La Svizzera potrà partecipare ai trattati di Schengen e Dublino sulla sicurezza interna e sull'asilo - accettati domenica in votazione popolare - solo se nel referendum del 25 settembre l'elettorato elvetico dirà di sì anche all'estensione della libera circolazione delle persone ai dieci nuovi stati dell'Unione europea (Ue).
Ad affermarlo è la commissaria europea alle relazioni esterne Benita Ferrero-Waldner, la quale ha precisato che se la Svizzera dovesse dire di no, gli accordi «potrebbero non entrare in vigore».
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Perché gli accordi di Schengen e Dublino possano entrare in vigore, tutti i 25 stati membri dell'Ue devono essere trattati allo stesso modo.
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Benita Ferrero-Waldner, commissaria europea
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Uguaglianza tra i membri dell'Ue
Ricevendo i giornalisti svizzeri all'indomani della votazione federale, la commissaria si è rallegrata del responso scaturito dalle urne (54,6% di voti favorevoli), il quale costituisce «un segnale molto positivo».
La sua speranza è che anche «l'esito del voto di settembre sia altrettanto positivo». La posta in gioco del referendum lanciato, per ragioni opposte, dalla destra più radicale e da una parte della sinistra, è infatti alta.
«Perché gli accordi di Schengen e Dublino possano entrare in vigore, è necessario che tutti i 25 stati membri dell'Ue vengano trattati allo stesso modo», ha ammonito la commissaria, aggiungendo che esiste un «principio di uguaglianza tra gli stati membri».
Ministri elvetici sorpresi
Le dichiarazioni di Benita Ferrero-Waldner non sono piaciute alla responsabile del Dipartimento federale degli affari esteri Micheline Calmy-Rey, la quale si è detta «sorpresa che ci si esprima in questi termini su un oggetto di competenza del popolo svizzero» e prima ancora che l'elettore «si sia pronunciato liberamente e democraticamente».
La consigliera federale ha ricordato inoltre che dal profilo giuridico non esistono relazioni tra Schengen e l'estensione della libera circolazione delle persone.
Pur non essendoci un nesso giuridico tra i due dossier - osserva l'ambasciatore elvetico presso l'Ue Bernhard Marfurt - è stato posto un vincolo politico. Quale condizione per l'apertura di negoziati su Schengen, l'Ue aveva infatti chiesto a suo tempo alla Svizzera un accordo di libera circolazione. Tale intesa è in vigore dal luglio del 2002 e la condizione è stata quindi rispettata.
Calmy Rey chiederà dunque quanto prima spiegazioni alla collega europea.
Il ministro della giustizia Christoph Blocher si dice anch'esso sorpreso, sebbene in toni più pacati. Secondo lui, la questione sull'eventuale legame tra i due dossier deve essere rapidamente chiarita.
Le reazioni dei partiti
Reazioni alle dichiarazioni della commissaria europea sono inoltre giunte dai partiti di governo.
«È un ricatto», ha commentato il segretario generale dell'Unione democratica di centro (UDC, partito di destra nazionalista) Gregor Rutz.
«Gli accordi di Schengen e Dublino sono stati negoziati separatamente e ora l'Ue cerca di esercitare pressioni. Tutto ciò dimostra che l'Europa è un partner negoziale inaffidabile», ha sottolineato Rutz.
Sebbene sorpreso, il Partito socialista esprime pareri diversi: «Non si tratta né di pressioni, né di minacce, ma di una semplice dichiarazione», ha invece detto il portavoce Jean-Philippe Jeannerat.
Il Partito popolare democratico, attraverso il segretario generale Reto Nause, ha dal canto suo fatto sapere che le esternazioni della commissaria non sono per nulla sorprendenti: «È chiaro che l'applicazione di Schengen dipende dall'estensione della libera circolazione delle persone. Non si possono dividere i cittadini dell'Ue in due classi diverse».
Christian Weber, portavoce del partito liberale-radicale (PLR), ha invece dichiarato che l'Ue deve occuparsi dei propri problemi e lasciare che la Svizzera decida autonomamente.
swissinfo e agenzie
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