ANCORA SOTTO ACCUSA GLI AUTORI DI INTERVENTI DI
SALVATAGGIO
Il 28 giugno di questanno un rimorchiatore maltese aveva
soccorso 23 naufraghi in acque internazionali, 60 miglia a sud di Lampedusa,
ripescando in mare il cadavere di una donna annegata. Secondo le testimonianze
dei sopravvissuti, mancavano altre 4 persone allappello: un uomo, due donne e
un bambino. Dispersi sui fondali di un cimitero chiamato Mediterraneo, dal
quale ogni giorno affiorano cadaveri di migranti. Negli stessi giorni un'altra
tragedia le cui conseguenze sono state limitate per lintervento di salvataggio
di un peschereccio nelle acque libiche. Soccorsi dal peschereccio islandese
Eyborg, della compagnia maltese Ta' Mattew Fish Farms, 23 naufraghi aggrappati
alle gabbie dei tonni trainate dallEyborg hanno parlato di almeno 7 dispersi
in mare. LEyborg aveva recuperato
il corpo di una donna annegata e aveva fatto rotta verso Malta, grazie alla
determinazione del capitano Raymond Bugeja. Il governo maltese aveva imposto a
Bugeja di riportare i naufraghi in Libia nel porto di Misurata, tradendo il
diritto marittimo internazionale che
prevede laccompagnamento non certo nel porto pi vicino ma in quello
pi sicuro. Ed ben noto che a Misurata sono imprigionati centinaia di
profughi eritrei che in violazione di tutte le convenzioni internazionali, che
la Libia si rifiuta di riconoscere,vengono periodicamente riconsegnati al paese
dal quale sono fuggiti.
Il governo libico aveva gi concesso lautorizzazione per
lattracco nel porto di Misurata, ma il comandante Bugeja si era rifiutato,
nonostante le pressioni delle autorit maltesi, che lo avrebbero minacciato di
arresto con laccusa di traffico di esseri umani. Bugeja aveva affermato che la
Libia non era un luogo sicuro per un richiedente asilo politico.I naufraghi
infatti erano in maggioranza eritrei. Alla fine La Valletta, sotto la pressione
di diversi stati europei, e con la promessa di una successiva redistribuzione
dei profughi tra diversi stati dellUnione Europea, aveva deciso di inviare una
nave per trasbordare i 20 giovani eritrei, etiopi, nigeriani e somali. E il
comandante Bugeja non stato arrestato. A differenza di quanto successo
invece, pochi giorni fa, nellisola di Lampedusa.
La sera dellotto agosto sono stati arrestati dalla polizia
a Lampedusa sette pescatori che avevano soccorso e salvato 43 migranti alla
deriva nel Canale di Sicilia in burrasca.
I sette marittimi tunisini sono accusati di favoreggiamento
dell'immigrazione clandestina, esattamente la stessa denuncia minacciata dalle
autorit maltesi al capitano Bugeja. Si tratta dei
comandanti e dei cinque uomini d'equipaggio di due motopesca della flotta di
Monastir, dunque battenti bandiera tunisina, che hanno soccorso 43 clandestini
su un gommone alla deriva, in acque internazionali, a 40 miglia a Sud di
Lampedusa. Gli immigrati, tra cui 11 donne e due bambini, avevano lanciato
l'Sos con un telefono satellitare. Secondo le prime notizie di stampa diffuse
dal Giornale di Sicilia il 9 agosto e poi dal quotidiano La Sicilia, quando i
pescherecci si trovavano in acque internazionali, la Guardia Costiera avrebbe
negato l'autorizzazione all'ingresso nelle acque territoriali, intimando ai
comandanti dei due pescherecci di fare rotta verso le coste nordafricane.
Secondo lagenzia ADNKRONOS del 9 agosto, per gli
investigatori i due motopesca, che ieri hanno salvato 43 clandestini alla
deriva su un gommone a 40 miglia a sud della pi grande delle isole Pelagie,
potrebbero aver fatto da "nave madre"per lasciare i migranti su barche
di piccole dimensioni in prossimit dell'isola. Ma la ricostruzione
giornalistica appare in netto contrasto con il fatto che i migranti si
trovavano a bordo delle due imbarcazioni battenti bandiera tunisina, con
numerosi componenti di equipaggio, e non su scafi pi piccoli senza bandiera,
come quelli che a decine hanno raggiunto acque territoriali italiane in questi
ultimi mesi. Delle piccole imbarcazioni sulle quali avrebbero dovuto essere
caricati i clandestini nessuno ha trovato traccia. Sembrerebbe anche, da
altre fonti di stampa, che la versione dei fatti dei pescatori tunisini sia
stata confermata dalle dichiarazioni dei naufraghi. All'arrivo a Lampedusa
comunque scattato l'arresto in flagranza di reato dei sette marittimi e il
sequestro delle due imbarcazioni, disposto dalla Procura di Agrigento.
