BOZZA NON CORRETTA

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Seduta del 15/11/2005


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Audizione del prefetto Alessandro Pansa, vicecapo della Polizia e direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno e del prefetto Anna Maria D'Ascenzo, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.

PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del regolamento della Camera, l'audizione del prefetto Alessandro Pansa, vicecapo della Polizia e direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno, e del prefetto Anna Maria D'Ascenzo, capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno.
Desidero ringraziare i prefetti D'Ascenzo e il prefetto Pansa per la loro partecipazione. A quest'ultimo rivolgo, a nome di tutto il Comitato, i complimenti per la sua recente nomina a vice direttore generale della Pubblica sicurezza. Ricordo anche che sono presenti il vice prefetto, dottoressa Vincenza Filippi, e il primo dirigente, dottor Feliciano Marruzzo.


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Ringrazio ancora il prefetto D'Ascenzo e il prefetto Pansa per aver accettato l'invito del Comitato che, lo ricordiamo, è l'organismo parlamentare di controllo in materia di immigrazione.
Abbiamo ritenuto necessaria questa audizione, al fine di acquisire tutti gli elementi tecnici di conoscenza e di valutazione, in merito ai fatti denunciati dall'inviato del settimanale L'espresso riguardanti il centro per immigrati di Lampedusa.
Nel suo intervento alla Camera, peraltro, il ministro Pisanu, rispondendo all'interrogazione dell'onorevole Violante, ha già puntualmente illustrato la realtà dei fatti, senza nascondere le oggettive difficoltà del centro di gestire situazioni di continua emergenza, dovute al sovraccarico di una struttura che non è in grado di far fronte, nella maniera adeguata, all'ingente numero di presenze.
Partendo da un primo necessario chiarimento, riguardo alla distinzione tra centri di permanenza temporanea e assistenza e centri di identificazione, vorrei chiedere ai prefetti alcune delucidazioni. Nel ricordare che il ministro Pisanu, nel suo intervento, ha tra l'altro ribadito la necessità di migliorare e potenziare la gestione dei vecchi centri, in luogo della loro chiusura, costruendone di nuovi sempre più funzionali e accoglienti e realizzando un numero di CPT adeguato alle necessità, vi chiedo di comunicarci eventuali aggiornamenti - in quest'aula avete già avuto modo di riferire sull'argomento - riguardanti questa vicenda.
Chiedo di conoscere qual è la situazione dei centri di permanenza temporanea, in quali regioni si trovano, qual è la loro ricettività e, soprattutto, quali e quanti sono in via di realizzazione. Vi chiedo, altresì, quali siano gli interventi immediati e urgenti, nonché le modalità operative, per migliorare le condizioni di permanenza e di soggiorno degli


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immigrati all'interno dei centri di permanenza temporanea esistenti. Inoltre, domando quali siano le conseguenze della nuova configurazione giuridica del centro di Lampedusa - trasformato in centro di soccorso e prima accoglienza, funzione che già il centro svolge nei fatti -, come si intenda potenziare la ricettività dell'attuale centro di Lampedusa, quale potrebbe essere la sua nuova capienza massima e (se sarà possibile) come si pensi di migliorarne la gestione, quali sono state, secondo voi, le criticità dell'attuale gestione amministrativa, anche e soprattutto in rapporto ai costi? È stata piuttosto rilevante, al riguardo, la polemica sui differenti costi, a fronte dello stesso servizio. Avete da dirci qualcosa ed, eventualmente, è giusto pensare che venga definito un importo uguale su tutto il territorio nazionale?
Vi chiedo, ancora, quali siano le concrete difficoltà a realizzare un numero di centri di permanenza temporanea adeguato alla necessità e se sia possibile quantificare a priori queste necessità. Di conseguenza, vorrei conoscere i criteri per individuare i luoghi, determinare il tipo di struttura necessaria e scegliere l'organismo preposto alla gestione.
Chiedo, pertanto, ai prefetti Pansa e D'Ascenzo, sulla base delle loro rispettive competenze, di decidere autonomamente l'ordine degli interventi per rispondere a queste domande e per fornirci i chiarimenti necessari.
Do, quindi, la parola al prefetto Anna Maria D'Ascenzo.

ANNA MARIA D'ASCENZO, Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Cercherò di essere breve, fermo restando che, qualora dicessi qualcosa che già sapete, potete interrompermi per passare ad altro argomento.
Non sarebbe inopportuno, a mio avviso, spiegare come avvengono gli sbarchi, ai quali è legato solo il 15 per cento


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della clandestinità in Italia. I clandestini arrivano, ormai, soltanto sulle coste della Sicilia, segnatamente su Lampedusa, qualche volta sulle isole minori. Al loro arrivo, queste persone vengono accolte, addirittura soccorse. Spesso vengono soccorse al largo, anche in acque internazionali, e portate a Lampedusa perché le carrette sulle quali vengono trovate non sono in grado di garantire una lunga percorrenza in mare senza che si disintegrino, causando così la morte delle persone che trasportano. Queste persone, come dicevo, vengono salvate dalla Marina italiana e, una volta che si trovano sul territorio italiano, si cerca di capire da dove provengano e se abbiano la necessità o l'intenzione di chiedere asilo.
In Italia abbiamo centri di primo soccorso e accoglienza, centri di permanenza temporanea e assistenza e centri di identificazione, che intervengono in un momento successivo. Dopo che le persone sono state accolte nei centri di accoglienza e sono state identificate, si verifica se esse intendono fare richiesta di asilo e, in quel caso, entrano nel canale del riconoscimento dell'eventuale status di rifugiato. In base alle nuove normative, queste persone possono essere portate nei centri di identificazione. Le altre persone che non fanno richiesta d'asilo, se non sono respinte immediatamente alla frontiera, possono essere espulse, quindi entrano nei cosiddetti centri di permanenza temporanea e di assistenza.
In Italia, dunque, abbiamo tre tipi di centri: centri di primo soccorso e accoglienza, centri di identificazione e centri di permanenza temporanea, dove le persone, che normalmente non hanno un documento, devono poter essere identificate per essere espulse nei loro paesi.
Il centro di Lampedusa era stato classificato come centro di permanenza temporanea, ma ha sempre svolto una primaria funzione di primo soccorso e smistamento. Come ha già


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avuto modo di dire il ministro parlando alle Camere, quando è stato creato il centro di permanenza temporanea - nel 1998, se non ricordo male -, a Lampedusa arrivavano 364 persone in un anno, mentre ora ne arrivano mille in un giorno: questa è la differenza, qui nasce il problema.
Per questa ragione, l'intendimento di trasformare la struttura da centro di permanenza temporanea (come tale, a Lampedusa non ci serve più) in centro di primo soccorso e accoglienza, è mirato affinché le persone che arrivano sull'isola, che come sapete bene è piccolissima, non debbano permanervi più di 24-48 ore.
Laddove è possibile, le persone che giungono a Lampedusa vengono portate nei centri di accoglienza dislocati in altre parti d'Italia (dirò poi quali e quanti sono), proprio perché l'isola non soffra di presenze così numerose.
L'isola di Lampedusa ha un centro attrezzato per poter accogliere, ad oggi, 186 persone (prima ne poteva ricevere 196, ma abbiamo dovuto diminuire la ricettività al fine di migliorare i servizi). È chiaro che, se ne arrivano molte di più, la situazione diventa ingestibile. Del resto, accade ugualmente nel privato: ho una casa di 88 mq e so di poter invitare a pranzo dieci, al massimo dodici persone; se ne arrivano cento, diventa problematico persino usare la toilette.
Per questo motivo, quando quattro anni fa ho ricevuto questo incarico presso il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, da subito mi sono adoperata per costruire un nuovo centro a Lampedusa. Per tale obiettivo, avevamo lavorato talmente bene che era tutto pronto.
Quando abbiamo mandato le ruspe per spianare una collinetta, al fine di costruire questo nuovo centro, i cittadini


