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giovedì 31 marzo 2005
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Roilo (Cgil Milano): "Sei mesi per cercare lavoro in Italia" di Bruno Bartolozzi
Giorgio Roilo
Giorgio Roilo
MILANO - Giorgio Roilo, segretario generale della Camera del Lavoro metropolitana di Milano, scende in campo sul tema dell’immigrazione prendendo spunto dalle anticipazioni fornite da ilPassaporto. Roilo sposa la tesi degli esperti del Viminale riguardo un permesso che dia modo agli stranieri di trovare posto in Italia (sei mesi, suggerisce), ma si oppone ad una classificazione che determini criteri di arrivo. E illustra quali saranno le battaglie del sindacato milanese sull’ immigrazione. Prima fra tutte la battaglia sui permessi di soggiorno che dovrebbero essere sottratti alle competenze delle questura, ma soprattutto la battaglia contro tutte quelle regole che introducono la flessibilità selvaggia sul lavoro, il terreno per creare nuovamente dei “senza diritti”.

Gli esperti del Viminale e gli esperti di sicurezza di Palazzo Chigi la pensano alla stessa maniera. Bisogna creare un flusso regolare di arrivi degli stranieri. Come? Le proposte sulle quali si lavora al Viminale sono semplici: si crei un permesso per chi cerca lavoro. Un'idea che è figlia di filosofie diverse da quella della Bossi-Fini. Che ne pensa?
Innanzitutto è importante che esista comunanza di vedute tra Viminale ed esperti di sicurezza considerando l’incomunicabilità che esiste nell’ambito dell’esecutivo in materia di politiche dell’immigrazione. Dico questo perché risulta ormai evidente che la cosiddetta legge Bossi – Fini si sta dimostrando sempre più inutile e per certi versi dannosa. Una legge ideologica che pretende di affrontare un fenomeno, quale quello migratorio, come se fosse temporaneo e non strutturale. Penso che non sia possibile fermare l’immigrazione perché risponde a necessità reali di migliaia di persone in cerca di nuove prospettive per migliorare le proprie condizioni di vita. Inoltre l’immigrazione è una opportunità per la nostra società sia da un punto di vista economico sia sotto il profilo sociale. Quello che occorre oggi è una normativa adeguata che sappia coniugare le necessità di una società con forte calo della natalità con una politica di ingresso mirata, basata anche su quote, ma non legata strettamente al contratto di lavoro come la Bossi – Fini. Penso al permesso di ingresso per le persone straniere per un periodo di almeno sei mesi così da favorire l’arrivo senza alimentare il mercato della clandestinità. Ragionare in quest’ottica significa implicitamente riconoscere il clamoroso fallimento della Bossi – Fini.

L'inadeguatezza delle quote d'ingresso è sottolineata anche dagli imprenditori. La ricerca del lavoro avveniva per "procura", una volta, con il cosiddetto invito concepito dalla Turco-Napolitano. Quale potrebbe essere invece un organismo neutrale che garantisca sia il lavoratore straniero che cerca impiego in Italia, sia il cittadino italiano? Si potrebbe creare un'agenzia?
E’ vero, le quote sono irrisorie e soprattutto irrealistiche. A Milano Unioncamere stimava lo scorso anno un fabbisogno di circa 20mila lavoratori stranieri, mentre le quote del decreto flussi hanno previsto 1.074 ingressi e per il 2005 altri 1.000. Considerando la forte richiesta, sono state circa 15mila le domande presentate alla direzione provinciale del lavoro di Milano, restano sul territorio migliaia di lavoratori che saranno costretti a continuare a lavorare in nero, sottopagati e sfruttati. Ciò che serve è rendere più adeguato l’incontro domanda-offerta e questo può avvenire prima di tutto agevolando l’ingresso regolare dello straniero. Come dicevo prima è utile l’introduzione di un permesso per ricerca lavoro. Non ritengo necessario pensare ad altre agenzie, basterebbe agevolare il lavoro dei centri per l’impiego che fanno capo alla Provincia.

