SENTENZA N. 0 DEL 27/04/2006
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(C-441/02) LIBERA CIRCOLAZIONE DELLE PERSONE – NORMATIVA TEDESCA IN MATERIA DI ESPULSIONE
La Corte di giustizia ha stabilito che la normativa tedesca sull’ingresso e sul soggiorno di cittadini degli Stati membri della Comunità economica europea non è sufficientemente chiara per quanto riguarda i casi in cui è possibile rifiutare il soggiorno di uno straniero che beneficia della libera circolazione. La Corte di giustizia ha ricordato che, secondo una giurisprudenza costante, le disposizioni di una direttiva devono essere attuate con un’efficacia cogente incontestabile, con la specificità, la precisione e la chiarezza necessarie per garantire pienamente la certezza del diritto. Invero, mentre da un lato la normativa tedesca stabilisce che si può opporre un rifiuto «per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica» al soggiorno di uno straniero che beneficia della libera circolazione, la stessa disposizione normativa prevede, riferendosi esclusivamente agli stranieri che detengono una «carta di soggiorno CE a tempo indeterminato», che questi non possano essere espulsi se non per «gravi» motivi di pubblica sicurezza o di ordine pubblico. La formulazione della disposizione sarebbe ingannevole in quanto potrebbe essere intesa, nel senso che siano sufficienti semplici motivi di pubblica sicurezza e di ordine pubblico per espellere i beneficiari del diritto alla libera circolazione che non dispongano di una «carta di soggiorno CE a tempo indeterminato» e che l’esistenza di gravi motivi sia necessaria solo per l’espulsione degli stranieri che dispongono di tale titolo di soggiorno. Pertanto, la legislazione in esame non recepirebbe con chiarezza sufficiente, riguardo ai cittadini degli Stati membri che hanno una carta di soggiorno a tempo determinato, che un provvedimento di espulsione può essere giustificato solo in caso di minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività.
 
Testo Completo: Sentenza  della Corte di giustizia delle Comunità europee del 27 aprile 2006

Nel procedimento C-441/02,

avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 5 dicembre 2002,

Commissione delle Comunità europee, rappresentata dalla sig.ra C. O’Reilly e dal sig. W. Bogensberger, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,

ricorrente,

sostenuta da:

Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato,

interveniente,

contro

Repubblica federale di Germania, rappresentata inizialmente dal sig. W.-D. Plessing, successivamente dalla sig.ra A. Tiemann, in qualità di agenti,

convenuta,

LA CORTE (Prima Sezione),

composta dal sig. P. Jann, presidente di sezione, dai sigg. K. Schiemann, J.N. Cunha Rodrigues (relatore), K. Lenaerts e E. Juhász, giudici,

avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl,

cancelliere: sig. R. Grass

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 2 giugno 2005,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1 Con il ricorso in esame la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che:

– non avendo reso sufficientemente chiaro nella propria legislazione che provvedimenti di espulsione nei confronti di cittadini dell’Unione non possono essere adottati sulla base di norme che impongano o prevedano di regola l’espulsione in presenza di una condanna penale passata in giudicato, ovvero avendo adottato provvedimenti di espulsione nei confronti di cittadini dell’Unione sulla base di un siffatto fondamento normativo poco chiaro;

– non avendo recepito, con sufficiente chiarezza, nel § 12, n. 1, della legge sull’ingresso e sul soggiorno di cittadini degli Stati membri della Comunità economica europea (Gesetz über Einreise und Aufenthalt von Staatsangehörigen der Mitgliedstaaten der Europäischen Wirtschaftsgemeinschaft, BGBl. 1980 I, pag. 116) del 21 gennaio 1980 (in prosieguo: «Aufenthaltsgesetz/EWG»), le condizioni previste dal diritto comunitario per la limitazione della libera circolazione, ovvero avendo adottato provvedimenti di espulsione nei confronti di cittadini dell’Unione sulla base di un siffatto fondamento normativo poco chiaro;

– non avendo reso sufficientemente chiaro nella propria legislazione che provvedimenti di espulsione nei confronti di cittadini dell’Unione non possono essere adottati sulla base di norme che perseguano finalità di prevenzione generale, ovvero avendo motivato provvedimenti di espulsione nei confronti di tali cittadini adducendo come giustificazione l’effetto dissuasivo nei confronti di altri stranieri;

– avendo adottato nei confronti di cittadini dell’Unione provvedimenti di espulsione che non assicurano un adeguato contemperamento del diritto fondamentale al rispetto della vita familiare, da un lato, con la salvaguardia dell’ordine pubblico, dall’altro lato;

– avendo ordinato l’immediata esecuzione di provvedimenti di espulsione nei confronti di cittadini dell’Unione, pur non trattandosi di casi di urgenza;

è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 18 CE e 39 CE, del diritto fondamentale al rispetto della vita familiare quale principio generale del diritto comunitario, nonché in forza degli artt. 3 e 9 della direttiva del Consiglio 25 febbraio 1964, 64/221/CEE, per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica (GU 1964, n. 56, pag. 850), dell’art. 1 del regolamento (CEE) del Consiglio, 15 ottobre 1968, n. 1612/68, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU L 257, pag. 2), degli artt. 1, 4, 5, 8 e 10 della direttiva del Consiglio 21 maggio 1973, 73/148/CEE relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi (GU L 172, pag. 14), e degli artt. 1 e 2 della direttiva del Consiglio 28 giugno 1990, 90/364/CEE relativa al diritto di soggiorno (GU L 180, pag. 26).

Contesto normativo

La normativa comunitaria

2 Ai sensi dell’articolo 3, nn. 1 e 2, della direttiva 64/221:

«1. I provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere adottati esclusivamente in relazione al comportamento personale dell’individuo nei riguardi del quale essi sono applicati.

2. La sola esistenza di condanne penali non può automaticamente giustificare l’adozione di tali provvedimenti.»

3 L’art. 9 della medesima direttiva prevede:

«1. Se non sono ammessi ricorsi giurisdizionali o se tali ricorsi sono intesi ad accertare soltanto la legittimità dei provvedimenti impugnati o se essi non hanno effetto sospensivo, il provvedimento di diniego del rinnovo del permesso di soggiorno o quello di allontanamento dal territorio del titolare del permesso di soggiorno è adottato dall’autorità amministrativa, tranne in casi di urgenza, solo dopo aver sentito il parere di una autorità competente del paese ospitante, dinanzi alla quale l’interessato deve poter far valere i propri mezzi di difesa e farsi assistere o rappresentare secondo la procedura prevista dalla legislazione di detto paese.

La suddetta autorità deve essere diversa da quella cui spetta l’adozione dei provvedimenti di diniego del rinnovo del permesso o di allontanamento dal territorio.

2. Il provvedimento di diniego del rilascio del primo permesso di soggiorno e quello di allontanamento dal territorio prima del rilascio di tale permesso, sono sottoposti, a richiesta dell’interessato, all’esame dell’autorità il cui parere preliminare è previsto al paragrafo 1. L’interessato è allora autorizzato a presentare di persona i propri mezzi di difesa a meno che non vi si oppongano motivi di sicurezza dello Stato.»

4 L’articolo 1 del Regolamento n. 1612/68 enuncia:

«1. Ogni cittadino di uno Stato membro, qualunque sia il suo luogo di residenza, ha il diritto di accedere ad un’attività subordinata e di esercitarla sul territorio di un altro Stato membro, conformemente alle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative che disciplinano l’occupazione dei lavoratori nazionali di detto Stato.

2. Egli gode in particolare, sul territorio di un altro Stato membro, della stessa precedenza riservata ai cittadini di detto Stato, per l’accesso agli impieghi disponibili.»

5 L’articolo 1 della direttiva 73/148 enuncia:

«1. Gli Stati membri sopprimono, alle condizioni previste dalla presente direttiva, le restrizioni al trasferimento e al soggiorno:

a) dei cittadini di uno Stato membro che si siano stabiliti o che desiderino stabilirsi in un altro Stato membro per esercitarvi un’attività indipendente, o che desiderino effettuarvi una prestazione di servizi;

b) dei cittadini degli Stati membri che desiderino recarsi in un altro Stato membro in qualità di destinatari di una prestazione di servizi;

c) del coniuge e dei figli d’età inferiore a 21 anni dei cittadini suddetti, qualunque sia la loro cittadinanza;

d) degli ascendenti e discendenti dei cittadini suddetti e del coniuge di tali cittadini che sono a loro carico, qualunque sia la loro cittadinanza.

2. Gli Stati membri favoriscono l’ammissione di qualsiasi altro membro della famiglia dei cittadini di cui al paragrafo 1, lettere a) e b) o del loro coniuge, che sia a loro carico o con loro convivente nel paese di provenienza.»

6 Ai sensi dell’art. 4 della medesima direttiva:

«1. Ogni Stato membro riconosce un diritto di soggiorno permanente ai cittadini degli Stati membri che si stabiliscono nel suo territorio per esercitarvi una attività indipendente, quando le restrizioni relative a tale attività siano state soppresse in virtù del trattato.

Il diritto di soggiorno è comprovato dal rilascio di un documento denominato “carta di soggiorno di cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee”. Tale documento ha una validità di almeno cinque anni a decorrere dalla data di rilascio; esso è automaticamente rinnovabile.

Le interruzioni del soggiorno che non superino sei mesi consecutivi e le assenze motivate dall’assolvimento di obblighi militari non infirmano la validità della carta di soggiorno.

La carta di soggiorno in corso di validità non può essere ritirata ai cittadini di cui all’articolo 1, paragrafo 1, lettera a) per il solo fatto che non esercitano più un’attività in seguito all’incapacità temporanea dovuta ad una malattia o ad un infortunio.

Ai cittadini di uno Stato membro non contemplati al primo comma, ma ammessi ad esercitare un’attività sul territorio di un altro Stato membro in virtù della legislazione di tale Stato, è rilasciato un permesso di soggiorno di durata almeno uguale a quella dell’autorizzazione concessa per l’esercizio dell’attività stessa.

Tuttavia i cittadini contemplati al primo comma ai quali, in seguito ad un cambiamento di attività, si applichino le disposizioni del comma precedente, conservano la carta di soggiorno fino alla scadenza della sua validità.

2. Per i prestatori e per i destinatari di servizi il diritto di soggiorno corrisponde alla durata della prestazione.

Se la prestazione ha durata superiore a tre mesi, lo Stato membro in cui tale prestazione è effettuata rilascia un permesso di soggiorno per comprovare tale diritto.

Se la prestazione ha durata inferiore o uguale a tre mesi, la carta d’identità o il passaporto in virtù del quale l’interessato è entrato nel territorio dello Stato membro equivale a un documento di soggiorno. Tuttavia lo Stato membro può imporre all’interessato di notificare la sua presenza nel territorio.

3. Ai membri della famiglia che non abbiano la cittadinanza di uno Stato membro è rilasciato un documento di soggiorno di validità uguale a quello rilasciato al cittadino dal quale dipendono.»

7 Ai sensi dell’art. 5 della direttiva 73/148:

«Il diritto di soggiorno si estende a tutto il territorio dello Stato membro.»