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dell'isola si sono ribellati. Lo stesso sindaco, che aveva promosso l'apertura del nuovo centro, si è dovuto tirare indietro per timori politici.
Ora stiamo cercando di superare anche questo problema e, del resto, gli stessi isolani si sono resi conto che se le persone non vengono ricoverate in un centro, non rimane che ospitarle nelle loro case. Non ci sono soluzioni alternative, anzi, se qualcuno ha una soluzione migliore da prospettarci, lo faccia.
Allora, cosa siamo riusciti ad ottenere? Grazie all'intervento personale del Presidente Berlusconi sul ministro della difesa, l'attuale caserma «Adorno», sita in Lampedusa, verrà trasformata in centro di accoglienza, in quanto stiamo trasformando il centro di permanenza temporanea in un semplice centro di primo soccorso e accoglienza. Questo centro, peraltro, per quanto nuovo e ristrutturato, è tuttavia limitato. Molto probabilmente, infatti, esso avrà una capienza di 300-350 persone ma se arrivassero mille persone, il problema si presenterebbe ugualmente, tant'è vero che si sta valutando la possibilità di aprire un campeggio per accogliere altre persone.
A nostro avviso, la migliore delle soluzioni rimane quella di accogliere le persone che arrivano e spostarle immediatamente, in quanto l'isola non è in grado di poter subire un'invasione così massiccia. Per questo motivo stiamo trasformando la struttura presente a Lampedusa da centro di permanenza temporanea in centro di primo soccorso e accoglienza.
Il ministro Pisanu ha già promesso al commissario per i diritti umani, Gilles Robles, e al presidente dell'ACNUR, Antonio Guterres, di adoperarsi per far sì che organizzazioni internazionali come l'OIM, l'ACNUR e la Croce Rossa, possano collaborare con noi per cercare di migliorare l'accoglienza sul territorio e di accelerare le procedure, soprattutto da parte


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nostra. Non abbiamo nulla da nascondere, anzi vogliamo la massima trasparenza. In un CPTA queste organizzazioni internazionali non possono entrare, in quanto il centro di permanenza temporanea riceve persone già valutate, che devono essere espulse.
Proprio domani, alcuni rappresentanti del mio dipartimento, del dipartimento della Pubblica sicurezza, dell'OIM, dell'ACNUR e della Croce Rossa saranno a Lampedusa, per verificare come organizzare questo nuovo sistema di loro permanenza sul territorio e per valutare le diverse situazioni.
Per rispondere alla domanda relativa al numero dei centri, ho portato con me delle cartine abbastanza esplicative. Partirei dai centri di accoglienza, i primi a ricevere le persone che sbarcano in Italia. Abbiamo diversi centri di accoglienza, tutti ovviamente ubicati nell'Italia del sud, in Sicilia, in Calabria e in Puglia (in quest'ultima regione, i centri risalgono agli sbarchi di clandestini dall'Albania). A Bari-Palese abbiamo un centro per 600 posti, a Foggia-Ortanova un centro per 490 posti, a Crotone-Sant'Anna un centro per 1322 posti. Il centro polifunzionale di Crotone, molto importante per noi, raggruppa il centro di accoglienza, di identificazione e di permanenza temporanea, mentre in Sicilia ne abbiamo uno a Caltanissetta e uno a Trapani.
Sono centri di prima accoglienza lo stesso centro di Lampedusa, che diventerà totalmente di prima accoglienza con una capienza dalle 300 alle 350 persone, e quello di Otranto.
I centri di identificazione sono nati pochissimo tempo fa. Come sapete, il regolamento della legge Bossi-Fini, che prevede i centri di identificazione e le commissioni territoriali per esaminare le domande di asilo, è entrato in vigore il 21 aprile scorso. Dei sette centri che dovremmo avere, tre sono già


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funzionanti: a Trapani con 210 posti, a Crotone con 300 posti, a Foggia con 200 posti. Ci stiamo dando da fare, inoltre, per creare nuovi posti a Roma, a Milano e a Gorizia.
I centri di identificazione previsti in Sicilia sono, in realtà, due, a Trapani e a Siracusa. Tuttavia, a Siracusa non abbiamo trovato dove ubicare il centro, mentre abbiamo verificato la possibilità di spostarci, con la commissione territoriale e con il centro, a Caltanissetta. In totale, quindi, i centri sono sette, tre già pronti, quattro in costruzione.
I centri di permanenza temporanea sono diversi, ma sono comunque pochi. Come sapete, il principio è che ogni provincia dovrebbe ospitare un centro di permanenza temporanea ed oggi ribadiamo questo concetto. Stiamo cercando di fare in modo di averne almeno uno per regione. Se vogliamo che queste persone siano effettivamente sotto il controllo dello Stato italiano, bisogna sapere dove si trovano.
I centri di permanenza temporanea esistenti ed operativi, partendo da nord e scendendo verso sud, si trovano: in Piemonte a Torino (96 posti), in Lombardia a Milano (140 posti), in Emilia-Romagna a Bologna (95 posti) e a Modena (60 posti), nel Lazio a Roma (Ponte Galeria, 300 posti), in Puglia a Foggia (220 posti) e a Brindisi (180 posti), oltre a quello di Otranto (75 posti), che funge anche da centro di primo soccorso e assistenza, analogamente a quello di Lampedusa. Altri centri si trovano in Calabria, a Crotone (129 posti) e a Catanzaro (75 posti), e in Sicilia, a Ragusa (60 posti), a Caltanissetta (96 posti), a Trapani (54 posti). Infine, ricordo il centro di Lampedusa, oggi ancora CPTA, che stiamo trasformando in centro di primo soccorso e accoglienza.
Stiamo ampliando alcuni di questi centri. Questi sono i dati degli ampliamenti previsti: a Torino i posti dovrebbero raddoppiare, quindi si passerà da 96 posti a circa 200; a Roma,


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Ponte Galeria, verranno aggiunti 70 posti ai 300 già esistenti; a Caltanissetta si dovrebbe passare da 96 posti a circa 200, a Trapani da 54 posti a circa 200. Dell'ampliamento di Lampedusa ho già detto.
Questa è la situazione dei diversi centri dislocati in Italia. Quanto ai differenti costi, già una volta ho avuto modo di dire che, quando ho ricevuto l'incarico, ho trovato dei costi spaventosi, con una forbice elevatissima di differenza fra il sud e il nord: la differenza era addirittura di 35 euro al sud e 275 euro al nord.

PRESIDENTE. Scusi, ha detto 35 euro al sud e quanti al nord?

ANNA MARIA D'ASCENZO, Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Non vorrei sbagliarmi. Mi sembra che la moneta, allora, fosse ancora la lira e, dunque, il gap era tra 35 e 275 mila lire. Allora, ci siamo attivati, ricorrendo anche all'aiuto di un consulente esterno, abbiamo tracciato le linee-guida per le convenzioni tipo per la gestione di tutti i centri esistenti in Italia - adottate da una direttiva del ministro Pisanu dell'8 gennaio 2003 - ed abbiamo effettuato uno studio sul territorio, per cercare di uniformare, per quanto possibile, i costi.
È chiaro ed evidente che, quando parliamo di un costo di 60-70 euro pro die e pro capite, nel costo non è compreso solo il vitto, l'alloggio e il vestiario che assicuriamo alle persone, ma anche il costo dei mediatori culturali, degli interpreti e dei medici. Tutto questo è compreso in quel costo pro die e pro capite, è una media statistica.
Comunque, esiste sicuramente una differenza fra il nord e il sud: perché il primo è più caro del secondo, anche in termini di costo delle persone. Ho appreso che, nella prossima


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finanziaria, si intende presentare un emendamento per uniformare i costi, ma, se venisse approvato lo faremo verso l'alto e non verso il basso, dunque non si avrebbe un risparmio. Questo è un discorso importantissimo, come chiunque potrà intendere.
È importante, per me, specificarlo perché essere chiari non è mai sbagliato.

PRESIDENTE. Se nelle cifre che lei ha indicato non rientrano solo i costi del vitto e dell'alloggio - lei ha parlato dei costi dei mediatori culturali, degli interpreti, dei medici -, significa che rientrano, ad esempio, anche le spese per l'energia elettrica?

