ANCORA SOTTO ACCUSA GLI AUTORI DI INTERVENTI DI SALVATAGGIO

 

Il 28 giugno di questanno un rimorchiatore maltese aveva soccorso 23 naufraghi in acque internazionali, 60 miglia a sud di Lampedusa, ripescando in mare il cadavere di una donna annegata. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, mancavano altre 4 persone allappello: un uomo, due donne e un bambino. Dispersi sui fondali di un cimitero chiamato Mediterraneo, dal quale ogni giorno affiorano cadaveri di migranti. Negli stessi giorni un'altra tragedia le cui conseguenze sono state limitate per lintervento di salvataggio di un peschereccio nelle acque libiche. Soccorsi dal peschereccio islandese Eyborg, della compagnia maltese Ta' Mattew Fish Farms, 23 naufraghi aggrappati alle gabbie dei tonni trainate dallEyborg hanno parlato di almeno 7 dispersi in mare.  LEyborg aveva recuperato il corpo di una donna annegata e aveva fatto rotta verso Malta, grazie alla determinazione del capitano Raymond Bugeja. Il governo maltese aveva imposto a Bugeja di riportare i naufraghi in Libia nel porto di Misurata, tradendo il diritto marittimo internazionale che  prevede laccompagnamento non certo nel porto pi vicino ma in quello pi sicuro. Ed ben noto che a Misurata sono imprigionati centinaia di profughi eritrei che in violazione di tutte le convenzioni internazionali, che la Libia si rifiuta di riconoscere,vengono periodicamente riconsegnati al paese dal quale sono fuggiti.

Il governo libico aveva gi concesso lautorizzazione per lattracco nel porto di Misurata, ma il comandante Bugeja si era rifiutato, nonostante le pressioni delle autorit maltesi, che lo avrebbero minacciato di arresto con laccusa di traffico di esseri umani. Bugeja aveva affermato che la Libia non era un luogo sicuro per un richiedente asilo politico.I naufraghi infatti erano in maggioranza eritrei. Alla fine La Valletta, sotto la pressione di diversi stati europei, e con la promessa di una successiva redistribuzione dei profughi tra diversi stati dellUnione Europea, aveva deciso di inviare una nave per trasbordare i 20 giovani eritrei, etiopi, nigeriani e somali. E il comandante Bugeja non stato arrestato. A differenza di quanto successo invece, pochi giorni fa, nellisola di Lampedusa.

La sera dellotto agosto sono stati arrestati dalla polizia a Lampedusa sette pescatori che avevano soccorso e salvato 43 migranti alla deriva nel Canale di Sicilia in burrasca.  I sette marittimi tunisini sono accusati di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, esattamente la stessa denuncia minacciata dalle autorit maltesi al capitano Bugeja. Si tratta dei comandanti e dei cinque uomini d'equipaggio di due motopesca della flotta di Monastir, dunque battenti bandiera tunisina, che hanno soccorso 43 clandestini su un gommone alla deriva, in acque internazionali, a 40 miglia a Sud di Lampedusa. Gli immigrati, tra cui 11 donne e due bambini, avevano lanciato l'Sos con un telefono satellitare. Secondo le prime notizie di stampa diffuse dal Giornale di Sicilia il 9 agosto e poi dal quotidiano La Sicilia, quando i pescherecci si trovavano in acque internazionali, la Guardia Costiera avrebbe negato l'autorizzazione all'ingresso nelle acque territoriali, intimando ai comandanti dei due pescherecci di fare rotta verso le coste nordafricane.

Secondo lagenzia ADNKRONOS del 9 agosto, per gli investigatori i due motopesca, che ieri hanno salvato 43 clandestini alla deriva su un gommone a 40 miglia a sud della pi grande delle isole Pelagie, potrebbero aver fatto da "nave madre"per lasciare i migranti su barche di piccole dimensioni in prossimit dell'isola. Ma la ricostruzione giornalistica appare in netto contrasto con il fatto che i migranti si trovavano a bordo delle due imbarcazioni battenti bandiera tunisina, con numerosi componenti di equipaggio, e non su scafi pi piccoli senza bandiera, come quelli che a decine hanno raggiunto acque territoriali italiane in questi ultimi mesi. Delle piccole imbarcazioni sulle quali avrebbero dovuto essere caricati i clandestini nessuno ha trovato traccia. Sembrerebbe anche, da altre fonti di stampa, che la versione dei fatti dei pescatori tunisini sia stata confermata dalle dichiarazioni dei naufraghi. All'arrivo a Lampedusa comunque scattato l'arresto in flagranza di reato dei sette marittimi e il sequestro delle due imbarcazioni, disposto dalla Procura di Agrigento.

