(Sergio Briguglio, 6/9/2005)

 

 

RICERCA DI LAVORO SUL POSTO: COME RIFORMARE LA NORMATIVA SULLĠIMMIGRAZIONE

 

 

La normativa italiana sull'immigrazione per lavoro prevede, dal 1986, che l'ingresso del lavoratore straniero possa aver luogo solo a seguito della richiesta di autorizzazione presentata da un datore di lavoro mentre ancora lo straniero risiede all'estero.

 

Una modalita' alternativa e' stata consentita solo per un breve periodo (nel biennio 2000-2001) sulla base delle norme sulla sponsorizzazione e sulla cosiddetta autosponsorizzazione contenute nella legge Turco-Napolitano. Queste norme prevedevano la possibilita' di ingresso di uno straniero in cerca di lavoro, per il cui sostentamento garantisse un terzo o, rispettivamente, lo stesso straniero. La loro applicazione ha avuto un grande successo, ma e' stata relegata a dimensioni e durata di carattere puramente sperimentale.

 

Tralasciando queste ridotte eccezioni, si puo' ben dire che la normativa ha impedito l'incontro diretto tra domanda e offerta di lavoro. Il fatto che tale incontro sia indispensabile perche' si stabiliscano rapporti nel campo - per esempio - dei servizi alla persona (ma - presumo - anche nel caso del lavoro alle dipendenze dalla piccola impresa) avrebbe condannato l'Italia ad una assoluta assenza di immigrazione per lavoro, se gli immigrati non avessero aggirato le disposizioni, cercando sul posto l'inserimento nel mercato del lavoro, a seguito di un ingresso clandestino o, piu' spesso, di un ingresso legale per turismo seguito da un prolungamento illegale del soggiorno. Trovato il lavoro, gli immigrati hanno potuto raggiungere la condizione di soggiorno legale sfruttando la prima sanatoria utile, ovvero grazie ad una chiamata "dall'estero" nell'ambito delle quote annuali, passando attraverso un temporaneo rimpatrio e un reingresso, questa volta pienamente legale, per lavoro.

 

Quella qui esposta non eĠ una semplice congettura: il numero di posizioni sanate, tra gli stranieri che abbiano fatto ingresso nel periodo 1991-2002,  di circa 1.140.000, con una media di 95.000 per anno; lĠingresso legale per lavoro subordinato ha riguardato invece circa 246.000 immigrati (20.500 per anno). Se anche trascurassimo il fatto che la quasi totalita' di quest'ultimi ingressi corrisponde comunque - per quanto detto sopra - a rapporti di lavoro nati in condizioni illegali, troveremmo che il percorso illegale per arrivare ad un soggiorno finalmente legale e' assolutamente maggioritario.

 

E' ovvio che il costringere i lavoratori immigrati ad una fase lunga (in genere due o tre anni) di inserimento illegale ha dei costi molto elevati. E non mi sembra affatto credibile la tesi - sostenuta da alcuni - secondo la quale questa modalita' favorisca gli imprenditori mantenendo basso il costo del lavoro degli stranieri. Caso mai, favorira' gli imprenditori disonesti, danneggiando i loro concorrenti onesti.

 

Credo che il modo piu' serio per superare questa situazione sia quello di permettere l'ingresso per ricerca di occupazione. La cosa e' stata - dicevo - sperimentata nel 2000-2001, e si tratta solo di correggere gli errori di allora. L'obiettivo di una riforma in tal senso dovrebbe essere quello di ridurre al minimo l'intervento della burocrazia. Rispetto alle disposizioni di quel periodo dovrebbero allora essere soppresse quelle che richiedevano l'istituzione di liste di prenotazione nelle nostre ambasciate o la determinazione di un tetto numerico da parte del Governo. Le liste infatti non sono mai state istituite, e i limiti numerici vengono fissati prescindendo da una appropriata valutazione delle effettive esigenze del mercato del lavoro.

 

Si tratterebbe invece di fissare dei requisiti minimi per l'ingresso, tali da garantire che lo straniero non finisca per gravare sull'assistenza pubblica o per trovarsi nell'incapacita' di rimpatriare in caso di mancato inserimento. Si tratterebbe poi di evitare che, in caso di prolungamento illegale del soggiorno, l'allontanamento dello straniero rappresenti un costo rilevante per lo Stato.

 

Questi obiettivi si possono - a mio parere - raggiungere fissando i requisiti nel modo seguente:

á      disponibilita' di mezzi di sostentamento per il periodo di soggiorno (in misura proporzionale, per esempio, all'importo dell'assegno sociale);

á      stipula di una polizza assicurativa per la copertura delle spese sanitarie o disponibilita' delle risorse necessarie per l'iscrizione al Servizio sanitario nazionale;

á      indicazione relativa alle modalita' di alloggio;

á      possesso di mezzi sufficienti ad acquistare un biglietto per il viaggio di ritorno.

