comunitario, ove l'esigenza di attirare certe categorie di lavoratori
sia riconosciuta da tutti gli Stati membri.
Le
condizioni per procedere al ricongiungimento familiare dovrebbero invece
rispondere solo all'esigenza di non dar luogo a situazioni di degrado
insostenibile (ad esempio, per la mancanza di un alloggio abitabile, o di un
reddito adeguato a mantenere il nucleo familiare nello Stato membro). Al di la'
di queste preoccupazioni, non dovrebbe essere posto limite all'esercizio di un
diritto fondamentale della persona, quale il diritto a vivere con i propri
familiari. Non e' quindi accettabile che i requisiti per il ricongiungimento
possano essere visti come una variabile indipendente da utilizzare per ottenere
risultati di rilievo, che nulla hanno a che fare, pero', con quel diritto.
7.
Misure di accompagnamento: integrazione, rimpatrio e cooperazione con i paesi
terzi
30)
Quali misure di accompagnamento andrebbero previste per agevolare l'ammissione
e l'integrazione dei migranti per motivi economici, sia nell'Unione che nei
paesi d'origine?
La
formazione in campo linguistico, culturale e lavorativo, da effettuare prima
dell'ingresso, ma anche durante il soggiorno del lavoratore straniero in uno
Stato membro, puo' essere di grande aiuto per un positivo e rapido inserimento
dei lavoratori migranti nell'Unione europea.
Titoli
acquisiti nell'ambito di tale formazione potrebbero rimpiazzare in parte i requisiti
relativi alla disponibilita' di risorse, in fase di ingresso per ricerca di
lavoro, coerentemente con il fatto che un migrante gia' formato e' capace di
inserirsi piu' facilmente e, quindi, rischia meno di quello non formato di
cadere in condizioni di indigenza.
La
promozione di rapporti commerciali con imprese dei paesi di emigrazione,
soprattutto con quelle costituite da migranti che decidano di rimpatriare dopo
un soggiorno in uno Stato membro, puo' incentivare tale rimpatrio e/o lo
sviluppo dei paesi d'origine.
31)
In linea con le politiche dell'UE per lo sviluppo, cosa potrebbe fare l'UE per
incoraggiare la circolazione dei cervelli e prevenire le conseguenze
potenzialmente negative della fuga di cervelli?
Questi
obiettivi vanno perseguiti, in positivo, con investimenti nello sviluppo
economico e scientifico dei paesi di origine, e con la stipula di accordi di
collaborazione tra le rispettive istituzioni formative e scientifiche
(universita', centri di ricerca, etc.), piuttosto che con l'imposizione di
ostacoli diretti alla fuga di cervelli.
32)
I paesi in via di sviluppo dovrebbero ricevere una compensazione (da chi e in
che modo) per gli investimenti
effettuati nel capitale umano che in seguito partira' per lavorare nell'UE?
Come si possono circoscrivere gli effetti negativi?
Oltre
alle misure adottabili nell'ambito di progetti di cooperazione tra Stati e/o
regioni, si potrebbe pensare, nell'ambito dell'impianto qui proposto, ad una
forma di compensazione individuale: si e' detto in precedenza (punto 6) come,
nei casi in cui la scelta di un lavoratore residente all'estero sia effettuata
nominativamente (sulla base cioe' delle caratteristiche personali del
lavoratore), non sia opportuno applicare il principio della preferenza
comunitaria. In questi casi si potrebbe prevedere che il requisito di prova
della necessita' economica sia sostituito da quello di compensazione, col
pagamento, da parte del datore di lavoro o del committente, di un contributo
che lo Stato membro dovra' utilizzare a vantaggio di progetti di cooperazione
con le istituzioni formative e scientifiche del paese di provenienza del
lavoratore.
Si
riconoscerebbe, in questo modo, che nelle situazioni dove e' la capacita' del
lavoratore straniero a rendere fortemente appetibile la sua assunzione, e' il
paese che l'ha formato a dover essere tutelato (e risarcito), piu' di quanto
non lo sia il disoccupato comunitario.
33)
I paesi d'accoglienza e d'origine dovrebbero avere l'obbligo di garantire il
ritorno dei migranti per motivi economici giunti a lavorare nell'UE solo
temporaneamente? In caso affermativo, in che modo?
Sui
paesi di origine grava ovviamente il dovere di riaccogliere i propri cittadini.
Il rispetto di questo dovere, se necessario, va incentivato con accordi di cooperazione.
