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20-06-2006
L'onda lunga degli immigrati
Pietro Garibaldi

Cifre da campagna elettorale. L’occupazione totale in Italia nel primo trimestre del 2006 è cresciuta, rispetto ai dodici mesi precedenti, dell’1,7 per cento, con un incremento assoluto pari a 374mila unità in un anno. L’incremento osservato riguarda le donne, i giovani, e pure i lavoratori ultra cinquantenni. E riguarda tutte le parti d’Italia, Mezzogiorno compreso. Ma quando le cifre sparate sono troppo grosse, come spesso avviene in campagna elettorale, è bene prenderle con le molle.
È infatti evidente che non solo il mercato del lavoro italiano, ma soprattutto le sue statistiche, sono in piena transizione.

Un fenomeno statistico

Negli ultimi comunicati trimestrali sulle forze lavoro, l’Istat ha ammesso che parte del continuo incremento occupazionale osservato negli ultimi anni è in realtà un fatto statistico-contabile, legato al lento inserimento di lavoratori immigrati nella popolazione residente. Sembrava però che il fenomeno fosse in via d’estinzione.
Tutt’altro. Il comunicato pubblicato il 20 giugno sostiene infatti che più del 60 per cento dei nuovi lavori sono dovuti alla componente straniera. In altre parole, si tratta di individui a tutti gli effetti già occupati nel mercato del lavoro, ma lentamente evidenziati dalle statistiche nazionali. L’esplosione dell’agricoltura (con un incremento del 4,5 per cento) e il buon andamento delle costruzioni all’interno di un’occupazione industriale stabile, vanno esattamente nella direzione del lavoro immigrato.

Qualche buona notizia

Nonostante l’effetto immigrati, quantificato dall’Istat in 225mila unità, l’occupazione nel mercato del lavoro è comunque cresciuta in modo sensibile: 150mila nuovi posti di lavoro (in aggiunta a quelli dovuti all’effetto immigrazione) riflettono infatti un mercato in salute e in continua crescita. Il tasso di occupazione (ossi il rapporto tra occupati tra 16 e 64 e il totale della popolazione) ha raggiunto il 57,9 per cento. Siamo ancora lontani dall’obiettivo europeo del 70 per cento, ma ci avviciniamo al 60 per cento. Alla fine degli anni Novanta eravamo appena sopra il 50 per cento.
Parte dell’aumento occupazione "depurato dall’effetto immigrato" è probabilmente legato alla ripresa economica in atto, oltre che al continuo contributo derivante dal processo di riforma e flessibilizzazione del mercato, un processo che, abbiamo più volte ricordato, è iniziato quasi dieci anni fa. I dipendenti a termine sono ancora in crescita, e hanno raggiunto il 9,3 per cento dell’occupazione totale e il 12,7 per cento dell’occupazione dipendente, con una variazione assoluta pari a 200mila unità. Tra i giovani lavoratori dipendenti di età inferiore ai 34 anni, l’incidenza dell’occupazione a termine raggiunge il 21 per cento: un giovane su cinque in azienda è assunto con contratto temporaneo. E a questo si devono aggiungere tutti i co.co.pro formalmente inseriti nell’occupazione indipendente. È evidente che il problema di inserimento di lungo periodo di questi giovani dovrà essere affrontato, magari sfruttando alcuni dei suggerimenti ampiamente discussi su questo sito. Oltre all’occupazione temporanea, anche quella a tempo parziale appare in crescita, raggiungendo il 13,5 per cento del totale.
Il tasso di disoccupazione è sceso al 7,4 percento, ben al di sotto di quello francese e tedesco, e inferiore alla media europea. Si tratta di una delle poche statistiche in cui il nostro paese migliora la performance europea. È bene prenderne atto e farne tesoro. La nota dolente rimane quella legata al tasso di inattività nel Mezzogiorno, dove si conferma una crescita in frenata dal 2004. Nelle Regioni dove l’occupazione è più bassa (quelle meridionali appunto) aumenta il numero di persone fuori dalla forza lavoro, presumibilmente per un fenomeno assimilabile a quello dei lavoratori scoraggiati.



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