Magistratura Associazione per gli studi
democratica giuridici sullimmigrazione
Una svolta possibile e necessaria
Dieci punti per una nuova politica del
diritto sullimmigrazione
La realt dellimmigrazione in Italia ha due volti.
Il primo rappresentato da poco meno di tre milioni di stranieri regolarmente soggiornanti, corrispondenti a quasi il 5% della popolazione, ossia ad una regione italiana media: il volto dell'immigrazione nelle nostre scuole e nel mondo del lavoro, dove la societ multiculturale non una prospettiva, ma una realt quotidiana ormai consolidata. Il secondo il volto del centro di Lampedusa e dei respingimenti verso la Libia, il volto delle gravi violazioni dei diritti fondamentali della persona denunciate dai rapporti di autorevoli organizzazioni umanitarie e da incisive inchieste giornalistiche; ma anche il volto delle aule dei tribunali dove arresti e direttissime per i reati artificiali collegati all'espulsione assorbono in modo abnorme le risorse degli apparati giudiziari e di polizia.
Non sono due universi separati: una parte rilevante degli stranieri regolarmente soggiornanti ha acquisito questa condizione di legalit partendo da iniziali situazioni di irregolarit o di clandestinit; molti degli stranieri irregolari presenti in Italia (pi dei due terzi) sono entrati regolarmente nel nostro Paese e solo successivamente il loro soggiorno divenuto illegale.
Esiste uno scarto, una divaricazione tra la realt dell'immigrazione nel nostro Paese e l'immagine di essa riflessa dalla normativa vigente. La disciplina di ingresso e soggiorno costruita in modo da produrre irregolarit, mentre la disciplina sull'allontanamento rappresenta il vero baricentro della legislazione sull'immigrazione e dell'azione dei pubblici poteri. Cos mentre i maggiori quotidiani nazionali dedicano sempre maggiori spazi al lettore e al consumatore - immigrato (attraverso pagine fisse o inseriti periodici), mentre sul mercato immobiliare cresce il numero degli stranieri che acquistano case, l'immagine dell'immigrazione che sta alla base della nostra normativa resta sempre la stessa: il migrante come ospite in prova perpetua, per il quale ogni seria prospettiva di stabilizzazione deve fare i conti con una condizione giuridica allinsegna della precarizzazione; il migrante come soggetto in s pericoloso per lordine pubblico, da assoggettare ad una fitta rete di controlli di polizia e a misure finalizzate allespulsione destinate ad incidere pesantemente sulla libert personale.
Per ridurre questo scarto tra realt e immagine legislativa dell'immigrazione necessario lasciarsi alle spalle la lunga stagione del diritto speciale dei migranti e avviare una politica del diritto della convivenza: in questa prospettiva si collocano le indicazioni che seguono sui dieci punti per una nuova politica dell'immigrazione, indicazioni che nascono dalle analisi e dalle proposte elaborate dall'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione e da Magistratura democratica nella riflessione comune avviata pi di dieci anni fa.
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Forse nessun settore dell'ordinamento giuridico ha conosciuto l'instabilit della normativa sull'immigrazione e sulla condizione giuridica dello straniero: si pensi, per citare solo gli intereventi pi significativi, alla legge Martelli, ai decreti Conso, ai vari decreti Dini, al testo unico del 1998, alla legge Bossi Fini, fino alla legge n. 271/2004. Gli interventi normativi ricordati hanno avuto ispirazioni e contenuti diversi tra loro, ora orientati alla ricerca di un equilibrio tra esigenze di controllo dei flussi migratori e prospettiva dell'accoglienza, ora univocamente proiettati verso logiche repressive. Tuttavia, a uno sguardo d'insieme, l'instabilit della normativa ha una radice ben chiara: la ricerca dell'impossibile effettivit dei provvedimenti di espulsione, una ricerca che si tradotta nella corsa al rialzo delle misure repressivo-segregazionistiche (nuove forme di espulsione, nuovi strumenti esecutivi degli allontanamenti, nuove fattispecie di reato, nuove circostanze aggravanti, nuove ipotesi di arresto, etc.), in un crescendo che ha generato il diritto speciale dei migranti.
