I rapporti euromediterranei dopo il vertice di Lisbona e gli attentati di Algeri: tra interessi economici nazionali e sicuritarismo globale.

I ventisette paesi dell'Ue e i dodici stati della costa sud del Mediterraneo si sono riuniti a Lisbona per il vertice 'Euromed” per incrementare i rapporti di cooperazione economica  e per trovare soluzioni comuni  su temi scottanti  come l'immigrazione e il Medio Oriente.  Obiettivo comune, frenare l'immigrazione clandestina  e le carrette del mare che solcano il Mediterraneo con il loro carico di disperati, incoraggiare ( a parole) e governare quella legale, di cui ha bisogno l'economia dei paesi europei e che costituisce un essenziale fattore di sviluppo per i paesi di origine. Le politiche migratorie europee, con l’avallo, o il silenzio di importanti agenzie intergovernative,  hanno invece intensificato le attività di contrasto contro i migranti  durante il viaggio verso l’Europa, negli stati di origine e di transito. Le politiche dell’immigrazione “circolare”, l’inganno della “carta verde” e la retorica del “ritorno” verso i paesi di origine hanno fatto il resto. Le ripetute pressioni nei confronti della Tunisia, del Marocco, dell’Algeria e soprattutto della Libia, hanno indotto questi paesi ad adottare nuovi strumenti normativi e a sviluppare dispositivi di controllo e sorveglianza sempre più severi, sulla carta, restando affidati di fatto ad una larga discrezionalità delle forze di polizia, assai spesso colluse con le organizzazioni criminali.

 

L’Europa ha fortificato le sue frontiere, blindato i suoi aeroporti, ed armato le pattuglie RABITS promuovendo il pattugliamento congiunto navale delle operazioni FRONTEX,  mentre la globalizzazione neoliberista riproduceva in Africa e negli altri paesi poveri del sud del mondo quelle condizioni economiche che determinano la crescita dei flussi migratori irregolari.  Gli accordi di riammissione, da un lato, e le riforme introdotte nel diritto interno di tali paesi per contrastare il traffico di migranti e l’emigrazione irregolare, hanno gravemente inficiato i diritti umani dei migranti, e delle componenti più vulnerabili dei flussi migratori, le donne, le vittime di tortura, i minori, i malati. Migliaia di persone hanno perso la vita nelle acque del Mediterraneo o nella sabbia dei deserti africani. I paesi del Nord Africa sono stati utilizzati, dopo lo scandalo di Guantanamo e di Abu Grhaib, per la pratica sistematica della tortura sui sospetti terroristi.

 

Le risorse finanziarie, materiali e umane impegnate nella lotta contro le migrazioni irregolari e nell’attuazione delle politiche di controllo dell’immigrazione sono risultate maggiori dei mezzi messi a disposizione  per la cooperazione allo sviluppo nel campo delle migrazioni.

La ricetta per risolvere i problemi dell’immigrazione irregolare proposta dall’Europa ai paesi africani anche a Lisbona rimane sempre la stessa . Come ha annunciato Zapatero, si offrono più posti di lavoro per gli immigrati regolari, investimenti nei paesi di origine, nelle infrastrutture e nella formazione, se questi garantiranno un contenimento delle migrazioni illegali. Solo che poi queste possibilità di ingresso legale si rivelano una lotteria, come sta avvenendo in questi giorni in Italia con i decreto flussi, e nessuna seria proposta viene avanzata per consentire forme di ingresso legale per ricerca di lavoro, possibilità di regolarizzazione permanente ed il riconoscimento effettivo del diritto di asilo anche nei paesi di transito.

In realtà il vertice euromediterraneo di di Lisbona, a parte il trionfalismo delle dichiarazioni finali, ha segnato il fallimento della politica degli accordi multilaterali di partneriato economico tra l’Europa ed i paesi africani ( APE). I singoli paesi dell’Unione europea continuano a privilegiare canali di relazioni ‘bilaterali’ all’interno dei quali si ritiene possibile  esercitare una maggiore pressione ed ottenere consistenti vantaggi economici e politici rispetto al singolo paese africano con il quale di volta in volta ci si rapporta ( ed anche rispetto ai concorrenti europei).

Dopo il vertice di Lisbona Gheddafi è stato ricevuto a Parigi con tutti gli onori,  invitato a partecipare ad una riunione dell’Assemblea nazionale, ed anche in questa occasione non ha mancato di stupire, confermando la sua inaffidabilità . Ha ribadito la sua opposizione alla “internalizzazione” della questione Darfur, annunciata invece da Prodi due giorni prima, continuando a dare copertura ai suoi amici al governo in Sudan, contrari a qualsiasi intervento dei paesi occidentali in difesa delle popolazioni massacrate dalle truppe paramilitari vicine alle forze governative.

Malgrado la fornitura di aerei da guerra  ( tra cui 14 caccia da combattimento e 35 elicotteri ( per la sorveglianza delle frontiere ?), per un valore totale di 4,5 miliardi di euro) e la promessa di reattori nucleari che potranno essere installati in Libia, a poche centinaia di chilometri dal territorio italiano, Gheddafi è riuscito a mettere la Francia sul banco degli accusati, contraddicendo Sarkozy e smentendo che nel  corso dei colloqui con il presidente francese si fosse trattato – come questo aveva invece annunciato- della questione cruciale dei diritti umani in Libia. Lo stesso Gheddafi, tra gli applausi delle comunità africane immigrate in Francia, ha detto chiaramente che il governo francese non ha alcuna legittimazione a contestargli il mancato rispetto dei diritti umani nel suo paese, di fronte agli abusi che perpetra ai danni dei migranti africani in Francia. Come se lui stesso non fosse direttamente responsabile delle atrocità commesse ai danni dei migranti in Libia, documentate da Amnesty, da Human RightsWatch e dalle missioni tecniche dell’Unione Europea.