Successive dichiarazioni dei pescatori tunisini, visitati in carcere dal parlamentare europeo Giusto Catania,  pubblicate il 12 agosto sul quotidiano Liberazione, fornivano una dinamica degli avvenimenti alquanto diversa rispetto alle contrastanti ricostruzioni ufficiali. I marinai tunisini avrebbero riferito, secondo quanto riportato dal giornale, di aver ricevuto un SOS proveniente da un gommone che stava affondando alle 7 di mattina e di aver lanciato lallarme. Dopo avere raggiunto i naufraghi ed averli caricati a bordo, sono sopraggiunte le motovedette italianesolo dieci ore dopo e i militari hanno intimato ai pescherecci di portarsi verso le acque prospicienti Lampedusa. A poche miglia dalla costa dellisola hanno poi intimato agli stessi di tornare al largo, facendo segno che altrimenti sarebbe scattato larresto. Si era per alzato un forte vento e le imbarcazioni hanno attraccato per scaricare gli immigrati e ripartire. Non ancora chiaro, comunque, in quale lingua si siano svolte le comunicazioni tra i pescherecci tunisini e le unit navali italiane, e la incomprensione degli ordini trasmessi dalle autorit italiane potrebbe avere determinato lerroneo convincimento su una autorizzazione allingresso nelle acque territoriali.  Subito dopo lormeggio a Lampedusa i marinai tunisini venivano arrestati, perch le autorit italiane non avrebbero creduto alla versione dei fatti da loro fornita, soprattutto in quanto sui pescherecci non cera n pesce n attrezzatura da pesca. Anche secondo quanto riferito dal giornale La Sicilia dell11 agosto, i migranti avrebbero per escluso che i pescatori che li avevano tratti in salvo fossero degli scafisti.

Nella ricostruzione dellipotesi accusatoria formulata dalla polizia di frontiera risulterebbe determinante la prova indiziaria derivante dalla mancanza di reti a bordo dei pescherecci tunisini sequestrati dalle autorit italiane. Ma di altre imbarcazioni sulle quali avrebbero dovute salire i migranti per lo sbarco a Lampedusa non cՏ traccia mentre sembra facilmente verificabile la dichiarazione dei due comandanti secondo i quali non avevano reti a bordo perch avrebbero condotto una battuta di pesca in collaborazione con altre imbarcazioni dotate di reti. In realt, come riferisce il quotidiano Liberazione del 12 agosto,i due natanti dovevano illuminare i fondali e aiutare un'altra imbarcazione a tirare le reti.

La visita di un medico a bordo di pescherecci aveva poi accertato le condizioni fisiche dei migranti definendole non particolarmente gravi allo scopo evidente di escludere che i pescatori potessero invocare uno stato di necessit per giustificare il loro attracco a Lampedusa. Secondo le autorit mediche inviate dalla polizia di frontiera le condizioni di salute dei clandestini a bordo dei pescherecci tunisini non sarebbero state preoccupanti, come se gli obblighi di salvataggio a mare, o il divieto di respingimento collettivo, imposti dal diritto internazionale, fossero dipendenti dalle apparenti condizioni di salute dei naufraghi al momento dellingresso nelle acque territoriali. Occorre ricordare anche che tra i naufraghi si trovavano donne e bambini gi duramente provati dal naufragio dellimbarcazione sulla quale si trovavano e certamente non in grado di reggere ad una traversata di ritorno verso la Tunisia, con il mare in burrasca e con altissime probabilit di naufragio.

