PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA
ESPOSTO-DENUNZIA
I sottoscritti:
Elettra Deiana |
nata a Cagliari il
23 settembre 1941, residente a Roma in via Paolo II, 3 |
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Maurizio Gressi |
nato a Viterbo il
24 febbraio 1960, residente a Roma in via c. Rebora, 46 |
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Fabio Marcelli |
nato a Roma il 15
marzo 1956, residente a Roma in via Costanzo Cloro n. 61 |
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Francesco
Martone |
nato a Roma il 10
maggio 1961, residente a Roma in via Reggio Emilia, 16 |
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Silvana Pisa |
nata a Castel San
Pietro Terme (BO) il 28 gennaio 1944, residente in Roma, Via Benedetto, 18 |
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Maria Chiara
Acciarini |
nata a Torre
Pellice, 1 ottobre 1943, residente a Torino Corso duca degli Abruzzi 35 |
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Cayetana de
Zulueta (detta Tana) |
nata a Bogot
(Colombia) il 04 ottobre 1951, residente a Roma in via dei Giordani 20 |
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Antonio Iovene (detto Nuccio) |
nato a Roma il 30
ottobre 1955, residente a Roma in Via Assisi, 18 |
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Achille Occhetto |
nato a Torino il 3
marzo 1936, residente a Roma, in piazza Farnese 101 |
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Alessandro
Battisti |
nato a Roma il 7
maggio 1953, residente a Roma in via di S. Chiara 5 |
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Maura Cossutta |
nata
Monza il 27 luglio 1951,
residente a Roma in via Stazione di S. Pietro 22 |
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Pietro Folena |
nato a Padova il 14
luglio 1957, residente a Roma in via Aurelio Sossi, 25 |
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Giovanni Russo Spena |
nato ad Acerra (Na)
il 10 novenbre 1945, residente a Marano di Napoli Via Fratelli Baracca |
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Stefano Boco |
nato a Colle Val
d'Elsa (SI) il 20 gennaio 1956, residente a Firenze in via Romana, 70 |
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Laura Cima |
nata a Torino il 04
agosto 1942, residente a Torino
- Via Ventimiglia 194 |
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Graziella Mascia |
nata a Magenta
(Milano) il 3 settembre 1953, residente in via Imperia, 19 |
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Tommaso Sodano |
nato a
Pomigliano d'Arco (Napoli) il 6 dicembre 1957, residente a Pomigliano d'Arco
(Napoli) in via Nazionale Puglie, 1 |
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Luigi Malabarba |
nato a Gaggiano
(Milano) l'8 dicembre 1951, residente a Milano in Via
Caccialepori n. 16 |
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Angela Bellei |
nata a Modena il 14
marzo 1949, residente a Modena
in via del Luzzo n. 151 |
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Caterina De
Simone (detta Titti) |
nata a Palermo il
15 febbraio 1970, residente a Bologna Via Mascagni 1 |
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Alba Sasso |
nata a Bari il 8
marzo 1946, residente a Roma Viale Trastevere 123 |
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Katia Zanotti |
nata a Bologna il 1
aprile 1952, residente a Bologna Piazza Aldrovandi, 9 |
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Antonio Rotondo |
nato a Siracusa il
10 gennaio1953, residente a Siracusa in via Elorina, 164 |
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Valerio
Calzolaio |
nato a Recanati
(Macerata) l8 ottobre 1956, residente a Macerata in via Borgo Compagnoni, 53 |
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Loredana De
Petris |
nata a Roma il 24
novembre1957, residente a Roma in via Arta Terme, 146 |
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Gabriella
Pistone |
nata a Milano il 29
luglio 1951, residente a Roma in via Mecenate, 77 |
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Roberto Sciacca |
nato a Roma il 17
maggio 1959, residente a Roma in via
Costantino Corvisieri, 17 |
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Gianfranco
Pagliarulo |
nato a Bari il 16 settembre
1949, residente a Milano in via Esopo, 3 |
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Maurizio
Musolino |
nato a Roma il 9
aprile 1964, residente a Genzano (RM) in via Ercole De santis, 3 |
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Pierpaolo Cento |
nato a Roma il 10
luglio 1962, residente a Roma in via Costantino Mortati, 54 |
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Mauro Bulgarelli |
nato a Modena il 28
ottobre 1954, residente a Riccione in via Ceccarini, 109 |
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espongono quanto segue:
1. Gli sbarchi di profughi a Lampedusa e le
operazioni di respingimento verso la Libia
1. Nel mese di settembre/ottobre 2004 si verificata a Lampedusa unondata di sbarchi di profughi, giunti nellisola con mezzi di fortuna. Secondo una informativa resa dal Ministro dellInterno, onorevole Pisanu, alla Camera dei Deputati il 7 ottobre:
dal 29 settembre al 6 ottobre, sono giunti a Lampedusa 1.787 migranti: 544 sono stati avviati ai centri di accoglienza di Crotone, Ragusa e Caltanissetta, o perch richiedenti asilo (408) o perch trattenuti per accertamenti (136); 1.153 sono stati identificati, uno per uno, respinti e riammessi in Libia (si tratta per la precisione di 1.119 egiziani, 11 marocchini e 23 bangladesi).
Nel Centro di prima accoglienza di Lampedusa non stato consentito laccesso dei rappresentanti dellAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati fino a quando si sono concluse le procedure che hanno portato al respingimento o al trasferimento dei profughi. Infatti, nel corso della stessa comunicazione, il Ministro Pisanu ha dichiarato che: la visita dei rappresentanti dellAlto Commissariato stata formalmente richiesta il 4 ottobre ed autorizzata dopo due giorni, quando nel centro di Lampedusa si sono ristabilite le condizioni basilari di sicurezza per i visitatori.
Per lesecuzione dei respingimenti dei profughi sono state usate misure coercitive. In particolare come riconosciuto dal Ministro dellInterno nellinformativa resa alla Camera si fatto ricorso alluso di fascette di plastica in funzione di manette. (doc.1)
2. Nel mese di marzo del 2005 si verificata a Lampedusa una nuova ondata di sbarchi di profughi giunti nellisola con mezzi di fortuna. In particolare, fra il 13 ed il 16 marzo giungono sullisola circa 1.000 persone, fra cui donne e bambini.
3. Il 15 marzo inizia lattivit investigativa in collaborazione tra autorit italiane e libiche. Sul posto arrivano tre investigatori libici, giunti a con un aereo della Guardia di Finanza, partito da Roma con a bordo anche funzionari del Viminale. Le indagini sono allinsegna del massimo riserbo.
4. Il 16 marzo il direttore del CIR (Consiglio Italiano per i Rifugiati), Christopher Hein, scrive una lettera al Ministro dellInterno (doc. 2), Raffaele Pisanu, per chiedere lautorizzazione ad entrare nel CPT dellisola. Nella lettera, inoltre, lorganizzazione chiede che non si proceda ad alcun respingimento di massa verso la Libia degli stranieri arrivati a Lampedusa, ma che si valuti individualmente la situazione e leventuale richiesta di asilo e protezione in Italia.