ANNA MARIA D'ASCENZO, Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Tutto è compreso, o quasi. Non è compreso, ovviamente, il costo delle Forze dell'ordine, della Polizia di Stato, della Guardia di finanza e via dicendo. Tutto il resto è compreso nel costo della gestione del centro.
Su questo aspetto siamo stati sottoposti, per tre anni, al controllo della Corte dei conti (ufficio controllo di gestione). Mi ha procurato una grandissima soddisfazione il fatto di aver ricevuto la collaborazione dei magistrati della Corte dei conti, che ci hanno aiutato a scrivere le linee-guida e, per questo, si sono complimentati con noi.
Non so se ho risposto a tutte le domande del presidente, comunque aggiungo qualche dato. Circa il potenziamento della ricettività di Lampedusa e la capienza massima del centro, assicuro che nell'isola faremo di tutto per migliorare la situazione, ma rimane il dato di fondo del numero delle persone che vi giungono. Come sapete, la distanza fra Lampedusa e l'Africa è inferiore alla distanza tra Lampedusa e la


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Sicilia, dunque tutti i clandestini arrivano come primo impatto, a Lampedusa,. È evidente, perciò, che dobbiamo poterli spostare per gestire al meglio la situazione perché, con la presenza di numerose persone, chiunque può verificare il manifestarsi di problemi. Inoltre, per quanto cercheremo di migliorare le cose, va sottolineato che, per di più, ci troviamo di fronte a persone che non sanno neanche usare una toilette.
Siamo stati anche accusati di aver fatto trovare poche persone a Lampedusa in occasione del viaggio nell'isola dei parlamentari europei. Non è stato un calcolo, nel modo più assoluto. La verità è che le persone, a Lampedusa, non possono sostare che poche ore, e non potete immaginare cosa significhi spostarle dall'isola e quali siano i costi. È una situazione spaventosa, anche perché le limitazioni alle nostre attività sono davvero numerose, ma queste persone vanno comunque gestite. Quello che mi meraviglia è che, da una parte, veniamo accusati di aver fatto trovare poche persone all'arrivo dei parlamentari europei e, dall'altra, sono stata denunciata alla procura della Repubblica da un parlamentare per aver lasciato, il 15 agosto, poche persone nel centro.
Insomma, delle due l'una: o lasciamo queste persone nei centri, o le mandiamo via. Qualche volta non sappiamo neanche come comportarci, ma abbiamo sempre ritenuto di agire secondo coscienza, con le capacità e, soprattutto, con i mezzi che abbiamo.

PRESIDENTE. Do la parola al prefetto Alessandro Pansa.

ALESSANDRO PANSA, Vicecapo della Polizia e direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Con riferimento alle domande formulate, credo di dover integrare solo la risposta relativa alle conseguenze della nuova configurazione giuridica del centro di


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Lampedusa, trasformato da centro di permanenza in centro di primo soccorso.
Illustro brevemente in che modo vengono utilizzati - ricorro a una spiegazione pratica per semplificare le questioni - i centri di permanenza temporanea. Le persone straniere che vengono rintracciate sul territorio nazionale vengono portate dalle Forze dell'ordine negli uffici di polizia. Nel momento in cui si individuano dei soggetti che non hanno titolo a restare sul territorio nazionale, viene verificata la loro posizione. Se richiedono asilo, viene avviata una procedura; in caso contrario, ne viene avviata un'altra, quella dell'espulsione. Perché il soggetto sia espulso, deve essere emesso un provvedimento dal prefetto. Se è possibile eseguire nell'immediatezza l'espulsione, questa avviene istantaneamente, una volta ottenuta la convalida da parte del giudice di pace. Laddove questo non sia possibile, il soggetto viene portato in un centro di permanenza temporanea, dove sia il trattenimento disposto dal questore, sia il provvedimento di espulsione disposto dal prefetto vengono convalidati da un giudice di pace.
Queste persone, quindi, rimangono nel centro il tempo necessario - un massimo di 30 giorni, prorogabili a 60 - per l'esecuzione del provvedimento di espulsione. Normalmente, le difficoltà che si incontrano sono quelle di trovare il vettore e di ottenere i documenti di viaggio da parte del consolato di nazionalità di queste persone, che quasi sempre non hanno documenti di riconoscimento.
La stessa situazione si verifica quando vengono individuati soggetti che tentano di entrare, ai valichi di frontiera, o immediatamente dopo che sono entrati nel territorio nazionale. In queste circostanze, i soggetti vengono respinti alla frontiera, con un provvedimento di respingimento del questore. Tale provvedimento costituisce una misura meno afflittiva


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rispetto all'espulsione, in quanto, mentre quest'ultima comporta il divieto di reingresso nel territorio nazionale per dieci anni, il respingimento non prevede questo ulteriore aggravio. Questo significa che se il soggetto possiede i requisiti per entrare legalmente nel territorio nazionale, può farlo anche il giorno dopo il respingimento. Anche in quel caso, il trattenimento viene fissato dal questore e convalidato, eventualmente, dal giudice di pace.
Questa procedura, a Lampedusa, non può essere rispettata perché, quando i soggetti arrivano, dovrebbero essere portati in un ufficio di polizia, ma l'unico esistente è la stazione dei Carabinieri, che non può fisicamente ospitarli. In quello stesso ufficio dovrebbe essere valutata la loro posizione e, sulla base di tale valutazione, queste persone dovrebbero essere accompagnate in un centro di accoglienza, di identificazione o, nel caso in cui debbano essere respinte o espulse, in un centro di permanenza temporanea (in realtà quasi sempre vengono respinte).
Dal momento che non è possibile realizzare questa condizione, tutti i soggetti vengono portati nel centro esistente a Lampedusa che, a quel punto, non funziona più da centro di permanenza temporanea, ma da semplice struttura per il primo soccorso. Pertanto, i soggetti sono mischiati fra loro, fino a quando non si esegue la valutazione della loro posizione; valutazione che, lo ricordo, doveva essere effettuata prima di entrare nel centro e, invece, viene rimandata ad una fase successiva.
Addirittura vengono portati i minori in questo centro. Del resto, dove possiamo metterli? Quest'anno sono passati più di 500 minori dal centro di Lampedusa. Questo è un problema serio e, al riguardo, sono in corso delle indagini, in quanto si sospetta che dietro si nascondano altre questioni.


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Una volta arrivati a Lampedusa, dove vengono portati i minori non accompagnati? Nel centro, dove c'è un medico, ci sono i mediatori culturali, qualcuno che dà loro cibo e vestiti, qualcuno che li cura. Dopodiché, il più velocemente possibile, in relazione alla disponibilità dei vettori, questi minori vengono trasportati nei centri che possono accoglierli.
Ora, tutte le procedure che dovrebbero essere effettuate fuori dal centro, vengono svolte al suo interno, in condizioni, come si potrà immaginare, di assoluta inadeguatezza. In alcuni momenti, anziché le 186 persone a cui è destinato, il centro ha ospitato 1200 persone. È evidente che, in questa situazione, può accadere di tutto. L'unica cosa di cui mi meraviglio, se è vero quanto ha scritto Fabrizio Gatti, è che si siano verificati degli atti di violenza. Lo dico con grande sincerità. Tutto il resto - problemi sanitari, igienici, confusione - è normale, considerando che una struttura destinata ad ospitare 186 persone ne ospita, invece, mille.
Mi meravigliano davvero, lo ripeto, gli atti di violenza che, se verranno accertati, saranno puniti severamente. Infatti, gli autori di questi atti sarebbero gli stessi ai quali, a maggio, il Presidente della Repubblica ha conferito la medaglia d'oro per la loro attività a favore degli immigrati che sbarcano a Lampedusa. Stiamo parlando delle persone che prestano soccorso in mare, aiutano e soccorrono gli immigrati uno per uno, quando sbarcano.

PRESIDENTE. Possiamo dire che rischiano la vita per prestare questa opera?

ALESSANDRO PANSA, Vicecapo della Polizia e direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Continuamente. Fanno di tutto per salvare queste persone. Che poi, nel centro, qualcuno sia


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impazzito ed abbia usato violenza nei confronti degli immigrati, non sono in grado di escluderlo. Un giornalista lo ha affermato e l'autorità giudiziaria sta procedendo alle dovute verifiche. Sinceramente, però, la cosa mi meraviglia molto perché sono le stesse persone che pochi mesi fa sono state insignite della medaglia d'oro.
Il centro di Lampedusa, dal punto di vista tecnico, non può più essere considerato un centro di trattenimento. Anche l'autorità giudiziaria, che convalida i trattenimenti, ha emesso provvedimenti in tal senso. Una giurisprudenza costante afferma che l'azione di trattenimento ufficiale può avvenire anche 15, 20 o 30 giorni dopo che il soggetto è entrato nel centro, in quanto il trattenimento comincia al termine della fase di soccorso. Se questa è la condizione, è preferibile che il centro di Lampedusa sia utilizzato soltanto come centro di accoglienza, le cui procedure sono certamente più snelle.
Da dove derivano le difficoltà? Quando gli immigrati arrivano a Lampedusa, vengono sistemati nel centro ma, prima che siano portati via, devono essere quantomeno fotosegnalati. Inoltre, dovremmo completare gli accertamenti su tutti, per stabilire quale sia la loro identità, la nazionalità, se chiedono asilo, se sono rifugiati, se possono essere rimpatriati o meno, e successivamente decidere la destinazione. Tutto questo, però, avviene in una condizione di emergenza, quindi non è possibile procedere a questi accertamenti. Di conseguenza, anche questa attività risulta meno efficace, in quanto, rispetto alla metodica del controllo, prevale l'esigenza umanitaria del soccorso.
Per fare un esempio, se ai poliziotti che stanno rilevando le impronte digitali viene riferito dell'arrivo di un'imbarcazione carica di persone, essi abbandonano il lavoro che stanno