Successive dichiarazioni dei pescatori tunisini, visitati in
carcere dal parlamentare europeo Giusto Catania, pubblicate il 12 agosto sul quotidiano Liberazione,
fornivano una dinamica degli avvenimenti alquanto diversa rispetto alle
contrastanti ricostruzioni ufficiali. I marinai tunisini avrebbero riferito,
secondo quanto riportato dal giornale, di aver ricevuto un SOS proveniente da
un gommone che stava affondando alle 7 di mattina e di aver lanciato
lallarme. Dopo avere raggiunto i naufraghi ed averli caricati a bordo, sono
sopraggiunte le motovedette italianesolo dieci ore dopo e i militari hanno
intimato ai pescherecci di portarsi verso le acque prospicienti Lampedusa. A
poche miglia dalla costa dellisola hanno poi intimato agli stessi di tornare
al largo, facendo segno che altrimenti sarebbe scattato larresto. Si era per
alzato un forte vento e le imbarcazioni hanno attraccato per scaricare gli
immigrati e ripartire. Non ancora chiaro, comunque, in quale lingua si siano
svolte le comunicazioni tra i pescherecci tunisini e le unit navali italiane,
e la incomprensione degli ordini trasmessi dalle autorit italiane potrebbe
avere determinato lerroneo convincimento su una autorizzazione allingresso
nelle acque territoriali. Subito
dopo lormeggio a Lampedusa i marinai tunisini venivano arrestati, perch le
autorit italiane non avrebbero creduto alla versione dei fatti da loro
fornita, soprattutto in quanto sui pescherecci non cera n pesce n
attrezzatura da pesca. Anche secondo quanto riferito dal giornale La Sicilia
dell11 agosto, i migranti avrebbero per escluso che i pescatori che li
avevano tratti in salvo fossero degli scafisti.
Nella ricostruzione dellipotesi accusatoria formulata dalla
polizia di frontiera risulterebbe determinante la prova indiziaria derivante
dalla mancanza di reti a bordo dei pescherecci tunisini sequestrati dalle
autorit italiane. Ma di altre imbarcazioni sulle quali avrebbero dovute salire
i migranti per lo sbarco a Lampedusa non cՏ traccia mentre sembra facilmente
verificabile la dichiarazione dei due comandanti secondo i quali non avevano
reti a bordo perch avrebbero condotto una battuta di pesca in collaborazione
con altre imbarcazioni dotate di reti. In realt, come riferisce il quotidiano
Liberazione del 12 agosto,i due natanti dovevano illuminare i fondali e
aiutare un'altra imbarcazione a tirare le reti.
La visita di un medico a bordo di pescherecci aveva poi
accertato le condizioni fisiche dei migranti definendole non particolarmente
gravi allo scopo evidente di escludere che i pescatori potessero invocare uno
stato di necessit per giustificare il loro attracco a Lampedusa. Secondo le
autorit mediche inviate dalla polizia di frontiera le condizioni di salute dei
clandestini a bordo dei pescherecci tunisini non sarebbero state preoccupanti,
come se gli obblighi di salvataggio a mare, o il divieto di respingimento
collettivo, imposti dal diritto internazionale, fossero dipendenti dalle apparenti
condizioni di salute dei naufraghi al momento dellingresso nelle acque
territoriali. Occorre ricordare anche che tra i naufraghi si trovavano donne e
bambini gi duramente provati dal naufragio dellimbarcazione sulla quale si
trovavano e certamente non in grado di reggere ad una traversata di ritorno
verso la Tunisia, con il mare in burrasca e con altissime probabilit di
naufragio.