1. Costruire canali di ingresso legali per limmigrazione
Le politiche di sostanziale chiusura non
hanno limitato gli ingressi, ma hanno semplicemente prodotto clandestinit; in particolare, la
regola-cardine del sistema, che subordina l'ingresso regolare dei migranti
all'incontro a distanza
tra domanda ed offerta di lavoro, fondata su una rappresentazione
dell'immigrazione del tutto irrealistica ed infatti largamente disattesa.
, dunque, imprescindibile cambiare
politica e introdurre meccanismi di ingresso che consentano l'incontro nel
nostro Paese tra domanda e offerta di lavoro: in questa prospettiva,
necessaria l'introduzione di un titolo di ingresso per la ricerca di
lavoro e di
forme di conversione dei permessi per soggiorni brevi in permessi per soggiorni lunghi; solo superando la regola
cardine dell'incontro a livello planetario, tra domanda ed offerta di lavoro
sar possibile assicurare canali di ingresso legali effettivamente praticabili.
Ed necessario, parallelamente, valorizzare quegli istituti quali lo sponsor e il ricongiungimento familiare
che, facendo leva sulla catena migratoria e sul legame familiare, assicurano la
necessaria elasticit alla disciplina degli ingressi.
2. La disciplina del soggiorno: il primo tassello di uno statuto
della convivenza
Lo stretto legame tra il soggiorno dello
straniero e il mantenimento del posto di lavoro, un legame esasperato dalla
legge Bossi Fini, rappresenta il fulcro della precarizzazione della condizione giuridica e
socio-economica dello straniero. Nell'attuale sistema, mentre la strada che
porta il migrante dalla condizione di regolare a quella di irregolare facilmente
percorribile (agevolata appunto dalla precariet del soggiorno e dalla estrema
farraginosit delle procedure di rinnovo dei titoli abilitativi), il passaggio
dalla condizione di irregolare a quella di regolare assolutamente precluso:
anche da questo punto di vista, dunque, la normativa vigente produce irregolarit.
necessario allora introdurre meccanismi
permanenti di regolarizzazione individuale fondati sul decorso del tempo e su
indici di integrazione, quali, ad esempio, la mancata commissione di reati. Il
valore di un'innovazione del genere si coglie su un duplice piano: per un
verso, la possibilit di sanatoria in itinere incoraggerebbe l'assunzione da parte dei
migranti irregolari di comportamenti virtuosi; per altro verso, l'ordinamento acquisirebbe
la possibilit di riassorbire quote di irregolarit, cos contribuendo a
razionalizzare la questione dell'effettivit dei provvedimenti di espulsione.
La normativa dei titoli di soggiorno deve
poi attribuire al migrante una ragionevole prospettiva di stabilizzazione, il che comporta la
ridefinizione complessiva dei requisiti e delle procedure di rinnovo dei vari
permessi di soggiorno e il superamento di quella sorta di divieto di
disoccupazione
in vigore solo per gli stranieri.
3. Una gestione razionale dell'irregolarit per abolire
il diritto speciale
dei migranti
Una diversa disciplina degli ingressi in grado di superare l'approccio proibizionistico che caratterizza la legislazione vigente e una disciplina del soggiorno che non spinga gli stranieri regolari verso una condizione di irregolarit e che consenta il riassorbimento di quote di immigrazione irregolare consentirebbero di affrontare la questione delle espulsioni su un terreno non pi emergenziale. L'immigrazione non si pu governare con le espulsioni: come insegna l'esperienza di questi anni, prevedere l'espulsione come sanzione per qualsiasi forma di irregolarit significa condannare il sistema nel suo complesso alla ineffettivit, allargare il divario tra allontanamenti decretati ed allontanamenti eseguiti, attribuire uno spazio abnorme alla discrezionalit dell'autorit di polizia, alimentare quella corsa al rialzo delle misure esecutive che, come si detto, la causa principale delle profonde torsioni sul piano delle garanzie costituzionali dei migranti che oggi condizionano pesantemente il sistema.
