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28/09/2005
Prime note sul decreto-legge 27 luglio 2005, n. 144, recante: ´Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionaleª

di Iside Gjergji

File allegato (1): d.l.144del2005.pdf

1. Il decreto legge n.144/2005 (c.d. decreto Pisanu), approvato dal Consiglio dei Ministri in data 22 luglio 2005 e convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2005, n.155, dopo soli tre giorni di discussione in Parlamento, si propone come obiettivo prioritario il contrasto del terrorismo internazionale. Le misure legislative adottate con urgenza, immediatamente dopo i tragici attentati di Londra e di Sharm el Sheikh, intendono colmare le lacune punitive dellíattuale normativa penale in riferimento alle attivitý criminali di organizzazioni terroristiche internazionali. Il ministro Pisanu ha infatti sottolineato nel suo discorso introduttivo dinanzi alle Camere che: ´uno degli elementi indispensabili per rendere la risposta al terrorismo chiara, forte e vincente Ë, senza alcun dubbio, la capacitý di adeguare i sistemi giuridici occidentali alle caratteristiche particolarmente insidiose e sfuggenti del terrorismo islamistaª1). Essenziale, dunque, ai fini della comprensione e della valutazione delle modifiche normative apportate Ë il riferimento allíattuale contesto politico globale che, a partire dallí11 settembre 2001, si sta radicalmente e velocemente trasformando.

2. Dal punto di vista del contenuto il decreto Ë composto da 19 articoli che consistono essenzialmente in: a) estensione delle misure di lotta alla mafia al contrasto del terrorismo interno ed internazionale; b) rilascio di un permesso di soggiorno (o carta di soggiorno), in deroga alla normativa vigente, agli stranieri che collaborano con la giustizia, ma anche una procedura sommaria e frettolosa per le espulsioni di coloro che sono semplicemente sospettati di agevolare cellule terroristiche; c) prolungamento del fermo di polizia giudiziaria da 12 a 24 ore e ampliamento dei casi di arresto obbligatorio nella flagranza di delitti commessi per finalitý di terrorismo o di eversione dellíordine democratico; d) introduzione del reato di ìpossesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsiî, per il quale sono previste pene severe; e) introduzione di nuove procedure di identificazione tramite il prelievo dei capelli o della saliva, sulla base anche della sola autorizzazione ìoraleî del pubblico ministero; f) istituzione di nuove fattispecie delittuose che incriminano non solo le attivitý di addestramento, ma anche quelle di arruolamento di persone da avviare alla perpetrazione di azioni terroristiche; g) definizione normativa della condotta con finalitý di terrorismo; h) aggravamento della disciplina delle misure di prevenzione, dove si ripristina líarresto fuori flagranza per violazione agli obblighi della sorveglianza speciale; i) allargamento delle possibilitý di intercettazione e di conservazione dei tracciati delle comunicazioni telefoniche e telematiche; l) introduzione di nuove restrittive misure amministrative al fine di controllare attivitý ìsensibiliî (esercizi di internet point e simili, attivitý di volo, attivitý inerenti agli esplosivi); m) riduzione degli impegni della polizia giudiziaria in attivitý sussidiarie al processo penale, in particolare in materia di notifica; n) impiego di servizi di vigilanza privata in luoghi sensibili quali porti, stazioni ferroviarie, metro e mezzi di trasporto pubblici.
Appare evidente che non si tratta di ´circoscritti adattamenti delle norme vigentiª - come ha provato a spiegare il governo in un comunicato pubblicato sul proprio sito web - ma di disposizioni che modificano in profonditý molte norme poste a tutela dei diritti individuali. In primo luogo, va evidenziato líallargamento delle ipotesi di espulsione degli stranieri e la cancellazione del loro diritto di difesa, attraverso la ìsemplificazioneî delle procedure che non prevedono la sospensione dellíesecuzione del provvedimento di espulsione in caso di ricorso giurisdizionale e la sostanziale sterilizzazione dellíintervento della magistratura amministrativa2). Questa Ë infatti costretta a sospendere, fino a due anni, il procedimento nei casi in cui il governo decida di apporre il segreto sugli atti preliminari al decreto di espulsione. In questo modo la funzione del giudice diviene subalterna rispetto a quella svolta dallíamministrazione dellíInterno. Inoltre, líinserimento di questa norma (art.3, comma 5, del decreto citato) - specie a seguito della sentenza del Tar del Lazio, Sez. I ter, n.15336/04, che ha annullato il decreto di espulsione emesso dal ministro dellíinterno nei confronti del cittadino senegalese Mamour Fall (meglio noto come líimam di Carmagnola), specificando che la semplice manifestazione del pensiero non puÚ, in alcun modo, costituire pericolo per la sicurezza dello Stato - appare costituire uní escamotage finalizzato ad aggirare gli eventuali ostacoli che lo svolgimento dellíattivitý giurisdizionale avrebbe potuto porre alle decisioni dellíesecutivo.
