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Così cambierà la Bossi-Fini: permessi per chi cerca lavoro di Chiara Righetti ROMA - Si potrà entrare in Italia per cercare lavoro. Potranno entrare, senza più l’incubo delle quote, le colf, le assistenti familiari, gli stagionali, chi lavora nella sanità e nei servizi sociali. Chi ha un permesso per studio o turistico potrà convertirlo in uno per lavoro. Potrebbero cambiare la vita dei quasi tre milioni di immigrati regolari – e di centinaia di migliaia irregolari – queste proposte, contenute in un testo a firma Livia Turco (già ministro degli Affari sociali e oggi responsabile Welfare dei Ds) e Giannicola Sinisi, responsabile immigrazione della Margherita.

Quattro pagine. Solo una prima bozza che circola tra gli addetti ai lavori e, come sottolinea l'ex ministro, non è la posizione ufficiale dell’Unione. Perché nella fabbrica prodiana la discussione sul tema immigrazione è ancora aperta. Ma sono firmate da due persone che, nei due partiti maggiori del centrosinistra, hanno da tempo competenze e ruoli di primo piano in materia d’immigrazione: perciò, se non un programma, sono sicuramente una lista di priorità.
Quattro pagine che si aprono con una riflessione (“gli immigrati non sono più una società a parte, ma una parte della società”) per arrivare a una promessa: le questioni degli stranieri in Italia “devono costituire obiettivi imprescindibili del centrosinistra nei primi cento giorni di governo”.

Ai primi posti in agenda la riforma della legge sulla cittadinanza, il diritto di voto agli stranieri, la legge sulla libertà religiosa e quella sul diritto d’asilo che in Italia manca da anni. Ma arrivano subito dopo le questioni più calde che possono cambiare profondamente la vita quotidiana degli immigrati. Cominciando dall’abrogare buona parte della Bossi-Fini, tutte quelle norme che “accanendosi sul rapporto permesso di soggiorno/contratto di lavoro, hanno (…) precarizzato la presenza degli stranieri in Italia”. Operando un rovesciamento di prospettiva: perché “la sfida della lotta all’immigrazione clandestina si vince innanzitutto rendendo efficace e conveniente l’ingresso regolare”.

Quindi porte aperte per chi arriva in Italia per lavoro. Non si parla di abolire le quote, ma il risultato è quasi lo stesso se al meccanismo dei flussi vengono sottratte le categorie di lavoratori più numerose: “colf, badanti, lavoratori occupati nella sanità e nei servizi sociali, stagionali”. Per gli altri, propongono Turco e Sinisi, basterebbe eliminare il tetto annuale, e consentire che le quote vengano fissate in base alle richieste delle categorie.
Chi arriva in Italia con un permesso breve (turismo, studio, visite ai familiari) e trova un lavoro potrebbe convertire facilmente il permesso, senza aspettare la lotteria delle quote. Ma andrebbe anche reintrodotto il permesso per ricerca di lavoro (presente in forma sperimentale nella Turco-Napolitano con la figura dello sponsor, che in futuro, secondo i due parlamentari, dovrà essere “molto potenziata”).

Poi un cambiamento banale, ma indispensabile: semplificare le procedure d’ingresso con lo sportello unico. E un altro potente strumento contro l’immigrazione clandestina: una “regolarizzazione permanente” per chi, arrivato in Italia con visto turistico, ottiene un contratto a tempo indeterminato e ha avuto una buona condotta morale. Infine la vera garanzia dei diritti e delle prestazioni sociali (assegni di maternità, invalidità, pensioni), legati alla carta di soggiorno: che dovrebbe essere concessa dal sindaco durante una cerimonia ufficiale a chi ha cinque anni di soggiorno, assenza di condanne, un lavoro.

Il documento tocca poi temi come la sicurezza e il controllo delle frontiere per ribadire, dati alla mano, che l’“emergenza sbarchi” è un falso problema. Perché il 70 per cento dei “clandestini” sono persone entrate regolarmente in Italia, ma rimaste dopo la scadenza del loro titolo di soggiorno. Un altro 20 per cento è arrivato “in autobus o in treno”, e meno di uno straniero su 10 è arrivato sui barconi.

Turco e Sinisi non arrivano a cancellare i centri di permanenza temporanea: “non possiamo immaginare di tornare alla legge Martelli e alla inefficace e puramente simbolica intimazione a lasciare il territorio dello Stato”, si legge nel documento. Ma “non possiamo neppure consentire che i diritti delle persone trattenute nei Cpt siano affidati a regolamenti, circolari (…) invece che alla legge”.
I centri di permanenza temporanea dovrebbero diventare una soluzione residuale, riservata a immigrati ritenuti pericolosi in base a un provvedimento del prefetto. Per gli altri, ci sarebbe la possibilità di rimpatriare volontariamente, con la certezza di avere accesso nel proprio Paese a liste per l’ingresso regolare (anziché al divieto di reingresso in Italia che oggi segue l’espulsione). Oppure, avrebbero la possibilità di “eleggere domicilio” presso associazioni o singoli cittadini che si assumano il ruolo di garanti.

Infine il testo lancia altri spunti di riflessione: il dialogo con l’Islam, affinché “diventi protagonista della vita politica del Paese e sia al fianco delle nostre istituzioni nella lotta al terrorismo”. E il sostegno a un progetto europeo per arrivare a politiche comuni di accoglienza, introducendo nella Costituzione dell’Unione il principio della cittadinanza di residenza.
Solo riflessioni, appunti suscettibili di modifiche, ma sicuramente un inizio.

 
(09 settembre 2005 - ore 11.00)
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