La direttiva 2003/86/CE del Consiglio relativa al diritto al ricongiungimento familiare disciplina i presupposti e le procedure per lĠesercizio del diritto al ricongiungimento familiare da parte dei cittadini di Paesi terzi regolarmente soggiornanti in uno dei Paesi membri dellĠUnione europea ad esclusione dei soggetti richiedenti asilo o dei beneficiari di altra protezione temporanea o sussidiaria.

Le norme italiane interessate dalla direttiva sono gli artt. 28, 29 e 30 del T.U. 286/1998 sullĠingresso, il soggiorno e lĠallontanamento dello straniero. Tuttavia poche sono le disposizioni che devono essere obbligatoriamente modificate o integrate dato che solo alcune norme della direttiva sono di autentico ravvicinamento delle legislazioni. Le difficoltˆ di negoziazione in seno al Consiglio dellĠUnione europea, determinate dalla necessaria ricerca dellĠunanimitˆ, si sono tradotte nella parziale rinuncia allĠarmonizzazione delle legislazioni nazionali trasformando i punti chiave in opzioni alle quali gli Stati possono discrezionalmente adeguarsi.

Si noti che in base allĠart. 3, par. 5, gli Stati possono adottare o mantenere in vigore le disposizioni pi favorevoli contenute nelle rispettive normative nazionali ma possono modificare la normativa interna conformandosi alla direttiva anche se in ipotesi ci˜ determini un trattamento peggiorativo. é quanto si verificherebbe in molti casi rispetto alla disciplina italiana che, nonostante le modifiche restrittive apportate con la l. 189/2002 (c.d. Bossi-Fini), offre una disciplina complessiva maggiormente favorevole rispetto a quella derivante dalla direttiva.

Quanto ai soggetti legittimati a richiedere il ricongiungimento l'art. 3 riconosce il diritto agli stranieri regolarmente soggiornanti titolari di un permesso di soggiorno di validitˆ di almeno un anno e che abbiano la fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile. Tale requisito non  espressamente previsto nella normativa italiana che, tra i permessi di soggiorno della durata di almeno un anno include, allĠart. 28 del T.U. n. 286/1998, anche quello per motivi di studio non necessariamente implicante una prospettiva di stabilitˆ del soggiorno. Trattandosi di disposizione pi favorevole essa  ammissibile ed  auspicabile che non si introducano modifiche peggiorative che, tra lĠaltro, sarebbero foriere di incertezze e ambiguitˆ nellĠapplicazione pratica.

NellĠindividuazione dei soggetti passivi del ricongiungimento la direttiva prevede un obbligo e unĠopzione. LĠobbligo riguarda la famiglia nucleare, ossia il coniuge e i figli minorenni, compresi gli adottati, anche del solo coniuge; lĠopzione riguarda gli ascendenti ed i figli maggiorenni. L'art. 29 del T.U. 286/1998 contempla tutte queste categorie, con alcune differenze peraltro pi favorevoli, ad eccezione della possibilitˆ di ammettere lĠingresso anche degli ascendenti del coniuge e non del solo soggiornante.

LĠart. 4, par. 3, della direttiva prevede, sempre in termini di opzione, lĠingresso del partner non coniugato cittadino di un Paese terzo che abbia una relazione stabile duratura debitamente comprovata con il soggiornante o legato al soggiornante da una relazione formalmente registrata nonchŽ dei loro figli. Gli Stati possono poi riconoscere ai partner non coniugati lo stesso trattamento previsto per i coniugi. Tale previsione  stata inclusa con riferimento a quegli Stati che hanno una normativa avanzata in materia di riconoscimento delle unioni familiari non basate sul matrimonio, riconoscimento che necessariamente si estende anche ai cittadini di Paesi terzi legittimati a richiedere il ricongiungimento. é invece espressamente vietato il ricongiungimento con un coniuge in caso di poligamia quando un altro coniuge sia giˆ convivente sul territorio di uno Stato membro.

Onde assicurare una migliore integrazione ed evitare i matrimoni forzati gli Stati membri possono imporre un limite minimo di etˆ per il soggiornante e per il coniuge che pu˜ essere al massimo pari a ventuno anni perchŽ il ricongiungimento possa avere luogo (art. 4, par. 4).

Sempre previste in termini di opzioni sono due disposizioni pi restrittive rispetto alla normativa italiana e di dubbia compatibilitˆ con il sistema europeo di protezione dei diritti fondamentali (tantĠ che su di esse pende il ricorso presentato dal Parlamento europeo alla corte di Giustizia il 22 dicembre 2003, causa C-540/03, in GUUE C 47 del 21 febbraio 2004, p. 21). La prima  quella prevista dall'art. 4, par. 6, in base alla quale gli Stati possono richiedere che le domande relative ai figli minori siano presentate prima del compimento del quindicesimo anno di etˆ. La seconda  prevista dallĠart. 4, par. 1, ultimo punto, in base al quale qualora un minore abbia superato i dodici anni e sia giunto indipendentemente dalla sua famiglia, lo Stato membro pu˜ condizionarne l'ingresso alla previa verifica del soddisfacimento delle condizioni di integrazione richieste dalla legislazione in vigore al momento dellĠattuazione della direttiva.