8 Ai sensi dell’art. 8 della medesima direttiva:

«Gli Stati membri non possono derogare alle disposizioni della presente direttiva se non per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.»

9 L’art. 10 della medesima direttiva dispone:

«1. La direttiva del Consiglio del 25 febbraio 1964 per la soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi resta in vigore fino all’attuazione della presente direttiva da parte degli Stati membri.

2. I documenti di soggiorno rilasciati in applicazione della direttiva menzionata al paragrafo 1 e non ancora scaduti al momento dell’attuazione della presente direttiva conservano la loro validità fino alla loro più vicina scadenza.»

10 L’art. 1 della direttiva 90/364 enuncia:

«1. Gli Stati membri accordano il diritto di soggiorno ai cittadini degli Stati membri che non beneficiano di questo diritto in virtù di altre disposizioni del diritto comunitario nonché ai loro familiari quali sono definiti nel paragrafo 2, a condizione che essi dispongano per sé e per i propri familiari di un’assicurazione malattia che copre tutti i rischi nello Stato membro ospitante e di risorse sufficienti per evitare che essi diventino durante il soggiorno un onere per l’assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

Le risorse di cui al primo comma sono sufficienti, quando sono superiori al livello di risorse al di sotto del quale un aiuto sociale può essere accordato dallo Stato membro ospitante ai propri cittadini, tenendo conto della situazione personale del richiedente ed eventualmente di quella delle persone ammesse in conformità del paragrafo 2.

Se il secondo comma non può essere applicato in uno Stato membro, le risorse del richiedente vengono considerate sufficienti, quando sono superiori al livello della pensione minima di sicurezza sociale versata dallo Stato membro ospitante.

2. Hanno il diritto di installarsi in un altro Stato membro con il titolare del diritto di soggiorno, qualunque sia la loro nazionalità:

a) il coniuge ed i loro discendenti a carico;

b) gli ascendenti del titolare del diritto di soggiorno e del coniuge che sono a carico».

11 Secondo l’art. 2 della direttiva 90/364:

«1. Il diritto di soggiorno è constatato mediante il rilascio di un documento denominato «carta di soggiorno di cittadino di uno Stato membro della CEE», la cui validità può essere limitata a cinque anni e che è rinnovabile. Tuttavia gli Stati membri, allorché lo ritengano necessario, possono esigere che la validità della carta sia riconfermata al termine dei primi due anni del soggiorno. Al familiare che non abbia la cittadinanza di uno Stato membro, viene rilasciato un documento di soggiorno avente la medesima validità di quello rilasciato al cittadino da cui dipende.

Per il rilascio della carta di soggiorno o del documento di soggiorno, lo Stato membro può soltanto esigere dal richiedente di presentare una carta di identità o un passaporto in corso di validità e di fornire la prova che egli soddisfa alle condizioni previste dall’articolo 1.

2. Gli articoli 2 e 3, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera a) e paragrafo 2 nonché l’articolo 9 della direttiva 68/360/CEE sono applicabili, per analogia, ai beneficiari della presente direttiva.

Il coniuge ed i figli a carico di un cittadino di uno Stato membro il quale beneficia del diritto di soggiorno nel territorio di un altro Stato membro hanno il diritto di accedere a qualsiasi attività salariata o non salariata nell’insieme del territorio di detto Stato membro, anche se non hanno la cittadinanza di uno Stato membro.

Gli Stati membri possono derogare alle disposizioni della presente direttiva solo per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica. In tal caso è applicabile la direttiva 64/221/CEE.

3. La presente direttiva lascia impregiudicato lo stato del diritto esistente relativo all’acquisto di residenze secondarie».

La normativa nazionale

12 Ai sensi del § 2, n. 2 della legge tedesca sugli stranieri (Ausländergesetz, BGBl. 1990 I, pag. 1354):

«La presente legge non si applica agli stranieri che beneficiano della libera circolazione ai sensi del diritto comunitario a meno che il diritto comunitario e l’Aufenthaltsgesetz/EWG non prevedano disposizioni derogatorie».

13 Ai sensi del § 45 della medesima legge:

«1. Uno straniero può essere espulso quando il suo soggiorno arreca pregiudizio alla pubblica sicurezza, all’ordine pubblico o ad altri interessi rilevanti della Repubblica federale di Germania.

2. Ai fini dell’adozione della decisione di espulsione occorre tener conto:

1. della durata del soggiorno regolare nonché dei legami, meritevoli di tutela, di natura personale, economica o di altro tipo, che lo straniero ha in territorio tedesco;

2. delle conseguenze dell’espulsione per i familiari conviventi con lo straniero che soggiornano regolarmente in territorio tedesco e (…)».

14 Il § 46 dell’Ausländergesetz enuncia:

«Ai sensi del § 45, n. 1, può essere espulso in particolare colui che:

(...)

2. ha commesso una violazione, non isolata o non lieve, di disposizioni di legge o di regolamento, o di decisioni o provvedimenti giurisdizionali o amministrativi, oppure ha commesso fuori dal territorio tedesco un reato considerato, all’interno del territorio tedesco, come reato doloso;

3. ha violato una disposizione di legge o di regolamento ovvero un provvedimento amministrativo in materia di esercizio della prostituzione;

4. fa uso di eroina, cocaina o di altra analoga sostanza stupefacente pericolosa e non è disposto a sottoporsi al necessario trattamento riabilitativo ovvero vi si sottrae (…)».

15 Il § 47 della medesima legge dispone:

«1) Uno straniero viene espulso:

1. se è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno o più reati dolosi ad una pena detentiva o ad una pena per minorenni di almeno tre anni, ovvero se, nell’arco di cinque anni, è stato condannato con sentenza passata in giudicato per reati dolosi a più pene detentive o a più pene per minorenni di durata complessiva di almeno tre anni, ovvero se, con l’ultima sentenza di condanna passata in giudicato, è stata disposta nei suoi confronti la custodia cautelare; ovvero

2. se è stato condannato, con sentenza passata in giudicato e senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, per un reato doloso previsto dalla legge sulle sostanze stupefacenti, per il reato di sommossa aggravato (§ 125 a, seconda frase, codice penale) ovvero per il reato di sommossa (§ 125 codice penale), commesso in occasione di una pubblica riunione o di un corteo vietati, ad una pena per minorenni di almeno due anni o ad una pena detentiva.

2) Uno straniero viene espulso, di norma:

1. se è stato condannato, con sentenza passata in giudicato e senza il beneficio della sospensione condizionale della pena, per uno o più reati dolosi ad una pena per minorenni di almeno due anni o ad una pena detentiva;

2. se, in violazione delle norme della legge sulle sostanze stupefacenti, senza autorizzazione coltiva, produce, importa, trasporta o esporta, mette in vendita, cede ad altri o in altro modo distribuisce o commercia sostanze stupefacenti, ovvero agevola tali condotte o istiga altri a commetterle;

3. se, in occasione di una pubblica riunione o di un corteo, vietati o disciolti, quale autore o partecipe concorre in atti di violenza contro persone o cose, commessi da più soggetti che uniscono le loro forze in maniera idonea a mettere in pericolo la pubblica sicurezza;

(…)

3) Lo straniero che gode di una tutela speciale contro l’espulsione ai sensi del successivo § 48, n. 1, nei casi di cui al n. 1 viene di norma espulso; nei casi di cui al n. 2 la sua espulsione è decisa discrezionalmente. L’espulsione di uno straniero adolescente, cresciuto nel territorio federale e titolare di un permesso di soggiorno o di un titolo di soggiorno a tempo indeterminato, nei casi di cui ai nn. 1 e 2 è deciso discrezionalmente. Il n. 1 e il n. 2, punto 1, non si applicano agli stranieri minorenni».

16 Conformemente al § 48 dell’Ausländergesetz:

«1) Lo straniero:

1. in possesso di un titolo di soggiorno;

2. titolare di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, nato nel territorio federale o ivi trasferitosi prima del compimento della maggiore età;

3. titolare di un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, che convive, come coniuge o come convivente more uxorio, con uno straniero in possesso dei requisiti di cui ai precedenti punti 1 e 2;

4. convivente con un familiare tedesco;

5. al quale è stato riconosciuto diritto d’asilo, o che gode dello status di rifugiato straniero nel territorio tedesco, o che è in possesso di un documento di viaggio rilasciato da un’autorità della Repubblica federale di Germania in base alla Convenzione 28 luglio 1951, relativa allo status dei rifugiati (BGBI. 1953, II, pag. 559);

6. titolare di un’autorizzazione di soggiorno rilasciata ai sensi del § 32 a;

può essere espulso solo per gravi motivi di pubblica sicurezza o di ordine pubblico. Gravi motivi di pubblica sicurezza o di ordine pubblico sussistono, di regola, nei casi di cui al § 47, n. 1.

2) Lo straniero minorenne, i cui genitori o il cui genitore, unico titolare della potestà parentale, soggiornano legittimamente nel territorio tedesco, non può essere espulso, a meno che non sia stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per la commissione reiterata di reati dolosi non lievi, ovvero per la commissione di gravi reati o di un reato particolarmente grave. Un adolescente, cresciuto nel territorio tedesco e che convive con i suoi genitori, può essere espulso solo ai sensi del § 47, nn. 1, 2, punto 1, e 3 (…).»

17 Il § 12 dell’Aufenthaltsgesetz/EWG dispone:

«1. Nella misura in cui la presente legge concede la libera circolazione e salvo misure restrittive già previste nelle disposizioni precedenti, il diniego del permesso di ingresso, della carta di soggiorno CE o del suo rinnovo, le misure restrittive di cui ai §§ 3, n. 5, 12, n. 1, seconda frase, e 14 AuslG, nonché l’espulsione o l’allontanamento possono essere adottati nei confronti delle persone di cui al § 1 solo per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica (artt. 48, n. 3, e 56, n. 1, del Trattato che istituisce la Comunità economica europea). Gli stranieri in possesso di una carta di soggiorno CE a tempo indeterminato possono essere espulsi dal territorio solo per gravi motivi di pubblica sicurezza o di ordine pubblico.

(…)

3. Le decisioni o i provvedimenti di cui al n. 1 possono essere adottati solo se vi dia adito il comportamento individuale di uno straniero, ad eccezione delle decisioni e dei provvedimenti adottati per motivi di tutela della sanità pubblica.

4. L’esistenza di una condanna penale non costituisce, di per sé sola, motivo sufficiente per l’adozione delle decisioni o dei provvedimenti di cui al n. 1.

(…)

7. In caso di diniego del rilascio o del rinnovo della carta di soggiorno CE, o nel caso in cui sia disposta l’espulsione o minacciato l’allontanamento, deve essere indicato il termine entro il quale lo straniero deve lasciare il territorio cui si applica la presente legge. Fuori dei casi d’urgenza, tale termine non può essere inferiore a quindici giorni se non era ancora stata rilasciata una carta di soggiorno CE, e non inferiore ad un mese se era già stata rilasciata una carta di soggiorno CE.

(…)».

18 Ai sensi del § 4, n. 2 del regolamento generale sulla libera circolazione dei cittadini degli Stati membri (Freizügigkeitsverordnung/EG), il § 12, nn. Da 2 à 9, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG si applica per analogia ai cittadini degli Stati membri che non esercitano attività professionale.