La gamma delle risposte alle possibili
situazioni di irregolarit deve essere calibrata sulla base del diverso grado
di inserimento nella realt socio-economica e la misura dell'espulsione va, quindi, riservata alle
ipotesi di irregolarit pi gravi: ridotta l'area dell'irregolarit e
assegnato all'espulsione un ruolo di extrema ratio nella sua gestione, diventa possibile,
oltre che necessario, chiudere la stagione del diritto speciale dei migranti:
a) l'aspetto della normativa sullo straniero
che meglio esprime la logica emergenziale che sta alla base di questo diritto
speciale la detenzione
amministrativa:
il trattenimento nei centri di permanenza temporanea rappresenta una
manifestazione di coercizione della libert personale largamente discrezionale
nei suoi presupposti applicativi, sottratta ad un effettivo controllo giurisdizionale
(oggi per di pi affidato non al giudice togato, ma al giudice di pace),
sproporzionata rispetto al provvedimento di espulsione alla cui esecuzione
finalizzata e sostanzialmente inutile anche al fine dichiarato. Ci risulta da una pluralit di
circostanze (pur nella carenza dei dati ufficiali ai quali fare riferimento):
il numero ridotto degli allontanamenti eseguiti direttamente dai centri, la
sostanziale stabilit degli allontanamenti eseguiti nel variare della quantit
di ingressi nei centri di permanenza, l'inesistenza di accertamenti effettuabili in detenzione
amministrativa e non anche nella condizione detentiva tout court (per coloro che sono stati in
precedenza in carcere) ovvero in libert (per chi stato sottoposto a rilievi
fotodattiloscopici);
b) con la legge Bossi-Fini e con la
successiva legge n. 271 del 2004 (approvata dopo che la Corte costituzionale
con la sentenza n. 223/2004 aveva significativamente definito impropria la finalizzazione
dellarresto dello straniero alla sua espulsione) stato, poi, introdotto un meccanismo
arresto/giudizio direttissimo/espulsione incentrato sui reati collegati
all'espulsione che vengono oggi puniti con pene severissime: il risultato , da
un lato, che la limitazione della libert personale del migrante (disposta in
prima battuta dall'autorit di polizia) la regola e non l'eccezione e, dall'altro, che ci dilata il carcere senza
favorire l'effettiva esecuzione dei (limitati) allontanamenti necessari;
c) la corsa al rialzo delle misure
repressive dell'immigrazione irregolare ha ormai varcato i confine nazionali,
alimentando la gravissima tendenza non solo italiana - alla esternalizzazione dei centri di detenzione: espressione di questa tendenza
la norma, introdotta nel 2004, che attribuisce al Ministro dell'interno la
possibilit di finanziare la realizzazione di strutture utili ai fini del contrasto
di flussi irregolari di migranti in modo del tutto svincolato da qualsiasi
presupposto orientato alla tutela dei migranti.
Abolire il diritto speciale dei migranti (traduzione normativa della visione dell'immigrazione come problema di ordine pubblico) un presupposto necessario per costruire una legislazione sull'immigrazione che sia insieme giusta ed efficace: senza dimenticare che come ha scritto di recente Rodot - le perversioni degli ordinamenti giuridici possono nascere in un loro riposto angolo, ma poi irresistibilmente si diffondono e contagiano lintero sistema.
4. Il giusto processo e le procedure relative alla
condizione giuridica del migrante
Il quadro generale della tutela
giurisdizionale apprestata dall'ordinamento allo straniero destinatario di
provvedimenti negativi concernenti lo status dello straniero assolutamente
inappagante sul piano delle garanzie del giusto processo. Due, in
particolare, i profili critici: la pluralit delle giurisdizioni chiamate a sindacare la
legittimit di provvedimenti amministrativi in rapporto di stretta
interdipendenza e destinati ad incidere su diritti soggettivi del migrante (ad
esempio, la revoca del permesso di soggiorno e il successivo allontanamento,
rientranti rispettivamente nella competenza del giudice amministrativo e del
giudice di pace); il vuoto delle procedure, che caratterizza la tutela
giurisdizionale in materie particolarmente delicate in quanto afferenti a
diritti fondamentali della persona, quali il ricorso avverso il provvedimento
di espulsione.