Nel
quadro delle misure qui proposte, un successivo rientro nel territorio di uno
Stato membro di un lavoratore che abbia soggiornato legalmente per lavoro e che
sia successivamente rimpatriato non dovrebbe risultare cosi' arduo da
giustificare disposizioni particolari. Tuttavia, un soggiorno pregresso puo'
essere considerato equivalente alla maturazione di titoli di formazione e
potrebbe, come quella, giustificare il rilassamento dei requisiti relativi ai
mezzi di sostentamento ai fini dell'ingresso per ricerca di lavoro (vedi punto
30).
34)
Come si pu gestire il rimpatrio a vantaggio reciproco dei paesi d'accoglienza
e d'origine?
Ove
il lavoratore straniero abbia accumulato risorse atte a dar luogo ad
un'attivita' di impresa, possono essere previste facilitazioni per la creazione
di rapporti commerciali tra tale impresa e il mercato dello Stato membro.
I
lavoratori rimpatriati potrebbero anche essere coinvolti positivamente
nell'opera di formazione e informazione dei connazionali che aspirino a migrare
nello stesso Stato membro.
35)
Si dovrebbe concedere ad alcuni paesi terzi un trattamento preferenziale in
termini di ammissione e in che modo?
Trattamenti
preferenziali di questo genere potrebbero essere concessi dai singoli Stati
membri, nell'ambito della loro facolta' di prevedere condizioni di accesso meno
restrittive di quelle definite come condizioni sufficienti. Un trattamento
preferenziale potrebbe essere deciso anche a livello comunitario, con il
rilassamento, per i cittadini di certi Stati, di quei requisiti.
36)
Questi trattamenti preferenziali potrebbero essere legati a dei contesti
particolari, quali ad esempio la politica europea di prossimita' o le strategie
di preadesione?
Un
rilassamento delle condizioni sufficienti, deciso a livello comunitario, potrebbe
costituire un'utile forma di trattamento preferenziale nei confronti dei
cittadini dei paesi candidati all'ingresso nell'Unione.
8.
Conclusioni
In
questo documento si e' cercato di dare risposta ai quesiti posti dal Libro
verde, all'interno di un approccio caratterizzato da alcuni principi
essenziali:
i) Un intervento
comunitario ha significato non trascurabile se e' globale e se corrisponde alla
volonta' degli Stati membri di perseguire una politica piu' aperta in materia
di immigrazione per lavoro. Un intervento comunitario basato sulla volonta'
opposta, e mirato quindi a porre restrizioni comuni, e' inutile, se non
dannoso.
ii) L'intervento
comunitario dovrebbe definire un insieme di condizioni sufficienti, soddisfatte le quali
l'ammissione del lavoratore straniero dovrebbe essere, di norma, automatica.
Ciascuno Stato membro manterrebbe la liberta' di definire condizioni meno
restrittive, e la possibilita' di introdurre restrizioni temporanee (anche a
carattere regionale o settoriale) in presenza di esigenze inderogabili,
comunicate, con motivazione, in sede comunitaria. In caso di imposizione di
tetti numerici, pero', dovrebbero essere definiti in modo trasparente i criteri
per la definizione di una graduatoria delle domande di ammissione, ove queste
risultino piu' numerose del limite stabilito.
iii) Deve essere possibile
maturare le condizioni sufficienti anche direttamente sul territorio dello Stato
membro, mentre si soggiorna legalmente sia per motivi che corrispondano a un
soggiorno di lungo periodo (motivi familiari, studio, etc.), sia per motivi che
comportino un soggiorno breve (turismo, ricerca di lavoro, etc.). In questo
secondo caso, il criterio di ammissione per il soggiorno
"preparatorio" di breve periodo deve far riferimento essenziale alla
capacita' dello straniero di provvedere al proprio mantenimento senza gravare
sull'assistenza pubblica (cosi' come e' gia' previsto per il turista).
iv) Il principio di
preferenza comunitaria, nella forma rigida di un diritto di prelazione in capo
al lavoratore comunitario, deve essere fatto valere solo in caso di richieste
di assunzione fondate su criteri numerici (che attingano, cioe', da liste)
ovvero, eventualmente, in caso di lavoratore straniero che abbia trovato un'opportunita'
di lavoro fruendo di un periodo breve di soggiorno legale (per turismo, per
ricerca di lavoro, etc.).
v) Una volta ammesso a
soggiornare per lavoro, lo straniero deve godere di parita' di diritti con il
lavoratore nazionale (inclusa la possibilita' di stipulare qualunque contratto
di lavoro subordinato o autonomo, a prescindere dallo specifico motivo
dell'ammissione). Il ricorso prolungato all'assistenza pubblica, se considerato
motivo ostativo al rinnovo del permesso, non dovrebbe piu' risultare tale dopo
un certo numero di anni di soggiorno, a prescindere dal fatto che allo
straniero sia riconosciuto lo status di residente di lungo periodo.