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Asilo politico, su 9mila richieste solo 781 sono state accolte di Zita Dazzi MILANO - Oltre novemila richiedenti asilo arrivati nell’ultimo anno in Italia, ma solo 781 domande accettate. Quasi totale carenza d'informazione e tutela per le persone che arrivano in Italia scappando da Paesi in guerra e da persecuzioni per motivi religiosi, politici o etnici. Tempi di attesa lunghissimi, disorganizzazione degli enti che dovrebbero accogliere i rifugiati, confusione legislativa che determina un’incertezza dei profughi sui loro diritti.

E’ questo il quadro fatto dalla Camera del lavoro di Milano che si sta occupando degli immigrati che occupano uno stabile in via Lecco, nel centro del capoluogo lombardo. A Milano la situazione degli asilanti Ë da anni particolarmente difficile, e da alcuni mesi era sul punto di esplodere il problema del gruppo di rifugiati che ora hanno clamorosamente attirato l’attenzione delle istituzioni con la loro occupazione abusiva. Il caso di via Lecco fa dire oggi al sindacato che “Ë ora che il Governo metta mano ad interventi che aiutino queste persone in grande difficoltý, gente che fugge dal proprio paese per salvare la propria vita e che, arrivata in Italia, finisce in un limbo, senza nessuna assistenza, spesso senza diritti” spiega Graziella Carneri, responsabile del servizio immigrazione della Camera del lavoro milanese. La Cgil, come varie altre sigle del terzo settore, fa parte del Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), Onlus nata da una costola dell’Acnur, l’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati. E come tale, ha diversi sportelli nelle cittý italiane proprio per seguire le pratiche dei richiedenti asilo.

Secondo gli ultimi dati resi disponibili dal ministero dell'Interno (aggiornati alla fine del 2004) su 9.019 domande presentate in Italia in un anno, i dinieghi sono stati 8.150. Pur negando lo status di rifugiato, in 2.350 casi le commissioni hanno rilasciato agli stranieri un permesso di soggiorno “per motivi umanitari”. Una condizione meno tutelata e pi˜ precaria dell’asilo vero e proprio “perchÈ temporanea e legata alla situazione politica contingente del paese da cui proviene l’immigrato" spiega Paolo Zanetti, del servizio rifugiati della Cgil. "Questo tipo di permesso di soggiorno puÚ infatti essere revocato a discrezione delle questure, quando mutano le condizioni di partenza".

E non Ë tutto. La legge attuale prevede che i richiedenti asilo non possano lavorare durante i primi sei mesi dalla presentazione della domanda. Se non hanno mezzi di sostentamento, dovrebbero avere accoglienza (vitto e alloggio) in un centro loro dedicato, o in alternativa ricevere dallo Stato un contributo economico di 17 euro al giorno per il primo mese e mezzo. Ma spesso l'attesa prima di ottenere una risposta, positiva o negativa, da una delle sette commissioni territoriali presenti in Italia, dura molto pi˜ di 45 giorni. E comunque questo contributo erogato dalla Prefettura di competenza non arriva mai prima di un anno nelle mani dell’interessato.

“Il Comune di Milano per esempio non riceve i finanziamenti statali per il sostegno e l’inserimento dei richiedenti asilo – spiega ancora la Carneri – ma in quanto area metropolitana ha ricevuto un contributo per le attivitý messe in campo a favore dei rifugiati. Nonostante ciÚ il sostegno Ë quasi tutto delegato al terzo settore”. Infatti, gli enti locali - che per legge avrebbero la responsabilitý di garantire accoglienza agli asilanti privi di mezzi di sostentamento – raramente hanno risorse adeguate. Milano per esempio ha 220 posti in centri di prima accoglienza, ma sono giý tutti occupati. Inoltre Ë evidente la sproporzione fra le risorse – 220 posti – e il numero dei residenti (rifugiati e richiedenti asilo) tra cittý e provincia (2700 di cui 480 hanno chiesto asilo nel 2005).

E chi non trova accoglienza immediata nelle strutture cittadine, dunque, che fine fa? La legge prevede che i richiedenti asilo in questo caso vengano dirottati nel centro di identificazione "pi˜ vicino" (spesso in realtý distante centinaia di chilometri), da alcuni dei quali, come da quello di Trapani, non Ë possibile uscire. La richiesta di asilo in questi casi si trasforma in una vicenda kafkiana. “Anche perchÈ cittý grandi come Milano non hanno un proprio centro d'identificazione – spiega Zanetti – e quindi il rifugiato o richiedente asilo viene spedito in giro per l’Italia. La conseguenza Ë che spesso si perdono le tracce di queste persone, perchÈ tutta la loro pratica viene trasferita alla commissione territoriale pi˜ vicina al centro d'identificazione”.

Molti dei rifiuti dello status di rifugiato, in realtý, sono causati dal fatto che il richiedente asilo, esasperato dalla lunga attesa, si sposta in un'altra regione d'Italia in cerca di un lavoro pi˜ o meno precario. E non si presenta affatto all'audizione di fronte alla commissione (fatto che viene considerato come rinuncia automatica alla domanda), perchÈ magari ha cambiato indirizzo e non ha ricevuto la convocazione. A tutto questo si aggiunga che le leggi in materia sono molte e non sempre congruenti: una legge organica sull'asilo giace da anni in Parlamento. Le informazioni circolano poco e gli immigrati che si trovano in queste situazioni spesso non hanno alcuna nozione dei propri diritti. Come stupirsi allora se le situazioni degenerano, come nel caso dei sudanesi, eritrei ed etiopi che hanno occupato la palazzina di via Lecco a Milano?

 
(24 novembre 2005 - ore 11.13)
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