La protezione sociale ex art. 18 del dlgs 286/1998  svincolata dallo status di cittadinanza: lĠart. 6, comma 4 del decreto legge 300/2006

 

 

1. La protezione sociale delle vittime di violenza o grave sfruttamento ÒneocomunitarieÓ.

 

Le frontiere dellĠUnione Europea si allargano sempre di pi. Dal 1Ħ gennaio 2007 altri due nuovi Stati sono entrati a far parte della UE; si tratta della Romania e della Bulgaria.

Al di lˆ di tutte le disquisizioni di carattere giornalistico e dei riflessi sugli orientamenti dellĠopinione pubblica, il maggior problema derivante da questo imponente flusso di cittadini ÓneocomunitariÓ  rappresentato dal fatto che fino ad oggi i cittadini di quei Paesi (in particolar modo i cittadini rumeni) avevano bisogno del permesso di soggiorno per soggiornare nel territorio comunitario; di conseguenza, in caso di irregolaritˆ, questi cittadini erano considerati migranti clandestini, soggetti alle previsioni repressive della legge 189 del 2002, frequentemente trafficati e/ sfruttati da organizzazioni criminali transnazionali.

Le tematiche connesse allĠingresso di questi cittadini nellĠUnione Europea sono molteplici, ma se si presta maggiore attenzione alle istanze sociali e umanitarie, nonch alle esigenze investigative, un aspetto in particolare merita una riflessione nel caso in cui questi ÒneocomunitariÓ siano vittime di reati connessi allo sfruttamento del loro progetto migratorio. Ai tanti vantaggi conseguenti allo status di cittadino dellĠUnione pu˜ contrapporsi lo svantaggio di non poter fruire pi di quello straordinario di protezione sociale, apprezzato a livello internazionale, che il legislatore italiano possiede, vale a dire lĠart. 18 del dlgs 25 luglio 1998 n. 286 (dĠora in poi per brevitˆ denominato art. 18).

Recita il primo comma del predetto articolo che Òquando, nel corso di operazioni di polizia, di indagini o di un procedimento per taluno dei delitti di cui all'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, ovvero nel corso di interventi assistenziali dei servizi sociali degli enti locali, siano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento nei confronti di uno straniero ed emergano concreti pericoli per la sua incolumitˆ, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un'associazione dedita ad uno dei predetti delitti o delle dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio, il questore, anche su proposta del Procuratore della Repubblica, o con il parere favorevole della stessa autoritˆ, rilascia uno speciale permesso di soggiorno per consentire allo straniero di sottrarsi alla violenza e ai condizionamenti dell'organizzazione criminale e di partecipare ad un programma di assistenza ed integrazione socialeÓ.

Gli osservatori pi accorti, tra cui il Dipartimento per i diritti e le pari opportunitˆ presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, hanno notato che lĠingresso di alcuni Paesi, tradizionalmente conosciuti come a rischio per la possibilitˆ che i loro cittadini siano vittime di gravi reati tra cui quelli di favoreggiamento dellĠimmigrazione clandestina, ex art. 12 del dlgs 286/1998 e di tratta di persone e/o riduzione in schiavit, ex art. 600, 601, 602 c.p. (le ipotesi rientranti nei concetti internazionalmente condivisi di smuggling e trafficking, secondo le accezioni consacrate nella Convenzione ONU di Palermo del 2000 e dei relativi Protocolli Addizionali, ratificata dallĠItalia con la legge 16 marzo 2006 n. 146) hanno lanciato un allarme, anche sulla scorta di quanto giˆ registrato successivamente al recente ingresso di altri Paesi nella UE (Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia,  Ungheria, Malta, Cipro). Come si  potuto verificare anche in indagini molto recenti, lĠingresso di questi Paesi nellĠUnione Europea non ha comportato una contestuale scomparsa di quei fenomeni di grave sfruttamento presenti in precedenza. Anzi, il passaggio delle vittime da extracomunitari a comunitari ha determinato un affievolimento della protezione sociale che lĠart. 18 offriva soltanto agli stranieri. Infatti, molti cittadini di alcuni dei predetti Paesi neocomunitari, pur essendo stati vittime di gravi reati non potevano pi accedere ai programmi di protezione sociale di cui allĠart. 18 perch non pi stranieri, nel senso di cittadini estranei allĠUnione Europea. In questi casi un rimedio residuale  stato quello di recente introduzione nellĠordinamento italiano, vale a dire lĠart. 13 della legge 11 agosto 2003 n. 228, applicabile soltanto alle vittime di trafficking e con portata e finalitˆ molto pi ridotte.