19 Il § 80, nn. 2 e 3, del codice di procedura amministrativa (Verwaltungsgerichtsordnung, in prosieguo: «VwGO») è formulato come segue:

«2) L’effetto sospensivo viene meno soltanto:

(...)

4. nei casi in cui l’immediata esecuzione sia stata specificamente ordinata, nell’interesse pubblico o nell’interesse prevalente di uno dei soggetti coinvolti, dall’autorità che ha adottato il provvedimento ovvero dall’autorità competente a decidere sul ricorso in opposizione.

I singoli Land possono anche stabilire che i ricorsi giuridici non abbiano effetto sospensivo qualora siano rivolti contro provvedimenti di esecuzione amministrativa adottati dai Land in base al diritto federale.

3) Nei casi di cui al precedente n. 2, punto 4, l’esistenza di un particolare interesse all’immediata esecuzione dell’atto amministrativo deve essere motivata per iscritto. Non occorre una specifica motivazione quando l’autorità, in presenza di un pericolo imminente, in particolare in caso di rischio incombente per la vita, la salute o la proprietà, in via precauzionale adotta nel pubblico interesse un provvedimento d’emergenza, designato come tale (...)».

La fase precontenziosa

20 A seguito dell’esame di diverse decine di petizioni e denunce inoltrate al Parlamento europeo e alla Commissione da parte di cittadini italiani residenti nel Land del Baden-Wurtemberg riguardo a provvedimenti adottati nei loro confronti dalle autorità tedesche per motivi di ordine pubblico e aventi effetto sul loro diritto di soggiorno in Germania, la Commissione, per mezzo di una lettera di diffida dell’8 luglio 1998, ha richiamato l’attenzione della Repubblica federale di Germania sulla compatibilità di certe disposizioni legali e prassi amministrative con le disposizioni del diritto comunitario relativo al diritto di soggiorno negli Stati membri.

21 Poiché la risposta del governo tedesco del 25 marzo 1999 non aveva dissipato i dubbi della Commissione, questa ha inviato, in data 24 luglio 2000, un parere motivato alla Repubblica federale di Germania reiterando gli addebiti già segnalati nella lettera di diffida e ingiungendole di adottare i provvedimenti necessari per conformarsi a detto parere entro due mesi dalla sua notifica.

22 Nella sua risposta del 26 settembre 2000, il governo tedesco ha negato l’esistenza di una prassi amministrativa contraria al diritto comunitario dichiarandosi pronto a verificare l’eventuale necessità di apportare certe chiarificazioni in alcuni settori specifici della normativa nazionale.

23 La Commissione, non essendo stata informata che tali chiarificazioni fossero state apportate e ritenendo, altresì, che le verifiche annunciate per determinare la necessità di procedere a tali chiarificazioni non sarebbero sicuramente state sufficienti a porre rimedio agli addebiti da lei formulati, ha deciso di proporre il presente ricorso.

Sul ricorso

Sulla prima censura attinente all’insufficiente considerazione nella legislazione e nella prassi amministrativa tedesca del comportamento personale in caso di espulsione di cittadini di altri Stati membri per ragioni di ordine pubblico

Argomenti delle parti

24 La Commissione sostiene che dal momento che il § 47, n. 1 dell’Ausländergestz impone l’espulsione di uno straniero (in prosieguo: l’«espulsione obbligatoria») e il n. 2 del medesimo paragrafo, prevede di norma tale espulsione (in prosieguo: l’«espulsione prevista in linea di principio»), allorquando l’interessato è stato condannato per uno dei reati indicati in tali paragrafi, l’autorità competente è privata di qualunque margine di valutazione nel momento in cui adotta la decisione di espulsione.

25 La Commissione sottolinea che i nn. 1 e 2 del § 47, dell’Ausländergesetz si riferiscono in maniera generale agli «stranieri» e, quindi, concernono anche i cittadini degli Stati membri. Pertanto, posto che tali disposizioni si applicano anche ai cittadini comunitari, la Commissione, sostenuta dal governo italiano, ritiene che esse siano in stridente e insolubile contrasto con le prescrizioni di cui all’art. 3, nn. 1 e 2, della Direttiva 64/221. Infatti, secondo tale articolo, una decisione di espulsione deve essere fondata esclusivamente sul comportamento personale dell’interessato e la mera esistenza di condanne penali non può motivare automaticamente un tal tipo di decisione, laddove invece i nn. 1 e 2 del § 47, dell’Ausländergesetz priverebbero le autorità competenti del potere discrezionale di cui queste hanno bisogno per procedere ad un tal tipo di esame, da effettuarsi caso per caso, sostituendogli una valutazione di natura generale fornita dal legislatore e collegata esclusivamente alla condanna del cittadino interessato. La Commissione sostiene che il § 47, nn. 1 e 2, sia in contrasto anche con il § 12, nn. 3 e 4, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG mentre, secondo il governo tedesco, esso precisa dette disposizioni.

26 Una situazione giuridica contraddittoria di tal tipo provocherebbe manifestamente problemi nell’applicazione pratica della normativa nazionale e, pertanto, condurrebbe a decisioni contrarie al diritto comunitario. Una decisione d’espulsione fondata sul § 47 dell’Ausländergesetz sarebbe contraria al diritto comunitario, la cui violazione sarebbe particolarmente evidente nel caso in cui le autorità competenti indichino espressamente nella loro decisione che, tenuto conto dell’esistenza di una condanna penale, esse non dispongono di alcun potere discrezionale che permetta loro di evitare l’espulsione. La normativa tedesca dovrebbe quindi essere chiarita in modo da non lasciare alcun dubbio sul fatto che essa si attenga alle prescrizioni del diritto comunitario.

27 La Commissione precisa che il presente ricorso non ha per oggetto l’esame di casi individuali e che i casi di espulsione menzionati nel suo ricorso sono citati solo a titolo esemplificativo, per illustrare il carattere generalizzato di una prassi amministrativa contraria al diritto comunitario, in quanto fondata su una legislazione che ha recepito in maniera insufficientemente chiara le prescrizioni della normativa comunitaria. Secondo la Commissione, risulta incontestabilmente da detti esempi che le decisioni sbagliate non sono isolate, ma, al contrario, che esse sono intervenute a diverse riprese e presentano quindi carattere generale inducendo prassi incompatibili con il diritto comunitario, benché con sfumature diverse da una regione all’altra.

28 Il governo tedesco sostiene che l’espulsione dei cittadini degli Stati membri non è regolata esclusivamente dal § 47 dell’Ausländergesetz, ma anche dal § 12 dell’Aufenthaltsgesetz/EWG, quando si tratta di cittadini dell’Unione esercitanti un’attività professionale così come dal § 4 della Freizügigkeitsverordnung/EG, che estende l’applicazione del suddetto § 12 ai cittadini dell’Unione che non esercitano alcuna attività professionale.

29 Orbene, il § 12 indicherebbe chiaramente che l’esame deve effettuarsi caso per caso valutando il comportamento personale dell’interessato e che le condanne penali non sono sufficienti, di per sé stesse, a giustificare un’espulsione. Tale disposizione, che riprenderebbe quasi letteralmente il testo dell’art. 3, nn. 1 e 2, della direttiva 64/221, recepirebbe in maniera sufficientemente chiara e precisa queste ultime disposizioni nel diritto interno. Contrariamente alla tesi sostenuta dalla Commissione, il combinato disposto dei §§ 47 dell’Ausländergesetz e 12 dell’ Aufenthaltsgesetz/EWG non creerebbe, di per sé solo, una situazione giuridica indeterminata e contraddittoria. Infatti, il § 2, n. 2, dell’Ausländergesetz indicherebbe chiaramente che le disposizioni dell’Aufenthaltsgesetz/EWG prevalgono su quelle dell’Ausländergesetz cosicché la conseguenza giuridica consistente nell’espulsione obbligatoria (§ 47, n. 1 dell’Ausländergesetz) o nell’espulsione prevista in linea di principio (§ 47, n. 2 dell’Ausländergesetz) non si applicherebbe agli stranieri che beneficiano della libera circolazione in base al diritto comunitario a meno che le condizioni previste dal § 12 non siano soddisfatte. Pertanto, la censura concernente un recepimento non sufficientemente chiaro dell’art. 3 della direttiva 64/221 nell’ordinamento tedesco dovrebbe essere respinta.

30 Riguardo alla censura secondo la quale la Repubblica federale di Germania avrebbe basato decisioni di espulsione su «tale fondamento indeterminato», il governo tedesco risponde che non esiste alcuna prassi amministrativa contraria al diritto comunitario e che la Commissione non è in grado di provare l’esistenza di tale prassi come, invece, sarebbe tenuta a fare.

31 Non si potrebbe certamente escludere che, in qualche caso, le autorità amministrative competenti abbiano messo fine al soggiorno di cittadini di altri Stati membri attraverso decisioni prese in contrasto, non solamente con il diritto interno ma anche con il diritto comunitario che prevale su di esso. Tuttavia, i 51 casi citati dalla Commissione nel suo ricorso, oltre a non aver avuto tutti come conseguenza un provvedimento di espulsione o di allontanamento, si estenderebbe su un periodo temporale di 9 anni e non riguardano che 3 Länder su 16. I provvedimenti sotto accusa non presenterebbero pertanto il grado di costanza e generalità necessari per determinare l’esistenza di una prassi amministrativa. La censura della Commissione si fonderebbe, infatti, essenzialmente sulla supposizione che, in casi diversi da quelli citati nel ricorso, sarebbero state adottate altre decisioni in contrasto con la normativa comunitaria, cosa che peraltro non sarebbe stata dimostrata.

Giudizio della Corte

32 Come ricordato dalla Corte nella sua sentenza 31 gennaio 2006, causa C-503/03 Commissione/Spagna (non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 43), il diritto dei cittadini di uno Stato membro e dei loro coniugi di entrare e di soggiornare sul territorio di un altro Stato membro non è incondizionato. Tra le limitazioni previste o autorizzate dal diritto comunitario, l’art. 2 della direttiva 64/221 permette agli Stati membri di vietare a cittadini degli altri Stati membri l’ingresso sul loro territorio per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

33 Il legislatore comunitario ha tuttavia sottoposto a limiti rigorosi l’allegazione da parte di uno Stato membro di tali motivi. Ai sensi dell’art. 3, n. 1, della direttiva 64/221, i provvedimenti di ordine pubblico o di pubblica sicurezza devono essere fondati esclusivamente sul comportamento personale della persona interessata e ai sensi del n. 2 di tale articolo, la sola esistenza di condanne penali non può automaticamente motivare tali provvedimenti. L’esistenza di una condanna penale può così essere presa in considerazione solo in quanto le circostanze che hanno portato a tale condanna provino un comportamento personale costituente una minaccia attuale per l’ordine pubblico (sentenze 27 ottobre 1977, causa 30/77, Bouchereau, Racc. pag. 1999, punto 28; 19 gennaio 1999, causa C‑348/96, Calfa, Racc. pag. I-11, punto 24 e Commissione/Spagna, cit., punto 44).

