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Percorso: Prima pagina/Immigrazione

La decisione ha eestato polemiche per la distinzione tra guerriglieri e terroristi
Terrorismo, che cosa ha detto il Gip di Milano PAGINA PRECEDENTE
(Gip Tribunale di Milano 24.1.2005)
   
   
Nel corso dell'atteso processo a carico di Noureddine Drissi (Marocco), Kamel Ben Mouldi Hamarouni (Tunisia) e altri extraeuropei di cultura islamica, imputati del delitto di cui all'art. 270bis del codice penale (associazione finalizzata al terrorismo), per avere espletato funzioni direttive, organizzative o semplicemente partecipative nell'unico piano criminoso (contro "governi, forze militari, istituzioni, organizzazioni internazionali, cittadini civili ed altri obiettivi - ovunque collocati, riconducibili agli Stati occidentali e non, ritenuti 'infedeli' e nemici ..."), nonché imputati del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv del codice penale e 12, commi 1 e 3, del Decreto Legislativo 286/1998 (modificato nella Legge 189/2002), per avere procurato "ingresso illegale di una pluralità di persone nel territorio dello Stato, ovvero ...in altri Stati", con l'aggravante delle finalità di terrorismo (art. 1 della Legge 6 febbraio 1980, n. 15), il Giudice delle Indagini Preliminari (dr. Clementina Forleo), nel dichiarare l'incompetenza della propria giurisdizione, ha ordinato la trasmissione ("immediata") degli atti al Pubblico Ministero di Brescia. Parimenti, ha revocato la misura cautelare detentiva nei confronti dei due imputati principali, escludendo l'aggravante di cui all'art. 1 della Legge 15/1980, sulla scorta di un coraggioso ragionamento diretto a eliminare dai capi d'accusa la qualifica di "terrorista" a carico degli interessati. Circostanza, che avrebbe consentito la "formale scarcerazione degli stessi", ancorché "limitatamente" alle ipotesi di reato contestate. Insomma, a conclusione della fase delle indagini preliminari, sarebbe emersa l'opportunità di tenere distinta una definizione di "guerrigliero", da quella più compromettente, grave e pericolosa di "terrorista", essendosi risolto il giudicante a considerare i processati come appartenenti al primo tipo di combattente (quello del "guerrigliero") e non al secondo (quello appunto del "terrorista"). La decisione ha ovviamente smontato una parte significativa dell'accusa, che certo si sosteneva in base all'allarme provocato dalla scoperta di tale "cellula eversiva" a Milano, nel cuore del territorio nazionale. La logica, che sembra ricavarsi dalla lettura della presente sentenza/ordinanza, è di ritenere il complotto di stranieri contro una determinata coalizione armata di Stati - cui lo stesso Stato ospite afferisce - un'azione di guerra combattuta nel contesto conflittuale internazionale e non un'offesa, né un rischio per il contesto civile, ove lo stesso complotto viene scoperto. (1 febbraio 2005)  


Ordinanza GIP di Milano 24.1.2005

 

N. 28491/04 R.G. N.R.

N.5774/04 R.G. G.I.P.

Tribunale di Milano

Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANOII Giudice dr. Clementina Forleo,

all'esito del giudizio abbreviato celebrato nel procedimento penale a margine indicato, nei confronti di:

-DRISSI Noureddine, nato in Marocco il 29.3.1965

presente all’udienza

detenuto presso la Casa Circondariale "San Vittore" di Milano difeso di fiducia dall'Avv. Giuseppe DE CARLO, viale Brianza, 32 Milano

-HAMRAOUI Kamel Ben Mouldi, nato a Beja (Tunisia) il 21.10.1977

presente all'udienza

detenuto presso la Casa Circondariale "San Vittore" di Milano difeso di fiducia dall'Avv. Ilaria CREMA, via Bulloni, 12 del foro di
Brescia