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svolgendo per recarsi al porto e aiutare questa gente. E gli accertamenti? Si faranno appena possibile, ma è sempre l'azione umanitaria quella che prevale.
A questo punto, è evidente che tutte le altre attività vengono rimandate a un successivo momento. Certo, bisognerà vedere come risponderanno a tutto questo le organizzazioni criminali, che sono reattive a tutte le nostre azioni.
Devo chiarire che gli extracomunitari vengono istruiti con grande precisione da queste organizzazioni; in passato, appena arrivati in Italia, essi venivano invitati a chiedere l'asilo. In quel modo, avevano diritto ad un permesso di soggiorno temporaneo e la decisione circa la loro posizione veniva rimandata. Con il nuovo regolamento, entrato in vigore nel 2004, il meccanismo è cambiato: l'immigrato che chiede asilo viene portato in un centro di identificazione, gli vengono rilevate le impronte digitali e queste sono inserite nel sistema informativo comunitario (EURODAC). Da quel momento in poi, ovunque verrà trovato, quel soggetto verrà identificato come un soggetto che ha chiesto asilo in Italia. Nel caso in cui non gli venga concesso l'asilo, l'immigrato viene espulso nel suo paese e non potrà ritornare in Italia e in nessun altro dei 25 paesi dell'Unione Europea. Insomma, all'immigrato non conviene più, come un tempo, chiedere asilo.
È chiaro che questo discorso vale per coloro che chiedono asilo in via strumentale, mentre coloro che hanno veramente diritto all'asilo lo chiedono o quantomeno dovrebbero farlo, ma non sempre questo accade. Si pensi al caso degli eritrei - ad essi concediamo, per il fatto stesso di essere eritrei, l'asilo o il trattamento umanitario -, che non vogliono chiedere asilo in Italia, per non precludersi la possibilità di farlo in altri


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paesi europei. Ricordo che i regolamenti comunitari (Dublino e Dublino II) prevedono che si chieda asilo nel paese in cui si entra, non in un altro.
Quindi, le organizzazioni criminali hanno spiegato agli immigrati di non chiedere asilo e di dichiararsi palestinesi o iracheni. Questo, però, lo fanno esclusivamente gli egiziani perché un indiano non può spacciarsi per pakistano, come un cittadino del Senegal non può dire di essere palestinese. Gli egiziani, dunque, dichiarano di essere iracheni o palestinesi, sapendo che noi, tecnicamente, non possiamo rimpatriare un palestinese, perché dovremmo portarlo a Tel Aviv, né un iracheno, perché dovremmo portarlo a Baghdad, dove ci sono ancora condizioni di instabilità.
Tuttavia, con l'aiuto di interpreti qualificati e di investigatori specializzati, noi abbiamo elaborato tecniche efficaci che ci permettono, in tempi brevissimi, di stabilire se i cittadini che si spacciano per iracheni o palestinesi non siano, invece, egiziani. In questo caso, interviene il console egiziano, li riconosce come tali e questi soggetti vengono espulsi.
Inoltre, le organizzazioni criminali avevano escogitato il piano di riempire il centro di Lampedusa, in modo che i clandestini venissero spostati nel centro di accoglienza più grande, quello di Crotone; nel frattempo, a Crotone era stata organizzata una struttura esterna per la fuga dei clandestini.
In seguito alle indagini e agli arresti effettuati, abbiamo scoperto in che modo si erano organizzati i clandestini: una volta trasferiti nel centro di Crotone, da lì fuggivano e, all'esterno, trovavano un'organizzazione ad aspettarli; in pratica, essi avevano acquistato un biglietto dal trafficante in Libia che, oltre al trasporto fino a Lampedusa, comprendeva la fuga da Crotone. Comunque, sono stati scoperti, quindi non possono più attuare questo piano. Cosa possono fare, adesso? Al


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loro arrivo, pretendono che ci sia l'ordine del questore. In altre parole, quando a Lampedusa sbarcano migliaia di persone e noi non riusciamo a trasferirle tutte, in tempi brevi, nei centri di accoglienza, siamo costretti ad eseguire l'ordine del questore, ossia a intimare loro di lasciare il territorio nazionale entro cinque giorni, come la legge prevede. L'ordine non viene rispettato e questi soggetti fanno perdere le loro tracce, restando clandestini sul territorio nazionale.
A tutto questo, addirittura, adesso si è aggiunto il ricorso alla violenza, una strategia insegnata agli immigrati dalle organizzazioni criminali.
A tutte queste strategie abbiamo posto rimedio e adesso aspettiamo di vedere quali saranno le prossime mosse. Senza dubbio, infatti, le organizzazioni criminali escogiteranno qualcosa di nuovo, dal momento che questo rappresenta per loro un grosso affare.
Quali sono, invece, i risultati delle nostre mosse? Abbiamo notato una riduzione del traffico perché abbiamo visto aumentare i clandestini lungo le nostre coste, ma non abbiamo sottolineato, contemporaneamente, il numero di quelli che sono stati bloccati prima di partire. Nel 2004 e nel 2005, sulle coste libiche sono state fermate circa 80 mila persone, alle quali è stato impedito di partire. Se la Libia non avesse agito in questo modo, insieme a noi e al nostro supporto, al numero dei clandestini sbarcati a Lampedusa bisognerebbe aggiungere altre 80 mila unità.
Se avete bisogno di altre informazioni, sono pronto a rispondere a qualsiasi domanda.

PRESIDENTE. Do ora la parola ai colleghi che desiderano intervenire.


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ANDREA DI TEODORO. Devo dire che ho trovato le relazioni molto interessanti. In particolare, vorrei che il prefetto Pansa approfondisse l'ultimo punto al quale ha accennato, cioè il problema della linea di contenimento alla partenza in Libia. Un paio di estati fa, se non ricordo male, si è parlato addirittura dell'ipotesi - se ne è discusso sui giornali, ma non so quanto fosse seria, a livello ufficiale - della creazione di centri di raccolta al limitare del deserto libico, per bloccare sul nascere i flussi di immigrazione clandestina.
Chiedo, altresì, se non sia possibile estendere la linea del pattugliamento navale al limitare delle acque internazionali del paese di partenza. In questo modo, le imbarcazioni che trasportano clandestini sarebbero bloccate prima ancora di entrare in acque internazionali.
Al prefetto D'Ascenzo, invece, vorrei rivolgere una domanda - è un problema che mi assilla e credo che assilli anche molti cittadini italiani - circa i costi delle operazioni di assistenza, accoglienza umanitaria e rimpatrio, che mi sembra siano sostenuti dallo Stato italiano. Alla fine, quindi, questi costi ricadono sulle tasche dei cittadini, sia nel caso dell'accoglienza e del soccorso, sia nel caso del rimpatrio dei clandestini. Se non ho capito male, infatti, anche in presenza di un accordo di riammissione, il costo del trasporto nel paese che li accoglie è comunque a carico del paese che li espelle.
Vorrei capire a quanto ammontano complessivamente questi costi.