Occorre, dunque, innovare profondamente
la disciplina:
a) attribuendo al giudice ordinario anche le
competenze attualmente assegnate al giudice amministrativo sui provvedimenti
relativi alla condizione giuridica dello straniero;
b) restituendo al giudice togato la
titolarit della giurisdizione sui ricorsi contro i provvedimenti di espulsione
attribuiti dalla legge n. 271/2004 al giudice di pace;
c) disciplinando le procedure relative allo
status dello
straniero in modo da garantire la piena salvaguardia del diritto di difesa e
del principio del giusto processo;
d) escludendo, nella definizione dei
presupposti dei provvedimenti negativi, il ricorso ad irragionevoli automatismi.
5. Una disciplina su richiedenti asilo e rifugiati in
linea con la Costituzione e con la normativa internazionale
L'effettivo esercizio del diritto d'asilo nel nostro Paese stato profondamente minato dalla perdurante mancanza di una legge organica attuativa del dettato costituzionale. La vigente legislazione sullo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra (nozione che non coincide con quella di asilo ai sensi dell'art. 10 Cost.) frutto di un approccio univocamente orientato al contrasto delle cosiddette domande strumentali e al perseguimento di tale obiettivo sono state gravemente sacrificate le garanzie minime in materia di accesso alla procedura di riconoscimento e di esame equo delle domande.
Una disciplina su richiedenti asilo e rifugiati in linea con la Costituzione e con la normativa internazionale deve invece muoversi lungo le seguenti linee-guida (da tempo suggerite anche da organizzazioni umanitarie):
a) previsione di rigorose norme procedurali che permettano di dare concreta attuazione al principio, sancito dal diritto internazionale, del non refoulement (anche evitando accordi con paesi terzi per il contrasto allimmigrazione irregolare che compromettano, di fatto, l'esercizio del diritto di asilo);
b) previsione di una procedura di esame delle domande unica e garantista, attribuita alla competenza di una autorit amministrativa indipendente (cio non sottoposta a controllo o influenza dell'esecutivo), evitando l'utilizzo di procedure semplificate o accelerate inidonee a fornire adeguate garanzie di esame imparziale e rigoroso delle domande;
c) esclusione di limitazioni della libert di circolazione o della libert personale dei richiedenti asilo, in particolare mediante trattenimento in "centri di identificazione" (situazione che integra sostanzialmente una nuova forma di detenzione amministrativa);
d) riconoscimento del diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo contro la decisione amministrativa di rigetto della domanda di riconoscimento del diritto dasilo (comprensivo del divieto di allontanamento del ricorrente fino alla conclusione del giudizio);
e) definizione dello status giuridico, oggi assai incerto, del titolare di misure di protezione umanitaria con previsione di procedure chiare in ordine al rinnovo su base individuale e alle ipotesi di cessazione della protezione nonch alla possibilit di conversione in un titolo di soggiorno per lavoro o studio;
d) istituzione di un sistema pubblico di accoglienza e protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati, decentrandone la realizzazione agli enti locali.
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Di fronte ad una realt che testimonia
come quella italiana sia gi, in misura significativa, una societ multiculturale, la discussione pubblica e
l'elaborazione politica sui relativi temi sono a dir poco arretrate. Da questo
punto di vista, chiudere la stagione del diritto speciale dei migranti rappresenta anche il
presupposto per iniziare a mettere a fuoco le linee di una politica del
diritto della convivenza,
maturando finalmente la consapevolezza che questo terreno rappresenta uno dei
banchi di prova pi rilevanti per le prospettive e la qualit delle nostre democrazie.