Nei confronti degli stranieri sembra, oramai, applicarsi un diritto speciale3) che si ispira alle abrogate norme del T.U.L.P.S. del 1931. Essi si trovano, sempre pi˜, alla mercË delle decisioni insindacabili del potere amministrativo, ossia di decisioni adottate in totale assenza di contraddittorio4). La conferma di questa ipotesi pare del resto discendere dalla natura delle espulsioni eseguite nei confronti di alcuni esponenti della comunitý islamica che si erano limitati a svolgere uníattivitý di mero proselitismo. Attivitý che oggi viene considerata una seria minaccia per líordine pubblico e per la sicurezza dello Stato, in quanto la nozione di ´pericolo per líordine pubblico e la sicurezza dello Statoª si Ë, ormai, dilatata al punto da configurare un inedito speech crime, talmente amorfo ed onnicomprensivo, da inglobare qualunque pensiero o discorso che venga ritenuto dissonante da quello dominante. Il pensiero, considerato eversivo, e non pi˜ líazione diviene oggetto dellíattivitý investigativa e repressiva delle autoritý di polizia5).
Una forte erosione subiscono anche i diritti civili e di privacy dei cittadini italiani. Líapproccio del legislatore Ë da considerarsi insoddisfacente e criticabile, sia sul piano dellíefficiente perseguimento degli obiettivi, sia perchÈ produce un notevolissimo arretramento rispetto alle conquiste del costituzionalismo moderno e, in generale, della civiltý giuridica. La ìguerra al terrorismo internazionaleî diviene fomite di un ulteriore attacco allo stato di diritto ed alle garanzie di libertý, senza, peraltro, offrire alcun sostanziale contributo alla tutela della sicurezza pubblica, intesa come pacifica convivenza tra cittadini, popoli e Stati.
La prospettiva securitaria che informa il decreto, determina la lesione dei diritti inviolabili della persona umana, sulla base del convincimento, irrazionale ed inaccettabile, che le garanzie individuali, sostanziali e processuali, costituiscono un impedimento allo svolgimento delle attivitý investigative, un ostacolo allíaccertamento della veritý6). Le parole pronunciate dal Segretario di Stato britannico, Charles Clarke, lo scorso 7 settembre, dinanzi al Parlamento europeo, dove egli ha ufficialmente chiesto ´la revisione della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dellíUomoª, chiariscono inequivocabilmente questo concetto: ´ Gli Stati dellíUnione europea dovrebbero poter accettare uníerosione di qualche libertý civile per proteggere i loro cittadini dal crimine organizzato e dal terrorismoª (´European Union states may have to accept an erosion of some civil liberties if their citizens are to be protected from organized crime and terrorismª).
Va evidenziato, inoltre, che la legge impernea i meccanismi repressivi su una categoria unitaria e, pertanto, generica, di criminalitý organizzata. Questa tendenza, che ha caratterizzato le scelte politico-legislative in materia penale degli ultimi anni, si Ë, perÚ, rivelata fallimentare. La meccanica estensione di istituti tipici della legislazione antimafia ad altri settori criminali elide líontologica differenza che connota i diversi fenomeni criminali e si rivela, pertanto, poco idonea a contrastare in modo efficace il terrorismo internazionale7). Oltre a ciÚ, la sovrapposizione di fattispecie normative dai confini indeterminati e líuso, confuso ed indistinto, dei connessi strumenti giuridici provoca líabnorme dilatazione della categoria dei ìreati con finalitý di terrorismoî e la conseguente inclusione, nella stessa, di fattispecie ascrivibili alla categoria degli illeciti comuni.