ALESSANDRO PANSA, Vicecapo della Polizia e direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Per quanto riguarda la linea di contenimento in Libia abbiamo adottato un programma molto ampio, che va dalla formazione della polizia libica - soprattutto


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nel settore investigativo, che è l'aspetto principale - alla fornitura di mezzi per il soccorso in mare, per il soccorso nel deserto e per il controllo delle frontiere.
In più, si è stabilito di realizzare in Libia tre centri di trattenimento per immigrati clandestini. Gi accordi tra la Libia e i paesi africani non si chiamano accordi di riammissione o di cooperazione, ma accordi di fratellanza, perché questa è la loro politica. È vero che i libici trattano male gli immigrati, ma questo è dovuto al fatto che versano in condizioni emergenziali molto più di noi. In Libia, infatti, ci sono poco meno di cinque milioni di abitanti e circa due milioni di stranieri. Il flusso continua e loro non sono nelle condizioni di gestirlo. Immaginate cinque poliziotti nel deserto, alla frontiera con il Niger o con il Ciad, che fermano 200 persone che vogliono varcare la frontiera. Cosa possono fare, se non tenerli lì? Aspettano che arrivi qualcuno a portare acqua e cibo e li aiuti a rimandare indietro i clandestini: queste sono le condizioni in cui vengono trattenuti gli immigrati in Libia. Alcuni centri versano in condizioni disumane, non per volontà dei libici ma perché non ci sono possibilità di organizzarli meglio. Per questo motivo, abbiamo deciso di costruire tre centri: uno vicino a Tripoli, di mille posti, verrà consegnato a gennaio del prossimo anno; è già iniziata la costruzione di un secondo centro, anch'esso di circa mille posti, a Seba, al centro del deserto libico, lungo una linea di traffico; il terzo centro, infine, verrà realizzato a Cufra, ai confini con il deserto, tra Egitto, Sudan e Ciad (nella stessa zona, nel corso del 2006, si dovrebbe avviare la costruzione di un altro centro).
Mi preme sottolineare che queste strutture verranno gestite dai libici. Noi ci occuperemo solo della loro realizzazione e manutenzione, per evitare che vengano distrutte in tempi brevi. Questi centri, destinati ad accogliere un maggior numero


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di persone, hanno caratteristiche diverse rispetto alle nostre strutture e, dovendo essere costruiti nel deserto, la loro realizzazione è particolarmente complessa, anche dal punto di vista dell'isolamento e del raffreddamento.
Per quanto riguarda il pattugliamento al limite delle acque territoriali dei paesi di partenza, quindi della Libia, esiste un problema che provo a illustrare. Il trasporto dei clandestini, senza alcuna eccezione, avviene in condizioni di pericolo per la vita di coloro che vengono trasportati perché durante il trasporto non viene rispettata nessuna regola di sicurezza. Anche quando si utilizzano pescherecci di 50 metri, efficienti ed adatti a pescare, si tratta di mezzi che possono trasportare al massimo 12-15 persone, e non 150-200. Nel momento in cui un'imbarcazione di questo genere viene rintracciata, non può essere svolta alcuna operazione di polizia, ma scatta immediatamente un'operazione di soccorso: lo prevedono i trattati e le convenzioni internazionali, nonché il nostro codice della navigazione.
Il Mediterraneo, sulla base di accordi internazionali e, soprattutto, della convenzione di Amburgo, è diviso in aree SAR (search and rescue), ossia aree di ricerca e soccorso, compiti a cui ogni paese deve attendere o attraverso le proprie imbarcazioni istituzionali - noi abbiamo adibito a questo compito la Guardia costiera, ma partecipano anche le altre Forze di polizia e la Marina militare - oppure inviando proprie navi civili che attraversano quell'area e che sono nella migliore posizione per portare soccorso.
Quando viene raccolto un segnale di allarme e viene dichiarata un'operazione SAR, ognuno di questi paesi deve intervenire nella propria area, salvo che non sia nelle condizioni di farlo. In quest'ultimo caso, devono intervenire i paesi vicini, anche se sono a distanza. Questa è la condizione nella


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quale ci troviamo. Tra noi e la Libia non c'è nessuno; noi non operiamo nelle acque territoriali, ma nelle acque SAR, che sono di gran lunga più ampie e, alcune volte, siamo costretti a uscire dalle acque territoriali e dalle acque SAR per prestare soccorso ed evitare che gli immigrati affoghino. Gli interventi eseguiti in alto mare dalla Guardia costiera, dalla Guardia di finanza e dalla Marina quest'anno hanno salvato oltre 7 mila persone, che diversamente sarebbero annegate.
Sulla questione dei costi, in generale, parlerà il prefetto D'Ascenzo. Per quanto riguarda, invece, i costi di rimpatrio e di riammissione, negli accordi di riammissione che stipuliamo con i paesi di provenienza non soltanto ci facciamo carico dell'onere, ma offriamo anche ulteriori aiuti (la formazione, la cosiddetta capacity building, ossia la costruzione di una struttura che dal punto di vista ordinamentale, giudiziario, regolamentare e organizzativo possa servire a limitare il problema migratorio, e via dicendo). Limitatamente ai rimpatri che effettuiamo, il costo annuale è di circa 16 milioni di euro, senza considerare il costo uomo per la vigilanza e il trasporto, che non sono in grado di valutare (al momento non ho i dati a disposizione, ma li potremo procurare successivamente). Questo costo si riferisce a circa 60 mila persone rimpatriate in un anno, ma quest'anno siamo già oltre i 40 mila rimpatri. Tenete conto che non rimpatriamo soltanto in Egitto, in Tunisia o in Marocco, ma anche in Bangladesh, nello Sri Lanka, nel Niger, in Senegal, nel Ghana, con viaggi di una lunghezza non indifferente e con costi elevatissimi.

ANNA MARIA D'ASCENZO, Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Posso aggiungere che il dato di bilancio conclusivo del 2003, per il costo complessivo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, ammonta a 160 milioni di euro, che non è una


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cifra così grande. Pensate che in questa cifra rientrano tutti i costi, anche quelli di costruzione, manutenzione e gestione dei centri.

PRESIDENTE. Viceversa, mi sembra poco quello che spende l'Europa, ma questa è un'altra questione.

PIETRO TIDEI. Circa la veridicità delle denunce del giornalista Gatti, mi pare di capire che tutto ciò che è stato denunciato potrebbe essere vero, in quanto il prefetto non lo esclude, ad eccezione degli atti di violenza, relativamente ai quali lo stesso prefetto - salvo il fatto che l'autorità giudiziaria sta indagando - nutre dei dubbi, dal momento che i presunti autori di queste violenze sarebbero le stesse persone che sono state premiate per la loro abnegazione. Tuttavia, sarà l'autorità giudiziaria ad accertare se queste violenze siano state perpetrate o meno.
Come ho già avuto modo di dire, visto che i parlamentari europei sono andati a visitare il centro di Lampedusa, mi sembra strano che i parlamentari italiani non lo facciano. Indipendentemente dal fatto che il centro possa essere pieno o meno, questa visita ci consentirebbe di verificare, in loco, alcune questioni di cui adesso parlerò.
Ripeto, dunque, per l'ennesima volta la richiesta di fare visita al centro di Lampedusa.

PRESIDENTE. Prima di dare la parola ai prefetti, le rispondo brevemente, onorevole Tidei.
Lei aveva avanzato questa richiesta in sede di ufficio di presidenza. Per aderire alla sua richiesta abbiamo convocato il 19 ottobre una seduta del Comitato. Quel giorno, un esponente del suo stesso partito, il senatore Guerzoni, seguito dall'unanimità dei presenti, dichiarò che sembrava più opportuno


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sentire i massimi esponenti tecnici del Ministero dell'interno piuttosto che andare a Lampedusa, con il rischio, magari, di trovare il centro vuoto. Mi dispiace che quel giorno lei non abbia potuto essere presente. Lei mi ha detto che si trovava in Grecia...

PIETRO TIDEI. Adesso non ricordo dove fossi...

PRESIDENTE. Glielo dico io: era in Aula. Mi dispiace, comunque, che lei non abbia partecipato a quella importante riunione del Comitato, nel corso della quale, all'unanimità, abbiamo assunto una decisione, tra l'altro, in merito a una sua proposta.

PIETRO TIDEI. Presidente, la decisione è stata assunta in contumacia. Tuttavia, indipendentemente da quello che lei mi dice e che, peraltro, mi aveva già detto...

PRESIDENTE. Appunto, ma visto che lei lo ripete pubblicamente, faccio altrettanto e ripeto che lei ha sollevato una questione e si è autodichiarato contumace. Non siamo stati noi ad estraniarla dai lavori.

PIETRO TIDEI. Evidentemente, c'era una giustificazione alla mia assenza. Comunque sia, indipendentemente dalla mia assenza di quel giorno, richiedo formalmente di poter effettuare una visita a Lampedusa: se lo ritiene, accoglierà la mia richiesta, diversamente pazienza.

PRESIDENTE. Non è questa la sede. Quando svolgeremo l'ufficio di presidenza e lei sarà presente, avanzerà la richiesta in quella sede. Convocheremo il Comitato e, se sarà presente, voteremo come abbiamo fatto nell'ultima occasione; se la maggioranza dei presenti aderirà alla sua proposta, andremo certamente a Lampedusa.