34 La Corte, dal canto suo, ha sempre sottolineato che l’eccezione di ordine pubblico costituisce una deroga al principio fondamentale della libera circolazione delle persone, da intendersi in modo restrittivo e la cui portata non può essere determinata unilateralmente dagli Stati membri (sentenze 28 ottobre 1975, causa 36/75, Rutili, Racc. pag. 1219, punto 27; Bouchereau, cit., punto 33; Calfa, cit., punto 23; 29 aprile 2004, cause riunite C‑482/01 e C‑493/01, Orfanopoulos e Oliveri, Racc. pag. I‑5257, punti 64 e 65 e Commissione/Spagna, cit. punto 45).

35 Secondo una giurisprudenza costante, il ricorso, da parte di un’autorità nazionale, alla nozione di ordine pubblico presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività (citate sentenze Rutili, punto 28; Bouchereau, punto 35; Orfanopoulos e Oliveri, punto 66 e Commissione/Spagna, punto 46).

36 È alla luce di queste considerazioni che è necessario esaminare la prima censura della Commissione. Essa può essere suddivisa in due parti: la prima parte concernente l’errato recepimento nel diritto interno delle norme di diritto comunitario in materia di espulsione di cittadini comunitari per ragioni di ordine pubblico; la seconda parte avente, invece, ad oggetto la prassi seguita dall’amministrazione a tal riguardo.

– Sul preteso errato recepimento

37 Ai sensi del § 47 dell’Ausländergesetz, uno straniero, ossia qualunque persona che non abbia la cittadinanza tedesca (§ 1, n. 2, della stessa legge), è espulso (espulsione obbligatoria) in caso di condanna penale passata in giudicato per i reati enumerati al n. 1 di detto § 47, mentre è di norma espulso (espulsione prevista in linea di principio) in caso di condanna penale per i reati enumerati al n. 2, punto 1 dello stesso paragrafo.

38 Poiché le disposizioni del § 47, n. 1 e n. 2, punto 1, dell’Ausländergesetz, considerate isolatamente, comportano l’espulsione dei cittadini comunitari a seguito di una condanna penale senza che sia tenuto conto in maniera sistematica né del comportamento personale dell’autore dell’infrazione né del pericolo attuale che questo rappresenta per l’ordine pubblico, esse non sono conformi alle prescrizioni del diritto comunitario (si veda, in tal senso, a proposito del § 47, n. 1, punto 2, dell’Ausländergesetz, la sentenza Orfanopoulos e Oliveri, cit., punti 59 e 69-71).

39 Tuttavia, come fa valere a giusto titolo il governo tedesco, l’Aufenthaltsgesetz/EWG, in qualità di legge speciale, è applicabile ai cittadini degli Stati membri che beneficiano della libera circolazione ai sensi del Trattato CE. Infatti, l’Ausländergesetz, ai sensi del suo § 2, n. 2, si applica agli stranieri che beneficiano della libera circolazione ai sensi del diritto comunitario solo nel caso in cui il diritto comunitario stesso e l’Aufenthaltsgesetz/EWG, che concerne segnatamente i cittadini di altri Stati membri che esercitano un’attività professionale, non contengano disposizioni derogatorie. Inoltre, il § 4, n. 2, della Freizügigkeitsverordnung/EG estende l’ambito di applicazione del § 12, nn. 2-9, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG ai cittadini degli Stati membri che non esercitino attività professionali.

40 Ne risulta che l’Aufenthaltsgesetz/EWG, in quanto legge speciale (lex specialis) rispetto all’Ausländergesetz (lex generalis), prevale sulle disposizioni di quest’ultima nelle situazioni che questa intende regolare (v., a proposito delle direttive comunitarie, sentenza 19 giugno 2003, causa C-444/00, Mayer Parry Recycling, Racc. pag. I-6163, punto 57).

41 Dunque, secondo la formulazione stessa del § 12, nn. 3 e 4, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG, un provvedimento d’espulsione nei confronti di uno straniero che beneficia della libera circolazione ai sensi del diritto comunitario può essere preso solo allorché il comportamento personale dell’interessato lo giustifichi e l’esistenza di una condanna penale non è sufficiente di per se stessa a motivare un tale provvedimento.

42 Se è vero peraltro che la portata delle disposizioni legislative, regolamentari o amministrative nazionali si deve valutare tenendo conto dell’interpretazione che ne danno i giudici nazionali (v., segnatamente, sentenza, 9 dicembre 2003, causa C‑129/00, Commissione/Italia, Racc. pag. I-14637, punti 30-33), nel caso di specie, la Commissione non sostiene che la normativa contestata sia l’oggetto di interpretazioni giurisdizionali divergenti che siano plausibili e che conducano, alcune ad un’applicazione della detta normativa compatibile con il diritto comunitario, altre ad un’applicazione incompatibile con esso, con la conseguenza che tale normativa non sarebbe sufficientemente chiara per garantire una sua applicazione compatibile con il diritto comunitario.

43 Ciò premesso, la censura della Commissione secondo cui la normativa tedesca violerebbe il diritto comunitario in quanto non eviterebbe in modo sufficientemente chiaro la pronuncia automatica di un provvedimento di espulsione dal territorio della Repubblica federale di Germania, a seguito di una condanna penale, di un cittadino di un altro Stato membro che benefici della libera circolazione ai sensi del diritto comunitario senza che sia tenuto in considerazione il comportamento personale dell’autore dell’infrazione né il pericolo attuale che egli rappresenta per l’ordine pubblico, è quindi infondata.

– Sull’esistenza di una pretesa prassi amministrativa contraria al diritto comunitario

44 Risulta dalle conclusioni dell’atto introduttivo del ricorso che con la sua prima censura la Commissione mira, oltre a far accertare il recepimento inesatto delle norme di diritto comunitario nel diritto interno, anche a far constatare che alcune decisioni di espulsione sono state adottate in contrasto con dette norme.

45 La Corte ha già statuito in diverse occasioni che la Commissione può chiederle di constatare un inadempimento consistente nel non aver raggiunto, in un caso determinato, il risultato previsto da una direttiva (v., segnatamente, sentenza 10 aprile 2003, cause riunite C-20/01 e C-28/01, Commissione/Germania, Racc. pag. I-3609, punto 30; 14 aprile 2005, causa C-157/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-2911, punto 44 e 31 gennaio 2006, Commissione/Spagna, cit., punto 59).

46 Così come risulta dal punto 27 della presente sentenza, e nonostante l’ampia formulazione delle conclusioni del ricorso su questo punto, la Commissione ha esplicitamente indicato, nel corso del procedimento svoltosi dinanzi alla Corte, che il suo ricorso ha come obiettivo non tanto di invitare questa ad esaminare, nel quadro delle diverse censure proposte, questioni particolari sollevate da casi individuali, quanto piuttosto a mettere in evidenza il fatto che la normativa tedesca recepisce in maniera insufficiente le prescrizioni del diritto comunitario, generando una prassi amministrativa contraria al diritto comunitario. In tale contesto, la Commissione si riferirebbe ad un certo numero di casi che citerebbe unicamente a titolo di esempio per illustrare determinati tipi di decisioni e di prassi amministrative oggetto di censura nei confronti della Repubblica federale di Germania nel presente ricorso. Il fatto che la Commissione citi dei casi precisi non escluderebbe affatto che altri casi siano da considerare come altrettanti esempi di violazione del diritto comunitario.

47 Secondo la giurisprudenza della Corte, anche se la normativa nazionale vigente è di per sé, come risulta dai punti 39-43 della presente sentenza, compatibile con il diritto comunitario, un inadempimento può derivare dall’esistenza di una prassi amministrativa in contrasto con tale diritto (v., segnatamente, sentenza, 12 maggio 2005, causa C-278/03, Commissione/Italia, Racc. pag. I-3747, punto13).

48 A questo proposito si deve in limine ricordare che, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito di un procedimento di inadempimento, la Commissione ha l’obbligo di dimostrare l’esistenza dell’inadempimento contestato e fornire alla Corte gli elementi necessari alla verifica, da parte di quest’ultima, dell’esistenza di tale inadempimento, senza potersi basare su alcuna presunzione (v., in particolare, sentenza 12 maggio 2005, causa C-287/03, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-3761, punto 27).

49 Per quanto riguarda, in particolare, una censura avente ad oggetto l’attuazione di una disposizione nazionale, la Corte ha stabilito che la dimostrazione di un inadempimento di Stato richiede la produzione di elementi di prova di natura specifica rispetto a quelli abitualmente presi in considerazione nell’ambito di un ricorso per inadempimento avente unicamente ad oggetto il contenuto di una disposizione nazionale e che, ciò considerato, l’inadempimento può essere dimostrato soltanto mediante una dimostrazione sufficientemente documentata e circostanziata della prassi rimproverata alle autorità amministrative e/o giudiziarie nazionali e attribuibile allo Stato membro di cui trattasi (sentenza, Commissione/Belgio, cit., punto 28).

50 La Corte ha anche stabilito che, se un comportamento di uno Stato consistente in una prassi amministrativa in contrasto con le esigenze del diritto comunitario può essere idoneo a costituire un inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, occorre che tale prassi amministrativa presenti un certo grado di costanza e di generalità (v. sentenze 29 aprile 2004, causa C-387/99, Commissione/Germania, Racc. pag. I‑3751, punto 42; 26 aprile 2005, causa C-494/01, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-3331, punto 28 e Commissione/Belgio, cit., punto 29).

51 Orbene, la Commissione non ha dimostrato l’esistenza in Germania di una prassi amministrativa avente le caratteristiche richieste dalla giurisprudenza della Corte.

52 La Commissione si è limitata ad enumerare nel suo ricorso un certo numero di casi nei quali le decisioni amministrative sarebbero state prese in contrasto con le prescrizioni del diritto comunitario, senza fornire alla Corte le decisioni in questione, riproducendo nel ricorso solo brevi estratti di alcune di esse. La Commissione non è pertanto riuscita a presentare alla Corte gli elementi necessari alla verifica da parte di quest’ultima dell’esistenza del presunto inadempimento, tanto più che il governo tedesco contesta in maniera concreta l’affidabilità dei dati prodotti citando, in un certo numero di casi, provvedimenti adottati su reclamo degli interessati (casi Condo, Ferri, Gaudino, Guaglianone, Marchese e Procopio) contro alcune delle decisioni cui la Commissione si riferisce nel suo ricorso.

53 Per di più, la cinquantina di decisioni citate dalla Commissione sono state adottate, secondo le informazioni che risultano dall’atto introduttivo di ricorso, tra il mese di dicembre 1992 (caso Torsello) e quello di gennaio 2001 (caso Sulimanov), cioè nel corso di un periodo di circa nove anni. Pertanto, la Corte non può comunque constatare l’esistenza di una prassi generale e costante contraria al diritto comunitario, allorquando la Commissione, la quale non si può basare su alcuna presunzione, non è riuscita a presentarle gli elementi necessari per confutare l’affermazione del governo tedesco che si tratterebbe di decisioni isolate e non di una prassi generale e costante.