IMPUTATI

1) del delitto p. e p. dall’art. 270 bis c.p., in quanto si associavano tra loro e con altre persone, tra cui Mohammed Tahir Hammid (già oggetto di sentenza

definitiva di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.), Trabelsi Mourad (imputato in separato procedimento pendente davanti all'A.G. di Brescia), El Ayashi Radi Abd El Samie Abou El Yazid, Ciise Maxamed Cabdullah, Mohamed Amin Mostafà, Abderrazak Mahjoub, Muhamed Majid alias Mullah Fouad, Housni Jamal alias Jamal Al Maghrebi (per i quali si procede separatamente davanti alla Corte d'Assise di Milano) Daki Mohammed, Toumi Ali Ben Sassi e Bouyahia Maher Ben Abdelaziz (per i quali si procede separatamente essendo gli stessi già giudicati in data odierna con il rito abbreviato) allo scopo di compiere atti di violenza con finalità di terrorismo intemazionale, in Italia ed all'estero, all'interno di un'organizzazione sovra-nazionale, localmente denominata con varie sigle (tra cui "Ansar Al Islam"), comunque operante sulla base di un complessivo programma criminoso, condiviso con similari organizzazioni attive in Europa, Nord Africa, Asia e Medio Oriente, contemplante:

- preparazione ed esecuzione di azioni terroristiche da attuarsi contro governi, forze militari, istituzioni, organizzazioni internazionali, cittadini civili ed altri obiettivi - ovunque collocati riconducibili agli Stati, occidentali e non, ritenuti "infedeli" e nemici; il tutto nel quadro di un progetto di "Jihad", intesa, secondo l'interpretazione della religione musulmana propria dell'associazione, nel senso di strategia violenta per l'affermazione dei principi "puri" di tale religione;

- il favoreggiamento della immigrazione illegale in Italia e verso altri Stati dei militanti;

- il procacciamento di documenti falsi di identità per i componenti dell'organizzazione;

- il reclutamento di una pluralità di persone da inserire nell'associazione ed eventualmente inviare in campi di addestramento ubicati principalmente in Iraq;

- l'invio dei militanti nelle "zone di guerra" a sostegno delle attività terroristiche ivi progettate ed eseguite contro il "nemico infedele";

- la raccolta dei finanziamenti necessari per il raggiungimento degli scopi della organizzazione;

- il proselitismo effettuato (anche nei luoghi di culto e di riunione siti in Milano, come la moschea di Via Quaranta ed un appartamento di Via Cilea n. 40) attraverso videocassette, audio-cassette, documenti propagandistici e sermoni incitanti al terrorismo ed al sacrificio personale in azioni suicide destinate a colpire il nemico "infedele";

- la predisposizione, comunque, di tutti mezzi necessari per l'attuazione del programma criminoso dell'associazione e per il sostegno ai "fratelli" ovunque operanti secondo il descritto programma.

In particolare, operando nella associazione:

- Muhammad Majid (alias Mullah Fouad), Abderrazak Madjoub, Ciise Maxamed Cabdullaah ed El Ayashi Radi Abd El Samie Abou El Yazid, con funzioni direttive ed organizzative (art. 270 bis, c. I c.p.) nell'ambito della cellula operante in Milano ed in altre zone del territorio italiano (Muhammad Majid e Ciise Maxamed Cabdullaah, in particolare, nel periodo della propria permanenza in Italia), nonché il Ciise Maxamed Cabdullaah anche a livello internazionale; condotta consistita per i primi tre anche nel fungere da raccordo tra i vertici dell'organizzazione transnazionale e l'attività dei membri della cellula italiana; per il quarto anche nel coordinare l'attività dei membri della cellula locale; per tutti nei coordinare l'approvvigionamento di documenti falsi;

- Hamraoui Kamel Ben Mouldi e Drissi Noureddine, con funzioni organizzative (art. 270 bis, c. I c.p.) consistite nel coordinare l'attività dell'associazione in varie località del Nord Italia (tra cui, oltre Milano, anche Cremona e Parma) anche allo scopo di eludere le indagini delle competenti autorità concentratesi principalmente sull'attività svolta nella città di Milano, sede principale della cellula italiana;

- Mohamed Amin Mostafa, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), con condotta consistita nell'assicurare il necessario supporto per l'invio definitivo, in vista dei fini sopra indicati, di persone, documenti e denaro nel Kurdistan iracheno (in alcuni casi attraverso la Siria);

- Daki Mohammed, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), con condotta consistita nel dare ospitalità e nell'assicurare approvvigionamento di documenti falsi a membri dell'associazione (tra cui lo stesso Ciise Maxamed Cabdullaah);