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Possiamo tornare alle domande che interessano i nostri ospiti.

PIETRO TIDEI. Presidente, non «mi dia la linea» su questo perché credo che ognuno debba poter dire ciò che vuole. Ripeto formalmente la mia richiesta, che considero incidentale, in modo che resti a verbale: anche a nome del mio gruppo - sono il capogruppo in questa Commissione e, forse, conta più l'opinione del capogruppo che quella di un semplice esponente del gruppo -, chiedo di poter effettuare una visita a Lampedusa. Avanzo formalmente la mia richiesta, perché rimanga agli atti e, poi, lei deciderà come ritiene opportuno.

PRESIDENTE. Formalmente, onorevole Tidei, le ripeto che queste richieste si avanzano in sede di ufficio di presidenza, non nel corso di un'audizione. Questo prevedono, come lei sa bene, i regolamenti di Camera e Senato.
Se lei cerca della pubblicità sulla questione e, quindi, sfrutta l'audizione, è libero di farlo. Tuttavia, nel caso non lo sapesse, le rispondo che, formalmente, il luogo preposto ad avanzare queste richieste è solo l'ufficio di presidenza.

PIETRO TIDEI. Le ripeto per l'ennesima volta, visto che probabilmente non ha capito o fa finta di non capire, che incidentalmente, rispetto ad una domanda che sto ponendo, le richiedo una visita a Lampedusa. Vorrei che fosse messo a verbale che il capogruppo dei DS chiede una visita a Lampedusa. Una volta verbalizzate le mie parole, vedremo cosa succederà.
Ho ritenuto opportuno avanzare questa richiesta per le ragioni che mi accingo ad illustrare e se lei, signor presidente, mi avesse consentito di spiegarmi, probabilmente avrebbe evitato questa interruzione.


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Ho ascoltato l'intervento del prefetto D'Ascenzo, che mi pare abbia evidenziato le difficoltà esistenti. Al di là della distinzione tra centri di accoglienza, di identificazione e di permanenza temporanea, rimane il fatto che, sulla situazione di Lampedusa, dobbiamo attenerci scrupolosamente ai fatti.
Personalmente parto dal presupposto che è vero che, in quel caso, lo Stato opera in condizioni di estrema difficoltà. Sappiamo bene che Lampedusa rappresenta il primo approdo di tutta l'Africa. Tra l'altro, come il prefetto Pansa sa benissimo, le difficoltà non sono solo quelle della Libia. È vero che oggi la Libia è in difficoltà, ma inizialmente Gheddafi ha promosso una politica tendente a favorire l'ingresso degli immigrati in Libia, per poi radunarli sulle spiagge e, probabilmente, spingerli in mare aperto verso altri approdi; in questo caso i più vicini erano l'Italia e Lampedusa.
In seguito, dopo che l'embargo è stato in parte revocato e dopo che si sono avviati i colloqui con quel paese, ma probabilmente anche grazie alla fornitura dei sussidi necessari, questa politica si è attenuata. Di conseguenza, quello che doveva essere un problema per il sud dell'Europa, sta diventando tale anche per la Libia. Gli immigrati, probabilmente, continuano ad ammassarsi anche in Libia e l'azione di respingimento che si cerca di mettere in atto alle frontiere libiche non è certamente facile.
Ora, è indubbio che le nostre Forze dell'ordine - in particolare la Capitaneria di porto - intervengono con spirito di abnegazione per prestare soccorso agli immigrati. Né la loro azione può essere definita diversamente perché, di fronte a una carretta in mare in difficoltà e a un pericolo imminente per la vita dei clandestini, non credo che si possa parlare di azione di polizia e di controllo. L'unica azione alla quale si può pensare, lo ripeto, è quella di un soccorso. Una volta


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prestato il soccorso, i clandestini vengono portati sull'isola: ora, va bene che i clandestini che arrivano attraverso gli sbarchi sono soltanto il 15 per cento e non costituiscono il problema principale, ma comunque determinano situazioni emergenziali. Del resto, un clandestino che arriva via terra o in aereo non vive lo stesso dramma di un poveretto che arriva dal Senegal, su una carretta, in condizioni di disidratazione, e tutto il resto.
Al di là del riconoscimento, dunque, che tributiamo - almeno per quanto riguarda il mio gruppo - con assoluta gratitudine alle Forze dell'ordine che svolgono questo lavoro, mi sembra di capire che nell'organizzazione della permanenza, del trasferimento, del respingimento o dell'asilo politico, si accumulino ritardi enormi. È vero che qualche anno fa arrivavano a Lampedusa 360 persone all'anno e ora ne arrivano anche mille al giorno, ma è altrettanto vero che questo fenomeno non si è sviluppato negli ultimi tre o quattro mesi, ma si verifica ormai da qualche anno.
Si è detto che il costo complessivo di tutta questa operazione ammonta a 160 milioni di euro e sono d'accordo che si tratta di una cifra risibile rispetto al costo sociale che lo Stato è costretto a sopportare se non riesce a frenare e ad organizzare questo fenomeno. I costi sociali di un'immigrazione clandestina sono enormi: basti pensare alla delinquenza e ai costi sociali ad essa collegati.
Ebbene, se spendiamo pochi soldi, come lei stesso riconosce, le sue osservazioni mi sembrano tutto sommato inconsistenti. Ad esempio, lei dice che, quando i clandestini arrivano al centro, siccome c'è una sola stazione dei Carabinieri, non potete identificarli e, quindi, li portate a Crotone. Sarà una sciocchezza, ma all'interno del centro di Lampedusa o ai suoi margini, si potrebbe organizzare una stazione mobile di


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polizia. Si potrebbe, altresì, prevedere il trasferimento di qualche poliziotto o carabiniere in più, istituire una stazione mobile di carabinieri ed organizzare un centro di identificazione in condizioni sicuramente diverse. Non credo che occorrano anni o mesi di studio per organizzare un'azione del genere, né per trasformare il centro stesso.
Mi pare che gli interventi che abbiamo ascoltato abbiano individuato chiaramente le soluzioni, ma mi sembra che tutto sia in divenire, in progress. Probabilmente avremmo dovuto organizzarci meglio e spendere qualche risorsa in più per dare una risposta più immediata e adeguata a quello che si presenta come un dramma. Indipendentemente da una soluzione che si prospetta fra qualche tempo e da qualche piccola attività che è stata intrapresa, mi pare che il dramma tale rimanga, in tutti i suoi aspetti.
Se le questioni denunciate nel servizio giornalistico fossero vere, la situazione sarebbe davvero drammatica. A questo punto, non è possibile pensare a prospettive di sviluppo futuro, di fronte ad un'emergenza che impone interventi immediati.
Credo che lo Stato avrebbe dovuto essere più puntuale, più preciso, probabilmente più propenso a spendere, per risolvere un problema che è drammatico e che ci ha portato in tutto il mondo in una situazione tragica, sulla quale sicuramente l'Italianon ha fatto una bella figura.

ALESSANDRO PANSA, Vicecapo della Polizia e direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. La sua analisi del fenomeno mi trova completamente d'accordo. Anche la sua proposta di costruire una stazione per l'identificazione all'interno del centro di Lampedusa mi trova d'accordo, ma ci abbiamo pensato già nel


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1998 e, nel 2000, l'abbiamo ingrandita. Adesso è una struttura grande e organizzata, ed è dotata di tutti gli strumenti necessari per l'identificazione.
Tuttavia, per identificare mille persone occorrono giorni e, nel frattempo, ne arrivano altre: questo è il problema. Le strutture igieniche e l'impianto fognario dell'isola di Lampedusa non reggono. L'acqua è salmastra...

PIETRO TIDEI. Mi consenta, ci sono i piccoli depuratori. Oggi, in qualunque condizione di emergenza, li si utilizza.