6. La societ multiculturale e le misure di integrazione
sociale degli immigrati
Il riferimento al carattere culturale dei problemi che nascono nelle societ
occidentali dalla presenza di immigrati (reale, pur se talora funzionale a
ribadire una pretesa impossibilit della loro parificazione economica e sociale
con gli autoctoni) non deve svilire la centralit, in una politica della
convivenza, delle cosiddette misure di integrazione sociale. Il titolo quinto
del testo unico del 1998 offre un catalogo molto significativo al riguardo (dalle
disposizioni in materia sanitaria a quelle in tema di istruzione, fino alle
norme in materia di alloggio e di assistenza sociale), ma largamente
condivisa la valutazione della sua inadeguata attuazione, gi con i governi di
centro-sinistra.
La previsione di pi adeguate misure di
integrazione sociale compito della politica ma anche giudici e avvocati
sono chiamati in causa: la collocazione istituzionale della giurisdizione in un
sistema pluralistico fa s che essa sia fisiologicamente uno dei primi luoghi di
emersione di interessi nuovi. In questa prospettiva, il riconoscimento dei diritti
sociali dei migranti potr trovare uno strumento di grande rilievo nella normativa
antidiscriminatoria
introdotta prima attraverso l'azione ad hoc prevista dallart. 44 del testo unico
del 1998, poi attraverso il recepimento delle direttive comunitarie in materia.
Il grado di effettivit di questa normativa ancora del tutto insoddisfacente:
essa tuttavia offre una prospettiva che deve essere valorizzata.
7. Il diritto alla diversit culturale, religiosa e
linguistica
Pur collocata nella sua giusta dimensione
e sottratta ad ogni enfasi, la questione dei conflitti culturali centrale e interpella in
profondit anche i giuristi.
Sul punto, utile il riferimento al diritto
alla diversit culturale, religiosa e linguistica sancito dallart. 22 della
Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Una politica del diritto della
convivenza deve saper cogliere la duplice dimensione del diritto alla diversit
culturale.
La prima dimensione quella di un diritto
di libert a contenuto negativo (il diritto individuale alla multiculturalit), rispetto al quale i pubblici
poteri sono tenuti ad un dovere d non interferenza. Da questo punto di vista, deve essere
registrata con preoccupazione l'aspirazione, emersa in occasione della
conversione del decreto-legge n. 144/2005 in tema di contrasto al terrorismo internazionale,
a punire, per di pi aggravando la pena del reato di cui all'art. 4 legge n.
152/1975, l'uso del velo o chador da parte delle donne di religione musulmana. Destituito di
qualsiasi fondamento giuridico, come subito emerso in sede di applicazione
della fattispecie, il tentativo rivela tuttavia i gravi rischi connessi a
politiche di criminalizzazione della differenza cultural-religiosa.
La seconda dimensione del diritto in
esame quella di un diritto sociale a contenuto positivo (o di prestazione), rispetto al
quale sono necessari interventi di tipo promozionale: la piena tutela delle
formazioni sociali impone che nella realizzazione di questi interventi i
pubblici poteri debbano attenersi ad una rigorosa osservanza dellobbligo di
equidistanza e di imparzialit rispetto alle diverse identit culturali.
La salvaguardia del carattere neutrale
dell'intervento pubblico e, pi in generale, della sfera pubblica rispetto alle
identit culturali deve essere assicurata con particolare rigore in relazione
alla libert religiosa: il principio di laicit dello Stato attribuisce
carattere assoluto al divieto di differenziazione sulla base di elementi di
tipo religioso ed induce a valutare con preoccupazione il revival del cd. criterio della
maggioranza che
caratterizza il discorso pubblico ed alcuni orientamenti giurisprudenziali;
rispetto a tale revival
deve essere ribadita l'irrilevanza del criterio numerico nelle valutazioni
costituzionali in nome dell'uguaglianza di religione, affermata con forza
dalla Corte costituzionale (sent. 440/1995).
8. Tutela dei diritti fondamentali e diritto penale
La salvaguardia del diritto alla
diversit culturale, religiosa e linguistica non pu essere disgiunta dalla tutela
dei diritti fondamentali della persona che, in quanto legge del pi debole, secondo la definizione di
Ferrajoli, devono essere difesi anche nei confronti di una determinata identit
culturale e dei
gruppi sociali (famiglia, comunit, formazioni religiose) che la esprimono.