In realt la previsione dellart. 54 del codice penale che fa
riferimento allo stato di necessit, come causa esimente che esclude la
responsabilit penale di chi agevola un ingresso irregolare nel territorio
italiano, si amplia sensibilmente per effetto del dettato dellart. 12 del
Testo Unico sullimmigrazione del 1998 che afferma espressamente come non
costituiscono reato le attivit di soccorso e di assistenza umanitaria prestate
in Italia nei confronti degli stranieri in condizione di bisogno comunque
presenti nel territorio dello Stato. Si osserva da parte della dottrina
(CAMARDA) come lobbligo dello
Stato di cooperare per la conclusione delloperazione di soccorso in mare,
consentendo lo sbarco dei naufraghi, impone comportamenti consequenziali che
prescindono dal potere dello Stato stesso di perseguire i presunti
favoreggiatori (comandante ed equipaggio) o di adottare verso i clandestini (ma
in tutta sicurezza) i provvedimenti previsti dalla legge.
Rimane poi da verificare nella competente sede giudiziaria,
soprattutto sulla base della documentazione delle comunicazioni intercorse tra
le autorit italiane ed i pescherecci tunisine, la catena di comando, le
modalit delle comunicazioni radio e quindi la esatta dinamica dei fatti. Nel
rispetto della autonomia della magistratura occorre fare chiarezza su quanto
realmente avvenuto e sul doveroso rispetto dei diritti fondamentali delle
persone.
Nella ricostruzione fornita dalle autorit di polizia
alla magistratura, desumibile dalla notizia di reato riportata dai mezzi di
informazione, sembra non assumere nessun rilievo, ancora una volta, la
circostanza che tra i naufraghi, gi entrati nelle acque territoriali italiane,
vi fossero donne, minori, potenziali richiedenti asilo, come gli eritrei che,
in caso di respingimento verso la Tunisia o la Libia rischiano di essere
rimpatriati nei paesi di provenienza, in violazione del divieto di refoulement previsto
dallart. 33 della Convenzione di Ginevra. Persino la lettura pi restrittiva
della normativa italiana in materia di asilo da parte della giurisprudenza
ammette che in assenza di una legge organica sullasilo politico, che ne fissi
le condizioni, i termini, i modi e individui gli organi competenti in materia
di richiesta e concessione, il diritto di asilo deve intendersi non tanto come
un diritto allingresso nel territorio dello Stato, quanto piuttosto, e anzitutto,
come il diritto dello straniero di accedervi al fine di essere ammesso alla
procedura di esame della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato.
Appare in sostanza inconfutabile che il potenziale richiedente asilo che entra
irregolarmente nel territorio italiano esercita un diritto riconosciutogli
dalla Costituzione, almeno per quanto concerne laccesso al territorio e quindi
alla procedura.
Il Testo Unico sullimmigrazione del 1998, modificato
nel 2002 dalla legge Bossi-Fini, prevede inoltre che non sono espellibili o
respingibili in frontiera quelle persone che rischiano nel paese di transito, o
nel paese di provenienza, in caso di un successivo refoulement,
trattamenti inumani e degradanti. Nello stesso senso, lart. 3 della
Convenzione europea a salvaguardia dei diritti delluomo.
Tutte le pratiche di respingimento in mare rivolte
indistintamente verso un gruppo di migranti, soprattutto quando si verificano
nelle acque territoriali, configurano la violazione di un divieto di refoulement (respingimento)
perch impediscono un esame individuale delle singole posizioni ed una
effettiva possibilit di difesa e di assistenza legale, in violazione degli
articoli 10 e 24 della Costituzione italiana. Il respingimento collettivo di
migranti vietato anche dalla Carta di Nizza del 2000, documento che per
giurisprudenza ormai costante si pu ritenere fonte di diritto vincolante anche
per il giudice nazionale.
Il Libro verde sul futuro regime europeo in materia di asilo,
presentato dalla Commissione Europea nel giugno scorso, ribadisce che i flussi
migratori sono ormai flussi misti, composti in altri termini da persone che
bisognose di protezione, come minori, donne e richiedenti asilo, oltre che di
migranti economici, definiti genericamente come clandestini. Di fronte a
questa evidenza, confermata anche dallAlto Commissariato per i rifugiati delle
Nazioni Unite, anche la Commissione ricorda come occorra migliorare
leffettivo accesso alla possibilit di presentare una domanda di asilo e
quindi ottenere protezione internazionale nel territorio dellUe, mentre a
tutti i migranti irregolari andrebbe comunque il riconoscimento effettivo dei
diritti della persona umana, a partire dal rispetto da parte degli stati dei
doveri di salvaguardia della vita umana a mare.