5. Nel frattempo, hanno inizio le operazioni di trasferimento degli immigrati: circa 90 migranti vengono imbarcati nel cuore della notte su una nave della marina militare che prende il largo verso Augusta. Altri 122 sono partiti con il traghetto Siremar verso Porto Empedocle, dove giungono verso le 18,00. I migranti vengono avviati verso gli altri centri di permanenza. Parallelamente ai trasferimenti continuano gli sbarchi: i migranti raggiungono quota 1.000. Durante la mattinata dello stesso giorno, aerei militari C130 vengono inviati per effettuare respingimenti in Libia. I respingimenti per non vengono effettuati e gli aerei tornano vuoti nella base di Pisa.
6. Il 17 marzo, continua lattivit di CIR, Amnesty International e ACNUR per monitorare che non vengano violati le regole internazionali relative alla tutela dei rifugiati e dei diritti umani in generale. Tuttavia, vengono compiuti i respingimenti dei primi migranti (180), in Libia, con aerei della compagnia Blu Panorama e Air Adriatic .Viene negato laccesso al centro di permanenza di Lampedusa al rappresentante del CIR, Avv. Giorgio Bisagna, e al delegato UNHCR, Michele Manca di Nissa. Lo stesso giorno il CIR emana un appello urgente al Governo italiano chiedendo di interrompere i respingimenti di massa verso la Libia (doc. 3), seguito il giorno successivo da un analogo appello dellACNUR, ove si esprime grave preoccupazione per i rinvii forzati da Lampedusa (doc. 4).
7. Il 19 marzo, continuano i respingimenti: sembra che siano stati inviati altri migranti in Libia. Viene negato laccesso al CPT di Lampedusa alle senatrici de Zulueta (Verdi) e Acciarini (DS), fatto questo mai verificatosi in passato, godendo i parlamentari del diritto di accesso incondizionato a tutti i luoghi di detenzione. Il 20 marzo, dopo le accese proteste e dopo lannuncio di presentazione di interrogazioni a risposta urgente al Ministro degli Esteri e al Ministro degli Interni (doc. 5), le senatrici vengono finalmente ammesse allinterno del centro di Lampedusa insieme ad un interprete, ancorch sia loro impedito di effettuare una visita approfondita dello stesso.
8. Le due senatrici hanno descritto in un comunicato stampa le condizioni degli stranieri, rilevando quanto segue: "Abbiamo parlato con i migranti tramite il nostro interprete. Si trovano in condizioni fisiche e psicologiche tremende. Stamane i migranti erano circa seicento, ammassati in condizioni indegne di un paese civile: alcuni si trovavano l da 5-7 giorni, non hanno ricevuto n materassi n coperte (e la notte ha fatto molto freddo), non c' acqua calda ed i 10 WC sono rotti. Un uomo, operato di recente alla tiroide, collassato, ed uno di coloro che hanno tentato la fuga all'aeroporto ieri svenuto dopo essere stato costretto ad imbarcarsi", proseguono de Zulueta ed Acciarini. "Oltre al danno, la beffa: ai migranti sono stati consegnati opuscoli in arabo, francese ed inglese in cui sono elencati i loro diritti, tra cui quello di usare cellulari, di poter usufruire di un telefono e di ricevere assistenza legale. Invece queste persone non hanno potuto neanche chiamare i propri cari per rassicurarli circa la loro sorte e soprattutto non era presente nessun avvocato. Nel centro ci sono anche cinque donne, a cui abbiamo prestato i cellulari per chiamare le proprie famiglie ". "Per quanto riguarda le procedure per le domande d'asilo, non solo i migranti non erano informati di questo loro diritto", sottolineano le senatrici, "ma nel centro non sono mai potuti entrare i rappresentanti dell'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati, che infatti nei giorni scorsi ha protestato ufficialmente". "Nel centro, a differenza di quanto accaduto in ottobre, la polizia scientifica compie le identificazioni. Ma allora", chiedono con forza de Zulueta e Acciarini, "perch tenere queste persone stipate in condizioni aberranti a Lampedusa? Inoltre, se i colloqui per l'identificazione vengono svolti inaccettabile che siano esclusi i rappresentanti dell'ACNUR, in palese violazione della Convenzione sui Rifugiati".
2. Le condizioni inumane e degradanti cui sono
sottoposti i profughi respinti in Libia
1. Come noto la Libia non ha ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati e, pur avendo ratificato la Convenzione contro la tortura e gli altri trattamenti o pene crudeli, inumane e degradanti il 16 maggio 1989, non ha riconosciuto la competenza del Comitato da essa istituito a ricevere ed esaminare ricorsi individuali ai sensi dellart. 22 della Convenzione. Negli ultimi tempi, anche per effetto del riavvicinamento politico-diplomatico con lEuropa, la Libia ha avviato una strategia di contenimento dei flussi di profughi estremamente rigorosa che viene attuata nel pi completo dispregio di ogni elementare garanzia dei diritti fondamentali della persona e soprattutto che non tiene conto minimamente dei pericoli cui i singoli profughi possono essere esposti nei Paesi dove vengono rinviati.
2. Nei giorni successivi agli sbarchi ed ai primi respingimenti, la stampa nazionale (doc. 6) ha dato particolare risalto ad una serie di notizie ben documentate circa la sorte degli immigrati che vengono respinti dallItalia in Libia in forza dellaccordo stipulato tra i Governi dei due Paesi in data 25 agosto 2004 (il cui testo, peraltro, non mai stato reso pubblico). Dalle informazioni raccolte anche grazie al contributo di organizzazioni non governative di nota imparzialit (quali la Mezza luna rossa) operanti in territorio libico e dalle stesse rivelazioni delle autorit libiche, emerge una situazione davvero catastrofica in cui il rispetto dei diritti umani fondamentali non soltanto a rischio ma oggetto di una flagrante e massiccia negazione.
3. Contrariamente alle rassicurazioni fornite dal Governo italiano al momento della stipulazione del predetto accordo, la maggior parte dei profughi espulsi verso la Libia vengono trattenuti dalle autorit di quel Paese nel campo di detenzione di Al Gatrun, situato in pieno deserto, e poi rispedite nei relativi Paesi di origine non gi in aereo ma con mezzi di fortuna che attraversano il deserto libico fino al confine nigeriano. Una traversata infernale di circa dieci giorni, senza soste ed in condizioni estreme, tra dune, montagne, violenze e dolore; una traversata che, da settembre, ha gi provocato 106 morti, secondo le fonti ufficiali libiche, ma che in realt potrebbe aver provocato ben pi alte perdite di vite umane. A questo proposito, si veda laccurato reportage pubblicato su LEspresso del 24 marzo 2005 (doc. 7), nonch il servizio trasmesso nel corso del programma televisivo Ballar (RAI 3) del 21 dicembre 2004 (doc. 8).
3. Le iniziative assunte in sede comunitaria dalle
organizzazioni non governative e la posizione assunta dal Parlamento Europeo
sul problema delle espulsioni collettive verso la Libia
1. Da quando le autorit italiane hanno cominciato ad attuare la politica dei respingimenti forzati di massa verso la Libia (nel vano tentativo di limitare i flussi di profughi provenienti dallAfrica del Nord), molte organizzazioni non governative si sono attivamente impegnate per denunciare la violazione dei diritti fondamentali cui tale politica d luogo. Un primo appello-denuncia, sottoscritto da dieci ONG[1], era stato trasmesso alla Commissione Europea dopo le espulsioni collettive di ottobre, con la richiesta di adottare delle sanzioni nei confronti dellItalia (doc. 9).
