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venerdì 17 giugno 2005 - 11:18 Scrivi alla redazione | Contatti | Pubblicità
 
Sei in: Prima Pagina | Giustizia | Testo
Il provvedimento ha permesso di accertare la presenza di clandestini a bordo
Legittimo il sequestro della nave Cap Anamur
(Cassazione 15689/05)
Fu legittimo sequestrare la "Cap Anamur", la nave tedesca che raccolse clandestini africani poi sbarcati a Porto Empedocle dopo una lunga attesa a bordo in acque internazionali. Lo ha stabilito la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione respingendo il ricorso, presentato dalla società proprietaria della nave umanitaria battente bandiera tedesca, contro l'ordinanza del Tribunale di Agrigento del settembre 2004 che aveva confermato la validità del sequestro del natante e dei relativi documenti di trasporto e viaggio. Per la Suprema Corte il sequestro della Cap Anamur è stato legittimo in quanto ha consentito di accertare "la pregressa presenza di clandestini a bordo'', ed in quanto ''il trasporto dei clandestini in territorio italiano sarebbe avvenuto proprio a mezzo del natante in sequestro''. (14 giugno 2005)
 
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, sentenza n.15689/2005 (Presidente: T. Gemelli; Relatore: A. Vancheri)

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

I SEZIONE PENALE

SENTENZA

IN FATTO E IN DIRITTO

Ricorrono per cassazione, tramite i loro difensori, E. E. H. e E. F. U. B., nella qualità di legali rappresentanti della Società Komitee Cap Anamur Deutsche Notarzte, proprietaria della nave Cap Anamur, battente bandiera tedesca, avverso l’ordinanza emessa il 23/9/2004 dal Tribunale di Agrigento che, pronunciandosi ai sensi dell’art. 324 c.p.p.[1], ha rigettato la domanda di riesame proposta dalla predetta società avverso il decreto 14/7/2004 del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale della stessa città, che aveva convalidato il sequestro probatorio del natante di cui sopra, ancorato presso il poro di Porto Empedocle, e dei relativi documenti di trasposto e viaggio.

Ha osservato il Tribunale: che il sequestro era legittimo perché pertinente all’ipotesi accusatoria che era stata contestata (il delitto di favoreggiamento all’ingresso clandestino di stranieri in territorio italiano, previsto dalla norma di cui all’art. 12 D.L.vo n. 286/98 e commesso per essere stati elusi i controlli e violate le disposizioni impartite dalle Autorità italiane) e perché era sussistente anche la condizione relativa all’esigenza probatoria, legata alla qualificazione dei beni in sequestro rispettivamente come corpo di reato (la nave) e come cose pertinenti al reato (i documenti); che, una volta stabilita l’astratta configurabilità del reato ipotizzato, il sequestro non poteva che apparire pienamente legittimo, non potendo in questa fase il tribunale procedere ad una verifica in concreto della fondatezza dell’accusa.

Hanno dedotto i ricorrenti violazione degli artt. 354 e 355 c.p.p. e difetto di motivazione, sotto il profilo che l’ordinanza impugnata non conterrebbe alcuna indicazione circa la diretta pertinenzialità del provvedimento di sequestro rispetto alla specifica fattispecie criminosa contestata, ma soltanto un generico riferimento a delle verifiche da effettuare sull’attrezzatura interna della nave (per altro non effettuate a distanza di oltre tre mesi dalla convalida), aspetto non avente alcuna valenza probatoria e chiaramente estraneo al contenuto del precetto che si assume violato, per modo che il suddetto provvedimento appariva del tutto strumentale rispetto alle finalità previste dalla legge.

Ciò premesso, osserva la Corte che il ricorso è infondato e va respinto.

Ed invero, come più volte ribadito da questa Corte in diversi arresti giurisprudenziali, ai fini della convalida del sequestro operato dalla polizia giudiziaria con scopi probatori, è sufficiente l’indicazione degli elementi che giustificano la possibilità che i beni sottoposti a vincolo possano essere qualificati come corpo del reato, non essendo richiesta la dimostrazione circa la fondatezza della notitia criminis, che è riservata a momenti successivi, come il mantenimento del vincolo, ovvero l’accertamento circa la responsabilità degli imputati in ordine ai reati loro contestati (v. Cass., Sez. VI, sent. n. 23777 del 25/3/2003, Lucani ed altri; Sez. II, sent. n. 3273 del 21/6/1999, Lechiancole ecc.).

È stato anzi precisato che, qualora dal complesso delle prime indagini tale fumus emerga, il sequestro si appalesa non solo legittimo, ma opportuno, in quanto volto a stabilire, di per se o attraverso le successive indagini che da esso scaturiscono, se esiste il collegamento pertinenziale tra res e illecito.

Nella fattispecie appare chiaro il collegamento tra il sequestro e la prospettazione accusatoria, in quanto, secondo tale ipotesi, oil trasporto di clandestini in territorio italiano sarebbe avvenuto proprio a mezzo del natante in sequestro.

Ne vale osservare, come fanno i ricorrenti, che la verifica che avrebbe dovuto essere effettuata sulle strutture interne della nave era un aspetto estraneo al contenuto del precetto che si assumeva violato, in quanto è innegabile che la pregressa presenza di clandestini a bordo ben poteva essere accertata mediante un sopraluogo sulla nave stessa.

Il fatto che tale verifica non fosse stata ancora effettuata a distanza di mesi dal sequestro è un aspetto che, pur se eventualmente censurabile sul piano della tempestività e rapidità delle indagini, non può avere alcun risvolto dal punto di vista processuale.

A ciò si aggiunga che, in considerazione dell’ipotesi di reato contestata ai ricorrenti, il mezzo che è stato sequestrato ai ricorrenti è nella specie soggetto, in caso di condanna, a confisca obbligatoria e, come è ovvio, le cose che soggiacciono a confisca obbligatoria non possono essere restituite agli interessati se non con la sentenza conclusiva del giudizio in caso di assoluzione o di proscioglimento, per la semplice ragione che, diversamente opinando, in caso di condanna, sarebbe necessario il dispiego di una inopportuna ulteriore attività per procedere ad una nuova apprensione delle stesse e, dall’altro, la eventuale restituzione potrebbe pregiudicare la realizzazione della misura prevista dall’art. 240 c.p.

Privo di qualsiasi pregio, quindi, l’assunto dei ricorrenti, secondo cui l’ipotesi criminosa loro contestata non legittimava ab origine l’impostazione del vincolo, dato che la prova del reato avrebbe potuto essere appresa aliunde.

Alla luce delle argomentazioni che precedono, il ricorso va respinto, con conseguente condanna dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in solido, delle spese processuali.

Roma, 2 mar. 2005.

Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2005.

  
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