Se la dinamica degli avvenimenti verificatasi dopo il salvataggio dei naufraghi da parte dei pescherecci tunisini, cos come riferita dagli stessi migranti e quindi dai mezzi di informazione, sar confermata in sede di indagine giudiziaria, si pu fondatamente ritenere che le attivit di soccorso prestate dai pescherecci tunisini non assumono rilevanza penale in quanto lingresso nelle acque territoriali e il successivo sbarco a Lampedusa, anche a seguito delle mutate condizioni del mare e della impossibilit di ritorno verso la Tunisia, configurava una attivit di assistenza umanitaria che comunque rientrava nellambito territoriale dello Stato italiano, come tale non penalmente perseguibile in base allesimente umanitariaprevista dallart. 12 del Testo Unico sullimmigrazione.
La stessa attivit di assistenza umanitaria a
mare non si pu peraltro limitare soltanto ai potenziali richiedenti asilo,
come se fosse possibile abbandonare in mezzo al mare tutti gli altri naufraghi,
o respingerli (con un quale mezzo ?) verso il porto di partenza.
In base alla Convenzione on Marittime Search and
Rescue SAR 1979 si impone a tutti, mezzi militari e commerciali, un preciso
obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare regardlerss of the
nationality or status of such a person or the circumstances in which that
person is found, stabilendo altres, oltre
lobbligo della prima assistenza anche il dovere di sbarcare i naufraghi in un
luogo sicuro.
Una
particolare considerazione merita la problematica relativa a ci che debba
intendersi per conduzione della persona salvata in luogo sicuro. Infatti dal momento
dellarrivo in tale luogo che cessano gli obblighi internazionali (e nazionali)
relativamente alle operazioni di salvataggio, che pertanto non si esauriscono
con le prime cure mediche o con la soddisfazione degli altri pi immediati
bisogni (alimentazione etc.). Con lentrata in vigore (luglio 2006) degli
emendamenti allannesso della Convenzione SAR 1979 (luglio 2006) e alla
Convenzione SOLAS 1974 (e successivi protocolli) e con le linee guida -
adottate in sede IMO lo stesso giorno di approvazione degli emendamenti alle
convenzioni e protocolli - viene fatta maggiore chiarezza sul concetto di place of safety e sul fatto che la nave soccorritrice un luogo puramente provvisorio
di salvataggio, il cui raggiungimento non coincide con il momento terminale
delle operazioni di soccorso. Le linee guida insistono particolarmente sul
ruolo attivo che deve assumere lo Stato costiero nel liberare la nave
soccorritrice dal peso non indifferente di gestire a bordo le persone salvate.
Il luogo sicuro pu anche essere il luogo di sbarco pi vicino, ma questultimo,
come nel caso della Libia o della Tunisia, pu anche non essere il luogo
sicuro nel quale il comandante di una imbarcazione obbligato a sbarcare i
naufraghi.
Secondo gli ordini impartiti dai mezzi militari, riconducibili al Ministero dellinterno,
in base al decreto interministeriale del 14 luglio 2003 i naufraghi salvati dai
pescatori, malgrado avessero gi fatto ingresso nelle acque territoriali, e
dunque nel territorio dello Stato italiano, avrebbero dovuto essere respinti
verso il porto di partenza e consegnati alle autorit tunisine. Ma sono ancora drammaticamente attuali
i casi di immigrati respinti verso la Tunisia ( i famosi pirati che lo scorso
luglio avrebbero tentato addirittura il dirottamento di un peschereccio) e
poi allontanati da questo paese verso la Libia, dove, anche donne e minori si
sono ritrovati esposti ad ogni genere di abusi, al punto da rivolgersi -senza
esito- alla rappresentanza dellAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati a Tripoli, mentre altri loro familiari venivano salvati da mezzi
italiani e condotti a Lampedusa e quindi a Crotone.
Quale che sia lesito della vicenda giudiziaria che
riguarda i pescatori tunisini sembra comunque possibile trarre da questultimo caso alcune considerazioni
sulle linee di politica internazionale e sulle prassi applicative seguite dal
nostro paese nel controllo dellimmigrazione clandestina via mare.
Le autorit italiane, nella delicata gestione delle frontiere
marittime, sembrano ritornare ad una sostanziale continuit con il precedente
governo Berlusconi, che pure era stato costretto, proprio negli ultimi giorni
della passata legislatura, a sospendere i respingimenti collettivi dallItalia
verso la Libia, anche a seguito delle denunce del movimento antirazzista e
delle successive condanne del Parlamento Europeo e delle principali agenzie
umanitarie come Human Rights Watch ed Amnesty International.