2. Contestualmente, diversi eurodeputati hanno rivolto uninterrogazione al Presidente della Commissione europea, domandandogli come intendesse fare cessare le espulsioni da Lampedusa ed esigere dallItalia il rispetto dei suoi obblighi in virt del diritto internazionale e comunitario. Il Commissario per la Libert, la Sicurezza e la Giustizia, gi Ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, ha risposto agli eurodeputati, contro ogni evidenza, che le espulsioni erano state effettuate nel rispetto delle regole e che lo stato attuale del diritto comunitario non consentiva alla Commissione di azionare delle procedure dinfrazione per quanto riguarda il comportamento degli Stati membri in materia dasilo. Investito della questione il Parlamento europeo non stato dello stesso avviso ed ha approvato una risoluzione di condanna dellItalia in data 14 aprile 2005, con la quale, invita lItalia e tutti gli Stati membri ad astenersi dalleffettuare espulsioni collettive di richiedenti asilo e di migranti irregolari verso la Libia o altri paesi e ad assicurare lesame individuale delle domande di asilo nonch il rispetto del principio di n refoulement. (doc.10)
3. Il problema dellillegittimit della prassi dei respingimenti collettivi in Libia dei profughi stato sollevato anche dinanzi alla Corte Europea dei Diritti delluomo a seguito di un ricorso durgenza con la richiesta di misure provvisorie proposto da alcuni profughi sbarcati a Lampedusa (Ricorso n. 11593/05 - Salem Mohamed + 78 c/o Italia) in data 1 aprile 2005. In data 6 aprile la Terza Sezione della Corte Europea ha chiesto allItalia chiarimenti in ordine alle procedure adottate (doc.11). Quindi, in data 10 maggio 2005 la Corte come misura provvisoria, in applicazione dellart. 39 del Regolamento, ha ingiunto allItalia di non procedere allespulsione di 11 ricorrenti (doc.12). Analogo provvedimento, sempre la Corte, ha assunto per un altro caso in data 13 maggio 2005 (doc. 13). Nei primi giorni del mese di giugno 2005, dopo oltre 100 giorni di detenzione ovvero ben oltre i 30 pi 30 previsti dal T.U. e dopo numerose ingiunzioni per limmediata rimessa in libert da parte dei loro avvocati, solo 2 dei ricorrenti (dei 12 individuati dalla Corte) sono potuti uscire dai centri in cui erano trattenuti. La sorte delle altre 10 persone non attualmente conosciuta e nessuna informazione relativa alla loro sorte stata resa ai loro avvocati. Si aggiunga, infine, che tale dilatazione irregolare del trattenimento amministrativo , peraltro, anche in aperto contrasto con quanto stabilito dalla linea guida n. 7 del Consiglio dEuropa (925 meeting, 4 maggio 2005 CAHAR) (doc. 14).
4. Nuovi sbarchi di profughi a Lampedusa e ripresa
delle espulsioni in Libia.
Nella seconda settimana di maggio del 2005 sono ripresi gli sbarchi di profugi a Lampedusa ed in altre localit della Sicilia. Secondo notizie di stampa l11 maggio si trovavano nel Centro di accoglienza di Lampedusa circa 1.100 profughi, fra i quali donne e bambini. I profughi sono stati trasferiti verso altri centri di permanenza. Anche in questoccasione la gestione del flusso dei profughi avvenuta senza trasparenza alcuna ed in assenza di ogni controllo giurisdizionale. Malgrado la Risoluzione del Parlamento Europeo (doc. 10) e il provvedimento adottato dalla Corte Europea dei Diritti delluomo (doc. 11), di cui si detto, sono riprese le pratiche delle espulsioni in Libia. Secondo notizie giornalistiche (Liberazione del 22 maggio 2005 doc. 15), vi sono stati due voli, con partenza da Lampedusa, nei quali sono stati imbarcati un gruppo di 67 persone ed un altro gruppo di 58. Tutti i profughi sono stati ammanettati con delle fascette di plastica.
Ancora, alle reiterate richieste parlamentari (interrogazioni presentate in data 17 maggio 2005) sulla natura degli accordi tra Italia e Libia in materia di cooperazione per il contrasto alla immigrazione clandestina non stata data nessuna risposta e la natura di detti accordi rimane sconosciuta al Parlamento (doc. 16), nonostante sia stato recentemente reso noto il contenuto di un rapporto riservato della Commissione Europea sui campi di detenzione in Libia che conferma violazioni di diritti umani e condizioni inumane di trattamento dei migranti (doc. 17).
5. La disciplina del respingimento degli stranieri
questioni di illegittimit costituzionale.
1.Lart. 10
T.U. disciplina il primo istituto preordinato alla repressione
dellimmigrazione illegale, ossia il respingimento. Ai sensi del primo comma, la polizia di
frontiera respinge gli stranieri che si presentano ai valichi di frontiera senza avere i requisiti
richiesti dal presente testo unico per lingresso nel territorio dello Stato; il secondo comma disciplina invece i casi di respingimento
cd. differito: il respingimento con accompagnamento alla frontiera altres disposto dal
questore nei confronti degli
stranieri: a) che entrando nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera, sono fermati
allingresso o subito dopo; b) che, nelle circostanze di cui al comma 1, sono stati temporaneamente
ammessi nel territorio per
necessit di pubblico soccorso.
I dubbi sorti
inizialmente sulla possibile configurazione del respingimento (attivit
materiale delle forze di polizia o atto amministrativo e sulla relativa tutela,
sono stati superati dallart. 3, comma 3 D.P.R. 394/1999, ai sensi del quale il
provvedimento che dispone il
respingimento, il decreto di
espulsione, il provvedimento di revoca o di rifiuto del permesso di soggiorno,
quello di rifiuto della conversione del titolo di soggiorno, la revoca od il
rifiuto della carta di soggiorno, sono comunicati allo straniero mediante
consegna a mani proprie o notificazione del provvedimento scritto e motivato,
contenente lindicazione delle eventuali modalit di impugnazione, effettuata
con modalit tali da assicurare la riservatezza del contenuto dellatto
Le ipotesi di respingimento
suscitano molte perplessit,
concernenti, in particolare, le previsioni di cui al comma 2 dellart. 10 T.U.,
da una parte, per lampia discrezionalit che attribuita allautorit di polizia
nellindividuazione dei relativi presupposti e, dallaltra, per il grave vulnus alle garanzie costituzionali dei migranti
rappresentato dal rischio dellassenza di qualsiasi controllo giurisdizionale:
poich lesecuzione di tale forma di respingimento implica inevitabilmente una coercizione della libert personale dello straniero, la disciplina vigente, che non contempla alcun intervento del
giudice, vola la riserva di giurisdizione prevista dallart. 13 della Costituzione, come le indicazioni provenienti dalla
giurisprudenza costituzionale (la sent. n. 105/2001 e la pi recente sent. n.
222/2004) confermano univocamente.
2. In
particolare la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 105 del 10 aprile 2001
ha rilevato che: Il
trattenimento dello straniero presso i centri di permanenza temporanea e
assistenza misura incidente sulla libert personale, che non pu essere
adottata al di fuori delle garanzie dell'articolo 13 della Costituzione. Si pu
forse dubitare se esso sia o meno da includere nelle misure restrittive tipiche
espressamente menzionate dall'articolo 13; e tale dubbio pu essere in parte
alimentato dalla considerazione che il legislatore ha avuto cura di evitare,
anche sul piano terminologico, l'identificazione con istituti familiari al
diritto penale, assegnando al trattenimento anche finalit di assistenza e
prevedendo per esso un regime diverso da quello penitenziario. Tuttavia, se si
ha riguardo al suo contenuto, il trattenimento quantomeno da ricondurre alle
"altre restrizioni della libert personale", di cui pure si fa
menzione nell'articolo 13 della Costituzione. Lo si evince dal comma 7
dell'articolo 14, secondo il quale il questore, avvalendosi della forza
pubblica, adotta efficaci misure di vigilanza affinch lo straniero non si
allontani indebitamente dal centro e provvede a ripristinare senza ritardo la
misura ove questa venga violata.