54 Detta conclusione si impone ancor più considerando che, come sostenuto dal governo tedesco, le disposizioni amministrative generali relative all’Ausländergesetz (Allgemeine Verwaltungsvorschrift zum Ausländergesetz), le quali si rivolgono all’amministrazione tedesca e la vincolano, precisano, da un lato, che si può procedere all’espulsione per ragioni di ordine pubblico, ai sensi del § 12, n. 1, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG solo quando lo straniero provochi un provvedimento di tal tipo con il proprio comportamento personale, non potendo l’esistenza di una condanna penale essere sufficiente a giustificare un’espulsione e, dall’altro, che il n. 3 del medesimo § 12 permette di basare l’espulsione esclusivamente sul comportamento personale dello straniero e che l’espulsione stessa può intervenire solo per ragioni speciali di natura preventiva e in caso di minaccia effettiva e abbastanza grave che ponga in pericolo uno degli interessi fondamentali della società.

55 Di conseguenza, benchè il governo tedesco non contesti il fatto che alcune isolate decisioni d’espulsione abbiano potuto essere adottate senza prendere in conto sufficientemente le prescrizioni del diritto comunitario, la censura della Commissione sull’esistenza di una prassi amministrativa incompatibile con il diritto comunitario deve essere respinta come infondata.

56 Ne consegue che il primo motivo va interamente respinto.

Sulla seconda censura attinente all’insufficiente considerazione nella legislazione e prassi tedesca dell’esistenza di una minaccia grave per l’ordine pubblico in caso di espulsione di cittadini di altri Stati membri con titolo di soggiorno a tempo determinato

Sulla ricevibilità

– Argomenti delle parti

57 Il governo tedesco sostiene che la Commissione, nel suo ricorso, abbia addebitato alla Repubblica federale di Germania non solo di avere adempiuto in modo incompleto al proprio obbligo di recepire nel diritto interno la direttiva 64/221, ma anche di aver sviluppato una prassi amministrativa contraria alla normativa comunitaria. Tuttavia, la Commissione, nel suo parere motivato, si sarebbe limitata a menzionare il recepimento ambiguo delle norme di diritto comunitario nel § 12, n. 1, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG e non gli avrebbe addebitato una pretesa prassi amministrativa contraria a detta normativa riguardo all’attuazione di detta disposizione. La seconda censura sarebbe pertanto irricevibile nella parte in cui la Commissione intenderebbe far constatare una tale prassi amministrativa dal momento che, secondo giurisprudenza costante, la Commissione non può invocare nel suo ricorso elementi nuovi rispetto a quelli sollevati nella fase precontenziosa.

58 La Commissione respinge tutte le accuse di estensione dell’oggetto di causa sostenendo che le sue prime tre censure criticano la situazione giuridica tedesca in materia di espulsione degli stranieri principalmente per il fatto che, nella prassi, la coesistenza di disposizioni a volte contraddittorie, fonte di equivoco per le istituzioni incaricate di applicare il diritto, conduce costantemente a decisioni di espulsione incompatibili con il diritto comunitario. Siccome l’incertezza della situazione giuridica risulterebbe esattamente dalla coesistenza di tali norme, le decisioni di espulsione fondate su tali disposizioni sarebbero necessariamente legate alle tre censure e non potrebbero esserne dissociate.

– Giudizio della Corte

59 Secondo una giurisprudenza costante (v., segnatamente, sentenza 9 novembre 1999, causa C-365/97, Commissione/Italia, Racc. pag. I-7773, punto 23) la lettera di diffida inviata dalla Commissione allo Stato membro e poi il parere motivato emesso da quest’ultima, delimitano la materia del contendere, che quindi non può più essere ampliata. Infatti, la possibilità per lo Stato interessato di presentare osservazioni costituisce, anche qualora esso ritenga di non doverne fare uso, una garanzia essenziale voluta dal Trattato, la cui osservanza costituisce un requisito formale essenziale per la regolarità del procedimento volto ad accertare l’inadempimento di uno Stato membro.

60 Di conseguenza, il parere motivato e il ricorso della Commissione devono vertere sugli stessi addebiti già mossi nella lettera di diffida che apre il procedimento precontenzioso (sentenze 29 settembre 1998, causa C-191/95, Commissione/Germania, Racc. pag. I-5449, punto 55). Dal momento che il parere motivato della Commissione ed il ricorso devono essere basati sui medesimi motivi e mezzi, la Corte non può esaminare una censura che non sia stata sollevata nel parere motivato (sentenza 11 maggio 1989, causa 76/86, Commissione/Germania, Racc. pag. 1021, punto 8), e quest’ultimo deve contenere un’esposizione coerente e particolareggiata delle ragioni che hanno indotto la Commissione al convincimento che lo Stato membro interessato sia venuto meno ad un obbligo ad esso incombente in forza del Trattato (v., segnatamente, sentenza 24 giugno 2004, causa C-350/02, Commissione/Paesi Bassi, Racc. pag. I-6213, punto 20).

61 Tuttavia, non si potrà esigere in ogni caso una perfetta coincidenza tra l’esposizione degli addebiti nella lettera di diffida, il dispositivo del parere motivato e le conclusioni del ricorso, quando l’oggetto della controversia non sia stato ampliato o modificato ma, al contrario, semplicemente ridotto (sentenze 29 settembre 1998, Commissione/Germania, cit., punto 56; 9 novembre 1999, Commissione/Italia, cit., punto 25 e 14 marzo 2006, causa C-177/04, Commissione/Francia, non ancora pubblicata in Racc., punto 37).

62 In questo caso, la parte della seconda censura riguardante l’esistenza di una prassi amministrativa contraria al diritto comunitario corrisponde, in sostanza, alla censura formulata al punto IV del parere motivato, nel quale, la Commissione addebita alla Repubblica federale di Germania di avere adottato decisioni di espulsione in casi in cui l’esistenza di una minaccia effettiva ed abbastanza grave per l’ordine pubblico che mettesse in pericolo uno degli interessi fondamentali della collettività non era stata provata. A ciò si aggiunge che, nella parte del parere motivato intitolato «Minaccia per l’ordine pubblico», la Commissione invoca precisamente l’esistenza in Germania di «prassi amministrative» fondate su un’interpretazione del § 12, n. 1, prima frase, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG che non considera le condizioni alle quali il diritto comunitario permette restrizioni alla libera circolazione per motivi di ordine pubblico.

63 Alla luce di ciò, non si può rimproverare alla Commissione di non aver ripreso, nelle conclusioni dell’atto introduttivo di ricorso, l’esatta formulazione letterale delle censure invocate nel corso del procedimento precontenzioso quando essa ha avuto cura di stabilire una concordanza tra queste e l’esposizione circostanziata delle censure.

64 L’eccezione di parziale irricevibilità della seconda censura deve, pertanto, essere respinta.

Nel merito

– Argomenti delle parti

65 La Commissione sostiene che l’Aufenthaltsgesetz/EWG, che si suppone recepisca nel diritto tedesco le disposizioni di diritto comunitario in materia di restrizione alla libera circolazione per ragioni di ordine pubblico, non sia sufficientemente chiara per quanto riguarda la norma enunciata nel suo § 12, n. 1, fondamentale nella fattispecie in questione. Infatti, mentre la prima frase di detta disposizione normativa enuncia che si può opporre un rifiuto «per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica» al soggiorno di uno straniero che beneficia della libera circolazione, la seconda frase della stessa disposizione normativa prevede, riferendosi esclusivamente agli stranieri che detengono una «carta di soggiorno CE a tempo indeterminato», che questi non possano essere espulsi se non per «gravi» motivi di pubblica sicurezza o di ordine pubblico. La formulazione della disposizione sarebbe ingannevole in quanto essa potrebbe essere intesa, e lo sarebbe, come del resto mostrato dalla prassi amministrativa, nel senso che siano sufficienti semplici motivi di pubblica sicurezza e di ordine pubblico per espellere i beneficiari del diritto alla libera circolazione che non dispongano di una «carta di soggiorno CE a tempo indeterminato» e che l’esistenza di gravi motivi sia necessaria solo per l’espulsione degli stranieri che dispongono di tale titolo di soggiorno.

66 Sarebbero numerose le decisioni che rivelano nel loro fondamento un’interpretazione erronea del concetto di ordine pubblico ai sensi del § 12, n. 1, prima frase, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG. In certi casi, sarebbe addirittura espressamente affermato, in alcune di esse, che non è necessario verificare l’esistenza di motivi gravi relativi all’ordine pubblico poiché la loro esistenza sarebbe necessaria solo nei casi di cui alla seconda frase di detta norma, ovvero per gli stranieri con «carta di soggiorno CE a tempo indeterminato». La Commissione cita sette casi a titolo di esempio a sostegno di quest’ultima affermazione.

67 Secondo la Commissione, la situazione giuridica e la prassi amministrativa tedesca hanno bisogno, in questo senso, di essere chiariti in modo preciso non lasciando il minimo dubbio quanto alla prescrizione secondo la quale, indipendentemente dalla durata del titolo di soggiorno, un provvedimento di espulsione presuppone che il comportamento personale dell’interessato faccia apparire l’esistenza di una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività (v., segnatamente, sentenza Bouchereau, cit., punti 33-35).

68 Il governo tedesco sostiene, al contrario, che il § 12, n. 1, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG recepisca in maniera sufficientemente chiara le prescrizioni risultanti dalla normativa comunitaria in materia di restrizione alla libera circolazione.

69 Riguardo all’addebito concernente l’esistenza di una prassi amministrativa contraria al diritto comunitario, il governo tedesco sostiene che, anche supponendo che tale parte della seconda censura fosse ricevibile, non si riesce a capire come la Commissione possa concludere sulla sola base di meno di 20 casi individuali elencati nel ricorso, che esisterebbe una prassi di questo tipo, applicata in maniera sistematica su tutto il territorio nazionale.

– Giudizio della Corte

Sul preteso errato recepimento

70 Come ricordato al punto 35 della presente sentenza, secondo una giurisprudenza costante, il ricorso da parte di un’autorità nazionale alla nozione di ordine pubblico presuppone, in ogni caso, oltre alla perturbazione dell’ordine sociale insita in qualsiasi infrazione della legge, l’esistenza di una minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività.

71 Il § 12, n. 1, prima frase, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG dispone che i cittadini di altri Stati membri che beneficiano della libera circolazione ai sensi del diritto comunitario possano essere oggetto di un provvedimento di espulsione solo per motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza o sanità pubblica e menziona, tra parentesi, gli artt. 48, n. 3, e 56, n. 1, del Trattato CE (quest’ultimo divenuto, a seguito di modifica, art. 46, n. 1, CE). La seconda frase dello stesso paragrafo enuncia che l’espulsione di stranieri che dispongano di una «carta di soggiorno CE a tempo indeterminato» è autorizzata esclusivamente per gravi motivi di pubblica sicurezza o di ordine pubblico.

72 Se si può ritenere che il rinvio al diritto comunitario primario, operato dal § 12, n. 1, prima frase, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG indichi a sufficienza la necessità di interpretare la nozione di ordine pubblico in modo conforme all’interpretazione data allo stesso concetto contenuto negli articoli del Trattato, come determinata dalla direttiva 64/221 e precisata nella giurisprudenza della Corte, resta cionondimeno che la seconda frase di detta disposizione normativa nazionale aggiungendo che, nel caso in cui si tratti di cittadini comunitari aventi una carta di soggiorno a tempo indeterminato, solo «gravi» motivi di ordine pubblico possano giustificare un’espulsione, suscita dubbi in merito alla corretta considerazione delle prescrizioni del diritto comunitario riguardo ai cittadini comunitari aventi una carta di soggiorno a tempo determinato.