Anche in Tunisia, come in Libia, il trattamento riservato ai
migranti irregolari, soprattutto se provengono dai paesi del centro africa,
durissimo. Come ricordava il giornalista Fabrizio Gatti in una sua inchiesta
del 2003, in Tunisia, hanno preso sul serio le pressioni del governo italiano
e dell'Unione europea. Linea dura non solo contro chi guadagna con
l'immigrazione. Ma tolleranza zero anche contro gli immigrati. Non importa se
sono appena sopravvissuti a un naufragio, se sono stati rapinati di tutti i
loro risparmi, se chiedono aiuto. Cos 35 migranti sopravvissuti ad un
naufragio a fine giugno di quellanno a Sidi Daoud, sono passati direttamente
dai battelli di salvataggio alla prigione. Sorte analoga poi toccata a
centinaia di migranti detenuti per mesi negli undici centri di detenzione
tunisini o respinti verso i paesi limitrofi.
Le iniziative della polizia di frontiera sembrerebbero riconoscere adesso nella Tunisia un paese terzo sicuro verso il quale potere respingere imbarcazioni che hanno compiuto interventi di salvataggio nel canale di Sicilia. Un riconoscimento che tanto lontano dal vero quanto sono ben note le attivit di rimpatrio verso paesi terzi che le autorit tunisine pongono in essere anche se, a differenza della Libia, almeno formalmente, la Tunisia ha aderito alla Convenzione di Ginevra del 1951. I migranti di paesi terzi , in particolare quelli provenienti dal Corno dAfrica e dallAfrica sub sahariana che hanno ottenuto il diritto di asilo in Tunisia sono poche centinaia, come risulta dai pi recenti rapporti dellAlto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, mentre la maggior parte dei migranti irregolari non tunisini respinti dallItalia viene successivamente respinta verso la Libia ed altri paesi confinanti, con la certezza di subire trattamenti inumani o degradanti.
Sono poi numerose le testimonianze di migranti giunti a
Lampedusa o negli altri centri di detenzione italiani che raccontano di come
diverse imbarcazioni commerciali che li avevano avvistati nelle acque del
Canale di Sicilia, avessero poi proseguito la loro rotta senza intervenire.
Persino le autorit maltesi, in un recente caso, si sono limitate a rifornire
di acqua e di giubbotti salvagente una imbarcazione carica di migranti che
attraversava le loro acque territoriali proseguendo poi con i propri mezzi in
direzione della Sicilia.
In questo quadro, pu costituire la premessa per gravi
violazioni dei diritti fondamentali dei migranti, lincriminazione dei pescatori
tunisini accusati per avere effettuato un intervento di salvataggio. Sono gi
noti gli effetti delle denunce di pescatori che negli anni passati avevano
salvato altri migranti. Molti sopravvissuti alle stragi nel Canale di Sicilia
hanno testimoniato che, dopo queste denunce, sebbene non ci siano ancora state
condanne da parte della magistratura, i pescherecci si rifiutano di intervenire
tempestivamente nel salvataggio dei migranti in difficolt, limitandosi ad
avvertire le forze militari italiane con un inevitabile ritardo negli
interventi di soccorso.
Il caso di questi giorni ha un precedente lo scorso anno. Nel 2006 la nave Sibilla della Marina Militare italiana ha praticato nel canale di Sicilia, in collaborazione con unit navali della Marina militare tunisina, il primo respingimento in mare verso un porto tunisino, consegnando alle autorit di quel paese una imbarcazione carica di migranti che era stata intercettata in acque internazionali.
Nessuna Convenzione internazionale prevede questo tipo di respingimento in mare, e il Decreto interministeriale emanato nel 2003 dal governo Berlusconi, che prevedeva il blocco in acque internazionali delle imbarcazioni cariche di migranti irregolari allo scopo di effettuare le ispezioni a bordo ( la cd. visita di bandiera) ed eventualmente il respingimento verso il porto di partenza, era rimasta per anni inattuata perch in evidente contrasto con il diritto internazionale del mare, oltre che per lesemplare impegno di salvataggio della nostra marina.