Si determina dunque nel caso del trattenimento, anche quando questo non sia
disgiunto da una finalit di assistenza, quella mortificazione della dignit
dell'uomo che si verifica in ogni evenienza di assoggettamento fisico
all'altrui potere e che indice sicuro dell'attinenza della misura alla sfera
della libert personale.
N potrebbe dirsi che le garanzie dell'articolo 13 della Costituzione subiscano
attenuazioni rispetto agli stranieri, in vista della tutela di altri beni
costituzionalmente rilevanti. Per quanto gli interessi pubblici incidenti sulla
materia della immigrazione siano molteplici e per quanto possano essere
percepiti come gravi i problemi di sicurezza e di ordine pubblico connessi a
flussi migratori incontrollati, non pu risultarne minimamente scalfito il
carattere universale della libert personale, che, al pari degli altri diritti
che la Costituzione proclama inviolabili, spetta ai singoli non in quanto
partecipi di una determinata comunit politica, ma in quanto esseri umani.
Ritornando
sullargomento, con la sentenza n. 224 del 15 luglio 2004, la Corte ha
dichiarato l'illegittimit
costituzionale dell'art. 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
(Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero), introdotto dall'art. 2 del
decreto-legge 4 aprile 2002, n. 51 (Disposizioni urgenti recanti misure di
contrasto all'immigrazione clandestina e garanzie per soggetti colpiti da
provvedimenti di accompagnamento alla frontiera), convertito, con
modificazioni, nella legge 7 giugno 2002, n. 106, nella parte in cui non prevede
che il giudizio di convalida debba svolgersi in contraddittorio prima
dell'esecuzione del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, con le
garanzie della difesa. Nella parte motiva la Corte ha rilevato che: Il
procedimento regolato dall'art. 13, comma 5-bis, contravviene ai princip
affermati da questa Corte nella sentenza sopra ricordata: il provvedimento di
accompagnamento alla frontiera eseguito prima della convalida da parte
dell'autorit giudiziaria. Lo straniero viene allontanato coattivamente dal
territorio nazionale senza che il giudice abbia potuto pronunciarsi sul
provvedimento restrittivo della sua libert personale. , quindi, vanificata la
garanzia contenuta nel terzo comma dell'art. 13 Cost., e cio la perdita di
effetti del provvedimento nel caso di diniego o di mancata convalida ad opera
dell'autorit giudiziaria nelle successive quarantotto ore. E insieme alla
libert personale violato il diritto di difesa dello straniero nel suo nucleo
incomprimibile. La disposizione censurata non prevede, infatti, che questi
debba essere ascoltato dal giudice, con l'assistenza di un difensore. Non
certo in discussione la discrezionalit del legislatore nel configurare uno
schema procedimentale caratterizzato da celerit e articolato sulla sequenza
provvedimento di polizia-convalida del giudice. Vengono qui, d'altronde, in
considerazione la sicurezza e l'ordine pubblico suscettibili di esser
compromessi da flussi migratori incontrollati. Tuttavia, quale che sia lo
schema prescelto, in esso devono realizzarsi i princip della tutela
giurisdizionale; non pu, quindi, essere eliminato l'effettivo controllo sul
provvedimento de libertate, n pu essere privato l'interessato di ogni
garanzia difensiva.
3. A seguito della
sentenza n. 222/2004, il legislatore nuovamente intervenuto, delineando la
nuova procedura di convalida di cui allart. 13, comma 5-bis, T.U. introdotta con il d.l. n. 241/2004
convertito anche sul punto con modificazioni dalla l. n. 271/2004. La
disciplina delineata dal nuovo comma 5-bis dellart. 13 T.U. stabilisce che il questore comunica immediatamente
e, comunque, entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente
competente il provvedimento con il quale disposto laccompagnamento alla
frontiera: poich la disposizione in esame stabilisce che in attesa della
definizione del procedimento di convalida, lo straniero espulso trattenuto in
uno dei centri di permanenza temporanea ed assistenza, di cui allarticolo 14
(salvo che il procedimento possa essere definito nel luogo in cui stato
adottato il provvedimento di allontanamento anche prima del trasferimento in
uno dei centri disponibili), deve ritenersi che la competenza territoriale del
giudice di pace vada individuata sulla scorta dellart. 14, comma 3, ai sensi
del quale il questore del luogo in cui si trova il centro trasmette copia
degli atti al giudice di pace territorialmente competente, per la convalida,
senza ritardo e comunque entro le quarantotto ore dalladozione del
provvedimento.
4. Le citate pronunzie della Corte Costituzionale (e le conseguenti disposizioni legislative) non hanno preso direttamente in considerazione il tema della sostenibilit costituzionale della procedura di respingimento differito di cui allart. 10 del T.U. poich questo argomento non stato oggetto di ordinanze di rimessione, per hanno posto dei caposaldi in tema di trattamento degli stranieri che non possono essere ignorati dalle autorit amministrative nellesercizio dei poteri di polizia in funzione di contrasto allimmigrazione illegale.
La
Corte ha chiarito benissimo che le pur apprezzabili esigenze di governo o di
contrasto dei flussi immigratori incontrollati non possono minimamente scalfire
il carattere universale della
libert personale e degli altri diritti che la Costituzione dichiara
inviolabili, che spettano ai singoli, non in quanto partecipi di una comunit
politica, ma in quanto essere umani. Fra questi diritti inviolabili vi ,
indiscutibilmente, il diritto alla vita ed allincolumit fisica e morale, il
diritto alla libert personale ed il diritto alla tutela giurisdizionale.
4. La disciplina delle espulsioni e dei respingimenti degli stranieri particolarmente delicata perch lesecuzione di tali provvedimenti incide inevitabilmente sulla libert personale ed espone linteressato a rischi per la sua stessa vita, per cui la tutela giurisdizionale oltre ad essere giuridicamente incomprimibile riveste importanza esiziale. Ci comporta che non tutti coloro che sono entrati illegalmente nel territorio italiano o vi si trattengano in assenza di un valido titolo di soggiorno possano essere espulsi. A tutela dei diritti fondamentali degli stranieri-immigrati irregolari ed, in adempimento di obblighi internazionali assunti dallItalia, la legge pone una serie di divieti espliciti di espulsione, a cui si aggiungono altre situazioni impeditive enucleate dalla giurisprudenza ordinaria e costituzionale.
6. I divieti legali di espulsione
1.Lart. 19
T.U. prevede una serie di divieti di espulsione e di respingimento dello
straniero irregolare, ai quali la giurisprudenza ha aggiunto altri casi basati
sulla necessit di evitare che lespulsione vada in pregiudizio dei diritti
fondamentali della persona: si tratta di veri e propri divieti di adottare il
provvedimento espulsivo o di eseguirlo se gi adottato al sorgere delle
relative fattispecie. Altre limitazioni derivano da norme internazionali, come
il divieto di espulsioni collettive previsto dallart. 4 del protocollo n. 4
addizionale della Convenzione europea dei diritti delluomo (D.P.R. n.