Incurante delle promesse fatte sul carattere decisivo del dossier sui diritti umani in Libia,  Sarkozy non ha trattato questo argomento e si è limitato a dire che dalla visita del leader libico si attende un vantaggio economico per la Francia di dieci miliardi di euro. Tanto vale per il presidente francese la vita delle migliaia di migranti che sono rinchiusi ed abusati, giovani, donne e bambini nei centri di detenzione libici in attesa di essere deportati verso i paesi di origine o abbandonati alle frontiere nel deserto alle bande di trafficanti e di poliziotti corrotti..

Gli attentati di Algeri sembrerebbero offrire adesso una ulteriore legittimazione al ruolo del colonnello Gheddafi come baluardo dell’Europa nella guerra al terrorismo e nel contrasto delle migrazioni irregolari. Sono stati colpiti, non tanto la politica di “riconciliazione nazionale” del Presidente Boutefika, quanto piuttosto  i luoghi simbolo della legalità nazionale algerina, la Corte Suprema, e della legalità internazionale, la sede dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati. Dodici dipendenti di questa organizzazione risulterebbero dispersi. Rendiamo onore alle vittime, in Algeria e a tutte le vittime innocenti come i 140 migranti morti in questi giorni in mare, per effetto delle politiche di sbarramento della Fortezza Europa. Le conseguenze degli attentati contro la sede dell’ACNUR potrebbero essere devastanti, per le migliaia di potenziali richiedenti asilo presenti in Algeria. Si corre il rischio concreto che vengano abbandonati più di prima all’arbitrio delle forze di polizia ed alle violenze dei trafficanti. 

L’attacco terrorista dimostra ancora una volta come gli apparati giurisdizionali e le agenzie delle Nazioni Unite che si battono per i diritti dei rifugiati siano ritenuti obiettivi privilegiati di una strategia del terrore che non si limita a diffondere paura tra le popolazioni, ma vuole eliminare qualunque possibilità di mediazione politica e di partecipazione, la stessa presenza delle aggregazioni democratiche della società civile e di quelle organizzazioni internazionali che negoziano faticosamente i diritti dei migranti, per affermare giorno per giorno il diritto di asilo e la necessità di una protezione internazionale per tutti coloro che sono vittima di abusi nei paesi di transito.

La lotta al terrorismo, come il contrasto dell’immigrazione illegale, non può essere delegata a dittatori e colonnelli che giocano con le paure e gli egoismi delle cd. democrazie occidentali costruendo sistemi di potere ed immense fortune personali. Occorre rimuovere a livello multilaterale quelle cause di detonazione delle tensioni interreligiose e politiche costituite dalla guerra in Palestina e dagli interventi umanitari in Irak e in Afghanistan, senza cedere alla logica del terrore e della moltiplicazione delle risposte militari. Fondamentale il ruolo dell’ONU e delle sue agenzie, anche se preoccupal’ingresso della Libia nel Consiglio di sicurezza come membro temporaneo..

Non si può accettare che in nome del sicuritarismo vengano sacrificate ancora una volta la garanzie dei diritti fondamentali, dei migranti e dei cittadini, nei paesi di transito e nell’Unione Europea, scendendo a patti con dittatori che cambiano idea ogni giorno sulla base delle proprie convenienze personali. Le organizzazioni terroristiche si diffondono anche perchè le pratiche neoliberiste da una parte, e le interpretazioni religiose più retrive, dall’altra, hanno ridotto i poteri delle organizzazioni democratiche e delle istituzioni internazionali, favorendo la corruzione degli apparati statali di controllo e  riportando alla logica di mercato lo scambio tra violenza e profitto.

Gli obiettivi egemonici perseguiti dalle organizzazioni terroristiche coincidono assai spesso con quelli dei grandi poteri economici mondiali che si avventano sulle risorse dei paesi più poveri per ricavare il massimo profitto, per schiacciare le componenti più deboli della popolazione, approfittando dell’assenza di democrazia.. Esattamente come le politiche di contrasto dell’immigrazione illegale favoriscono il dilagare della clandestinità e il successo delle organizzazioni criminali che controllano i traffici di”clandestini”.

Non ci possiamo interrogare se una inversione di tendenza è ancora possibile. Bisogna battersi da subito perché si possa verificare. Non si può attendere ancora che l’Unione Europea si doti di una politica efficace, superando gli egoismi nazionali. Occorre lottare contro questo degrado della convivenza umana, a partire dalla difesa dei diritti dei più deboli, unendo la affermazione dei diritti dei migranti e dei richiedenti asilo con la battaglia per il riconoscimento del diritto alla vita e alla salute, delle libertà democratiche e dei diritti di partecipazione alle popolazioni dei paesi più poveri.

Le pratiche di autogoverno, la costruzione di reti sociali, il coinvolgimento degli enti locali negli scambi tra le popolazioni delle due sponde del mediterraneo, la conoscenza diretta dei problemi e delle persone, la circolazione delle informazioni, la facilitazione dei movimenti migratori, il pieno riconoscimento, ovunque, del diritto di asilo e della protezione internazionale, costituiscono percorsi immediatamente praticabili da quanti che non vogliono farsi travolgere da soluzioni autoritarie o non vogliono chiudere gli occhi davanti ad un massacro continuo. E’questa l’unica vera prospettiva di una sicurezza condivisa, a nord e a sud del Mediterraneo, di fronte al fallimento annunciato di tutte le politiche di controllo, di repressione o di esternalizzazione, dispiegate in questi anni contro i migranti e contro le componenti subalterne della popolazione mondiale.

Fulvio Vassallo Paleologo

Università di Palermo