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inserito in Diritto&Diritti nel dicembre 2004

Concessione della cittadinanza italiana : Tar Lombardia, I,  n. 6387 del 13.12.04

 

***

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – prima sezione - ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 363/04 proposto da

**,

rappresentato e difeso dagli avv.ti Pasquale Cerbo e Rocco Pietro Sicari ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Milano, via F. Sforza n.5; 

contro

MINISTERO DELL’INTERNO,

costituitosi in giudizio, rappresentato  e difeso dall’avvocatura dello Stato  ed elettivamente domiciliato presso la sua sede in Milano, via Freguglia n. 1;

per l'annullamento

del provvedimento di rigetto dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana prot. n. K10.51064 del 9.10.2003, notificato in data 7.11.2003.

Visto il ricorso  con i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio dell’amministrazione intimata;

Viste le memorie delle parti depositate a sostegno delle rispettive difese;

Visti gli atti tutti della causa;

Udito il ref. Elena Quadri, designato relatore per l’udienza dell’11.11.2004; 

Uditi i difensori delle parti;

Ritenuto in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

Il ricorrente vive a ** con i genitori, è nato in *** nel 1982 e risiede legalmente in Italia dal 1990, dove è giunto insieme alla madre ed alla sorella minore per ricostruire l’originario nucleo familiare con il padre, che li aveva preceduti di alcuni anni nell’espatrio.

I genitori sono proprietari della casa di abitazione, svolgono entrambi attività lavorativa e godono di un reddito complessivo ampiamente superiore al livello minimo necessario all’esenzione dalla spesa sanitaria; la sorella è iscritta alla facoltà di ingegneria civile, mentre il ricorrente è titolare di diploma di scuola dell’obbligo ed attualmente lavora, avendo stipulato due contratti di lavoro a tempo determinato, il primo con validità 1.12.2003-31.8.2004 ed il secondo con validità annuale dal 15.9.2004.

Con il presente gravame il ricorrente impugna il provvedimento indicato in epigrafe, con il quale il Ministero dell’Interno respingeva l’istanza di cittadinanza italiana dal medesimo presentata ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f), della legge 5.2.1992, n. 91 in ragione del mancato svolgimento di attività lavorativa da parte dell’interessato, al cui sostentamento provvederebbe il padre.

A sostegno del proprio gravame il ricorrente deduce il seguente, articolato, motivo di diritto:

1.      Eccesso di potere per violazione del principio di ragionevolezza, per travisamento dei fatti e per carenza di motivazione, atteso che l’amministrazione avrebbe travisato i fatti paragonando la condizione del ricorrente a quella di un adulto ed omettendo di  considerare la posizione dell’interessato, giovane e convivente con una famiglia dotata di reddito più che dignitoso.

Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata, che ha chiesto il rigetto del gravame per infondatezza nel merito.

Successivamente le parti hanno prodotto memorie a sostegno delle rispettive conclusioni.

Alla pubblica udienza dell’11.11.2004 il gravame è stato, quindi, trattenuto per la decisione.

DIRITTO

Con il ricorso all’esame il ricorrente impugna il provvedimento descritto in epigrafe, relativo al diniego sull’istanza di cittadinanza italiana dal medesimo presentata ai sensi dell’art. 9, comma 1, lettera f), della legge 5.2.1992, n. 91.

Il ricorrente lamenta l’illegittimità del provvedimento impugnato per eccesso di potere per travisamento dei fatti, irragionevolezza e carenza di motivazione.

Per la difesa dell’amministrazione intimata, al contrario, il Ministero avrebbe legittimamente negato la cittadinanza sulla base di valutazioni ampiamente discrezionali e fondate.

Il ricorso va accolto.

Nel proprio provvedimento il Ministero dell'Interno ha premesso "che il cittadino straniero il quale chiede di essere ammesso nella comunità politica nazionale, è tenuto, tra l'altro come anche ribadito dal Consiglio di Stato a documentare tanto la disponibilità di adeguati mezzi economici quanto il corretto adempimento degli obblighi fiscali"; ha quindi evidenziato che dalla "documentazione esibita a corredo della domanda…… si evince che l'interessato non svolge alcuna attività lavorativa e, al suo sostentamento provvede il padre; atteso pertanto che l’interessato non risulta disporre di autonomi mezzi di sostentamento"; ha infine concluso per il rigetto dell'istanza tenuto conto "che con l'attribuzione della cittadinanza il richiedente potrebbe usufruire di eventuali provvidenze previste per i cittadini in stato di indigenza che graverebbero ulteriormente sul bilancio dello Stato e che, d'altro canto, non è dato rilevare la sussistenza di benemerenze o circostanze tali da poter comunque giustificare l'attribuzione dell'invocato beneficio”.