Quanto alla procedura lĠart. 5 della direttiva non contiene disposizioni rilevanti e tali da richiedere modifiche della normativa nazionale. é previsto un termine massimo di nove mesi per lĠesame della domanda salvo proroga; le conseguenze, in caso di mancata decisione allo scadere del termine, sono rimesse alla disciplina nazionale. A questo riguardo l'art. 29, comma 8, del T.U. 286/1998 prevede che la domanda debba essere esaminata entro novanta giorni e che in mancanza di decisione nel termine l'interessato possa richiedere direttamente il visto di ingresso alle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane.

L'art. 6 individua le condizioni richieste per l'esercizio del diritto al ricongiungimento familiare. Anche in questo caso gli Stati non sono obbligati ad adeguarsi a tali prescrizioni che risultano pi restrittive rispetto a quanto previsto dalla normativa italiana. Ci˜ vale sia per la possibilitˆ di respingere la domanda, rifiutare o revocare il permesso di soggiorno del familiare per motivi di ordine pubblico, sicurezza pubblica (a questo proposito di veda anche il punto 14 del preambolo) e sanitˆ pubblica, sia per la possibilitˆ di richiedere la dimostrazione del possesso di un'assicurazione contro le malattie per se stesso e per i familiari e, infine, per la qualificazione di stabilitˆ delle risorse del richiedente o, ancora, per la soddisfazione delle misure di integrazione e per lĠeventuale condizionamento dellĠingresso alla maturazione di un periodo di soggiorno legale non superiore a due anni tre anni.

La durata del permesso di soggiorno per motivi familiari  ancorata a quella del soggiornante come dispone anche l'art. 30, comma 3, T.U. 286/1998. Quanto alle attivitˆ consentite dal permesso di soggiorno per motivi familiari la direttiva non contiene disposizioni vincolanti e rimette agli Stati  il potere di limitare lĠaccesso al mercato del lavoro dei familiari prevedendo un termine massimo di dodici mesi durante il quale gli Stati membri valutano la situazione del proprio mercato del lavoro prima di autorizzare i familiari ad esercitare unĠattivitˆ indipendente o autonoma. Una preclusione allĠaccesso al mercato del lavoro  possibile nei confronti degli ascendenti e dei figli maggiorenni non coniugati.

La normativa italiana dovrˆ essere modificata per adeguarsi all'art. 15 in base al quale dopo cinque anni di soggiorno il familiare ha diritto ad un permesso autonomo indipendente da quello del soggiornante mentre in base all'art. 30, comma 5, del T.U. 286/1998 un permesso autonomo  rilasciato in caso di morte del familiare, di separazione o di scioglimento del matrimonio.

Il legislatore dovrˆ inoltre modificare la normativa nazionale prevedendo che in caso di rigetto, ritiro o mancato rinnovo del permesso di soggiorno o di adozione della misura di allontanamento nei confronti del soggiornante o dei suoi familiari gli Stati membri prendono nella dovuta considerazione la natura e la soliditˆ dei vincoli familiari della persona e la durata del suo soggiorno nello Stato membro nonchŽ lĠesistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese dĠorigine (art. 17 della direttiva). Tali fattori non sono infatti espressamente presi in considerazione dalla normativa interna nonostante ci˜ giˆ derivi dall'art. 8 della Convenzione europea sui diritti umani come interpretato dalla Corte europea di Strasburgo.

Ulteriore modifica dovrˆ essere apportata in relazione al diritto al ricongiungimento familiare dei rifugiati riconosciuti dagli Stati membri previsto dagli artt. 9-12 della direttiva. La normativa interna dovrˆ essere modificata prevedendo che il vincolo familiare possa essere comprovato anche con altri elementi di prova oltre a quelli documentali e che in ogni caso la domanda non sia rifiutata solo per la mancanza di tali documenti. Inoltre in caso di rifugiato minore non accompagnato  autorizzato lĠingresso degli ascendenti diretti di primo grado a prescindere dalle condizioni richieste dallĠart. 4 o, in loro assenza, del tutore legale o di altro familiare.

Essendo questa direttiva contemplata nellĠallegato B della legge comunitaria, il Governo risulta delegato ad emanare i necessari decreti legislativi, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, entro diciotto mesi dallĠentrata in vigore della legge comunitaria. Si noti per˜ che in base allĠart. 20 della direttiva, risalente al 22 settembre 2003, ed entrata in vigore il 3 ottobre 2003, gli Stati devono adottare le relative disposizioni di attuazione entro il 3 ottobre 2005. LĠattuazione successiva costituisce unĠattuazione tardiva non potendo gli Stati membri procrastinare discrezionalmente il termine di recepimento e non potendo la delega al governo essere considerata unĠattuazione sufficiente.