In realt la previsione dellart. 54 del codice penale che fa riferimento allo stato di necessit, come causa esimente che esclude la responsabilit penale di chi agevola un ingresso irregolare nel territorio italiano, si amplia sensibilmente per effetto del dettato dellart. 12 del Testo Unico sullimmigrazione del 1998 che afferma espressamente come non costituiscono reato le attivit di soccorso e di assistenza umanitaria prestate in Italia nei confronti degli stranieri in condizione di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato. Si osserva da parte della dottrina (CAMARDA) come  lobbligo dello Stato di cooperare per la conclusione delloperazione di soccorso in mare, consentendo lo sbarco dei naufraghi, impone comportamenti consequenziali che prescindono dal potere dello Stato stesso di perseguire i presunti favoreggiatori (comandante ed equipaggio) o di adottare verso i clandestini (ma in tutta sicurezza) i provvedimenti previsti dalla legge.

Rimane poi da verificare nella competente sede giudiziaria, soprattutto sulla base della documentazione delle comunicazioni intercorse tra le autorit italiane ed i pescherecci tunisine, la catena di comando, le modalit delle comunicazioni radio e quindi la esatta dinamica dei fatti. Nel rispetto della autonomia della magistratura occorre fare chiarezza su quanto realmente avvenuto e sul doveroso rispetto dei diritti fondamentali delle persone.

Nella ricostruzione fornita dalle autorit di polizia alla magistratura, desumibile dalla notizia di reato riportata dai mezzi di informazione, sembra non assumere nessun rilievo, ancora una volta, la circostanza che tra i naufraghi, gi entrati nelle acque territoriali italiane, vi fossero donne, minori, potenziali richiedenti asilo, come gli eritrei che, in caso di respingimento verso la Tunisia o la Libia rischiano di essere rimpatriati nei paesi di provenienza, in violazione del divieto di refoulement previsto dallart. 33 della Convenzione di Ginevra. Persino la lettura pi restrittiva della normativa italiana in materia di asilo da parte della giurisprudenza ammette che in assenza di una legge organica sullasilo politico, che ne fissi le condizioni, i termini, i modi e individui gli organi competenti in materia di richiesta e concessione, il diritto di asilo deve intendersi non tanto come un diritto allingresso nel territorio dello Stato, quanto piuttosto, e anzitutto, come il diritto dello straniero di accedervi al fine di essere ammesso alla procedura di esame della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Appare in sostanza inconfutabile che il potenziale richiedente asilo che entra irregolarmente nel territorio italiano esercita un diritto riconosciutogli dalla Costituzione, almeno per quanto concerne laccesso al territorio e quindi alla procedura.

 

Il Testo Unico sullimmigrazione del 1998, modificato nel 2002 dalla legge Bossi-Fini, prevede inoltre che non sono espellibili o respingibili in frontiera quelle persone che rischiano nel paese di transito, o nel paese di provenienza, in caso di un successivo refoulement, trattamenti inumani e degradanti. Nello stesso senso, lart. 3 della Convenzione europea a salvaguardia dei diritti delluomo.

Tutte le pratiche di respingimento in mare rivolte indistintamente verso un gruppo di migranti, soprattutto quando si verificano nelle acque territoriali, configurano la violazione di un divieto di refoulement (respingimento) perch impediscono un esame individuale delle singole posizioni ed una effettiva possibilit di difesa e di assistenza legale, in violazione degli articoli 10 e 24 della Costituzione italiana. Il respingimento collettivo di migranti vietato anche dalla Carta di Nizza del 2000, documento che per giurisprudenza ormai costante si pu ritenere fonte di diritto vincolante anche per il giudice nazionale.

Il Libro verde sul futuro regime europeo in materia di asilo, presentato dalla Commissione Europea nel giugno scorso, ribadisce che i flussi migratori sono ormai flussi misti, composti in altri termini da persone che bisognose di protezione, come minori, donne e richiedenti asilo, oltre che di migranti economici, definiti genericamente come clandestini. Di fronte a questa evidenza, confermata anche dallAlto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite, anche la Commissione ricorda come occorra migliorare leffettivo accesso alla possibilit di presentare una domanda di asilo e quindi ottenere protezione internazionale nel territorio dellUe, mentre a tutti i migranti irregolari andrebbe comunque il riconoscimento effettivo dei diritti della persona umana, a partire dal rispetto da parte degli stati dei doveri di salvaguardia della vita umana a mare.