- Bouyahia Maher Ben Abdelaziz, quale semplice partecipe (art 270 bis, c. II c.pp), fungendo da raccordo in territorio turco (segnatamente nella città di Instanbul) tra i capi dell'organizzazione transnazionale e l'attività dei membri della cellula italiana;

- Housni Jamal, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), svolgendo la propria attività, secondo le direttive impartitegli da El Ayashi Radi Abd El Samie Ahou El Yazid, sia in territorio italiano che in territorio estero (recandosi, ad es., in Turchia presso il gruppo di Bouyahia Maher Ben Abdelaziz per recapitare loro materiale vario su ordine di El Ajyashi);

- Toumi Ali, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), provvedendo principalmente al reperimento di documenti falsi e di altro materiale logistico (computer, telefoni, etc.) necessari allo svolgimento dell'attività associativa.

Associazione avente il suo principale centro operativo italiano in Milano, tuttora operante anche in altre località nel territorio italiano (oltre che all'estero) a partire almeno dal luglio 2001; (condotta degli imputati colpiti da provvedimento restrittivo esaurita all'atto della esecuzione del medesimo, se intervenuta).

2) del delitto p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv. c.p. e 12 commi 1 e 3 D.L.vo 286/1998 (ora modificato dalla L. 189/2002), in quanto, in concorso tra loro e con altre persone, tra cui Mohammed Tallir Hammid (già oggetto di sentenza definitiva di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.), Trabeisi Monrad (imputato in separato procedimento davanti all'A.G. di Brescia), El Ayashi Radi Abd El Samie Abou El Yazid, Mohamed Amin Mostafa, Abderrazak Mahjoub, Muhamed Majid alias Mullah Fouad, Housni Jamal alias Jamal Al Maghrebi (per i quali si procede separatamente davanti alla Corte d'Assise di Milano) Toumi Ali Ben Sassi e Bouyahia Maher Ben Abdelaziz (per i quali si procede separatamente essendo gli stessi già giudicati in data odierna con il rito abbreviato), compivano, in violazione delle disposizioni di legge regolanti la materia, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, atti diretti a procurare l'ingresso illegale di una pluralità di persone nel territorio dello Stato, ovvero atti diretti a procurare l'ingresso illegale in altri Stati del quale le suddette persone non erano cittadine o non avevano titolo di residenza permanente, con le condotte già descritte nei capi precedenti. In particolare, provvedevano anche a procurare documenti falsi a persone che arrivavano in Italia anche allo scopo di transitare, successivamente, in altri Stati (prevalentemente presso campi di addestramento in Iraq).

Fatto aggravato dall'essere stato commesso da più di tre persone in concorso tra loro.

Con l'ulteriore aggravante di cui all'art. 1 L. 6.2.80 n. 15, avendo commesso i reati per finalità di terrorismo.

Reati accertati o commessi in Milano ed in altre località nel territorio italiano dal luglio 2001 al novembre 2003 (condotta degli imputati colpiti da provvedimento restrittivo esaurita all'atto della esecuzione del medesimo, se intervenuta).

conclusioni delle parti:

II P.M. ha chiesto rigettarsi l'eccezione di incompetenza territoriale sollevata dalla difesa.

Nel merito ha chiesto la condanna degli imputati alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione e di euro 16.000,00 di multa, previa derubricazione del ruolo rivestito dai predetti nel reato di cui al capo a) in quello di partecipe.

La difesa ha preliminarmente eccepito l'incompetenza territoriale di questa A.G. essendosi il fatto commesso in Cremona, con conseguente competenza dell'A.G. di Brescia ex art.51/3 bis c.p..

Nel merito la difesa di DRISSI ha chiesto sentenza di assoluzione perchè il fatto non costituisce reato o perchè l'imputato non lo ha commesso; in subordine ha chiesto la concessione delle circostanze attenuanti generiche; la difesa dell’HAMRAOUI ha chiesto sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste o perché l'imputalo non lo ha commesso.

Ha pronunciato la seguente

SENTENZA

art..22/3 c.p.p.

ORDINANZA

art.299/3 u.p. c.p.p.