Si assiste, inoltre, allíintroduzione, lenta ma progressiva, dellíimpresa privata nella gestione della sicurezza pubblica. Líart.18 del decreto in esame prevede, infatti, la possibilitý di affidare i ìservizi di sicurezza sussidiariaî (nellíambito dei porti, delle stazioni ferroviarie e dei relativi mezzi di trasporto e depositi, delle stazioni delle ferrovie metropolitane e dei relativi mezzi di trasporto e depositi, nonchÈ nellíambito delle linee di trasporto urbano) a ìguardie giurate dipendenti o ad istituti di vigilanza privataî. La norma non attribuisce, invero, alle imprese private di sicurezza compiti propri dellíautoritý di pubblica sicurezza e degli organi di polizia, ma, nel contempo, non specifica la nozione di ìservizi di sicurezza sussidiariaî. La questione della sicurezza pubblica rischia, pertanto, di trasformarsi in una grande opportunitý di profitto per líindustria della sicurezza. Gli interessi economici delle imprese del settore potrebbero costituire un elemento determinante per líaccelerazione dei processi di privatizzazione del comparto della pubblica sicurezza, ivi compresa la gestione dellíordine pubblico. Esempi significativi di questa possibile deriva possono trarsi dallíesperienza degli Stati Uniti e dellí Inghilterra. In questi paesi la gestione della sicurezza, della guerra, dei servizi di vigilanza e dei sistemi penitenziari Ë in larga parte affidata alle imprese private.

3. La novitý pregnante del decreto Ë contenuta nellíart.15, comma 1. Questa norma introduce, nel codice penale, la definizione giuridica della ìcondotta con finalitý di terrorismoî. Essa stabilisce che ´sono considerate con finalitý di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un'organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un'organizzazione internazionale, nonche' le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalitý di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l'Italiaª.
Il legislatore, giý prima dellíemanazione del decreto n.144 del 2005, aveva tentato di elaborare la nozione di ìreato di terrorismo internazionaleî. Líart.270 bis c.p., novellato dal decreto legge 18 ottobre 2001, n.374, poi convertito nella legge 15 dicembre 2001, n.438, ha fornito una prima, seppur poco chiara, definizione8). Questa norma ha posto, infatti, una serie di problemi interpretativi di non facile soluzione, sia dal punto di vista della legittimitý costituzionale, sia in relazione alla stessa possibilitý di una efficace applicazione. Líatipica collocazione sistematica della norma incriminatrice, inserita nel capo I del titolo I del libro II del codice penale, dedicato ai ìdelitti contro la personalitý dello Statoî, pone ñ come síË detto - un serio dubbio di compatibilitý non solo ´con i principi costituzionali, ma anche con quelli che rappresentano líassetto complessivo del sistema penale italianoª, posto che essa rende punibili comportamenti che si risolvono ´in una adesione ad organizzazioni che non intendono affatto aggredire líordine costituzionale della Repubblica italiana, nÈ commettere atti terroristici contro le istituzioni del nostro paeseª9). Occorre osservare, in primo luogo, che il nostro ordinamento non potrebbe tutelare, attraverso lo strumento del diritto penale, líintegritý politica, economica e sociale di un Paese straniero. Il principio di sovranitý impedisce allo Stato uníindebita estensione dei compiti punitivi10). La stessa Corte di Cassazione, Sez. VI, 17 aprile 1996, con la sent. n.973, aveva, del resto, chiarito, in coerenza con il dettato costituzionale. che: ´ai sensi dellíart.270 bis c.p. líazione deve avere di mira in modo diretto ed immediato líordine democratico italiano, non essendo lecito introdurre forme mediate ed indirette di lesioni coincidenti con gli eventuali effetti, politici prima di tutto, determinate nel nostro ordinamento da azioni lesive di altri ordinamentiª. Occorre, in secondo luogo, rilevare la dubbia legittimitý costituzionale di una norma finalizzata a tutelare anche gli Stati che non possiedono i requisiti minimi di democraticitý. Si Ë rilevato, a questo proposito, che