 

Questi requisiti - che ricalcano quelli gia' previsti, in passato, per l'autosponsorizzazione - potrebbero essere definiti con maggior precisione, in modo da garantire che la disponibilita' di mezzi per le varie voci, dimostrata all'ingresso, si mantenga per tutto il periodo di soggiorno. Si potrebbe, per esempio, stabilire che un certo ammontare di denaro sia depositato in banca o in un apposito fondo e che possa essere ritirato dal titolare solo in rate fissate.

 

Lo straniero cosi' ammesso dovrebbe avere facolta' di accedere pienamente al mercato del lavoro. Una volta raggiunto un inserimento relativamente stabile (come lavoratore subordinato, parasubordinato o autonomo), dovrebbe ottenere la conversione del permesso in un ordinario permesso per motivi di lavoro. Anche in mancanza di inserimento stabile, pero', lo svolgimento di attivita' lavorative saltuarie, garantendogli ulteriori risorse, gli permetterebbe di rinnovare il permesso per ricerca di occupazione.

 

In caso di violazione delle disposizioni sul soggiorno, lo straniero potrebbe essere allontanato senza spese e senza necessita' di detenzione o di altre sanzioni. Il deposito, in ingresso, delle impronte digitali permetterebbe in qualunque momento di identificarlo e rimpatriarlo, ricorrendo alle risorse depositate per il biglietto di ritorno.

 

Per evitare che siano riprodotti errori gia' commessi, dovrebbero essere salvaguardati i due punti seguenti:

á      il numero di ingressi per ricerca di occupazione non dovrebbe, di norma, essere limitato numericamente, ne' lĠingresso stesso circoscritto ad un particolare periodo dell'anno;

á      non si dovrebbe pretendere che la disponibilita' di mezzi e di alloggio per lo straniero sia garantita da un terzo, ma si dovrebbe contemplare la possibilita' che lo straniero sia in grado di provvedere a se stesso.

 

Il primo di questi punti - che pone l'ingresso per ricerca di occupazione alla stregua di altre forme di ingresso, quali l'ingresso per turismo o per affari - non esclude che lo Stato ponga dei limiti all'ingresso. I limiti dovrebbero, peroĠ, essere posti non in seguito alla determinazione del fabbisogno del mercato (cosa su cui lo Stato non ha molto da dire), ma piuttosto per la necessita' - ove questa si presenti - di tutelare beni che il mercato non sa proteggere (il sistema di welfare, la pace sociale, l'identita' culturale, etc.). Questa necessita', se esiste, e' avvertita in modo molto piu' concreto a livello locale che non a livello centrale. Dovrebbero quindi essere le Regioni o gli enti locali a segnalare al Governo la necessita' di porre limiti agli ingressi, assumendosene la responsabilita' di fronte ad imprenditori e famiglie. Il Governo dovrebbe recepire queste richieste, applicando limiti alle sole Regioni o Province che hanno avanzato richiesta in tal senso.

 

Similmente, il secondo punto non esclude che possa esser fatta valere la garanzia di terzi: solo, non lo pretende. In questa prospettiva potrebbe ritrovare spazio la figura dello sponsor privato (gia' sperimentata). Ma - cosa ancora piu' importante - potrebbe realizzarsi una politica attiva dell'immigrazione da parte di Regioni, enti locali, associazioni imprenditoriali. Questi soggetti potrebbero bandire un certo numero di "sponsorizzazioni" per stranieri in cerca di lavoro, selezionandoli, eventualmente, in base alle esigenze delle imprese e delle famiglie.

 

La combinazione di entrambi questi interventi, poi, consentirebbe alla Regione o alla Provincia in cui l'ingresso per ricerca di lavoro di uno straniero che provveda a se stesso desti allarme sociale di praticare una politica propria: un certo numero di posti con sponsorizzazione pubblica (o di terzi); chiusura, per il resto.

 

E' importante pero' - ripeto - che il modello che va bene a una Regione o a una Provincia non sia imposto a tutte le altre, e che, di norma, non sia inutilmente ostacolato lo straniero che dimostri di sapersi mantenere nel periodo di ricerca di lavoro.

 

Resterebbe ovviamente impregiudicata la possibilitaĠ di chiamare direttamente un lavoratore dallĠestero, quella di formarlo nel suo paese e poi assumerlo, e cosiĠ via. Anche queste, naturalmente sottratte, in generale, allĠinutile vincolo delle quote.