ALESSANDRO PANSA, Vicecapo della Polizia e direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Assolutamente non funziona. È stato fatto tutto quello che si poteva fare. Sono stati stanziati milioni di euro per ristrutturare l'impianto fognario dell'isola, ma non so fino a che punto questo sia sufficiente. La situazione viene gestita al meglio, ma è sempre una situazione emergenziale, in quanto il rapporto territorio-popolazione, sul posto, non è gestibile.
Per quanto riguarda le Forze dell'ordine, sono in numero sufficiente; nell'isola inviamo le unità necessarie e anche di più, se serve. Tuttavia, il vero problema è ospitare mille persone in una struttura che ne può contenere 186. Prelevare queste persone - singolarmente o a gruppi di due, dieci, venti o trenta - e portarle nella sala per sottoporle al fotosegnalamento è un problema perché bisogna far uscire mille persone da una struttura organizzata per 186 posti: questa è la differenza.
Per quanto riguarda la creazione del centro di identificazione, anche questo è stato fatto. Lei ha parlato di una stazione mobile: ebbene, lo sa che in una stazione mobile possono entrare tre persone per volta? Noi, invece, dobbiamo


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gestirne duemila. In una stazione grande si riescono a effettuare 80-90 fotosegnalamenti contemporaneamente, ma per fare mille fotosegnalamenti occorrono comunque 10-15 giorni. Queste sono le dimensioni del problema.
Gli immigrati che giungono a Lampedusa comunque vengono portati, in un primo momento, in un centro di 186 posti; poi, uno per volta, devono essere identificati, ma si tratta sempre di mille persone, che si trovano in un centro da 186 posti. L'identificazione avviene per tutti e mille gli immigrati. Le persone che vengono portate via da Lampedusa sono fotosegnalate e a tutte è notificato un provvedimento, tradotto quasi sempre nella lingua madre del clandestino, oppure in una delle lingue veicolari stabilite per legge. Queste attività vengono tutte assicurate, ma è evidente che, all'interno del centro, si creano condizioni insopportabili.
Servirebbero ambienti molto più grandi, di dimensioni tali da consentire la ricettività di mille persone. Questo è quello che noi chiediamo, un ambiente per mille persone, ma non ci è permesso.

PRESIDENTE. Onorevole Tidei, la sua richiesta di sopralluogo a Lampedusa è stata oggetto di un'apposita seduta del Comitato, all'uopo dedicata per rispondere alla sua specifica richiesta. È stata espressa una posizione unanime di tutti i gruppi rappresentati e si è deciso di non andare a Lampedusa. Al momento, direi che la questione ha avuto la risposta dovuta e, quindi, è superata.

TINO BEDIN. La descrizione del prefetto D'Ascenzo dimostra la volontà e la capacità dell'organizzazione pubblica di rispondere ad una condizione di difficoltà, ma allo stesso tempo mette in evidenza la gravissima responsabilità del Governo e della maggioranza.


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Infatti, dall'approvazione della legge Bossi-Fini, si è arrivati al regolamento di attuazione solo nel 2005: questa è una responsabilità politica. L'apparato pubblico, infatti, aveva, da una parte, una legge di difficile interpretazione - a mio avviso, chi va in mare a salvare migliaia di persone in un anno non l'ha vista con favore - e, dall'altra, l'assenza di precise direttive per la sua attuazione.
Che l'applicazione sia ritardata, lo dimostra il fatto che la Puglia continua ad essere uno dei luoghi nei quali le strutture sono maggiormente presenti, anche se è ormai da qualche anno che la Puglia, stando a quanto ci è stato riferito in questa sede, non è più una frontiera. Evidentemente, si continuano a mantenere in vita alcune strutture, in una misura che appare non proporzionata al traffico di esseri umani che attualmente interessa quella regione. Ho citato questo esempio per dire che, probabilmente, la struttura amministrativa e ministeriale non è stata messa nelle condizioni di assumere decisioni adeguate dalla politica e dal Governo.
Riguardo alla localizzazione dei centri di permanenza temporanea, anche in questo caso registriamo un gravissimo ritardo da parte della politica, più che da parte della struttura ministeriale e amministrativa. Mi riferisco alla circostanza che nelle regioni del nord e del nord-est, dalle quali provengo - che rappresentano l'altra grande frontiera attraverso la quale si potrebbero selezionare le persone che arrivano clandestinamente in Italia - mancano i centri di accoglienza. Faccio notare che il centro più vicino alla frontiera orientale si trova a Milano. So che esistono difficoltà legate all'opinione pubblica, ma evidentemente il Governo non è riuscito a creare il necessario concerto con gli enti e gli amministratori locali per l'insediamento di tali centri.


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Da questo punto di vista, credo che sarebbe utile - questo è un problema più tecnico che politico - da parte vostra indicare alcune linee-guida per individuare i luoghi nei quali insediare i centri di permanenza temporanea. In Veneto, noto che la teorica localizzazione di questi centri varia a seconda della volontà di un sindaco o di un imprenditore di mettere a disposizione, magari, qualche capannone dismesso. Mancano, dunque, dei criteri reali per l'identificazione dei luoghi, come la vicinanza ad un aeroporto, ad esempio, per facilitare i movimenti (ne cito uno, ma voi sicuramente potete indicarne di più validi). Credo che la presenza di criteri potrebbe rendere meno difficoltosa la ricerca di una soluzione.
Infine, certamente il centro di Lampedusa è stato discusso, ma sono state indubbiamente più drammatiche - lo dico da parlamentare dell'opposizione - le immagini che ci sono arrivate dalla frontiera tra Spagna e Marocco. Questo è un problema che ci riguarda, come cittadini europei.
Vorrei sapere se le procedure di coordinamento, di accoglienza, di respingimento, insomma le modalità attraverso le quali si «filtrano» le persone che arrivano sul nostro territorio, si adottano anche sulle altre frontiere del Mediterraneo e, in genere, sulle altre frontiere europee.
Chiedo, insomma, se l'Agenzia europea delle frontiere sta cominciando, quantomeno dal punto di vista delle procedure, a mostrare un inizio di coordinamento.

ANNA MARIA D'ASCENZO, Capo del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Forse una delle domande a cui non avevo risposto in precedenza era proprio quella relativa alle concrete difficoltà che incontriamo nel realizzare i centri e all'utilizzazione di criteri per individuarne l'ubicazione. I criteri li abbiamo sempre avuti e sono anche molto interessanti, ma non mi dilungo ad elencarveli. Il


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guaio è che i centri vengono costruiti laddove si riesce a farlo. Quando si comincia ad avere contro il mondo intero, che non li vuole - forse sarebbe più facile localizzare una discarica che un centro di permanenza temporanea -, le cose si complicano. Tutti sono contrari ai centri di permanenza temporanea, a cominciare dai no global e da tanti altri.
Ho appena superato tre ricorsi spaventosi che sono stati presentati per bloccare definitivamente la costruzione di un centro - ormai in dirittura di arrivo - a Gorizia, che potrebbe risolvere i grandissimi problemi che riguardano quella parte della frontiera italiana. Tutti, lo ripeto, sono contrari alla costruzione dei centri, di qualsiasi natura essi siano. Non ha importanza l'etichetta del centro - centro polifunzionale, CPTA o centro di accoglienza -, quello che conta è che nessuno li vuole sul proprio territorio.
Passo gran parte delle mie giornate a rispondere ad interpellanze parlamentari, europee, regionali, e a rivolgermi agli avvocati per portare avanti il discorso tecnico-amministrativo relativo alla costruzione dei centri.
D'altra parte, se queste persone non devono essere raccolte e portate nei centri, illustrateci una soluzione diversa. Io non sono un politico, lavoro da quarant'anni nell'amministrazione dello Stato, indipendentemente dal colore dei diversi Governi, e l'ho sempre fatto con molta serietà. Tuttavia, se mi impediscono di operare e di andare avanti non so che fare.
Non si pensi che non stiamo cercando una soluzione perché posso produrre l'intero archivio del dipartimento che dirigo, per dimostrare tutto quello che abbiamo fatto per la costruzione dei centri e per la loro sicurezza. Le difficoltà esistono e in particolare sono proprio quelle di cui ho riferito.


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Ricordo che il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, che si occupa di tutti i compiti relativi all'integrazione, all'immigrazione e quant'altro, raggruppa 400 unità, me compresa.

TINO BEDIN. Mi permetto di ricordare, brevemente, che avevo premesso che la responsabilità è politica e non delle persone come lei e il dottor Pansa.

PIETRO TIDEI. Diciamo che il Governo ha scarsa attenzione su questo problema.