il perseguimento mediante la fattispecie incriminatrice del terrorismo di atti di violenza contro eserciti invasori, o contro Stati oppressivi ed autoritari renderebbe, inopinatamente, perseguibili le forme di legittima resistenza popolare. Va evidenziata, infatti, ´la necessitý di distinguere attentamente fra i casi di terrorismo e gli altri casi nei quali il ricorso alla lotta armata puÚ apparire giustificabile alla luce del diritto internazionaleª. Questo assume, ´al riguardo, una posizione di neutralitý e a volte un atteggiamento favorevole, data la necessitý di realizzare obiettivi di carattere generale quali líautodeterminazione dei popoli o líeliminazione di regimi antidemocratici, oppressivi o razzistiª11). Il Gup di Milano, nellíordinanza di scarcerazione di due cittadini stranieri, imputati sulla base delle disposizioni dellíart.270 bis c.p., aveva assunto una analoga impostazione. Il magistrato non aveva ritenuto legittimo sussumere, nella nozione giuridica di terrorismo, qualsiasi attivitý di guerriglia attuata in un contesto bellico. Egli aveva, infatti, chiarito che ´la nozione di terrorismo, [Ö] recepita dallíart.270 bis c.p., non puÚ riguardare, in accordo con il testo dellíart.18, comma 2, della Convenzione O.N.U. sul Terrorismo del 1999, líattivitý di gruppi armati o movimenti, diversi dalle forze armate, nella misura in cui, in contesti bellici, essi si attengano alle norme del diritto internazionaleª.
Líassenza di una chiara norma interna, cui far riferimento ai fini dellíinterpretazione della disposizione contenuta nellíart.270 bis c.p., ha indotto il magistrato ad utilizzare le norme recepite dalle convenzioni internazionali. Queste, pur con gravi imperfezioni e lacune, hanno tentato di fornire una definizione del reato di terrorismo. La cooperazione internazionale in materia di terrorismo, sviluppata, a partire dagli anni í70, sotto la spinta delle forme nuove e sofisticate di terrorismo, ´di per sÈ coinvolgenti, in ordine a singoli episodi terroristici, una pluralitý di Statiª12), ha privilegiato un approccio di tipo settoriale. Si Ë preferito, cioË, approntare gli strumenti pattizi in relazione, alla prevenzione e la repressione, di ìsingoleî manifestazioni terroristiche, piuttosto che elaborare un disegno normativo ìunitarioî13). Líapproccio settoriale ha caratterizzato, infatti, líimpostazione della Convenzione dellíAja del 16 dicembre 1970 per la repressione della cattura illecita di aeromobili, della Convenzione di Montreal del 23 settembre 1971 per la repressione di atti illeciti diretti contro la sicurezza dellíaviazione civile e della Convenzione di Roma del 10 marzo 1988 per la repressione degli atti contro la navigazione marittima. La Convenzione europea di Strasburgo, per la repressione del terrorismo, del 27 gennaio 1977, (ratificata in Italia nel 1986), pur essendosi caratterizzata per líadozione di un approccio globale alla tematica, ha scelto tuttavia di non elaborare una nozione generale di terrorismo.
Una definizione della condotta con finalitý di terrorismo Ë stata elaborata, a livello europeo, solo con la decisione Quadro del Consiglio dellíUE, del 13 giugno 2002 (2002/475/GAI). Questa decisione si Ë ispirata alla Convenzione internazionale per la repressione dei finanziamenti al terrorismo, (New York, 9 dicembre 1999), ossia a quella stessa Convenzione a cui aveva fatto riferimento il Gup del Tribunale di Milano. Essa ha stabilito che deve essere considerato atto di terrorismo ´ogni atto la cui finalitý per natura o contesto, sia quella di intimidire una popolazione o di costringere un governo o una organizzazione internazionale a fare o ad omettere qualche atto...ª (art.2, comma 1, lett.b). La decisione del Consiglio dellíUE ha stabilito, di conseguenza, che ciascuno Stato membro deve adottare ´le misure necessarie per garantire che [Ö]siano considerati reati terroristiciª gli atti intenzionali commessi al fine ´di intimidire gravemente la popolazione, o costringere indebitamente i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un paese o un'organizzazione internazionaleª (art.1, comma 1).