MOTIVI della DECISIONE

In data 29.3.2004, a seguito di richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti di Trabeisi Mourad in ordine ai medesimi reati di cui all'attuale
imputazione, questo giudice emetteva sentenza di incompetenza per territorio in favore dell'A.G. di Brescia, ritenendo la stessa competente per l'intera "cellula" di cui all'imputazione all'epoca formulata.

Di seguito, in data 3.8.2004, perveniva richiesta di rinvio a giudizio concernente le posizioni degli altri imputati di cui all'attuale incriminazione (fatta eccezione per Mohammed Tahir Hammid per il quale era nel frattempo intervenuta sentenza ex art.444 c.p.p.), alcuni dei quali chiedevano procedersi con le forme del giudizio abbreviato. Tra quest'ultimi, gli imputati Drissi Noureddine e Hamroaui Kamel Ben Mouldi, risultati nel corso delle indagini in stretto contatto con il Trabelsi.

I difensori dei due eccepivano preliminarmente l’incompetenza territoriale di questa A.G. in favore di quella bresciana, e questo giudice si riservava la decisione all'esito della discussione.

Alla luce della riformulazione dell'imputazione rispetto a quella elevata in ordine alla posizione del Trabelsi, nonchè soprattutto in base alle indagini successivamente compiute - ed in particolare agli interrogatori resi da taluni coimputati ed imputati in procedimenti connessi nonchè agli atti acquisiti nel giudizio abbreviato ex art.441/5 c.p.p. - va confermata la competenza di detta A.G. in ordine al cd. gruppo cremonese, e dunque anche in ordine alle posizioni dei due attuali imputati Drissi e Hamraoui, ma va invece affermata la competenza di questa A.G. in ordine al cd. gruppo milanese, ossia alle posizioni degli altri imputati.

Come infatti già evidenziato nel decreto di rinvio a giudizio emesso in data 29.9.2004 nei confronti degli imputati che non hanno optato per il rito speciale, dall’insieme degli atti processuali - peraltro di seguito integrati ex art.441/5 c.p.p. - emerge all'evidenza la pluralità di più "cellule" di matrice islamico-fondamentalista gravitanti in aree eversive operanti nel territorio nazionale e la sostanziale autonomia, anche nelle loro precipue finalità, delle stesse, e ciò pur in presenza di evidenti e necessari collegamenti tra le medesime ed altre, collaterali, stanziate all'estero. Sempre da detti atti emerge pure l'incentrarsi della "cellula" della quale facevano parte tutti gli altri imputati nel territorio milanese, in cui la stessa trovava appunto il suo epicentro logistico.

Tale valutazione prescinde evidentemente dallo stanziamento dei singoli membri nel territorio dello Stato e si impernia necessariamente sulla base operativa dei gruppi in questione.

Tanto si afferma in quanto sia i due curdi abitanti a Parma - Mohammed Tahir Hammid e Mohamed Amin Mostafà - pur nei loro appurati contatti con il gruppo cremonese ed in particolare con il Trabelsi, sia Daki Mohamed, domiciliato a Reggio Emilia, risulta operassero in stretto contatto con i membri dell'organizzazione stanziati in Milano, ed in particolare con l’E1 Ayashi, con il Nasr Osama, oltre che con il Mullah Fouad (nel periodo in cui quest'ultimo era stanziato in Italia), loro referenti primari.

All'esito del giudizio abbreviato deve pertanto affermarsi la competenza dell'A.G. bresciana con riguardo alle posizioni degli imputati Drissi e Hamraoui, i quali peraltro risultano dagli stessi atti indagati presso tale A.G. in parallelo procedimento avente ad oggetto i medesimi titoli di reato, assorbenti le attuali incriminazioni.

Va nondimeno evidenziato come all'esito del giudizio abbreviato, conclusosi per gli altri imputati con sentenza assolutoria dal reato di cui all'art.270 bis c.p., sulla base degli elementi di prova allo stato ed in questa sede utilizzabili, non possano al riguardo ritenersi persistenti i gravi indizi in ordine a tale reato neppure per il cd. gruppo cremonese, per la parte evidentemente concernente il presente procedimento come finora sviluppatosi.

Ciò si precisa ai soli effetti del regime cautelare in atto nei confronti dei due imputati in questione, non detenuti nell'ambito del parallelo procedimento bresciano.