ALESSANDRO PANSA, Vicecapo della Polizia e direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Fortunatamente non abbiamo ancora avuto situazioni come quelle verificatesi a Ceuta e Melilla, in Spagna, anche se in Italia il livello di reazione dei clandestini all'azione di polizia sta diventando sempre più violento. Lo vediamo crescere in una strategia indotta: il clandestino non è, di per sé, violento, ma lo portano a diventarlo le istruzioni che riceve dalle organizzazioni criminali, che gli spiegano come fare per conseguire il risultato che si è prefissato, spendendo una certa cifra, vale a dire raggiungere l'Italia e restarci.
Recentemente si sono verificate aggressioni anche durante il trasferimento da un centro all'altro. Diversi poliziotti sono stati feriti mentre trasportavano i clandestini sui pullman. Non abbiamo mai avuto feriti tra i clandestini, né durante i trasporti, né durante le operazioni di rimpatrio, in quanto adottiamo misure di trasferimento particolarmente sofisticate e altamente professionali.
Tutto il personale che effettua i trasferimenti in aereo è addestrato ed ha una formazione specifica. Tuttavia, se il


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livello della violenza aumenta, aumenta anche il rischio della reazione da parte delle Forze dell'ordine. Peraltro, nel confronto fisico, i poliziotti italiani rischiano di soccombere ai clandestini, per cui l'unico modo per difendersi è ricorrere alle armi, se costretti. Tenete presente che, durante le fughe dei clandestini dai centri, sono rimasti calpestati carabinieri, poliziotti e finanzieri che svolgevano il servizio di vigilanza.
Alla domanda se gli altri paesi europei adottino o meno procedure simili alle nostre, rispondo che, nei vari paesi, sono in vigore normative differenti ma in linea di massima tutti effettuano i respingimenti alla frontiera e le espulsioni, utilizzano mezzi di trasporto collettivi, come i voli charter. Badate, non parlo di espulsioni collettive: noi non abbiamo mai realizzato un'espulsione collettiva. I mezzi di trasporto che utilizziamo sono collettivi, ma le espulsioni sono sempre individuali e siamo pronti a dimostrarlo in qualsiasi momento.
L'Agenzia europea per le frontiere esterne è stata da poco istituita e da pochissime settimane ha una sede. Anche l'Italia ha inviato dei rappresentanti particolarmente esperti per consentirne il funzionamento. L'Agenzia, tuttavia, non ha iniziato la sua attività, dal momento che non ha ancora definito l'assetto organizzativo.

PRESIDENTE. In conclusione, vorrei rivolgere qualche domanda ai nostri ospiti. Questa audizione si tiene per tentare di dare una risposta ai quesiti sollevati dall'articolo apparso su L'espresso, nel quale viene evidenziata, anche con un'ampia documentazione fotografica, la situazione del centro di Lampedusa. Devo dire che dalle fotografie non appare nulla che possa in qualche modo far pensare a quanto viene riportato nell'articolo. Si parla di persone sdraiate per terra, in mezzo al liquame; lo stesso giornalista avrebbe passato del tempo in quella situazione, ma lo si vede indossare una maglia che, se


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ricordo bene, è più bianca del bianco. Insomma, lo scritto appare molto distonico rispetto alle immagini. Di certo, vengono riportate notizie alquanto pesanti, che si riferiscono ad azioni eventualmente - così dice il giornalista - compiute da funzionari di polizia.
Personalmente sono piuttosto scettico rispetto al contenuto di questo articolo. Tuttavia, non ero presente e non lo era nessuno di noi, quindi ognuno si rifà alle proprie opinioni. Quello che mi ha sorpreso è che nel lungo articolo - interamente percorso da un leit motiv, quello di criticare, condannare e contestare - non sia apparsa, invece, una possibile critica rispetto ad una voce molto diffusa. Quello che vi chiedo, dunque, è se questa voce, che mi accingo a riferire, sia quantomeno verosimile (non vi chiedo se sia vera perché se ne foste stati a conoscenza l'avreste già girata all'autorità giudiziaria).
La mia domanda è la seguente: vi sembra verosimile che all'interno del centro di Lampedusa possa esservi qualcuno che avvisa i criminali che organizzano il traffico di esseri umani quando apprende che gli stranieri stanno per abbandonare il centro stesso per essere trasferiti a Crotone? Qualcuno, malignamente, ha sospettato che si verifichi un po' troppo spesso la coincidenza fra il trasferimento degli immigrati a Crotone e la partenza dei barconi dalla Libia.
Vi sembra che questo sospetto possa essere verosimile o ritenete che si tratti effettivamente di una pura casualità?

ALESSANDRO PANSA, Vicecapo della Polizia e direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere del Ministero dell'interno. Non è verosimile, è sicuro. Innanzitutto, devo precisare che i clandestini non partono dalla Libia quando il centro viene svuotato, ma vengono mandati prima e in quantità notevoli proprio per intasare il centro stesso. Alle


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organizzazioni criminali interessa sovraffollare il centro, non aspettare che esso sia vuoto, per metterci in difficoltà. Più i clandestini sono numerosi, più noi siamo in difficoltà. Se il centro è vuoto, siamo in grado di gestirli, a loro svantaggio; se il centro è stracolmo, invece, non siamo in grado di farlo, a loro vantaggio. È certo che le persone che arrivano, quelle che partono, quelle che si trovano a terra e aspettano che arrivino i clandestini, sono tutte in contatto tra loro, sempre.
Normalmente, ad ogni sbarco, vengono arrestate alcune persone e quasi sempre hanno con sé telefoni cellulari, anzi satellitari. Nella barca che parte c'è un soggetto che ha un telefono satellitare e, una volta uscito dalle acque territoriali, chiama la sala operativa delle Capitanerie di porto, della Guardia di finanza o della Marina, oppure un proprio parente o amico, il quale corre in questura per avvisare che c'è una barca in mezzo al mare che sta per affondare. In questo modo, qualora non fossimo noi a localizzarli, attraverso i radar o i sistemi aeromarittimi di sorveglianza che utilizziamo nel Mediterraneo, sono loro a farsi trovare.
Nelle organizzazioni criminali operano diversi libici, molti dei quali, peraltro, sono stati arrestati. Recentemente, in Libia, sono state arrestate 30 persone, anche appartenenti alle forze dell'ordine, perché è un traffico enorme e, trattandosi di molti soldi, la corruzione è semplicissima. L'organizzazione dà addirittura una sorta di carta d'imbarco a coloro che partono, i quali, prima di essere imbarcati, pagano la somma pattuita e vengono raccolti in capanne. I clandestini ricevono un biglietto su cui è scritto quanto hanno pagato, la data e il nome di chi ha incassato i soldi: si tratta di organizzazioni di viaggio delinquenziali. Tutti sono dotati di cellulare e all'interno dei centri siamo noi a fornire loro le carte telefoniche per permettergli di telefonare perché è un loro diritto.


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In Italia abbiamo arrestato circa 400 esponenti di organizzazioni di trafficanti e circa 2 mila trasportatori. Non vorrei sbagliarmi, ma credo che in Libia siano stati arrestati circa 800 criminali, cioè persone che favoriscono, sfruttano o gestiscono il traffico degli immigrati clandestini. Si tratta di un affare enorme: fino a tre anni fa i clandestini pagavano 1000-1500 dollari per un viaggio, oggi pare che qualcuno arrivi a pagare addirittura 3 mila dollari.
Ad un clandestino che per tre volte abbiamo riportato in Egitto, dopo che per altrettante volte è tornato in Italia, abbiamo fatto notare che con tutti i soldi che aveva speso per questi viaggi avrebbe potuto aprire un'azienda. Ci ha risposto che in Italia lo aspettava il fratello e che se fosse riuscito a raggiungerlo e a lavorare con lui avrebbe guadagnato mille euro al mese, e con quella cifra avrebbe potuto saldare i debiti contratti per pagare il trasporto, mandare i soldi a casa e vivere bene.
I clandestini che arrivano in Italia, per la maggior parte, sanno dove andare a lavorare perché c'è un parente o un amico che li aspetta ed il mercato del lavoro li assorbe. Abbiamo esempi di altri paesi, più piccoli e con problematiche diverse, che hanno affrontato il fenomeno per tempo, saturando il mercato con i lavoratori in regola e scoraggiando così i clandestini perché fare la fame a casa propria è meglio che farla in un paese straniero. La verità, però, è che questi immigrati in Italia, anche se clandestini, anche se dormono sotto i ponti, stanno di gran lunga meglio che a casa loro. A molti immigrati che dichiarano di essere venuti in Italia per raggiungere parenti o amici che hanno già procurato loro un lavoro, cerchiamo di spiegare che devono seguire la trafila della legalità, ma non è facile convincerli.


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PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e tutti i colleghi intervenuti.
Dichiaro conclusa l'audizione.

La seduta termina alle 15,40.

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