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Giovedì 31 Agosto 2006 Chiudi chiudi finestra
Iris, il nullaosta arriva troppo tardi A settembre decreto flussi operativo

di CORRADO GIUSTINIANI

ROMA - Il nullaosta è pronto da ieri, ma lei non lo saprà mai. Non si completerà la procedura prevista dal decreto flussi per Iris Palacios Cruz, la baby-sitter honduregna morta venerdì scorso in una baietta fra Porto Ercole e Porto Santo Stefano per salvare dall’annegamento la piccola Letizia. Furtivamente, come se non fosse già adesso in Italia, Iris sarebbe dovuta volare a Tegucigalpa per presentarsi al consolato italiano, che ha già ricevuto da Roma il nullaosta. Ottenere il visto all’ingresso per lavoro nel nostro paese, tornare in Italia come se fosse la prima volta, prendere un appuntamento per apporrre le impronte digitali e, infine, ritirare il sospirato contratto di soggiorno. Quello che farà sua madre, Duna Esperanza. Per lei il via libera dovrebbe arrivare alla fine di settembre.
La tragedia dell’Argentario ha messo il sigillo, una volta per tutte, su un inganno autorizzato: con le ”quote” non arrivano lavoratori dall’estero ma, almeno nell’80 per cento dei casi, lo straniero è già qui da clandestino e viene regolarizzato. Un sistema che non può andar bene, come ha dichiarato al ”Messaggero” Giuliano Amato, che comunque è deciso a completare entro l’autunno l’istruttoria delle domande. il ministro dell’Interno sta pensando a un doppio binario d’ingresso: chiamata nominativa da parte del datore di lavoro per il personale più qualificato. Per gli altri, invece, corsi di formazione finanziati anche dall’Unione europea nel loro paese d’origine e iscrizioni a liste presso i nostri consolati, alle quali si potrà poi attingere in funzione delle reali esigenze del nostro mercato del lavoro.
La proposta del ministro non ha ancora l’organicità di un disegno di legge: Amato la vuole prima approfondire e confrontare con i partner di governo. Ma vi è forse un ostacolo: le piccole aziende, che sono l’ossatura del nostro sistema produttivo, davvero assumerebbero a scatola chiusa, attingendo a delle liste? E lo farebbero le famiglie, senza prima conoscere e sperimentare la persona cui affidare i propri bambini? I corsi di formazione sono certamente preziosi, e vanno incentivati, ma forse non basterebbero a convincere i nostri datori di lavoro.
Un’altra via da battere potrebbe essere quella del ”permesso per ricerca di lavoro” che uno dei maggiori esperti di immigrazione, Sergio Briguglio, ha proprio ieri tradotto in un appunto organico fatto pervenire ai tavoli del governo. Chi voglia venire a cercare lavoro in Italia, deve farlo alla luce del sole, depositando prima in un fondo le risorse finanziarie necessarie al mantenimento: almeno 400 euro al mese (l’importo dell’assegno sociale) più una quota per la casa (se non potrà dimostrare di essere ospitato). Da questo fondo, come da un bancomat, non potrà attingere più di una certa somma al mese. Inoltre dovrà avere un biglietto di ritorno in patria e stipulare una polizza assicurativa per la salute. All’atto dell’ingresso in Italia, gli verranno prese le impronte digitali. Qualora durante la permanenza violasse le nostre leggi, verrebbe rispedito in patria a sue spese e non a spese dello Stato. Il suo status ovviamente cambierà quando firmerà un contratto di lavoro.
Per quanto riguarda il decreto flussi aggiuntivo, che il governo predisporrà a settembre per rispondere ad altre 350 mila domande pervenute entro il 21 luglio scorso, in aggiunta alle prime 170 mila ammesse dal decreto del governo Berlusconi, esso non prosciugherà l’intero bacino di clandestinità. Molti, infatti, intimoriti dalle lunghe file alle Poste, e nella certezza che la loro richiesta non sarebbe stata accolta, hanno rinunciato a ritirare il kit per la domanda.
La soluzione migliore sarebbe probabilmente quella di una regolarizzazione vera e propria, che non obbligherebbe a una migrazione biblica persone che sono già adesso in Italia, e che rischiano di abbandonare chissà per quanti mesi il posto di lavoro. Lo Stato, inoltre, incasserebbe subito ragguardevoli risorse (nell’ultima sanatoria, quella del 2002 della legge Bossi-Fini, le famiglie dovevano pagare 290 euro a lavoratore e le imprese 700, al netto delle spese postali).
Decidere una regolarizzazione non è nè di destra nè di sinistra. Più semplicemente una necessità, che in Italia fino ad oggi si è posta cinque volte a partire dal 1986, con cadenza quadriennale. Se non si imboccherà questa strada, bisognerà comunque dare una risposta anche alle domande pervenute alle Poste dopo il 21 luglio scorso, termine da molti considerato illegittimo. Per combattere il lavoro nero, infine, appare inevitabile potenziare gli Ispettorati del lavoro, come da settimane va chiedendo l’economista Tito Boeri.