La definizione di terrorismo, fornita dallíart.15, comma 1, del decreto legge n.144 del 2005 Ë, quindi, assai simile ñ ed in alcuni tratti identica - alle definizioni adottate dalla sopra menzionata Convenzione dellíONU (1999) e dalla decisione del Consiglio dellíUE (2002). La nozione di terrorismo internazionale, fornita dal legislatore italiano, si presta tuttavia a molte critiche, sia perchÈ non appare armonica con la disposizione contenuta nellíart.270 bis c.p., sia perchÈ formulata in termini eccessivamente generici. Si tratta, invero, di una definizione dai contorni vaghi e indefiniti e, per questo, idonea ad includere inopinatamente ogni tipo di condotta connotata da violenza, ma anche ascrivibile alle manifestazioni di resistenza e di opposizione politica, allíattivitý terroristica. I confini tra il terrorismo e la protesta politica rischiano di diventare pericolosamente vaghi ed incerti, posto che, díora in poi, verrý considerata ìcondotta con finalitý di terrorismoî qualsiasi condotta che persegue lo scopo di ìcostringere i pubblici poteri a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi attoî .

4. La diffusione del terrorismo internazionale prospetta, quindi, sul piano giuridico, rilevanti problemi che richiederebbero una approfondita riflessione sulla corretta conformazione della fattispecie incriminatrice e sull'adeguatezza degli strumenti giuridici da utilizzare. Questa riflessione dovrebbe, tuttavia, spingersi alla identificazione delle cause reali che ingenerano il fenomeno terroristico. Il contrasto al terrorismo internazionale rappresenta una indilazionabile prioritý. Non si puÚ tuttavia pensare che il rilevante problema sociale possa essere risolto solo mediante líincremento della repressione penale e/o militare. Non Ë legittimo, peraltro, chiedere ai cittadini di rinunciare al patrimonio costituzionale dei diritti inviolabili di libertý, in nome di una guerra scatenata ñ paradossalmente ñ in nome della libertý14). Il nodo della questione non potrý essere definitivamente reciso se non verranno affrontate le cause sociali che lo determinano. Cause che la risoluzione Onu del 18 dicembre 1972, n.3034/XXVII, adottata su iniziativa dei Paesi poveri del mondo, ha individuato ìdans la misËre, les dÈceptions, les griefs et le dÈsespoir ª, che spingono ´certaines personnes ý sacrifier des vies humaines, y compris la leur, pour tenter díapporter des changements radicaux ª.



















Note:
1) Cfr. intervento al Senato del Ministro dell'Interno in sede di conversione del D.L. n.144/2005 in data 28 luglio 2005.
2) Cfr. art.3, commi 4, 4-bis e 5 del decreto legge n.144/2005.
3) ìI profili del diritto speciale dei migranti delineato dal nostro ordinamento ricalcano, per tratti significativi, la fisionomia della condizione dello straniero disegnata dalla legge di polizia del 1931î, A. Caputo, Immigrazione, diritto penale e sicurezza, in ìQuestione Giustiziaî n. 2-3/2004, p.360.
4) Sul processo di amministrativizzazione dei diritti degli immigrati in Italia cfr. G. Bucci, Eguaglianza, immigrazione e libertý di circolazione nellíera della mondializzazione dellíeconomia, in AA.VV., Studi in onore di Gianni Ferrara, Vol.I, Giappichelli, 2005, pp.393 e ss.; A. Caputo, Immigrazione, diritto penale e sicurezza, ìQuestione Giustiziaî, n.2-3/2004, pp.359 e ss.; Id., Líimmigrazione: ovvero la cittadinanza negata, in AA.VV., Attacco ai diritti, Laterza, 2003, pp. 53 e ss.; P. Basso-F. Perocco, Gli immigrati in Europa, in AA.VV., Gli immigrati in Europa. Disuguaglianze razzismo, lotte, a cura di P. Basso-F. Perocco, Franco Angeli, 2003, pp.7 e ss.; L. Ferrajoli, Libertý di circolazione e di soggiorno. Per chi?, in AA.VV., Quale libertý. Dizionario minimo contro i falsi liberali, a cura di M. Bovero, Laterza, 2004, pp.179 e ss.