217/1982)
2. Divieto
di espulsione degli stranieri che possano essere oggetto di persecuzione (art.
19 co. 1). Ai sensi dellart. 19, comma 1 in nessun
caso pu disporsi lespulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo
straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso,
di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato
nel quale non sia protetto dalla persecuzione.
Il divieto si
riferisce alla semplice possibilit che lo straniero sia perseguitato; agli
stranieri inespellibili ai sensi di tale norma viene rilasciato un permesso di
soggiorno per motivi umanitari, previo parere delle Commissioni territoriali
per il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero acquisizione
dallinteressato di idonea documentazione (art. 11, comma 1, lettera c-ter reg.
att.).
La giurisprudenza
(Trib. Gorizia, ord. 9.11.2000, in Diritto., immigrazione e cittadinanza, n.
1/2001, p.117: il caso riguardava lespulsione di una persona di etnia curda
proveniente dalla Turchia) ha affermato che la difficolt di reperire prove in
senso tecnico delle dichiarazioni del ricorrente nei procedimenti del tipo di
quello di specie nota e risponde alla natura delle fattispecie oggetto di
giudizio, in cui sono coinvolti soggetti che si trovano lontano dalla nazione
di origine e che sono spesso impossibilitati a procurarsi agevolmente la
documentazione necessaria al loro stato. In considerazione di ci, anche i
generici elementi indiziari posti a fondamento del ricorso quali la
documentazione estrapolata dal rapporto di Amnesty International e lavvenuto
inizio del procedimento per il riconoscimento dello status di rifugiato e la
notoria contrapposizione, violenta
e duratura, tra gli
appartenenti alle due maggiori etnie della Turchia devono considerarsi idonei a
costituire valido riscontro della tesi esposta in difesa. Nello stesso senso,
si affermato che la ricorrenza dellipotesi di divieto di espulsione
prevista dal 1 comma dellart. 19 pu essere provata anche attraverso elementi
indiziari a causa degli scarsi strumenti istruttori a disposizione del giudice
e della celerit che connota tale tipo di processo (Trib. Firenze, ord.
18.9.20002, in Diritto, Immigrazione e cittadinanza n. 2/2003, 113).
evidente la
correlazione tra questa disposizione, da una parte, e il diritto di asilo di
cui allart. 10 Cost. e lo status di rifugiato ai sensi della Convenzione di
Ginevra, dallaltro (vds. infra cap. 7). Al riguardo, la giurisprudenza ha
ritenuto che la richiesta di asilo politico fatta dallo straniero irregolare
debba comunque essere presa in considerazione, qualunque sia il momento in cui
avanzata, al fine di valutare la legittimit dellespulsione amministrativa
(Trib. Trapani, ord. 6.6.2000, in Diritto, Immigrazione e cittadinanza, n.3/2000, 99).
3. Divieto
di espulsione degli stranieri minori di anni 18, salvo il diritto a seguire il
genitore o laffidatario espulsi (art. 19.2, lett. a). Il divieto di espulsione si riferisce sia ai minori
stranieri figli di almeno un genitore regolarmente soggiornante in Italia, sia
a quelli legalmente affidati a cittadino italiano o straniero regolare, sia ai
minori non accompagnati.
Per quanto riguarda
i minori figli di stranieri irregolari, la legge prevede espressamente il
diritto del minore a seguire i familiari espulsi; secondo la giurisprudenza, il
divieto di espulsione del minore non pu essere interpretato nel senso che il
divieto si estenda per insopprimibili esigenze di unit della famiglia anche ai
genitori immigrati irregolarmente, che potranno invece portare con s il figlio
per garantire lunit familiare (Cass. civ. n. 9326 del 14.7.2000). In questi
casi invece pu operare la previsione dellart. 31.3 T.U., per il quale il
Tribunale per i minorenni pu autorizzare, in deroga alle altre disposizioni di
legge, la permanenza in Italia dei familiari del minore per gravi motivi
connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dellet e delle condizioni
di salute del minore che si trova nel territorio italiano; al genitore viene
rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di salute (art. 11, comma 1
lett. c-quinquies reg.att.). Il permesso di soggiorno cos concesso, secondo la
giurisprudenza formatasi prima delle modifiche apportate dal d.P.R. n.
334/2004, consente, tra laltro, liscrizione nelle liste di collocamento
nonch lo svolgimento di lavoro subordinato o autonomo (Trib. Minorenni Firenze,
ordinanza 21.1.2003, in Diritto, Immigrazione e cittadinanza., 1/2004, p. 167).
Per quanto riguarda
i minori non accompagnati, va ricordato che previsto per loro, invece della
ordinaria espulsione, il rimpatrio assistito disposto a cura del Comitato per
i minori stranieri, che pu essere legittimamente adottato facendo constare la
previa valutazione delle condizioni del minore e della effettiva possibilit di
proficuo reinserimento nella societ di provenienza. Al di l della formula
utilizzata, tale istituto permette in realt un allontanamento dal territorio
dello Stato deciso in via meramente amministrativa come nellespulsione e senza
un procedimento nel quale possa essere fatto valere in termini di effettivit
dal minore e da un suo rappresentante il prevalente interesse del minore che
secondo la Corte costituzionale prioritario anche nel rimpatrio assistito.
Tuttavia se il minore ancora in Italia al raggiungimento della maggiore et,
non gli pu essere preclusa, se ne ha i requisiti, la possibilit di presentare
la domanda di permesso di soggiorno per uno dei motivi di studio, di lavoro o
di cura previsti dallart. 32 (fra i tanti, T.A.R. Toscana, sentenza n. 1902
del 9.9.2002). Nel caso in cui comunque debba essere disposta lespulsione di
un minorenne straniero, il provvedimento deve essere adottato, su richiesta del
questore, dal Tribunale per i minorenni, e si ritiene che ci avvenga anche nel
caso di espulsione per motivi di ordine pubblico o di sicurezza.
4.Divieto
di espulsione degli stranieri titolari di carta di soggiorno (art. 19.2,
lettera b)
5. Divieto
di espulsione degli stranieri conviventi con parenti entro il quarto grado o
con il coniuge, di nazionalit italiana (art. 19.2, lettera c).
6. Divieto
di espulsione delle donne in stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla
nascita del figlio cui provvedono (art. 19.2, lettera d)
Secondo la Corte
costituzionale si tratta pi che di un divieto assoluto di espulsione, di una
temporanea sospensione del relativo potere, fondata sulla tutela che
lordinamento appresta alla donna incinta e nel periodo immediatamente
successivo alla nascita del figlio. La tutela si pone a protezione sia della
stessa donna che del figlio minore, nascituro o nato. Proprio per garantire al
figlio lassistenza di un nucleo familiare in grado di accudirlo in modo
idoneo, la Corte costituzionale (sent.n. 376/2000) ha esteso il divieto di
espulsione al marito straniero convivente della donna, nel periodo di
gravidanza e dopo la nascita, in quanto la protezione della famiglia non pu
non ritenersi estesa anche agli stranieri che si trovino a qualunque titolo sul
territorio dello Stato.