 

Se la dinamica degli avvenimenti verificatasi dopo il salvataggio dei naufraghi da parte dei pescherecci tunisini, cos come riferita dagli stessi migranti e quindi dai mezzi di informazione, sar confermata in sede di indagine giudiziaria, si pu fondatamente ritenere che le attivit di soccorso prestate dai pescherecci tunisini non assumono rilevanza penale in quanto lingresso nelle acque territoriali e il successivo sbarco a Lampedusa, anche a seguito delle mutate condizioni del mare e della impossibilit di ritorno verso la Tunisia, configurava una attivit di assistenza umanitaria che comunque rientrava nellambito territoriale dello Stato italiano, come tale non penalmente perseguibile in base allesimente umanitariaprevista dallart. 12 del Testo Unico sullimmigrazione.

La stessa attivit di assistenza umanitaria a mare non si pu peraltro limitare soltanto ai potenziali richiedenti asilo, come se fosse possibile abbandonare in mezzo al mare tutti gli altri naufraghi, o respingerli (con un quale mezzo ?) verso il porto di partenza.

In base alla Convenzione on Marittime Search and Rescue SAR 1979 si impone a tutti, mezzi militari e commerciali, un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare regardlerss of the nationality or status of such a person or the circumstances in which that person is found, stabilendo altres, oltre lobbligo della prima assistenza anche il dovere di sbarcare i naufraghi in un luogo sicuro.

Una particolare considerazione merita la problematica relativa a ci che debba intendersi per conduzione della persona salvata in luogo sicuro. Infatti dal momento dellarrivo in tale luogo che cessano gli obblighi internazionali (e nazionali) relativamente alle operazioni di salvataggio, che pertanto non si esauriscono con le prime cure mediche o con la soddisfazione degli altri pi immediati bisogni (alimentazione etc.). Con lentrata in vigore (luglio 2006) degli emendamenti allannesso della Convenzione SAR 1979 (luglio 2006) e alla Convenzione SOLAS 1974 (e successivi protocolli) e con le linee guida - adottate in sede IMO lo stesso giorno di approvazione degli emendamenti alle convenzioni e protocolli - viene fatta maggiore chiarezza sul concetto di place of safety e sul fatto che la nave soccorritrice un luogo puramente provvisorio di salvataggio, il cui raggiungimento non coincide con il momento terminale delle operazioni di soccorso. Le linee guida insistono particolarmente sul ruolo attivo che deve assumere lo Stato costiero nel liberare la nave soccorritrice dal peso non indifferente di gestire a bordo le persone salvate. Il luogo sicuro pu anche essere il luogo di sbarco pi vicino, ma questultimo, come nel caso della Libia o della Tunisia, pu anche non essere il luogo sicuro nel quale il comandante di una imbarcazione obbligato a sbarcare i naufraghi.

Secondo gli ordini impartiti dai mezzi militari,  riconducibili al Ministero dellinterno, in base al decreto interministeriale del 14 luglio 2003 i naufraghi salvati dai pescatori, malgrado avessero gi fatto ingresso nelle acque territoriali, e dunque nel territorio dello Stato italiano, avrebbero dovuto essere respinti verso il porto di partenza e consegnati alle autorit tunisine.  Ma sono ancora drammaticamente attuali i casi di immigrati respinti verso la Tunisia ( i famosi pirati che lo scorso luglio avrebbero tentato addirittura il dirottamento di un peschereccio) e poi allontanati da questo paese verso la Libia, dove, anche donne e minori si sono ritrovati esposti ad ogni genere di abusi, al punto da rivolgersi -senza esito- alla rappresentanza dellAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati a Tripoli, mentre altri loro familiari venivano salvati da mezzi italiani e condotti a Lampedusa e quindi a Crotone.

Quale che sia lesito della vicenda giudiziaria che riguarda i pescatori tunisini sembra comunque  possibile trarre da questultimo caso alcune considerazioni sulle linee di politica internazionale e sulle prassi applicative seguite dal nostro paese nel controllo dellimmigrazione clandestina via mare.

Le autorit italiane, nella delicata gestione delle frontiere marittime, sembrano ritornare ad una sostanziale continuit con il precedente governo Berlusconi, che pure era stato costretto, proprio negli ultimi giorni della passata legislatura, a sospendere i respingimenti collettivi dallItalia verso la Libia, anche a seguito delle denunce del movimento antirazzista e delle successive condanne del Parlamento Europeo e delle principali agenzie umanitarie come Human Rights Watch ed Amnesty International.