Sul punto va innanzitutto rilevato come gli atti di causa debbano essere sfrondati dagli atti affetti da inutilizzabilità patologica, ed innanzitutto dalle cd.
fonti d'intelligence, ossia dai numerosi dati provenienti da "acquisizioni informative" o "investigative" non meglio precisate, o da acquisizioni assunte in "contesti di collaborazione internazionale" o asseritamente provenienti da "segnalazioni da parte di organismi americani" o da "dati forniti dal BKA tedesco", anch'esse prive di qualsivoglia supporto genetico degno di rilievo processuale e non puntalmente riscontrate da arti processualmente rilevanti.

Lo stesso è a dirsi per gli atti compiuti all'estero e non assistiti dalle garanzie difensive che l'ordinamento interno pone ad imprescindibile fondamento dell'utilizzabilità di tali atti, ed in particolare alle audizioni di soggetti assunti come testimoni anziché come indagati in procedimenti all'evidenza connessi e dunque senza le dovute garanzie difensive. Ci si riferisce soprattutto alle audizioni di ex combattenti ristretti in Iraq, assunte dall'autorità norvegese ed acquisite dai nostri inquirenti in sede di rogatoria.

Analoghi rilievi di inutilizzabilità processuale riguardano con altrettanta evidenza i dati provenienti dalle c.d. fonti aperte, ossia da informazioni giornalistiche o assunte per via telematica.

Tanto premesso, può dirsi con margini di ragionevole certezza ed al di là delle reticenti dichiarazioni di taluni imputati, che entrambe le "cellule" in questione avevano come precipuo scopo il finanziamento, e più in generale il sostegno, di strutture di addestramento paramilitare site in zone mediorientali, presumibilmente stanziale nel nord dell'Iraq.

A tal scopo, infatti, erano organizzati sia la raccolta e l'invio - attraverso canali ritenuti "sicuri" - di somme di denaro, sia l'arruolamento di volontari - tutti stranieri e tutti di matrice islamico-fondamentalista - da far giungere in dette zone evitando ogni possibile intoppo nelle loro trasferte, e dunque attraverso percorsi anch'essi ritenuti "sicuri" e con documenti: spesso contraffatti.

L'attività delle "cellule" in questione, per quanto sempre risulta da detti atti, si colloca storicamente in concomitanza dell'attacco statunitense all'Iraq, avvenuto com'è noto nel marzo del 2003 ma notoriamente previsto come altamente probabile all'indomani del conflitto in Afghanistan, nel quale pure tali gruppi risultano essere stati attivi.

Numerose conversazioni intercettate fanno peraltro riferimento a tale accanimento ed alla necessità di arginare il più possibile i prevedibili nefasti effetti, aiutando "fratelli" presenti nelle zone del conflitto, sia economicamente sia, appunto, rinforzando i contingenti armati attraverso l'invio di combattenti.

Non risulta invece provato, nonostante gli encomiabili sforzi investigativi compiuti, che tali strutture paramilitari prevedessero la concreta programmazione di obiettivi trascendenti attività di guerriglia da innescare in detti o in altri prevedibili contesti bellici e dunque incasellabili nell'ambito delle attività di tipo terroristico di cui all’art.270 bis c.p. come novellato all'indomani dei noti e tragici fatti dell'11. 9.2001.

La nozione di terrorismo, com'è noto, diverge da quella di eversione e come questa non è definita in via normativa, dovendosi dunque ricavare in via ermeneutica, sia sulla base del contenuto delle convenzioni internazionali sul punto, sia, soprattutto, riflettendo sulla "ratio" e sulla genesi della norma penale in questione.

Emblematico sotto il primo profilo appare il tenore della Convenzione Globale dell'O.N.U. sul Terrorismo, progettata nel 1999, che all'art.18/2 prevede un'esimente in ordine alle sanzioni in essa previste, in forza della quale le stesse non riguardano le forze armate ed i gruppi armati o movimenti diversi dalla forze armate di uno Stato nella misura in cui si attengano alle norme del diritto internazionale umanitario.

Proprio da tale normativa, ed in particolare da detta esimente, si ricava che le attività violente o di guerriglia poste in essere nell'ambito di contesti bellici, anche se poste in essere da parte di forze armate diverse da quelle istituzionali, non possono essere perseguite neppure sul piano del diritto internazionale, a meno che - ed ecco che in tal caso l'esimente in questione non opera - non venga violato il diritto internazionale umanitario.

