(Sergio Briguglio 27/11/2006)

 

 

Il Sole 24 Ore di ieri riporta un'intervista al Ministro Ferrero sui contenuti della riforma della normativa sull'immigrazione. L'intervista e' accompagnata da un articolo di Franca Deponti e Francesca Padula, nel quale vengono espresse forti perplessita' rispetto alla principale innovazione prospettata da Ferrero: l'ingresso per autosponsorizzazione. In particolare, nell'articolo si sostiene che questa forma di accesso risulterebbe sostanzialmente sottratto ai controlli in fase di ingresso (con danno per la sicurezza dei cittadini) e costituirebbe un aggravio per la macchina amministrativa chiamata a verificare che lo straniero abbia effettivamente trovato lavoro nel tempo concessogli.

 

Per come si e' sviluppato il dibattito sul tema in questi ultimi mesi, sembra che queste osservazioni non rappresentino solo il punto di vista delle autrici dell'articolo, rispecchiando invece l'orientamento - piu' o meno ragionato - di Confindustria. Argomenti simili sono stati infatti utilizzati dai rappresentanti di questa confederazione nel corso di incontri indetti dai ministri competenti.

 

Provo allora a mettere sul tavolo alcuni argomenti a sostegno dell'idea che, pur non essendo esente da rischi, l'introduzione del meccanismo dell'autosponsorizzazione rappresenterebbe un sicuro miglioramento della normativa.

 

1) Il dato sulle richieste di autorizzazione all'assunzione per chiamata dall'estero (520.000) e le modalita' con cui tali richieste sono state presentate (immigrati irregolari in fila alle poste, anziche' in attesa nel proprio paese) mostra come la ricerca di lavoro sul posto sia l'unica possibilita' effettiva di accedere all'occupazione, a dispetto di quanto stabilito dalla legge. L'ingresso per chiamata da parte di un datore di lavoro e' - lo dicono ormai tutti - una finzione: nessuno, neanche in Confindustria, assumerebbe un operaio o una badante mai visti prima. Anche l'ingresso di lavoratori formati preventivamente all'estero rischia di esserlo. La legge gia' lo consente, ma l'utilizzazione di questo canale resta evanescente. Perche'? Perche' formare lavoratori all'estero ha un costo. E questo costo dovrebbe essere sostenuto dai fruitori della futura prestazione lavorativa. Per le famiglie (assunzione di colf e badanti), e' improponibile. Per le imprese la cosa e' teoricamente possibile, ma nulla si e' mosso finora. Forse le imprese sperano che a pagare sia lo Stato (ossia il contribuente...).

 

2) L'ingresso per autosponsorizzazione non sarebbe sottratto ai controlli. I controlli sarebbero anzi molto simili a quelli gia' oggi attuati per gli ingressi per turismo (lo straniero dovrebbe comunque chiedere un visto di ingresso e sottoporsi alla verifica dei requisiti). E, stando ai 520.000 in coda alle poste, il numero di richieste di visto per autosponsorizzazione non sarebbe molto diverso da quello delle richieste di visto per turismo.

 

3) La sicurezza: similmente all'ingresso per turismo, il visto per autosponsorizzazione sarebbe negato nei casi in cui il richiedente sia identificato come pericoloso per la sicurezza dello Stato o sia stato condannato per reati di un certo rilievo. Se questo e' sufficiente per garantire la nostra sicurezza rispetto ai turisti non si vede perche' non debba esserlo rispetto ai cercatori di lavoro. Se invece non e' sufficiente, allora bisognerebbe adottare misure piu' restrittive riguardo ai turisti. Su questo punto Confindustria potrebbe darci una risposta dopo essersi consultata con Federalberghi...

 

4) Ancora sulla sicurezza: diversamente dal caso dei turisti, agli stranieri che chiedono di fare ingresso per autosponsorizzazione potrebbero/dovrebbero essere rilevate le impronte digitali all'atto della richiesta di visto. Questo sarebbe uno strumento in piu' per difendersi dal rischio di ingresso di stranieri gia' segnalati, con altre identita', come pericolosi per la sicurezza pubblica.