Il provvedimento di concessione della cittadinanza italiana costituisce senza dubbio manifestazione di un potere ampiamente discrezionale, che presuppone l'accertamento di un interesse pubblico da valutarsi in relazione ai fini propri della società nazionale e non sul semplice riferimento all'interesse privato di chi si risolve a domandare la cittadinanza per il soddisfacimento di personali esigenze (cfr. Cons. di Stato, sez. IV, 17 luglio 2000 n. 3958; TAR Bologna, sez. I, 27 febbraio 2003 n. 158). In tale contesto ben possono assumere rilievo considerazioni anche di carattere economico-patrimoniale relative al possesso, da parte del richiedente, di adeguate fonti di sussistenza, sufficienti per consentirgli di far fronte ai doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale, compresi quelli della solidarietà economica e sociale (cfr. TAR Veneto, Sez. III, 28 novembre 2003 n. 5948), il che legittima il diniego della cittadinanza nei confronti di chi sia titolare di redditi annui inferiori a quelli previsti dall’art. 3 del D.L. n. 382/1989, convertito con modificazioni dalla legge n. 8/1990, per l'esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria in favore dei titolari di pensioni di vecchiaia (cfr. TAR Milano, 7 marzo 2002, n. 988).

Ciò non significa, peraltro, che gli unici redditi suscettibili di considerazione, nell'ambito del procedimento finalizzato alla concessione della cittadinanza, siano quelli direttamente prodotti dal richiedente; la giurisprudenza amministrativa ha affermato in proposito che, ove l'interessato sia inserito in un nucleo familiare, si deve tenere conto, al fine di valutare la capacità di far fronte ai doveri di solidarietà economica e sociale, anche dei redditi di cui il soggetto possa fruire in quanto partecipante del nucleo in questione. E può dirsi, ad esempio, nel caso della casalinga che non svolga altra attività, ma che possa avvalersi di un adeguato reddito del marito convivente (cfr. TAR Milano, sez. I, 1 marzo 2004 n. 798; TAR Veneto, sez. III, n. 5948/2003), o nel caso del richiedente di giovane età, inserito in un nucleo familiare, che non abbia ancora acquisito una posizione di indipendenza lavorativa e reddituale (cfr. TAR Liguria, 6 novembre 2003 n. 1458, TAR Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 18 giugno 2004, n. 1364). L’odierno ricorrente è proprio in questa situazione, perché è titolare di un mero contratto a tempo determinato e non gode ancora di certo reddito proprio, ma fruisce del reddito familiare, essendo a carico dei genitori.

L’amministrazione avrebbe dovuto considerare tale stato di fatto al fine di valutare se il reddito assicurato dalla famiglia fosse sufficiente a garantire il rispetto dei doveri che derivano dall'appartenenza alla comunità nazionale ed a supportare la domanda intesa ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana.

Di tale valutazione non c’è traccia nel provvedimento del Ministero dell'Interno, che si è limitato a rilevare l’insussistenza di autonomi mezzi di sostentamento del richiedente.

Il provvedimento impugnato è dunque viziato dalla censurata carenza istruttoria e di motivazione.

Alla luce delle suesposte considerazioni il ricorso va accolto, disponendosi, per l’effetto, l’annullamento del provvedimento impugnato, salve le ulteriori determinazioni dell’amministrazione.

Sussistono giusti motivi per disporre l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.

P.Q.M.

il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia – prima sezione – accoglie il ricorso in epigrafe e dispone l’annullamento dell’atto impugnato.

Spese compensate.

La presente sentenza sarà eseguita dall’amministrazione ed è depositata presso la segreteria del Tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso, in Milano, l’11.11.2004, dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, in Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:

Ezio Maria Barbieri                     Presidente

Elena Quadri                                giudice est.

Riccardo Giani                             giudice

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