7. Altri
impedimenti allespulsione
1.Nellapplicazione
del testo unico sullimmigrazione sono emerse diverse carenze in relazione alla
disciplina dellespulsione, alcune delle quali sono state oggetto di interventi
additivi della Corte Costituzionale, altre sono state colmate dalla
giurisprudenza in via interpretativa. Un primo fondamentale aspetto riguarda il
diritto alla salute, che
costituisce un diritto fondamentale della persona. Lampiezza della tutela
della salute dello straniero irregolare stata delineata da una pronuncia
della Corte costituzionale, che (investita della legittimit dellart. 19.2
nella parte in cui non prevede il divieto di espulsione dello straniero
extracomunitario irregolare che permanga nel territorio dello Stato al solo
scopo di terminare un trattamento terapeutico che risulti essenziale in
relazione alle sue pregresse condizioni di salute) ha affermato, con la
sentenza n. 252/2001 che esiste un nucleo irriducibile del diritto alla salute
protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignit umana () che
deve essere riconosciuto anche agli stranieri, qualunque sia la loro posizione
rispetto alle norme che regolano lingresso e il soggiorno nello Stato. Nella
prospettiva indicata dalla Corte, compito del medico operare la valutazione
dello stato di salute del soggetto e della indifferibilit ed urgenza delle
cure, caso per caso, secondo il suo prudente apprezzamento, mentre spetter al
giudice provvedere per la non esecuzione dellespulsione.
Analoghe a questa
decisione della Corte Costituzionale sono altre dei giudici di merito che
antepongono, rispetto allinteresse dello Stato di espellere lo straniero
irregolare, la necessit, per tutelare il superiore interesse del fanciullo, di permettere la permanenza del genitore
straniero di minore italiano in quanto il diritto e il dovere dei genitori di
mantenere, istruire ed educare i figli e perci di tenerli con s e il diritto
dei genitori e dei figli ad una vita comune nel segno dellunit della famiglia
sono diritti fondamentali della persona che perci spettano in via di principio
anche agli stranieri (Trib. Bologna, ord. 22.12.2003, in Diritto, immigrazione.
e cittadinanza, 1/2004, p. 157; vedi anche Tribunale Genova, ordinanza
23.1.2003, in Diritto, immigrazione e cittadinanza. 3/2003, p. 141); la
prevalenza del diritto del minore a crescere con la propria famiglia rispetto
allinteresse dello Stato a punire con lespulsione unirregolarit
amministrativa legata al reingresso in Italia (Tribunale di Torino, ordinanza
18.6.2003, in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 3/2003, p. 142).
8. Lo status di
rifugiato. La disciplina di cui alla legge n. 39/90. I Limiti allespulsione
del rifugiato.
1.Un limite sostanziale alla possibilit di
eseguire tanto lespulsione dello straniero, quanto il c.d. respingimento
differito rappresentato dagli obblighi internazionale assunti dallItalia in
tema di protezione dei rifugiati. A livello
internazionale stata adottata, nellambito delle Nazioni Unite, la Convenzione
di Ginevra sui rifugiati del 1951, la cui
ratifica stata autorizzata in Italia con la legge 24 luglio 1954, n. 722. La stessa Convenzione stata attuata nel nostro
ordinamento con lart. 1 della legge 39/1990, c.d. legge Martelli, vigente sino al 21 aprile 2005, e
con il relativo regolamento di attuazione (d.P.R. 5 maggio 1990, n. 136) contenente la procedura per lesame delle istanze.
2.Lart.
1 della legge 39/1990 stato recentemente modificato dagli artt. 31 e 32
della legge 189/2002, che, in forza dellart. 34, co. 3 della stessa legge, si
applicano a decorrere dalla data di entrata in vigore del regolamento previsto
dalla stessa novella. Il regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento dello
status di rifugiato stato introdotto con il d.P.R. 16 settembre 2004, n. 303, pubblicato nella G.U. n. 299
del 22
dicembre 2004: il
regolamento entrato in vigore a partire dal centoventesimo giorno dalla pubblicazione (ossia dal 21 aprile 2005) e, dunque, solo da tale data
trova applicazione il nuovo sistema delineato dalla l. 189/2002; fino ad
allora, hanno continuato ad applicarsi le norme di cui alla l. 39/1990 nella
versione anteriore alla novella del 2002.
3.Occorre
evidenziare che n lart.1 della L. 39/90, n le modifiche introdotte dalla
L.189/2002 riguardano la definizione del termine rifugiato, per il cui
contenuto si rimanda direttamente alla dizione della Convenzione di Ginevra.
Secondo tale norma rifugiato colui che fugge dal proprio Paese o che non
vuole rientrarvi in quanto teme a ragione di essere perseguitato per motivi di
razza, religione, cittadinanza, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue
opinioni politiche. Occorre pertanto un timore
fondato di subire una persecuzione e non necessario che la persecuzione sia
gi avvenuta.
Occorre
precisare che la categoria dei rifugiati, in base alla Convenzione di Ginevra
non corrisponde a quella dei richiedenti asilo ai sensi dellart. 10 Cost. La Corte di Cassazione nella sentenza
delle Sezioni Unite n. 4674/1997 (in Riv. Dir. Int. 1997, p.845) ha infatti
espressamente affermato che la l. 39/1990 non pu essere considerata legge di attuazione dellart.
10, terzo comma, Cost..
4.Occorre,
pertanto, evidenziare che quando la stessa L.189/2002 parla specificamente di
Disposizioni in materia di asilo, con riferimento ai richiedenti asilo,
tali disposizioni riguardano unicamente la fattispecie che ha come presupposto
la Convenzione di Ginevra sul riconoscimento dello status di rifugiato. Per il
riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra, la procedura
quella delineata dallart. 1 l. 39/1990. In base a tale legge che, come si
detto, ha trovato applicazione fino allentrata in vigore delle norme
introdotte dalla l. n. 189/2002, listanza di riconoscimento dello status di rifugiato deve essere
presentata allUfficio di polizia di frontiera, al momento dellarrivo al
confine o alla Questura, della provincia in cui il richiedente si trova. Tale
domanda dovrebbe essere inoltrata entro otto giorni dallingresso nel
territorio italiano ma, per giustificati motivi, la si pu presentare anche
oltre tale termine: le ragioni di una domanda tardiva rispetto allingresso
possono essere varie inclusa anche lipotesi che il timore di persecuzione sia
sorto successivamente allingresso. Al richiedente asilo viene rilasciato un
permesso di soggiorno di durata limitata a tre mesi ma rinnovabile sino alla
decisione finale sulla domanda da parte della Commissione centrale per il
riconoscimento dello status di rifugiato, istituita con il D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136, in
attuazione dellarticolo 1 della l. 39/1990. La Commissione valuta, anche
mediante audizione personale del richiedente asilo, se sussistono i presupposti
per il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di
Ginevra.