73 Orbene, secondo una giurisprudenza costante, le disposizioni di una direttiva devono essere attuate con un’efficacia cogente incontestabile, con la specificità, la precisione e la chiarezza necessarie per garantire pienamente la certezza del diritto (v., segnatamente, sentenze 17 maggio 2001, causa C-159/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I-4007, punto 32; 27 febbraio 2003, causa C-415/01, Commissione/Belgio, Racc. pag. I-2081, punto 21).

74 Dunque, il § 12, n. 1, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG non recepisce con la chiarezza sufficiente riguardo ai cittadini degli Stati membri che hanno una carta di soggiorno a tempo determinato, le prescrizioni derivanti dalla giurisprudenza ricordata al punto 70 della presente sentenza, ai sensi della quale un provvedimento di espulsione può essere giustificato solo in caso di minaccia effettiva ed abbastanza grave per uno degli interessi fondamentali della collettività.

75 Le disposizioni amministrative generali relative all’Ausländergesetz, richiamate dal governo tedesco a sostegno della sua tesi secondo la quale la normativa nazionale soddisfa l’esigenza di certezza del diritto, non mettono in discussione tale valutazione.

76 A tal riguardo, è sufficiente ricordare che il principio di certezza del diritto esige una pubblicità adeguata per i provvedimenti nazionali adottati in attuazione di una normativa comunitaria, in modo tale da consentire che i soggetti di diritto interessati da tali misure siano messi in grado di conoscere la portata dei loro diritti ed obblighi nell’ambito particolare disciplinato dal diritto comunitario (v., segnatamente, sentenza 27 febbraio 2003, Commissione/Belgio, cit., punto 21). Orbene, questo non è il caso per le suddette disposizioni amministrative, che senza dubbio hanno carattere interno e si indirizzano all’amministrazione al fine di farle trattare in modo uniforme determinate questioni.

77 Ciò premesso, risulta che il primo capo del secondo addebito è fondato.

Sulla pretesa prassi amministrativa contraria al diritto comunitario

78 Ai punti 49 e 50 della presente sentenza, la Corte ha ricordato che, per quanto riguarda le censure aventi ad oggetto l’attuazione di una disposizione nazionale, la dimostrazione dell’esistenza di un inadempimento di Stato richiede la produzione di elementi di prova di natura specifica rispetto a quelli abitualmente presi in considerazione nell’ambito di un ricorso per inadempimento avente unicamente ad oggetto il contenuto di una disposizione nazionale. Ciò considerato, l’inadempimento può essere dimostrato soltanto mediante una prova sufficientemente documentata e circostanziata della prassi rimproverata alle autorità amministrative e/o giudiziarie nazionali e attribuibile allo Stato membro di cui trattasi. Se un comportamento di uno Stato consistente in una prassi amministrativa in contrasto con le esigenze del diritto comunitario può essere idoneo a costituire un inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, occorre che tale prassi amministrativa presenti un certo grado di costanza e di generalità.

79 Orbene, la Commissione si è limitata ad elencare 17 casi nei quali sarebbero state adottate decisioni amministrative in contrasto con le prescrizioni del diritto comunitario, senza fornire tali decisioni alla Corte, né riprodurne il minimo estratto che potesse confortare la sua tesi. La Commissione non è pertanto riuscita a presentare alla Corte gli elementi necessari alla verifica da parte di quest’ultima dell’esistenza del presunto inadempimento, tanto più che il governo tedesco contesta in maniera concreta l’affidabilità dei dati forniti, in particolare producendo, a proposito di due casi a cui si riferisce la Commissione nel suo ricorso (casi Moffa e Nardelli) un estratto della decisione in causa nel quale le prescrizioni del diritto comunitario sembrerebbero essere state prese in considerazione.

80 Per tale sola ragione, la seconda parte della seconda censura deve essere respinta come infondata.

Sulla terza censura attinente alla presa in considerazione nella legislazione e nella prassi tedesche degli aspetti relativi alla prevenzione generale in caso di espulsione

Sulla ricevibilità

– Argomenti delle parti

81 Secondo il governo tedesco il parere motivato non conteneva censure concernenti una mancanza di chiarezza della normativa tedesca riguardo al divieto di adottare misure preventive di natura generale e pertanto tale parte della terza censura dovrebbe essere dichiarata irricevibile.

82 La Commissione ribatte che, nella lettera di diffida, essa ha sostenuto che tutte le decisioni aventi come fondamento giuridico il § 47, nn. 1 e 2 dell’Ausländergesetz, a causa della finalità preventiva generale di detta disposizione, presentano necessariamente carattere illecito di prevenzione generale e che di conseguenza esse contrastano con il diritto comunitario. Il parere motivato conserverebbe detta censura, dandole rilievo cosicché, pertanto, l’eccezione di irrecivibilità dovrebbe essere respinta.

– Giudizio della Corte

83 Il parere motivato e il ricorso devono vertere sugli stessi motivi e mezzi (v., segnatamente, punto 60 della presente sentenza). Orbene, ciò è avvenuto nel caso di specie.

84 Come rilevato dall’Avvocato Generale ai paragrafi 111 e 112 delle sue conclusioni, la parte della terza censura relativa ad un errato recepimento nel diritto interno della disposizione secondo la quale ragioni di prevenzione generale non potrebbero giustificare l’espulsione di cittadini comunitari, corrisponde nella sostanza alla censura pronunciata al punto III delle conclusioni del parere motivato, nel quale la Commissione addebita alla Repubblica federale di Germania di non aver indicato in maniera sufficientemente chiara nella sua legislazione, che le decisioni di espulsione concernenti cittadini dell’Unione non possono essere basate su un fondamento giuridico che preveda l’espulsione obbligatoria o l’espulsione prevista in linea di principio in caso di condanna penale passata in giudicato. A ciò si aggiunge che, nella parte del parere motivato intitolata «Dissuasione», la Commissione ha richiamato precisamente la circostanza che tutte le decisioni di espulsione fondate sul § 47 dell’Ausländergesetz, a causa della finalità preventiva generale di tale norma, presentano necessariamente un carattere illecito di prevenzione generale, cosicché essa prende direttamente di mira anche la legislazione censurata.

85 Ciò premesso, non si può quindi rimproverare alla Commissione di non aver ripreso nelle conclusioni del ricorso introduttivo della causa il testo esatto delle censure proposte nel corso della procedura precontenziosa, allorquando essa si è curata di stabilire una concordanza tra queste e l’esposizione circostanziata delle censure.

86 L’eccezione di irricevibilità parziale della terza censura deve pertanto essere respinta.

Nel merito

– Argomenti delle parti

87 La Commissione sostiene che il regime di espulsione previsto al § 47, nn. 1 e 2, dell’Ausländergesetz persegue obiettivi di prevenzione generale in quanto si presume che l’espulsione obbligatoria o l’espulsione obbligatoria in linea di principio dissuadano altri stranieri dal commettere reati di natura identica o analoga a quelli perpetrati dallo straniero espulso. Tutte le decisioni basate su tali disposizioni comporterebbero, per forza di cose, un elemento illecito di prevenzione generale, tenuto conto dell’obiettivo di detta norma, e sarebbero, per tale sola ragione, contrarie al diritto comunitario. Il riferimento al § 12 dell’Aufenthaltsgesetz/EWG, effettuato semplicemente a titolo di complemento, non cambierebbe alcunché in merito alla circostanza che dette decisioni sono basate su un fondamento giuridico la cui applicazione è incompatibile con il diritto comunitario a causa dell’obiettivo di prevenzione generale da esso perseguito.

88 Tale obiettivo di prevenzione generale, perseguito dall’espulsione obbligatoria, sarebbe per di più menzionato espressamente in numerose decisioni, senza che risulti dalla loro motivazione che esse sono fondate in maniera autonoma su motivazioni di prevenzione speciale. In ogni caso, una tale distinzione non sarebbe avvertibile in un certo numero di decisioni che enumererebbero, giustapponendoli, obiettivi di prevenzione generale e di prevenzione speciale quali motivi cumulativi, lasciando così intendere che il provvedimento in questione è fondato su entrambi i tipi di considerazioni. Inoltre, in tali decisioni, la motivazione attribuirebbe a volte un’importanza particolare all’effetto di prevenzione generale. Secondo la Commissione ne risulterebbe che tale prassi amministrativa porta a fondare le decisioni in causa anche su considerazioni di prevenzione generale e, a causa di ciò, è contraria al diritto comunitario (sentenza 10 febbraio 2000, causa C-340/97, Nazli, Racc. pag. I-957, punto 63).

89 Ciò premesso, la situazione giuridica e la prassi amministrativa tedesca avrebbero bisogno d’essere chiarite in modo preciso al riguardo, al fine di non lasciar sussistere alcun dubbio in merito all’attuazione della normativa nazionale. Un recepimento impreciso e ambiguo degli obblighi derivanti dal diritto comunitario non sarebbe conforme alle esigenze di un recepimento corretto della direttiva 64/221.

90 Riguardo alla censura concernente la mancanza di chiarezza della normativa nazionale stessa, il governo tedesco risponde che essa indica chiaramente e senza ambiguità che i cittadini comunitari non possono essere espulsi per ragioni connesse ad obiettivi di prevenzione generale. La Commissione ignorerebbe il fatto che le decisioni di espulsione concernenti tali cittadini non hanno per base giuridica esclusiva il § 47 dell’Ausländergesetz, ma devono sempre rispettare le disposizioni del § 12 dell’Aufenthaltsgesetz/EWG, le quali avrebbero natura imperativa e prevarrebbero su quelle di detto § 47. La prevenzione generale non sarebbe prevista che per i cittadini degli Stati terzi.

91 Per ciò che riguarda la censura concernente l’esistenza di una prassi amministrativa contraria al diritto comunitario, il governo tedesco nega che esista una successione di decisioni individuali erronee che darebbero vita a tale prassi. I pochi casi menzionati dalla Commissione non sarebbero sufficienti a concludere che esista una prassi amministrativa corrente e generale contraria al diritto comunitario. Il governo tedesco aggiunge che dalle disposizioni amministrative generali relative all’Ausländergesetz, le quali sarebbero determinanti per stabilire se esista o meno una prassi amministrativa in quanto vincolano giuridicamente l’amministrazione nella sua attività, risulterebbe che l’amministrazione non può motivare decisioni di espulsione nei confronti di cittadini comunitari con l’effetto dissuasivo che tale espulsione produce su altri cittadini stranieri.

92 La circostanza che le autorità amministrative tedesche invochino ragioni di prevenzione generale che si aggiungono alle motivazioni di prevenzione specifica, sarebbe perfettamente compatibile con l’art. 3, n. 1, della direttiva 64/221, una volta che risulti rispettato il solo obbligo previsto da detta disposizione che consiste nell’esposizione di ragioni sufficienti riguardo alla persona e al comportamento dell’interessato.