Anche in Tunisia, come in Libia, il trattamento riservato ai migranti irregolari, soprattutto se provengono dai paesi del centro africa, durissimo. Come ricordava il giornalista Fabrizio Gatti in una sua inchiesta del 2003, in Tunisia, hanno preso sul serio le pressioni del governo italiano e dell'Unione europea. Linea dura non solo contro chi guadagna con l'immigrazione. Ma tolleranza zero anche contro gli immigrati. Non importa se sono appena sopravvissuti a un naufragio, se sono stati rapinati di tutti i loro risparmi, se chiedono aiuto. Cos 35 migranti sopravvissuti ad un naufragio a fine giugno di quellanno a Sidi Daoud, sono passati direttamente dai battelli di salvataggio alla prigione. Sorte analoga poi toccata a centinaia di migranti detenuti per mesi negli undici centri di detenzione tunisini o respinti verso i paesi limitrofi.

Le iniziative della polizia di frontiera sembrerebbero riconoscere adesso nella Tunisia un paese terzo sicuro verso il quale potere respingere imbarcazioni che hanno compiuto interventi di salvataggio nel canale di Sicilia. Un riconoscimento che tanto lontano dal vero quanto sono ben note le attivit di rimpatrio verso paesi terzi che le autorit tunisine pongono in essere anche se, a differenza della Libia, almeno formalmente, la Tunisia ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951. I migranti di paesi terzi , in particolare quelli provenienti dal Corno dAfrica e dallAfrica sub sahariana che hanno ottenuto il diritto di asilo in Tunisia sono poche centinaia, come risulta dai pi recenti rapporti dellAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, mentre la maggior parte dei migranti irregolari non tunisini respinti dallItalia viene successivamente respinta verso la Libia ed altri paesi confinanti, con la certezza di subire trattamenti inumani o degradanti.

Sono poi numerose le testimonianze di migranti giunti a Lampedusa o negli altri centri di detenzione italiani che raccontano di come diverse imbarcazioni commerciali che li avevano avvistati nelle acque del Canale di Sicilia, avessero poi proseguito la loro rotta senza intervenire. Persino le autorit maltesi, in un recente caso, si sono limitate a rifornire di acqua e di giubbotti salvagente una imbarcazione carica di migranti che attraversava le loro acque territoriali proseguendo poi con i propri mezzi in direzione della Sicilia.

In questo quadro, pu costituire la premessa per gravi violazioni dei diritti fondamentali dei migranti, lincriminazione dei pescatori tunisini accusati per avere effettuato un intervento di salvataggio. Sono gi noti gli effetti delle denunce di pescatori che negli anni passati avevano salvato altri migranti. Molti sopravvissuti alle stragi nel Canale di Sicilia hanno testimoniato che, dopo queste denunce, sebbene non ci siano ancora state condanne da parte della magistratura, i pescherecci si rifiutano di intervenire tempestivamente nel salvataggio dei migranti in difficolt, limitandosi ad avvertire le forze militari italiane con un inevitabile ritardo negli interventi di soccorso.

Il caso di questi giorni ha un  precedente lo scorso anno. Nel 2006 la nave Sibilla della Marina Militare italiana ha praticato nel canale di Sicilia, in collaborazione con unit navali della Marina militare tunisina, il primo respingimento in mare verso un porto tunisino, consegnando alle autorit di quel paese una imbarcazione carica di migranti che era stata intercettata in acque internazionali.

Nessuna Convenzione internazionale prevede questo tipo di respingimento in mare, e il Decreto interministeriale emanato nel 2003 dal governo Berlusconi, che prevedeva il blocco in acque internazionali delle imbarcazioni cariche di migranti irregolari allo scopo di effettuare le ispezioni a bordo ( la cd. visita di bandiera) ed eventualmente il respingimento verso il porto di partenza, era rimasta per anni inattuata perch in evidente contrasto con il diritto internazionale del mare, oltre che per lesemplare impegno di salvataggio della nostra marina.