Come osservano gli studiosi di diritto internazionale del mare (SCOVAZZI), peraltro, lItalia non ha mai istituito una zona contigua alle acque territoriali nella quale esercitare poteri di interdizione della navigazione delle imbarcazioni cariche di migranti irregolari, zona contigua che era prevista dal decreto 14 luglio 2003 del governo Berlusconi, ma che poi rimasta lettera morta anche per la dubbia legittimit del decreto interministeriale.
Nelle acque internazionali, al di fuori dei casi di terrorismo, pirateria ed inquinamento ambientale, solo da parte dello stato di bandiera ( o con la autorizzazione dello Stato di bandiera) si pu esercitare un potere di interdizione della navigazione di una imbarcazione carica di migranti irregolari. Sul punto gli accordi di riammissione e di cooperazione di polizia sono assai lacunosi, almeno nei pochi testi che si conoscono, perch ciascun paese di transito tende ad evitare il respingimento verso le sue coste di cittadini di paesi terzi, che poi dovrebbero essere successivamente espulsi verso i paesi di provenienza.
Nessuna norma di diritto internazionale del mare autorizza dunque
uno Stato ad esercitare poteri di interdizione su imbarcazioni sospettate di
trasportare migranti irregolari nelle acque intenazionali (SCOVAZZI).Le
violazioni delle norme sullimmigrazione possono costituire illeciti rilevanti
per gli ordinamenti nazionali degli Stati che ne sono coinvolti ( Stato di
partenza o Stato di arrivo o entrambi). Ma ovvio che qualsiasi illecito di
immigrazione clandestina si consuma soltanto dopo che le persone coinvolte sono
entrate nel mare territoriale dello Stato di destinazione ( o di uno Stato di
transito), e non gi prima, e cio quando la nave che li trasporta si trova ancora
in alto mare ( cos T. Scovazzi in Diritto, immigrazione e cittadinanza, 2003,
n.4, p.52).
Le prescrizioni eventualmente derivanti da direttive
comunitarie, come quella che nel 2004 ha istituito lAgenzia di controllo delle
frontiere esterne Frontex, o la attuazione di Accordi internazionali come il
Protocollo aggiuntivo alla Convenzione delle Nazioni Unite contro il crimine
organizzato transnazionale relativo al traffico clandestino di migranti, non
intaccano questi principi, autorizzando soltanto il diritto di visita in acque
internazionali nel caso di nave senza nazionalit o non battente una bandiera
di stato.
Va istituita una commissione di inchiesta per verificare la
pratica di attuazione degli accordi di riammissione e delle intese operative a
livello di forze di polizia, sottoscritti dallItalia con i paesi nord
africani.
Occorre depenalizzare al pi presto gli interventi di
salvataggio a mare da parte delle imbarcazioni commerciali e da pesca, in modo
da rendere pi tempestive le azioni di salvataggio ed adottare una legge organica
sul diritto di asilo e sulla protezione umanitaria che garantisca laccesso al
territorio nazionale ed alla procedura per tutti coloro che fuggono da guerre,
persecuzioni e violazioni sistematiche dei diritti fondamentali della persona.
Le prassi di respingimento collettivo in mare indotte in base
al decreto interministeriale del 14 luglio 2003, in attuazione della legge
Bossi Fini, derivano da decisioni delle autorit politiche, che si
sovrappongono agli interventi umanitari e di salvataggio, ponendosi in
contrasto con il diritto internazionale del mare ed alimentando il rischio di
nuove stragi. Queste prassi amministrative possono costituire una gravissima
lesione del diritto di asilo riconosciuto a livello internazionale e dalla
Costituzione italiana. Il Decreto interministeriale va immediatamente
riformulato, con la precisazione degli obblighi di salvataggio, e dei diritti
dei potenziali richiedenti asilo, con la cancellazione delle ipotesi di rinvio
verso i porti di provenienza.
La sicurezza dei cittadini, lordine pubblico e il contrasto
dellimmigrazione clandestina in mare, nuovi totem davanti ai quali non si
esita a sacrificare quotidianamente il destino di uomini, donne e bambini in
fuga dalle persecuzioni e dal bisogno, non possono essere certo scalfiti, in un
paese che conta sessanta milioni di abitanti, dal salvataggio di alcune
migliaia di migranti che tentano la traversata del canale di Sicilia. Il
principio di legalit va rispettato da tutti, a partire dagli obblighi di
protezione della vita umana a mare imposti dalle convenzioni internazionali e
dal diritto interno.
Fulvio Vassallo Paleologo
Associazione studi giuridici sullimmigrazione ( ASGI)
Universit di Palermo