Da tale ultimo limite può ricavarsi dunque che le attività di tipo terroristico rilevanti e dunque perseguibili sul piano del diritto internazionale siano quelle dirette a seminare terrore indiscriminato verso la popolazione civile in nome di un credo ideologico e/o religioso, ponendosi dunque come delitti contro l'umanità.

A confortare tale impostazione interviene la "ratio " della norma di cui all'art.27O bis c.p., com'è noto novellata a seguito dei noti e tragici fatti dell'11.9.2001.

La modifica, che ha appunto esteso i1 rilievo penale dei fatti in tale norma già previsti anche ai casi in cui gli stessi fossero posti ai danni di uno Stato estero, voluta d'emergenza all'indomani; di tali fatti parallelamente ad analoghi interventi legislativi posti in essere in altri paesi, ha evidentemente perseguito la finalità di creare una sorta di diritto penale sovranazionale con il quale tutelare i singoli Stati da attentati terroristici di ampio spettro, speculari di strategie politiche autonome e risolutive.

L'estendere tale tutela penale anche agli atti di guerriglia, per quanto violenti, posti in essere nell'ambito di conflitti bellici in atto in altri Stati ed a prescindere dall'obiettivo preso di mira, porterebbe inevitabilmente ad un'ingiustificata presa di posizione per una delle forze in campo, essendo peraltro notorio che nel conflitto bellico in questione, come in tutti i conflitti dell'era contemporanea, strumenti di altissima potenzialità offensiva sono stati innescati da tutte le forze in campo.

Tanto premesso, va rilevato come in punto di fatto non può ritenersi provato, neppure in termini di gravità indiziaria, che le due "cellule" in questione, pu gravitando in aree notoriamente contrassegnale da propensioni al terrorismo, avessero obiettivi trascendenti quelli di guerriglia come sopra delineati.

Al riguardo non può dirsi sufficiente a fondare l'ipotizzata responsabilità penale, la comune appartenenza a realtà eversive ed a strutture, quale quella denominata "Ansar Al Islam" - peraltro bombardata e distrutta nel corso di tale conflitto - dalla composizione tutt’altro che omogenea ed anzi alquanto articolata e complessa.

Sotto tale ultimo profilo va evidenziato come la variegata gamma di posizioni tinte di matrice islamico-fondamentalista, confluenti nella menzionata struttura "Ansar Al Islam" sia stata delineata dal computato "collaboratore" Mohammed Tahir Hammid, il quale, pur nella evidente prospettiva di un trattamento sanzionatorio alquanto mite poi ottenuto ex art.444 c.p.p., ha infatti spiegato che tale formazione era alquanto eterogenea, facendo ad essa capo vari modi di intendere l'opposizione ai regimi! "nemici", pur nella comune e dunque omogenea matrice islamico-fondamentalista dei vari sostenitori e simpatizzanti.

Le ultime dichiarazioni del predetto parlano al riguardo chiaro. Il Mohammed Tahir ha infatti riferito genericamente di "aver sentito dire" che "Ansar Al Islam" era "in contatta con Al Qaeda" e che aveva in progetto anche di utilizzare "kamikaze" per azioni di guerriglia all'interno dei confini iracheni, senza fornire alcun elemento di diretta cognizione al riguardo, e anzi significativamente aggiungendo che la svolta verso dette forme di violenza era oggetto di discussione tra i componenti dell'organizzazione, affermando altresì di essere un islamista moderato e di non condividere la deriva violenta di detta formazione. Ha inoltre aggiunto che alcuni dei suoi coimputati, quali l’El Ayashi, "si stavano avvicinando a detta organizzazione", così confermando dunque che gli stessi non vi erano organicamente inseriti.

Sempre in ordine all'organizzazione "Ansar Al Islam ", va poi evidenziato il tenore della documentazione sequestrata al suo vertice Mullah Krekar arrestato in Olanda e poi scarcerato ed espluso in Norvegia.