5.Secondo
lart.1 della L.39/90 non consentito lingresso del territorio dello Stato
dello straniero che intende chiedere il riconoscimento dello status di rifugiato quando da riscontri
obbiettivi da parte della Polizia di frontiera risulti che il richiedente:
sia gi stato riconosciuto come rifugiato in un altro Paese; provenga da uno
Stato diverso da quello di appartenenza, che abbia aderito alla Convenzione di
Ginevra, nel quale abbia trascorso un congruo periodo di tempo; abbia commesso
un crimine contro lumanit, di guerra e contro la pace, un crimine grave di diritto
comune al di fuori del Paese di accoglimento o azioni contrarie alle finalit
delle Nazioni Unite; od ancora che sia stato condannato in Italia per uno dei
delitti previsti dallart. 380, commi 1 e 2, c.p.p., ovvero risulti pericoloso
per la sicurezza dello Stato, appartenente a organizzazioni mafiose o dedite al
traffico di stupefacenti o terroristiche. Occorre sottolineare che la
determinazione della competenza da parte delle autorit italiane effettuata
anche in base al regolamento 343/2003/CE del 18 febbraio 2003 che stabilisce i
criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per
lesame di una domanda dasilo presentata da parte di un cittadino di un paese
terzo in uno degli Stati membri.
Le
modifiche introdotte dalla L. 189/2002, riguardano soprattutto il trattamento
dei richiedenti asilo, prevedendo che nella generalit dei casi essi
debbano essere trattenuti nei centri di accoglienza per i richiedenti asilo, ed
introducendo una procedura semplificata per la definizione della istanza di
riconoscimento dello status di rifugiato ed istituendo delle Commissioni
territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato.
6.
I limiti allespulsione del rifugiato o del titolare del diritto di asilo. Secondo la Convenzione di
Ginevra, gli
Stati contraenti non possono espellere un rifugiato che si trovi regolarmente
nel loro
territorio se non per ragioni di sicurezza nazionale o di ordine pubblico (art. 32 della Convenzione di
Ginevra sui rifugiati). La tutela della vita del rifugiato, infatti, preclude il suo
allontanamento o rinvio verso le frontiere dei territori in cui la sua vita o
la sua libert sarebbe
minacciata a causa della sua razza, religione, nazionalit, appartenenza ad un certo gruppo
sociale o delle sue opinioni politiche. Tale limite vale anche per il
respingimento avendo
il rifugiato diritto di ingresso almeno al fine di presentare domanda di rifugio. Onde garantire effettivamente il
diritto di richiedere rifugio ai sensi della Convenzione, il rifugiato non pu
essere perseguitato penalmente a
motivo del proprio ingresso e/o soggiorno irregolare (art. 31 della Convenzione di Ginevra sui
rifugiati), salvo che abbia commesso reati particolarmente gravi o comunque
rappresenti un pericolo per la sicurezza del Paese in cui si trova. Egli dovr,
per, salvo inderogabili ragioni di sicurezza nazionale, essere ammesso a fornire delle
prove che possano
discolparlo, presentare un ricorso e farsi rappresentare a questo scopo davanti a unautorit
competente o davanti a una o pi persone designate appositamente da tale autorit.
Inoltre gli Stati devono accordargli un lasso di tempo ragionevole per
permettergli di cercare di farsi ammettere regolarmente in un altro Paese.
7.
Limiti allespulsione ed il respingimento derivante dalla Convenzione Europea
dei Diritti delluomo. Lart. 3 della Convenzione europea dei diritti umani (C.E.D.U.)
sancisce il diritto a non subire torture o maltrattamenti disumani o degradanti. Si tratta di un
diritto che deve essere garantito dagli Stati membri attraverso tutti i propri
organi e, in particolare, attraverso la giurisdizione. Larticolo 3 stato
ampiamente interpretato dalla Corte europea dei diritti umani come limite
allespulsione degli stranieri ogni qual volta lallontanamento dello straniero dal territorio
dello Stato ospite
possa esporlo al rischio grave di subire un tale trattamento o tortura (Cruz Varas and Others, 20 marzo 1991, ricorso n.
15576/89). Si tratta
quindi di una fattispecie diversa da quella contemplata dalla Convenzione di Ginevra o dalla Costituzione,
volta a comprendere ipotesi non rientranti n nelluna n nellaltra e tuttavia tale da
impedire, lallontanamento di uno straniero che incorra in un tale rischio.
Si
consideri che le norme della Convenzione sono direttamente applicabili
nellordinamento giuridico italiano. Infatti assolutamente pacifico, per giurisprudenza consolidata delle Sezioni Unite e
delle altre Sezioni della Cassazione, che le norme della C.E.D.U. sono
direttamente applicabili nellordinamento interno e per questo sono fonte di
diritti soggettivi, invocabili dinanzi al giudice italiano. Tale orientamento stato affermato, con nettezza
dalle Sezioni Unite, da oltre quindici anni, con la nota sentenza Polo Castro
(23 novembre 1988), ribadito dalla Prima Sezione Penale della Corte di
Cassazione, con la Sentenza Medrano (Sentenza 10 luglio 1993 n. 2194), ribadito
ulteriormente dalla Prima Sezione civile della Corte di Cassazione con la
Sentenza Galeotti (Sentenza 8 luglio 1998 n. 6672). In particolare questultima
sentenza ha statuito che: le norme della Convenzione europea dei diritti
delluomo () non sono dotate di efficacia meramente programmatica. Esse,
infatti, impongono agli Stati contraenti, veri e propri obblighi giuridici
immediatamente vincolanti e, una volta introdotte nellordinamento statale
interno,sono fonte di diritti ed obblighi per tutti i soggetti. E non pu dubitarsi del fatto che le
norme in questione, introdotte nellordinamento con la forza di legge propria
degli atti contenenti i relativi ordini di esecuzione, non possono ritenersi
abrogate da successive disposizioni di legge interna, poich esse derivano da
una fonte riconducibile ad una competenza atipica e, come tali, in suscettibili
di abrogazione o modificazione da parte di disposizioni di legge ordinaria .Questo orientamento, si ulteriormente
consolidato, dopo che sullargomento sono intervenute nuovamente le Sezioni
Unite, con la Sentenza n. 5902 del 14 aprile 2003 e con la Sentenza n. 6853 del 6 maggio 2003.
Con la prima sentenza le Sezioni Unite hanno ribadito, ancora una
volta, che le norme della Convenzione sono fonte di diritti direttamente
azionabili nellordinamento
interno, con riferimento allarticolo
1 del Protocollo n. 1 addizionale alla C.E.D.U. Con la seconda sentenza
le Sezioni Unite, entrando pi nello specifico, hanno statuito che il compito
di ciascuno Stato di assicurare il godimento dei diritti riconosciuti al
singolo (articolo 1) richiede: la garanzia dellesistenza, nel diritto
interno, di un ricorso effettivo, dinanzi ad una istanza nazionale, che
consenta di avvalersi dei diritti e delle liber consacrati dalla normativa
convenzionale (art.
13).
9. Profili di illegalit della prassi di respingimento dei profughi
in Libia.
1.Alla luce di quanto sopra, emergono
peculiari profili di illegalit della prassi, sin qui seguita, di respingimento
in Libia dei profughi approdati a Lampedusa nelle due ondate migratorie del
settembre/ottobre 2004 e del marzo 2005, di cui si detto sopra.
2.
Nel centro di accoglienza di Lampedusa stata compiuta una prima selezione fra
i profughi, sulla base della quale, un numero imprecisato di persone stata
oggetto di un provvedimento di respingimento differito in Libia. Tale provvedimento stato
immediatamente attuato in forma collettiva e con metodi coercitivi. In pratica
i profughi sono stati ammanettati, sia pure con fascette di plastica, e
costretti con la forza ad imbarcarsi su aerei diretti in Libia, senza che
venisse loro preventivamente comunicata la destinazione del volo.