5) G. Azzariti, Libertý di manifestazione del pensiero e ordinamento democratico. Appunti, in Liberta di manifestazione del pensiero e giurisprudenza costituzionale, a cura di A. Pizzorusso, R. Romboli, A. Ruggeri, A. Saitta, G. Silvestri, Milano, GiuffrË, 2005, pp.259,260, osserva che ´compito della Repubblica Ë [Ö] quello di garantire il pluralismo, in generale, e di non ostacolare la critica e il dissenso in particolare, anche il dissenso radicale, protetto in qualche modo (fin tanto che non si traduce in azione criminale, síintende) da un favor costituzionale. Anzi proprio la necessitý di dare ìvoceî a chi Ë minoranza o a chi non ha gli strumenti per farsi ascoltare, dovrebbe portare a prospettare un intervento attivo, di carattere regolativo e di sostegno da parte della Repubblica, a garanzia della pari dignitý delle opinioni ed al fine di rimuovere gli ostacoli che limitano di fatto la libertý e líeguaglianzaª.
6) A. Burgio, De-regolare e reprimere. Cenni sul ìliberismo giuridicoî del secondo governo Berlusconi, in AA.VV., La forza del diritto. Sul conflitto tra politica e giustizia, a cura di A. Burgio, DeriveApprodi, Roma,2003, p.15, fa rilevare che ´nel clima di guerra permanente generato dal collasso dellíordine bipolare, il diritto tende a essere considerato un inutile orpello, quando non semplicemente un impedimento per il governo delle societý e delle relazioni internazionali: un lusso prodotto dalla ìvisione del mondo ëlibertariaí, superficiale e astrattaî per riprendere le parole di una figura chiave del governo laburista inglese, il ministro degli interni David Blunkett. Ostacoli, in quanto negano legittimitý alle nude ragioni della forza, sono il diritto internazionale e tutti gli organismi che ne discendono, dallíOnu alla Corte penale internazionale. E un ostacolo Ë, per lo stesso ordine di motivi, il diritto interno delle nazioni, in particolare quello depositato nelle Costituzioni democratiche che vietano il ricorso alla guerra di aggressione, alla tortura, allíuso discrezionale degli apparati di sicurezza, alle intercettazioni e alle misure restrittive della libertý personale in assenza di mandato dellíautoritý giudiziariaª.
7) Cfr. G. Narducci, Terrorismo, Criminalitý organizzata e diritto penale, in ìQuestione Giustiziaî n. 2-3/2004, pp.390 e ss.
8) Art.270-bis, comma 3, c.p.:ìAi fini della legge penale, la finalitý di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza sono rivolti contro uno stato estero, uníistituzione o un organismo internazionaleî.
9) G. Narducci, Terrorismo, Criminalitý organizzata e diritto penale, in ìQuestione Giustiziaî n. 2-3/2004, pp. 394, 395.
10) G.Narducci, Nella differenza tra reati terroristici ed eversivi i confini del ìnuovoî reato, in ìDiritto e Giustiziaî, n. 3/2002, p.12.
11) F. Marcelli, La lista antiterrorista dellíUnione europea: alcune riflessioni alla luce del caso dellíOrganizzazione dei mujahedin del popolo iraniano (OMPI), in www. giuristidemocratici.it.
12) A. Panzera, voce Terrorismo (diritto internazionale), in Enc. Dir. Vol. XLIV, Milano, GiuffrÈ, p.372.
13) A. Panzera, op. cit., p.373 e ss.
14) M. Bovero, Il fantasma della libertý, in AA.VV., Quale libertý. Dizionario minimo contro i falsi liberali, Laterza, Roma-Bari, 2004, p. IX evidenzia che ´lý dove líideologia della libertý si riduce a pura ideologia liberista [Ö] lÏ il terreno Ë in certo modo preparato affinchÈ possa essere accettato lo scambio ìlibertý contro sicurezzaª.





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