La Cgil a Milano conduce una importante battaglia sul permesso di soggiorno. Chi non ha il permesso è sfruttato e mina gli stessi diritti acquisiti dagli altri lavoratori. E' arrivato il momento che sulla questione permessi di soggiorno e politica di immigrazione si attivino forme di lotta generali delle categorie e dell'intero sindacato, in Lombardia e in tutta Italia?
“Noi, insieme a Cisl e Uil, stiamo conducendo da tempo una forte iniziativa sul territorio milanese. Innanzitutto per convincere le istituzioni della necessità di interventi urgenti, penso alla proroga del rinnovo di almeno un anno così da consentire lo smaltimento del lavoro della questura (25mila permessi in scadenza e tempi di attesa di un anno per il rinnovo) e alla prospettiva del passaggio di competenze in materia amministrativa ai Comuni. Ricordo che la ricevuta in attesa del rinnovo (cedolino, ndr) sospende di fatto i diritti delle persone creando impedimenti sul lavoro, sulla casa, salute e il reingresso nel Paese. Questo consente la speculazione e il traffico illegale intorno ai permessi. Favorisce il ricatto dell’imprenditore senza scrupoli, alimenta pratiche come il caporalato, il lavoro nero e irregolare. Il sindacato proseguirà nella battaglia per la certezza e l’esigibilità dei diritti dei lavoratori stranieri ma servirebbe un forte impegno da parte delle istituzioni. Da anni denunciamo l’assenza del Comune di Milano che non mette in campo nessuna politica sull’immigrazione, cosa ancor più grave se si pensa che i cittadini immigrati residenti a Milano sono 180mila (circa il 14% del totale della popolazione)”.

A Milano c'è un Assolombarda (associazione degli industriali, ndr) appiattita sulle posizioni del governo. E' possibile, a livello regionale, inserire nel confronto con gli imprenditori il tema della assunzione di responsabilità, visto che i casi di sfruttamento metodico del lavoro clandestino non sono più eventi casuali?
“Il ruolo delle associazioni imprenditoriali potrebbe essere importante ma a me sembra che in particolare proprio Assolombarda abbia finora rinunciato ad affrontare in termini propositivi la questione immigrazione”.

L'art 27 e i permessi di soggiorno rilasciati in questa modalità (i lavoratori stranieri seguono le aziende straniere con una commessa in Italia) si prestano a una serie di espedienti per alimentare lavoro nero a basso costo e persino "strane" triangolazioni gestite con metodi poco trasparenti da chi controlla questo traffico di lavoratori dal paese d'origine. Ci spieghi quali sono i rischi di queste operazioni, e ci dica se le ipotesi allo studio del Viminale (visto d'ingresso per chi cerca lavoro) possono incorrere in questo stesso tipo di pericoli. E come evitarli.
“In generale molti imprenditori considerano l’immigrazione come elemento aggiuntivo di flessibilità del mercato del lavoro interno. In tal senso l’art 27 spesso viene utilizzato come forma estrema di flessibilità e rappresenta una modalità per non applicare i contratti di lavoro. Abbiamo già denunciato, in edilizia come nell’industria, casi di abuso e sopruso ai danni dei lavoratori. Ci sono stati accordi sindacali, sulla fiera in particolare, dove il sindacato è intervenuto a difesa e tutela dei diritti pretendendo l’applicazione dei contratti di lavoro nazionali per personale straniero. Occorre però un controllo maggiore da parte degli organi ispettivi”.

Dal punto di vista politico cosa chiede il sindacato alle forze politiche in relazione ai permessi sull'art. 27, all'istituzione dei Cpt, e ai criteri sui flussi. Quali sono stati a suo avviso gli errori della sinistra al governo su questi temi?
“Le cose da cambiare sarebbero molte. Anche la legge Turco – Napolitano non era una legge perfetta. Io penso che la differenza stia nella disponibilità dimostrata dal governo di centrosinistra di affrontare con realismo gli aspetti connessi all’immigrazione ricercando il coinvolgimento dei diversi soggetti politici e sociali. Questo vale anche per i Cpt che rappresentano un’esperienza probabilmente superata e da adeguare”.

Tornando ai permessi di soggiorno per chi cerca lavoro: si deve stabilire un criterio, suggerisce il Viminale. Entra chi ha certi requisiti.
“Non condivido l’impostazione che vede una preselezione di manodopera immigrata. Ciò può essere molto pericoloso, non solo perché introduce una discriminazione, per noi non accettabile, all’ingresso, ma soprattutto perché permanendo la necessità individuale che spinge all’uscita dal proprio paese, questa selezione si tradurrebbe ancora una volta in un incentivo all’ingresso irregolare nel nostro paese”.

I tempi di rilascio di un permesso di soggiorno sono oggetto di una vostra battaglia. Quale è l'organo più adatto a gestire queste pratiche per evitare il caos in cui è trascinata ogni singola questura? Chi potrebbe gestire i permessi di soggiorno per la ricerca del lavoro?
“Come Cgil di Milano sosteniamo da anni la necessità che si passino le competenze per i rinnovi agli enti locali. Si tratta di pratiche amministrative, non si capisce dunque perché un cittadino immigrati debba rivolgersi agli sportelli della polizia”. (30 marzo 2005 - ore 18.53)

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