– Giudizio della Corte

Sul preteso errato recepimento

93 Conformemente alla giurisprudenza della Corte, il diritto comunitario osta all’espulsione di un cittadino di uno Stato membro per motivi di prevenzione generale, ovvero ad un’espulsione decisa nell’intento di dissuadere altri stranieri (v, in particolare, sentenze 26 febbraio 1975, causa 67/74, Bonsignore, Racc. pag. 297, punto 7 e Nazli, cit., punto 59), segnatamente quando tale provvedimento è stato adottato in modo automatico a seguito di una condanna penale, senza tener conto del comportamento personale dell’autore del reato né del pericolo che esso costituisce per l’ordine pubblico (v. sentenza Calfa, cit., punto 27).

94 Come rilevato ai punti da 39 a 43 della presente sentenza, l’Aufenthaltsgesetz/EWG, in quanto legge speciale rispetto all’Ausländergesetz, prevale sulle disposizioni di quest’ultima nelle situazioni che essa intende specificamente regolare.

95 Orbene, ai sensi del § 12, n. 3, prima frase, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG, i provvedimenti di espulsione dei cittadini comunitari che beneficiano della libera circolazione ai sensi del diritto comunitario devono essere adottati solo quando il comportamento personale dell’interessato lo giustifichi. Da ciò consegue che qualunque espulsione basata su motivi di prevenzione generale è proibita per tali categorie di persone.

96 Per di più, come è stato rilevato nel quadro della prima censura (v. punto 42 della presente sentenza), la Commissione non sostiene nel caso di specie che la normativa contestata sia oggetto di interpretazioni giurisdizionali divergenti che siano plausibili e che conducano, alcune ad un’applicazione della detta normativa compatibile con il diritto comunitario, altre ad un’applicazione incompatibile con esso, con la conseguenza che tale normativa non sarebbe sufficientemente chiara per garantire una sua applicazione compatibile con il diritto comunitario.

97 Ciò premesso, la censura con cui la Commissione fa valere che la normativa tedesca non proibirebbe in maniera sufficientemente chiara di prendere in considerazione aspetti di prevenzione generale nell’espulsione dal territorio tedesco di un cittadino di altri Stati membri che benefici della libera circolazione ai sensi del diritto comunitario, è infondata.

Sulla pretesa prassi amministrativa contraria al diritto comunitario

98 Si deve rilevare che nel suo ricorso la Commissione si è limitata a enumerare alcuni casi nei quali la decisione di espulsione sarebbe in parte motivata dal perseguimento di obiettivi di prevenzione generale, senza fornire alla Corte le decisioni in causa, ma limitandosi a riprodurne, e solamente per alcune di esse, un breve estratto. La Commissione non è pertanto riuscita a presentare alla Corte gli elementi necessari alla verifica da parte di quest’ultima dell’esistenza del presunto inadempimento, tanto più che il governo tedesco contesta l’affidabilità dei dati prodotti citando un certo numero di casi nei quali in particolare sono stati adottati provvedimenti su reclamo porposto dagli interessati (casi Condo e Procopio) contro alcune delle decisioni cui la Commissione si riferisce nel suo ricorso.

99 Per di più, le undici decisioni menzionate dalla Commissione sono state adottate, secondo le informazioni che risultano dal ricorso introduttivo del giudizio, tra il mese di marzo 1993 (caso Sassano) e quello di novembre 1997 (caso Pugliese), cioè nel corso di un periodo di circa cinque anni. Pertanto, la Corte non potrebbe, in ogni caso, concludere in merito all’esistenza di una prassi generale e costante contraria al diritto comunitario, allorquando la Commissione, la quale non si può basare su alcuna presunzione, non è riuscita a fornirle gli elementi necessari per contestare l’affermazione del governo tedesco che si tratterebbe di decisioni isolate e non di una prassi generale e costante.

100 Detta conclusione si impone ancor più considerando che, come sostenuto dal governo tedesco, una delle disposizioni amministrative generali relative all’Ausländergesetz afferma che l’espulsione può intervenire solo per ragioni speciali di natura preventiva e in caso di minaccia effettiva e abbastanza grave che ponga in pericolo uno degli interessi fondamentali della società.

101 Di conseguenza, benché il governo tedesco non contesti che alcune isolate decisioni d’espulsione abbiano potuto essere adottate senza prendere sufficientemente in conto le prescrizioni derivanti dalla direttiva 64/221, la censura della Commissione sull’esistenza di una prassi amministrativa incompatibile con il diritto comunitario, vista la giurisprudenza menzionata ai punti da 48 a 50 della presente sentenza, deve essere respinta come non fondata.

102 La terza censura deve quindi essere respinta nel suo insieme.

Sulla quarta censura attinente all’insufficiente considerazione del diritto fondamentale alla vita familiare al momento dell’adozione di decisioni di espulsione

Argomenti delle parti

103 La Commissione sostiene che gli Stati membri, quando adottano un provvedimento di espulsione di cittadini comunitari fondato sull’eccezione di ordine pubblico ai sensi della direttiva 64/221, hanno l’obbligo di prendere in considerazione non solo il principio fondamentale della libera circolazione delle persone, ma anche l’incidenza di tale espulsione sui diritti fondamentali, ed in particolare sul diritto al rispetto della vita familiare previsto dall’art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «Convenzione»), diritto di cui la Corte deve assicurare il rispetto (v., segnatamente, sentenza 11 luglio 2002, causa C-60/00, Carpenter, Racc. pag. I-6279, punto 41).

104 A tal riguardo, la Commissione menziona un certo numero di casi nei quali, a suo parere, le autorità amministrative tedesche hanno infranto il principio di proporzionalità in modo particolarmente grossolano e manifesto. La Commissione richiama due casi nei quali dette autorità non avrebbero esaminato la questione della proporzionalità, cinque casi nei quali non avrebbero proceduto all’esame della proporzionalità poiché hanno considerato che l’espulsione automatica non necessitasse un tal tipo di esame e quattordici casi in cui non si sarebbe tenuto conto a sufficienza dell’importanza del diritto fondamentale alla protezione della vita familiare.

105 Il governo tedesco sostiene che la Commissione non è riuscita a dimostrare l’esistenza di una prassi amministrativa nella quale il bilanciamento tra il diritto alla vita familiare e la necessità di preservare l’ordine pubblico non venga effettuato. L’esistenza di tale pretesa prassi non sarebbe provata in particolare in quanto la sola circostanza che vi sia qualche decisione di espulsione in cui la motivazione è silente riguardo ai legami familiari degli interessati non permetterebbe di concludere che esista una prassi amministrativa generale.

106 Contrariamente alle affermazioni della Commissione, le disposizioni che regolano l’espulsione dei cittadini comunitari, segnatamente il § 48 dell’Ausländergesetz e il § 12 dell’Aufenthaltsgesetz/EWG, presupporrebbero quasi obbligatoriamente una valutazione della proporzionalità del provvedimento di espulsione e una considerazione dell’importanza primordiale della protezione del matrimonio e della vita familiare. Ai sensi dell’art. 6 della Costituzione tedesca, il matrimonio e la famiglia beneficerebbero della protezione particolare del regime federale e spetterebbe alle autorità amministrative prendere obbligatoriamente in considerazione tale qualificazione costituzionale nell’applicazione dei testi normativi. La Commissione accuserebbe a torto dette autorità di non aver considerato il principio di proporzionalità e, nei casi in cui la Commissione conclude che la decisione di espulsione abbia avuto carattere sproporzionato, i criteri utilizzati dalla Commissione sarebbero anch’essi erronei di modo che essa giungerebbe quasi ineluttabilmente a conclusioni errate.

Giudizio della Corte

107 Conformemente alla giurisprudenza della Corte, l’esame effettuato caso per caso dalle autorità nazionali circa l’eventuale sussistenza di un comportamento personale costituente una minaccia attuale per l’ordine pubblico e, eventualmente, per sapere dove sia il giusto equilibrio tra i legittimi interessi presenti deve essere svolto nel rispetto dei principi generali del diritto comunitario (sentenza Orfanopoulos e Olivieri, cit., punto 95).

108 A tal riguardo, deve essere tenuto conto dei diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto. Si possono, infatti, addurre motivi d’interesse generale al fine di giustificare una misura nazionale idonea ad ostacolare l’esercizio delle libertà fondamentali solo qualora detta misura sia conforme a tali diritti (v., in tal senso, sentenze 18 giugno 1991, causa C-260/89, ERT, Racc. pag. I-2925, punto 43; 26 giugno 1997, causa C-368/95, Familiapress, Racc. pag. I-3689, punto 24, Carpenter, cit., punto 40 e Orfanopoulos e Olivieri, cit., punto 97).

109 In tale contesto, occorre rammentare che, nell’ambito del diritto comunitario, è stata riconosciuta l’importanza di assicurare la tutela della vita familiare dei cittadini comunitari al fine di eliminare gli ostacoli all’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato. In particolare, è pacifico che l’esclusione di una persona da un paese in cui vivono i suoi congiunti può rappresentare un’ingerenza nel diritto al rispetto della vita familiare come previsto dall’art. 8, n. 1, della Convenzione, il quale fa parte dei diritti fondamentali che, secondo la giurisprudenza costante della Corte, sono tutelati nell’ordinamento giuridico comunitario (v., segnatamente, sentenza Orfanopoulos, cit., punto 42). Una simile ingerenza viola la Convenzione a meno che essa non corrisponda ai requisiti di cui al n. 2 dello stesso articolo, cioè a meno che essa non sia «prevista dalla legge», dettata da uno o più scopi legittimi ai sensi della disposizione citata e «necessaria, in una società democratica», cioè giustificata da un bisogno sociale imperativo e, in particolare, proporzionata al fine legittimo perseguito (v., in particolare, Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 2 agosto 2001, Boultif c. Suisse, Recueil des arrêts et décisions 2001-IX, § 39, 41 e 46 e sentenza Carpenter, cit., punto 42).

110 La Commissione non ha dimostrato l’esistenza, in Germania, di una prassi amministrativa contraria alle esigenze del diritto al rispetto della vita familiare che possieda le caratteristiche di costanza e generalità richieste dalla giurisprudenza della Corte.

111 Nel suo ricorso la Commissione si è limitata ad enumerare alcuni casi nei quali la decisione di espulsione non terrebbe sufficientemente in conto il diritto al rispetto della vita familiare o addirittura non lo prenderebbe per niente in considerazione, senza fornire alla Corte le decisioni in causa, ma limitandosi a riprodurne, e solamente per alcune di esse, un breve estratto. Si deve pertanto constatare che la Commissione non è riuscita a presentare alla Corte gli elementi necessari alla verifica da parte di quest’ultima dell’esistenza del presunto inadempimento, tanto più che il governo tedesco contesta in maniera concreta (in particolare nei casi Solimando, Racalbuto e Condo) la fondatezza dell’affermazione della Commissione secondo la quale il diritto al rispetto della vita familiare non sarebbe stato preso sufficientemente in considerazione in tutte le decisioni da essa citate.

112 Per di più, le 21 decisioni in questione sono state adottate, secondo le informazioni che risultano dal ricorso introduttivo del giudizio, tra il mese di dicembre 1992 (caso Torsello) e quello di marzo 2001 (caso Theodoridis), cioè nel corso di un periodo di circa nove anni. Pertanto, la Corte non può comunque constatare l’esistenza di una prassi generale e costante contraria al diritto comunitario, allorquando la Commissione, la quale non si può basare su alcuna presunzione, non è riuscita a fornirle gli elementi necessari per contestare l’affermazione del governo tedesco secondo la quale si tratta di decisioni isolate e non di una prassi generale e costante.