 

5) Il controllo sull'esito della ricerca di lavoro: gia' oggi, il lavoratore regolare che perda il posto di lavoro ha un tempo limitato per cercarne un altro (da un minimo di sei mesi a un massimo pari alla durata residua del permesso di soggiorno). Il problema della verifica, ai fini del prolungamento del soggiorno legale, dell'esito della ricerca di nuova occupazione si pone esattamente negli stessi termini. L'introduzione dell'autosponsorizzazione non introdurrebbe quindi alcuna falla nell'ordinamento. In entrambi i casi (lavoratore rimasto disoccupato e lavoratore alla ricerca del primo lavoro), si tratta di persone che hanno depositato le impronte digitali e delle quali la questura conserva copia del passaporto. Alla prima intercettazione da parte della polizia si potra' facilmente verificare se la loro condizione di soggiorno sia legale. Ove non lo fosse, il rimpatrio non presenterebbe difficolta'. Presenterebbe dei costi? Per il lavoratore rimasto disoccupato, no, con l'attuale normativa: le spese sono coperte dal  datore di lavoro che ha stipulato con lui il contratto di soggiorno. Ma i costi potrebbero essere evitati anche nel caso di lavoratore in cerca del primo lavoro: basterebbe prevedere il deposito preventivo in un apposito fondo, da parte di chi si autosponsorizzi, di una somma atta a coprire le spese di rimpatrio.

 

6) Una liberta' molto piu' ampia di ricerca di lavoro sul posto (priva di sponsor e di dote) e' gia' prevista per i neocomunitari, a dispetto di qualunque misura che ne limiti transitoriamente la possibilita' di accesso al mercato del lavoro subordinato. Un paio di anni fa la cosa ha riguardato, senza che l'Italia crollasse, i polacchi. Tra poco piu' di un mese riguardera' i rumeni. La comunita' rumena detiene oggi, assieme a molti meriti, il primato in fatto di tasso di presenza illegale e di condanne penali (vedi http://giustiziaincifre.istat.it). Se ci sono - e ci sono - ottime ragioni per consentire l'ingresso nell'Unione europea (con la liberta' di movimento e di ricerca di lavoro che ne consegue) ai rumeni, non si vede perche' si debba temere che una attivita' di ricerca di lavoro assai piu' controllata da parte di lavoratori di altre nazionalita' costituisca una minaccia per il paese.

 

7) L'ingresso per autosponsorizzazione potrebbe essere introdotto mantenendo il vincolo delle quote (con l'indicazione nel decreto flussi di uno specifico tetto) e - se occorre - lasciando alla programmazione annuale la determinazione dell'ammontare delle risorse richieste (la dote). Il governo potrebbe allora cominciare ad utilizzare questo canale con un approccio sperimentale (una piccola quota di autosponsorizzati da seguire, nel loro percorso di ricerca di lavoro, con un attento monitoraggio). In caso di successo dell'esperimento, potrebbe via via ampliare la quota e/o rilassare i criteri. Ma potrebbe anche, successivamente, adottare una linea piu' restrittiva se questo fosse richiesto dalle circostanze. Senza dovere, per questo, ricorrere all'ennesima riforma legislativa.

 

8) In assenza di un canale di ingresso per autosponsorizzazione e in attesa che Confindustria organizzi i famosi corsi di formazione all'estero, allo straniero che aspiri a migrare in Italia non resterebbe che aspettare nel proprio paese una chiamata da parte di un datore di lavoro o di uno sponsor (privato o istituzionale che sia) residenti in Italia. Trascorso senza risultati qualche anno, lo straniero capirebbe che la chiamata non arrivera' mai, a meno di non venirsela a conquistare, nell'illegalita', in Italia. Farebbe allora quello che i lavoratori stranieri hanno fatto finora: tenterebbe di inserirsi nel nostro mercato del lavoro da clandestino o da overstayer. Lo farebbe senza che per lui si apra un file in questura con impronte e passaporto, senza che alcuno si preoccupi di sapere se si e' inserito (in nero) nel mercato del lavoro o se, invece, ha trovato piu' conveniente inserirsi in attivita' criminali. Nel primo caso (lavoro nero), lo straniero tenterebbe di emergere alla prima sanatoria utile o al primo decreto flussi sufficientemente ampio, contribuendo pero', nell'attesa, a perturbare in modo non trascurabile il corretto andamento del mercato. Nel secondo caso (attivita' criminale), cercherebbe, con successo scontato, di nascondersi, con la minoranza degli invisibili pericolosi, nella maggioranza degli invisibili non pericolosi.