Un gruppo di immigrati sbarcati a Lampedusa
Il supplemento di pena nei Cpt
Fin qui la sentenza. Un importante segnale a qualche giorno dall’allarme lanciato dal ministro della Giustizia Roberto Castelli, finalmente consapevole del sovraffollamento degli istituti di pena, in cui sono rinchiusi moltissimi immigrati. Ovvia la soddisfazione di chi, come i legali dell’Asgi (associazione giuristi democratici) si battono da sempre a fianco dei migranti per una più puntuale difesa dei loro diritti. “E’ una sentenza preziosa – afferma Alessandra Ballerini – che arriva mentre è invalsa la pratica indecente di costringere gli immigrati a un supplemento di pena, con la reclusione nei centri di permanenza temporanea al termine della detenzione in carcere. Il tutto con la scusa di dover procedere all’identificazione prima dell’espulsione”. Di qui l’importanza della sentenza. Tanto più che non è detto che la persona colpita da decreto di espulsione sarà davvero allontanata. “Potrebbe avere un figlio da una cittadina italiana – conclude Ballerini - o ammalarsi e avere bisogno di cure che gli sarebbero negate in patria. Sono tutti casi in cui l’espulsione non avrebbe luogo”.
La precedenti sentenze garantiste
La sentenza della Cassazione è solo l’ultima di una serie di provvedimenti garantisti che in questi ultimi mesi hanno fatto da argine a una radicata prassi poco attenta ai diritti dei migranti. A cominciare dalle espulsioni di massa da Lampedusa in Libia. Il 20 maggio, sempre la Cassazione, aveva stabilito che il termine “marocchino” può avere una valenza razzista e ingiuriosa quando lo si utilizza per apostrofare un immigrato, originario del Maghreb, del quale si conosce bene il nome. Mentre un’altra sentenza del 25 maggio scorso ha revocato a un altro immigrato l’obbligo di dimora in un comune talmente piccolo da ostacolare la ricerca di un lavoro. E non finisce qui. Il 6 giugno i giudici della Suprema Corte avevano stigmatizzato le troppe prevaricazioni commesse nei confronti degli immigrati. E avevano cancellato la condanna per resistenza a pubblico ufficiale inflitta dalla corte d’appello di Ancona a un immigrato reo di essersi “ribellato” ai carabinieri, entrati in casa senza mandato di perquisizione, con atteggiamento “estremamente minaccioso, tale da far nascere il naturale sospetto che detenesse in casa armi”. Una ribellione giustificata invece dalla Cassazione di fronte a una “aggressione ai propri diritti”.
Crescono i ricorsi in materia di espulsioni
Certo, sarebbe affrettato immaginare una Cassazione paladina dei diritti degli immigrati. Restano agli atti, tuttavia, una serie di sentenze che fanno riflettere. “I giudici della Suprema Corte – commenta l’avvocato Massimo Pastore – riaffermano principi generali dell’ordinamento italiano, in contrasto con una tendenza invalsa a considerare lo straniero soggetto a regole speciali”. Un giudizio condiviso dall’avvocato genovese dell’Asgi Elena Fiorini, per la quale le sentenze della Cassazione hanno il merito di “non essere influenzate dall’emotività e di essere più aderenti alla lettera della legge, perché l’analisi è più asettica e tecnica”. Non a caso si moltiplicano i ricorsi in Cassazione in materia di espulsioni di immigrati. “I giudici di merito si accontentano spesso che i decreti di espulsione siano notificati in inglese o francese – continua Fiorini – ma la legge sul punto è chiara. Il provvedimento deve essere comunicato in una lingua comprensibile dall’interessato. E su questo punto la Cassazione non fa sconti”.