Su questo terreno si delineano le aree di
intervento del diritto penale, che sono soprattutto rappresentate dalla
famiglia e dalla condizione della donna e dei minori.
La questione del ruolo del diritto penale
in una societ multiculturale ovviamente complessa, come testimonia l'esperienza
anglosassone in cui aperta la discussione sui reati culturalmente orientati
e sulle esimenti culturali. In linea di massima, preferibile accedere a un'impostazione
che (con i
circoscritti correttivi eventualmente suggeriti dalla prassi) escluda
normative penali speciali in quanto culturalmente orientate e ci indipendentemente dal segno di tali
normative, di favore o di maggior rigore. Il diritto penale comune, invero,
in grado di realizzare il miglior contemperamento tra due esigenze: quella di
assicurare la tutela penale della persona aggredita nei suoi diritti
fondamentali, proteggendo l'individuo anche contro il suo gruppo di appartenenza
culturale; e
quella di evitare che l'intervento penale si atteggi a espressione della
criminalizzazione dell'appartenenza a una determinata minoranza (nel caso di
norme penali pi rigoristiche) ovvero (nel caso di norme di favore) a forma di
delegittimazione dell'azione di contrasto del perpetuarsi di determinate
pratiche. Da questo punto di vista, deve essere valutato in termini critici
limpianto penalistico della recente legge sulle mutilazioni genitali
femminili,
ispirato ad un uso simbolico della pena decisamente allarmante sul terreno dei
conflitti tipici di una societ multiculturale.
9. Dall'autorit di polizia alle autorit civili: la
convivenza nella societ multiculturale e i pubblici poteri
La disciplina dei diversi momenti del
soggiorno dello straniero deve sapersi emancipare dal ruolo centrale ancora
attribuito all'autorit di polizia, un ruolo che rappresenta un retaggio dell'impostazione del
testo unico delle legge di polizia e che rinvia alla visione dell'immigrazione
come problema essenzialmente di ordine pubblico. L'esigenza di superare tale
visione e di collocare la normativa sul soggiorno nel quadro di uno statuto
della convivenza
impone una generale ridefinizione del ruolo dei pubblici poteri nella
prospettiva di assegnare alle autorit civili centrali e decentrate le principali attribuzioni concernenti
lo status
dello straniero.
10. Cittadinanza italiana, cittadinanza europea
Una politica del diritto delle convivenza
richiede, infine, la realizzazione di un percorso verso la cittadinanza, al quale possano guardare i
migranti che, sulla base del proprio progetto migratorio, aspirano a stabilirsi
nel nostro Paese.
Il riconoscimento dei diritti politici
a favore degli
stranieri residenti da un significativo periodo di tempo non rappresenta solo
un'espressione irrinunciabile della dignit dell'uomo, ma, in un contesto in
cui la popolazione degli immigrati regolarmente soggiornanti ha raggiunto i
livelli sopra ricordati, investe oggi la qualit della nostra democrazia e deve essere
perseguito nella prospettiva della costruzione di un nuovo suffragio universale.
necessario, inoltre, un ripensamento
complessivo della legge sulla cittadinanza, oggi caratterizzata soprattutto dalla
prevalenza dello ius sanguinis, dalla previsione del cd beneficio di legge e dalla
concezione concessoria della naturalizzazione: senza accedere ad impostazioni
imperniate su automatismi funzionali a politiche assimilazionistiche,
necessario valorizzare lo ius soli e rendere meno impervia l'acquisizione della cittadinanza
per naturalizzazione.
Infine, ormai largamente maturata la
consapevolezza della centralit che la dimensione europea assume nella
definizione delle politiche migratorie. In questo quadro, un tassello
essenziale per porre le basi del necessario superamento dell'idea della fortezza
Europa
rappresentato dalla prospettiva della cittadinanza europea di residenza, una prospettiva - oggi frenata
dai pi recenti e deludenti orientamenti del Parlamento europeo che
rappresenta un banco di prova decisivo per la costruzione di un'Europa
dell'accoglienza e della convivenza.
giugno 2006
Associazione per gli studi giuridici sullimmigrazione
Magistratura democratica