In uno di tali atti concernente l'ideologia del gruppo e la sua matrice islamico-fondamentalista, si parla infatti di addestramenti militari al fine di affrontare "combattimenti sul fronte", nonché di "tunnel e cave" costruiti per difendersi dai "raid aerei soprattutto dopo gli ultimi bombardamenti sopra Tora Bora nel caso ci fossero degli attacchi dell'alleanza americana britannica". Il documento in questione si conclude con una chiosa per così dire "profetica". Si legge infatti: "Scrivo queste righe prima dell'attacco americano in Iraq e probabilmente anche noi verremo colpiti anche se stiamo prendendo delle misure protettive per le nostre trecento famiglie, alcuni si nascondono in Iran, ma anche lì hanno la vita dura e difficile... perche si presume che gli americani attaccheranno le città di Halja e Siruane che sono strategiche, e se queste città verranno liberate potremmo iniziare l'era dell'Emirato Islamico che opererebbe in associazione con l'organizzazione delle Nazioni Unte. E infine chiedo a Dio di darci la forza e la vittoria. Il vostro fratello Abu Sayed Kutub Fateh Krekar".

Sia da tali elementi, sia dalle riportate dichiarazioni di Mohammed Tahir può dunque ricavarsi che "Ansar Al Islam" era strutturata come una vera e propria organizzazione combattente islamica, munita di una propria milizia addestrata appunto alla guerriglia e finanziata anche da gruppi stanziati in Europa ed evidentemente gravitanti nell'area del fondamentalismo islamico, senza perciò avere obiettivi di natura terroristica, probabilmente e verosimilmente propri solo di alcuni di suoi membri.

E’ da evidenziarsi peraltro come dal riportato manoscritto a firma del Mullah Krekar era stata dallo stesso prevista la possibilità di un'istituzionalizzazione, addirittura nell'ambito delle Nazioni Unite, dell'organizzazione in questione.

Sempre sulle appurate finalità delle due "cellule" in questione vanno anche menzionate le dichiarazioni rese dall'imputato El Ayashi in data 29.7.2004, laddove lo stesso ammette di aver inviato combattenti in medioriente nel 2003 "per ragioni di Jahad", ossia "per opporsi agli invasori", in concomitanza appunto con l'attacco americano e per combattere contro lo stesso, e ciò attraverso il canale siriano gestito dal coimputato Mullah Fouad.

In questo senso, a parere della scrivente, devono peraltro essere intese le più significative conversazioni intercettate. E' il caso del riferimento alla "grande bomba" che "sta arrivando" di cui alla conversazione telefonica intervenuta in data 11.3.2003 ore 11.40 tra l'attuale imputato Drissi e Trabeisi Mourad, evidentemente i due interlocutori riferendosi all'imminente attacco americano all'Iraq, com'è noto scoppiato proprio in quei giorni. Si pensi ancora alla "maledizione" di cui alla conversazione intervenuta in data 1.4.2003 tra l’E1 Ayashi e Ciise Mahamed all'interno della camera di sicurezza della locale Questura, e il chiaro riferimento alla ormai intervenuta guerra all'Iraq ed alla posizione al riguardo assunta dal governo italiano, con commenti all'evidenza tutt'altro che inequivocabilmente riferibili ad attività di tipo terroristico in concreto programmate. Altra conversazione emblematica in tal senso quella intervenuta in data 30.3.2003 ore 20.41, ossia ad attacco americano già avvenuto, tra il citato El Ayashi e l'attuale imputato Hamraoui, nel corso della quale quest'ultimo comunica che il Trabelsi, sentiti altri personaggi di spicco del gruppo, avrebbe deciso che "non hanno bisogno di uomini lì, hanno bisogno di uomini qui", precisando lo stesso che "metà degli uomini cercano finanziamenti, metà restano qui", all'evidenza riferendosi, quanto agli nomini che restano "qui", ai finanziatori di quei combattimenti. Lo stesso è a dirsi per la conversazione intervenuta tra il Mullah Fouad e l’El Ayashi sempre in data 30.3.2003, nel corso della quale il primo richiede l'invio di combattenti adeguatamente addestrati, di "gente che colpisca il ferro", sollecitando l'interlocutore a cercare anche "quelli che stavano in jaban", alludendo secondo la prospettazione accusatoria (mai il riferimento appare in verità alquanto ambiguo) all'invio di uomini disposti, comunque sempre in quel contesto, al diretto sacrificio umano.