3. Tale prassi appare palesemente illegale ed
arbitraria per le seguenti ragioni:
a) i profughi sono stati trattenuti, in condizioni di privazione della
libert personale nel centro di accoglienza di Lampedusa per 3/4/5/6 giorni
prima di essere riammessi in Libia. La Corte Costituzionale, come si visto,
nella Sentenza n. 105/2001 ha chiarito che ogni forma di trattenimento dello
straniero anche quando questo non sia disgiunto da una finalit di assistenza
costituisca una misura di restrizione della libert personale. Pertanto tale
misura non pu essere attuata se non con le garanzie di cui allart. 13 della
Costituzione. In altre parole lautorit di Pubblica sicurezza che procede
allinternamento dello straniero deve dare comunicazione della misura, entro 48
ore, allAutorit giudiziaria competente (nel caso di specie il Giudice di
Pace, a cui stata deferita la competenza ai sensi del D.L. n. 241/2004,
convertito con modificazioni nella L. 271/2004) che deve provvedere alla convalida
nelle 48 ore successive.
b) il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale (a cui
deve essere equiparato il provvedimento di respingimento differito),
trattandosi di una misura che incide sulla libert personale e non solo sulla
libert di circolazione, deve essere comunicato al Giudice di Pace, ai sensi
del comma 5 bis dellart. 13 del T.U. (introdotto con il D.L. 241/2004) e non
pu essere eseguito prima della sua convalida. Nel caso dei profughi di
Lampedusa i provvedimenti di respingimento in Libia non sono stati
preventivamente comunicati allautorit giudiziaria, n agli interessati, a cui
non stata consentita alcuna forma di impugnativa.
c) le modalit poco trasparenti con cui stata effettuata la selezione
e la presunta identificazione dei profughi, lassenza di ogni forma di
controllo, non solo giudiziario, limpedimento allaccesso frapposto ai
rappresentanti dellACNUR e delle organizzazioni umanitarie, fanno presupporre
che, pi che in presenza di provvedimenti individuali di respingimento
differito, sia stata messa in pratica una forma di espulsione sostanzialmente
collettiva, in spregio ad ogni disciplina legale ed agli obblighi
internazionali gravanti sul nostro paese;
d) larbitrario rifiuto del Governo italiano di rendere noto il testo
dellaccordo internazionale stipulato con la Libia in data 25 agosto 2004 (che,
invece, avrebbe dovuto essere pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, ai sensi
dellart.1 della legge 11 dicembre 1984 n. 839) circa le modalit di riammissione
dei migranti irregolari, impedisce di conoscere se siano state adottate tutte
le cautele pi opportune per evitare che i profughi riammessi in Libia possano
essere sottoposti a trattamenti disumani o degradanti, ed autorizza il sospetto
che il Governo italiano sia ben consapevole dei rischi che corrono i profughi
respinti in Libia.
In conclusione la gestione del Ministero dellInterno dellemergenza
degli sbarchi verificatisi, in due successive ondate, nellisola di Lampedusa
ha portato a un complesso di pratiche
illegali e a-legali che hanno
avuto come conseguenza leffetto di determinare illecitamente la privazione
della libert personale di alcune migliaia di persone, trattenute per diversi giorni in
assenza di ogni controllo giudiziario - nel centro di prima accoglienza di
Lampedusa. Di queste, oltre 1.300 (questo numero non tiene conto delle
esplusioni attuate a maggio 2005) sono state riammesse, secondo il linguaggio
ministeriale, ma in realt deportate in Libia, attraverso una forma di espulsione
sostanzialmente collettiva, in una situazione in cui non vi alcuna garanzia
che i profughi non siano sottoposti a trattamenti inumani e/o degradanti ovvero
non siano estradati verso altri Stati con modalit tali da mettere a rischio la
loro incolumit personale.
Tali soggetti sono stati intenzionalmente privati della tutela
giurisdizionale, pur in presenza di provvedimenti che, oltre ad incidere sulla
libert personale, sono potenzialmente idonei a pregiudicare diritti
inviolabili come la vita e lincolumit personale.
Per quanto sopra esposto, i sottoscritti
CHIEDONO
Che lAutorit Giudiziaria voglia compiere le opportune indagini
preliminari per accertare se dai fatti denunziati emergono ipotesi di reato. In
particolare chiedono che lA.G.:
a)
provveda
ad identificare tutte le persone oggetto della riferita procedura di
riammissione in Libia, accertando se a ciascuno di loro sia stato notificato
un provvedimento motivato di respingimento, ovvero se sia stati oggetto di
respingimenti collettivi;
b)
provveda
a verificare se ciascuno di essi
sia ancora in vita e se sia stato regolarmente rimpatriato nel Paese dorigine,
senza subire vessazioni o trattamenti disumani o degradanti.
c)
valuti se
sussistano ipotesi di reato nel caso vengano accertati eventi di morte o di
sparizione o altri gravi eventi di danno causalmente collegati al respingimento
dei profughi in Libia;
d)
valuti,
in ogni caso, se la pratica di privazione della libert personale e di
accompagnamento forzato dei profughi alla frontiera, compiuta con le modalit
di cui sopra, integri ipotesi di reato;
e)
voglia
eventualmente trasmettere qualora ne ricorressero i presupposti - il presente esposto, con le pertinenti
richieste, al Collegio di cui allart. 7 della L. cost. 16 gennaio 1989 n. 1,
affinch effettui le dovute indagini preliminari per un pi compiuto
accertamento dei fatti sopra descritti, al fine di verificare la sussistenza di
eventuali ipotesi di reati commessi, nellesercizio delle funzioni
ministeriali, dal Ministro dellInterno o da altri esponenti del Governo,
attivando la procedura di cui allart. 96 della Costituzione.
Nominano quale difensore l'Avv.Pasquale Vilardo, presso il cui
studio in Roma, Piazza Grecia 41, eleggono domicilio, delegandolo alla
presentazione della suestesa denuncia e per eventuale ricorso in Cassazione
lAvv. Giovanna Lombardi chiedendo di essere informati della eventuale
richiesta di archiviazione degli atti, a norma dellart. 408 c.p.p. ed
eventuale richiesta di proroga del termine per lindagine preliminare. Con
riserva di costituirsi parte civile nel caso che lAutorit Giudiziaria accerti
eventuali reati e individui i responsabili.
Roma, l 12 luglio
2005
Visto per autentica delle suestese firme Avv. Pasquale Vilardo
[1] Hlne Gacon, presidente dellANAFE - Association nationale d'assistance aux frontires pour les trangers, FRANCIA ; Jos Miguel Morales, segretario generale dellAsociacion Andaluca Acoge , SPAGNA; Rafel Lara, coordinatore generale dellAPDHA - Asociacin Pro Derechos Humanos de Andaluca, SPAGNA ; Paolo Beni, presidente dellARCI - Associazione Ricreativa e Cultura Italiana , ITALIA; Reyes Garca De Castro Mart|in-Prat, rappresentante legale dellAsociacin "Sevilla Acoge", SPAGNA; Lorenzo Trucco, presidente dellASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione, ITALIA; Michel Forst, segretario generale della Cimade, FRANCIA ; Cristina Zamponi, responsabile della Federacin des Asociaciones SOS Racismo del Estado Espaol, SPAGNA; Nathalie Ferr, presidente di Gisti - Groupe d'information et de soutien des immigrs, FRANCIA; Gianfranco Schiavone, vice-presidente dellICS - Consorzio italiano solidariet, ITALIA.