Come osservano gli studiosi di diritto internazionale del mare (SCOVAZZI), peraltro, lItalia non ha mai istituito una zona contigua alle acque territoriali nella quale esercitare poteri di interdizione della navigazione delle imbarcazioni cariche di migranti irregolari, zona contigua che era prevista dal decreto 14 luglio 2003 del governo Berlusconi, ma che poi rimasta lettera morta anche per la dubbia legittimit del decreto interministeriale.

Nelle acque internazionali, al di fuori dei casi di terrorismo, pirateria ed inquinamento ambientale, solo da parte dello stato di bandiera ( o con la autorizzazione dello Stato di bandiera) si pu esercitare un potere di interdizione della navigazione di una imbarcazione carica di migranti irregolari. Sul punto gli accordi di riammissione e di cooperazione di polizia sono assai lacunosi, almeno nei pochi testi che si conoscono, perch ciascun paese di transito tende ad evitare il respingimento verso le sue coste di cittadini di paesi terzi, che poi dovrebbero essere successivamente espulsi verso i paesi di provenienza.

Nessuna norma di diritto internazionale del mare autorizza dunque uno Stato ad esercitare poteri di interdizione su imbarcazioni sospettate di trasportare migranti irregolari nelle acque intenazionali (SCOVAZZI).Le violazioni delle norme sullimmigrazione possono costituire illeciti rilevanti per gli ordinamenti nazionali degli Stati che ne sono coinvolti ( Stato di partenza o Stato di arrivo o entrambi). Ma ovvio che qualsiasi illecito di immigrazione clandestina si consuma soltanto dopo che le persone coinvolte sono entrate nel mare territoriale dello Stato di destinazione ( o di uno Stato di transito), e non gi prima, e cio quando la nave che li trasporta si trova ancora in alto mare ( cos T. Scovazzi in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2003, n.4, p.52).

Le prescrizioni eventualmente derivanti da direttive comunitarie, come quella che nel 2004 ha istituito lAgenzia di controllo delle frontiere esterne Frontex, o la attuazione di Accordi internazionali come il Protocollo aggiuntivo alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine organizzato transnazionale relativo al traffico clandestino di migranti, non intaccano questi principi, autorizzando soltanto il diritto di visita in acque internazionali nel caso di nave senza nazionalit o non battente una bandiera di stato.

Va istituita una commissione di inchiesta per verificare la pratica di attuazione degli accordi di riammissione e delle intese operative a livello di forze di polizia, sottoscritti dallItalia con i paesi nord africani.

Occorre depenalizzare al pi presto gli interventi di salvataggio a mare da parte delle imbarcazioni commerciali e da pesca, in modo da rendere pi tempestive le azioni di salvataggio ed adottare una legge organica sul diritto di asilo e sulla protezione umanitaria che garantisca laccesso al territorio nazionale ed alla procedura per tutti coloro che fuggono da guerre, persecuzioni e violazioni sistematiche dei diritti fondamentali della persona.

Le prassi di respingimento collettivo in mare indotte in base al decreto interministeriale del 14 luglio 2003, in attuazione della legge Bossi Fini, derivano da decisioni delle autorit politiche, che si sovrappongono agli interventi umanitari e di salvataggio, ponendosi in contrasto con il diritto internazionale del mare ed alimentando il rischio di nuove stragi. Queste prassi amministrative possono costituire una gravissima lesione del diritto di asilo riconosciuto a livello internazionale e dalla Costituzione italiana. Il Decreto interministeriale va immediatamente riformulato, con la precisazione degli obblighi di salvataggio, e dei diritti dei potenziali richiedenti asilo, con la cancellazione delle ipotesi di rinvio verso i porti di provenienza.

La sicurezza dei cittadini, lordine pubblico e il contrasto dellimmigrazione clandestina in mare, nuovi totem davanti ai quali non si esita a sacrificare quotidianamente il destino di uomini, donne e bambini in fuga dalle persecuzioni e dal bisogno, non possono essere certo scalfiti, in un paese che conta sessanta milioni di abitanti, dal salvataggio di alcune migliaia di migranti che tentano la traversata del canale di Sicilia. Il principio di legalit va rispettato da tutti, a partire dagli obblighi di protezione della vita umana a mare imposti dalle convenzioni internazionali e dal diritto interno.

Fulvio Vassallo Paleologo

Associazione studi giuridici sullimmigrazione ( ASGI)

Universit di Palermo