Non risulta inoltre da alcun atto degno di rilievo processuale che le due "cellule" in questione fossero legate all'organizzazione "Al Tawid" della quale sarebbe vertice il noto terrorista Al Zarqawi.

Sotto tale profilo va evidenzialo come l'utenza telefonica asseritamente in uso a quest'ultimo personaggio fosse tutt’altro che corrispondente (ed anzi differente per ben cinque cifre) a quella che nella conversazione del 9.3.2003 intercorsa tra l’E1 Ayashi e i due curdi residenti a Parma, viene indicata come in uso al MullahFouad.

Neppure risultano legami penalmente rilevanti di tali gruppi con quelli, pur della stessa matrice ideologica, responsabili di attacchi di pacifica natura terroristica, non potendo al riguardo farsi leva sulla presunta analogia della "potenziale progettualità operativa degli spostamenti di uomini e di risorse" nè tanto meno sulla asserita "circolarità di rapporti" tra soggetti gravitanti nei medesimi ambienti eversivi, e dunque sui loro rapporti di conoscenza o di pregressa frequentazione.

Ad incidere sulle esposte considerazioni non può neppure invocarsi la circostanza in base alla quale gli imputati non erano di nazionalità irachena e dunque non avrebbero potuto legittimamente battersi in guerra contro il "nemico" americano.

E' evidente infatti come la scriminante prevista dalla citata convenzione riguardi le forze belligeranti facenti parte delle opposte fazioni in lotta, a prescindere dalla nazionalità dei singoli individui combattenti qualora accomunati da un'unica matrice strategico-ideologica.

Rimarranno perciò da appurare, nel futuro corso del procedimento bresciano, sia i legami penalmente rilevanti tra i due attuali imputati e gli altri imputati di quel procedimento, sia d'altro canto le eventuali attività terroristiche da tale "cellula" in concreto programmate.

A tal ultimo riguardo non può non rilevarsi come gli atti del procedimento bresciano acquisiti ex art.441/5 c.p.p. e concernenti l'audizione in incidente probatorio del "collaboratore" Zouaoi Chokri, finiscano in ultima analisi per avallare tale valutazione. Le dichiarazioni del predetto relative a presunti attentati da commettere sul territorio italiano, appaiono infatti fondate su deduzioni dallo stesso ricavate da discorsi in linguaggio criptico asseritamente tenuti in sua presenza di soggetti assolutamente estranei al presente procedimento. D'altra parte, come affermato dal P.M. in udienza, va evidenziato come le dichiarazioni che tale "collaboratore" avrebbe reso nell’ambito di altro procedimento milanese e di cui vi è traccia in detto atto, non riguarderebbero le due "cellule" in questione.

Quanto sopra, si ripete, lungi dall'anticipare valutazioni di merito non certo spettanti alla scrivente in ordine alla posizione dei due predetti, vale solo ai fini della revoca della misura cautelare in atto nei confronti degli stessi nell'ambito del presente procedimento in ordine al reato associativo loro contestato.

Per tali motivi, il reato di cui all'art.12 d.lvo 286/1998 andrà liberato dalla circostanza aggravante di cui all’art.1 l.15/1980.

P.Q.M.

visto l'art. 22/3 c.p.p.

DICHIARA

la propria incompetenza per territorio ed

ORDINA

l'immediata trasmissione degli atti al P.M. presso il Tribunale di Brescia, anche per gli adempimenti connessi alla rinnovazione della misura cautelare in atto come di seguito limitata;

visto l'art.299/3 u.p. c.p.p.

REVOCA

la misura cautelare in atto nei confronti dei due imputati, per sopravvenuta carenza di gravi indizi in ordine al reato di cui al capo 1), ed escludendo dal reato di cui al capo 2), l'aggravante di cui all'art.1 l.15/1980, sempre per sopravvenute, carenza di gravi indizi al riguardo).

ORDINA

la formale scarcerazione degli stessi limitatamente a tali ipotesi.

Milano, 24.1.2005

Il Cancelliere Il Giudice

Irma Di Stefano dr. Clementina Forleo

DEPOSITATA IN CANCELLERIA il 24 Gennaio 2005.

 
   
    GRUPPO ESPRESSO