113 Di conseguenza, benché il governo tedesco non contesti che alcune isolate decisioni d’espulsione abbiano potuto essere adottate senza prendere sufficientemente in conto le prescrizioni relative al rispetto della vita familiare, la censura della Commissione attinente all’esistenza di una prassi amministrativa incompatibile con il diritto comunitario, vista la giurisprudenza menzionata ai punti 48-50 della presente sentenza, deve essere respinta come non fondata.

Sulla quinta censura concernente il ricorso sistematico all’esecuzione immediata dei provvedimenti di espulsione nonostante l’assenza di una situazione d’urgenza

Argomenti delle parti

114 La Commissione sostiene che quando il ricorso giurisdizionale proposto contro un provvedimento di espulsione verte esclusivamente sulla sua legittimità o non ha effetto sospensivo, l’art. 9, n. 1, primo comma, della direttiva 64/221 richieda, «tranne in casi di urgenza», l’attuazione preliminare di un procedimento particolare davanti ad un’autorità indipendente la quale è tenuta ad emettere il suo parere. Poiché il diritto tedesco in materia di stranieri non prevede un tale procedimento particolare come inteso da detta disposizione, ne conseguirebbe che, in caso di espulsione di cittadini comunitari, non si possa escludere l’effetto sospensivo per mezzo di un’intimazione emanata in applicazione del § 80, n. 2, punto 4, della VwGO, a meno che non sussista un «caso d’urgenza» nel senso indicato dalla citata disposizione della direttiva 64/221.

115 Secondo la Commissione un tale caso d’urgenza si può ritenere esistente solo quando l’esecuzione immediata sia l’unico modo di prevenire un rischio concreto, imminente e grave di attentato all’ordine pubblico. Poiché l’espulsione immediata costituisce una limitazione del diritto fondamentale alla libera circolazione e di quello al rispetto della vita familiare, spetterebbe all’autorità competente provare, in ogni concreto caso in cui essa è adita, che i necessari presupposti sono presenti. Almeno per i cittadini comunitari residenti da lungo tempo nello Stato membro di accoglienza, il principio di proporzionalità imporrebbe di ordinare l’esecuzione immediata di una decisione di espulsione solo a titolo eccezionale e unicamente in casi di gravità e urgenza evidenti.

116 La Commissione ritiene che, ai sensi del § 80, n. 2, punto 4, della VwGO, se esiste un interesse particolare all’esecuzione immediata dell’espulsione, si possa escludere l’effetto sospensivo di un provvedimento di espulsione, nel caso in cui questo concerna un cittadino comunitario che ha fatto opposizione o che ha proposto un’azione di annullamento. Benché tale «interesse particolare» debba andare al di là dell’interesse che giustifica l’espulsione stessa, nella prassi amministrativa tedesca l’esistenza di un interesse particolare all’esecuzione immediata del provvedimento di espulsione verrebbe constatato regolarmente, in modo quasi automatico e senza sufficiente motivazione. L’esame dei casi sottoposti alla Commissione non permetterebbe affatto di dedurre che le autorità amministrative tedesche prendano in esame il requisito dell’urgenza, presupposto dal diritto comunitario per procedere all’esecuzione immediata. A tal riguardo, la Commissione menziona 17 casi che non sarebbero conformi alle prescrizioni della normativa comunitaria. Oltre al ricorso quasi sistematico all’esecuzione immediata, sarebbe giocoforza constatare che l’esistenza di un interesse particolare della collettività all’esecuzione immediata, interesse che andrebbe necessariamente al di là di quello, generale, che giustifica l’espulsione, verrebbe affermata apoditticamente più che concretamente dimostrata.

117 Pertanto, la situazione giuridica e la prassi amministrativa tedesca avrebbero bisogno di essere chiarite in modo tale da non lasciar sussistere il minimo dubbio a tal riguardo.

118 Il governo tedesco risponde che l’ordine di esecuzione immediata è adottato a seguito di una verifica particolare dei presupposti specifici richiesti per potervi procedere. Il parallelismo spesso osservato tra le decisioni di espulsione e le decisioni di esecuzione immediata, le quali sono indipendenti le une dalle altre, sarebbe conseguenza quasi necessaria del fatto che i cittadini comunitari che soddisfano i presupposti molto rigorosi per poter essere oggetto di un provvedimento d’espulsione soddisfano quasi sempre anche i requisiti che permettono l’ordine di esecuzione immediata di tale provvedimento.

119 L’ordine di esecuzione immediata che accompagna le decisioni di espulsione non sarebbe in contrasto neanche con le garanzie procedurali previste dal diritto comunitario. Da un lato, i cittadini degli altri Stati membri potrebbero difendersi contro una decisione di espulsione usando gli stessi mezzi di ricorso a disposizione dei cittadini tedeschi contro gli atti amministrativi, mentre dall’altro, essi avrebbero sempre la facoltà di chiedere che il loro ricorso abbia effetto sospensivo (§ 80, n. 5, VwGO). Il diritto tedesco soddisferebbe quindi i requisiti minimi previsti dall’art. 9, n. 1, della direttiva 64/221 riguardo all’effetto sospensivo di un mezzo di ricorso.

120 Del resto, l’ampia protezione di natura procedurale che la Repubblica federale di Germania offrirebbe contro le espulsioni, andrebbe largamente al di là delle garanzie minime previste all’art. 9 della direttiva 64/221 e assicurerebbe una protezione effettiva dei diritti soggettivi che i cittadini comunitari ricevono dal diritto comunitario. Da un lato, in linea di principio, la legittimità e l’opportunità di un atto amministrativo arrecante un pregiudizio, anche in caso di una decisione di espulsione, sarebbero immediatamente esaminati, prima del ricorso in annullamento, in un procedimento preliminare davanti all’autorità amministrativa. Tale protezione procedurale sussisterebbe anche se la decisione di espulsione è accompagnata da un ordine di esecuzione immediata. Dall’altro lato, sarebbe sempre possibile il controllo da parte dei tribunali amministrativi, e ciò anche nel caso in cui il procedimento preliminare non avesse avuto luogo. Il tribunale amministrativo stabilirebbe d’ufficio gli elementi di fatto determinanti ed esaminarebbe esaurientemente la legittimità della decisione di espulsione sia sul piano formale che su quello sostanziale.

Giudizio della Corte

121 Occorre ricordare che le disposizioni dell’art. 9, n. 1, della direttiva 64/221 intendono concedere un minimo di garanzie procedurali ai soggetti colpiti da un provvedimento di allontanamento dal territorio. Tale articolo, che si applica in tre ipotesi, ossia se non sono ammessi ricorsi giurisdizionali, se tali ricorsi sono intesi ad accertare soltanto la legittimità del provvedimento o se essi non hanno effetto sospensivo, prevede l’intervento di un’autorità competente diversa da quella cui spetta l’adozione del provvedimento. Tranne in casi di urgenza, l’autorità amministrativa può pronunciarsi solo dopo aver sentito il parere dell’altra autorità competente (v., segnatamente sentenza Orfanopoulos e Oliveti, cit., punto 105).

122 Neanche in questo caso la Commissione è riuscita a dimostrare l’esistenza in Germania di una prassi amministrativa contrastante con le prescrizioni derivanti dall’art. 9, n. 1, della direttiva 64/221 che sia munita delle caratteristiche di costanza e generalità richieste dalla giurisprudenza della Corte.

123 Nel suo ricorso la Commissione si è limitata ad enumerare alcuni casi nei quali una decisione di espulsione immediata sarebbe stata presa in contrasto con le prescrizioni di detto art. 9, n. 1, senza fornire peraltro alla Corte le decisioni in causa, ma producendone solo un breve estratto nel ricorso. Anche in questo caso, la Commissione non è manifestamente riuscita a presentare alla Corte gli elementi necessari alla verifica da parte di quest’ultima dell’esistenza del presunto inadempimento, tanto più che il governo tedesco contesta la tesi difesa dalla Commissione, secondo la quale l’esame dei casi sottopostile non permetterebbe di concludere che le autorità tedesche abbiano preso in conto il criterio dell’urgenza che il diritto comunitario impone di rispettare prima di procedere all’esecuzione immediata.

124 Per di più, le 17 decisioni menzionate dalla Commissione sono state adottate, secondo le informazioni che risultano dal ricorso introduttivo del giudizio, tra il mese di agosto 1993 (caso Clarizia) e quello di luglio 2000 (caso Moffa), cioè nel corso di un periodo di circa sette anni. La Corte, pertanto, non può comunque constatare l’esistenza di una prassi generale e costante contraria al diritto comunitario, allorquando la Commissione, la quale non si può basare su alcuna presunzione, non è riuscita a fornirle gli elementi necessari per contestare la tesi del governo tedesco secondo la quale non esisterebbe una prassi generale e costante nel senso indicato dalla Commissione.

125 Di conseguenza, la censura della Commissione sull’esistenza di una prassi amministrativa incompatibile con il diritto comunitario, vista la giurisprudenza menzionata ai punti da 48 a 50 della presente sentenza, deve essere respinta come non fondata

126 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve concludere che, non avendo recepito in maniera sufficientemente chiara nel § 12, n. 1, dell’Aufenthaltsgesetz/EWG, le condizioni previste dal diritto comunitario per la limitazione della libera circolazione, la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi incombenti su di essa in forza dell’art. 39 CE, dell’art. 3 della direttiva 64/221 e dell’art. 10 della direttiva 73/148.

Sulle spese

127 A norma dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. La Repubblica federale di Germania ha fatto domanda di condanna contro la Commissione; questa è rimasta essenzialmente soccombente e va condannata alle spese. Ai sensi del n. 4 dello stesso articolo, gli Stati membri intervenuti nella causa a sostegno delle conclusioni della Commissione sopportano le proprie spese.

Per questi motivi, la Corte (Prima Sezione) dichiara e statuisce:

1) Non avendo recepito in maniera sufficientemente chiara nel § 12, n. 1, della legge sull’ingresso e sul soggiorno di cittadini degli Stati membri della Comunità economica europea (Gesetz über Einreise und Aufenthalt von Staatsangehörigen der Mitgliedstaaten der Europäischen Wirtschaftsgemeinschaft) del 21 gennaio 1980, le condizioni previste dal diritto comunitario per la limitazione della libera circolazione, la Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi incombenti su di essa in forza dell’art. 39 CE, dell’art. 3 della direttiva del Consiglio 64/221/CEE, 25 febbraio 1964 per il coordinamento dei provvedimenti speciali riguardanti il trasferimento e il soggiorno degli stranieri, giustificati da motivi d’ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica e dell’art. 10 della direttiva del Consiglio, 21 maggio 1973, 73/148/CEE relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei cittadini degli Stati membri all’interno della Comunità in materia di stabilimento e di prestazione di servizi.

2) Il ricorso è respinto quanto al resto.

3) La Commissione delle Comunità europee è condannata alle spese.

4) Le spese sostenute dalla Repubblica Italiana restano a suo carico.