 

 

2. Una novitˆ silenziosa a tutela dei diritti della persona.

 

Al fine di non consentire una ripetizione di questo affievolimento di tutela dei diritti umani dei cittadini gravemente sfruttati in diversi contesti e per diverse finalitˆ (dallo sfruttamento sessuale a quello lavorativo, allĠaccattonaggio, etc.) il legislatore ha ritenuto di intervenire sul filo di lana, prima che in data 1 gennaio 2007 scattasse lĠingresso dei nuovi Paesi nellĠUnione Europea.

Con questi intenti il legislatore ha ritenuto di approvare una norma, inserita allĠarticolo 6, comma 4 del decreto legge  28 dicembre 2006 n. 300 avente per oggetto la Òproroga dei termini previsti da disposizioni legislativeÓ, che nella sua disarmante genericitˆ non si cura di celare il suo reale leit motiv, cio quello di porre un rimedio last minute ad una serie eterogenea di urgenze e necessitˆ, note soltanto a tecnici e addetti ai rispettivi lavori.

La disposizione che interessa lĠart. 18 recita : al programma di assistenza ed integrazione sociale  previsto dallĠarticolo 18 del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dellĠimmigrazione e norme sulla condizione dello straniero di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286, pu˜ partecipare alle condizioni ivi indicate, in quanto compatibili, anche il cittadino di Stato membro dellĠUnione Europea che si trovi in una situazione di gravitˆ ed attualitˆ di pericolo

LĠintervento, pur nella sua laconicitˆ, muove dalla premessa implicita del riconoscimento della rilevanza dellĠarticolo 18 nel panorama normativo italiano ed europeo per la tutela degli stranieri vittime di violenza e grave sfruttamento e per il contrasto ai trafficanti ed agli sfruttatori di persone, in ossequio ai pi recenti indirizzi degli organismi internazionali, tra cui il Consiglio dĠEuropa e nellĠottica di una prospettiva, sempre pi condivisa a livello sovranazionale, fondata sulla tutela e sullĠaffermazione dei diritti umani, nonch sullĠattenzione alla protezione delle vittime di reati gravi. Ci˜ anche sulla scia delle sollecitazioni in tal senso espresse dal Consiglio dellĠUnione Europea che, a diversi livelli, ha ribadito lĠimportanza di promuovere uno sforzo di cooperazione incentrato sulla promozione dei diritti umani e sulla tutela delle vittime e di rafforzare lĠimpegno nella prevenzione e nella lotta alla tratta di esseri umani finalizzata a qualsiasi tipo di sfruttamento, nonchŽ nella protezione, nel sostegno e nel reinserimento delle vittime di tali reati.

A questo proposito, ad esempio, principio fondamentale della normativa internazionale in tema di diritti umani  il rispetto del principio di non discriminazione.  EĠ di chiara evidenza come questo principio si attagli alla perfezione con riguardo ai migranti irregolari o illegali e ad altri gruppi vulnerabili o emarginati. La responsabilitˆ degli Stati  quella di prevenire e combattere la tratta di persone e il traffico di migranti, nonchŽ di assistere e fornire un risarcimento alle vittime, di assicurare che le misure antitratta non creino ripercussioni negative o ledano i diritti umani dei gruppi colpiti. Questo  possibile se vengono introdotti, accanto alle misure preventive e repressive, rimedi che tendano a rimuovere quellĠannullamento dei diritti umani che si pone come una precondizione della tratta e dello sfruttamento dei migranti.

In questa prospettiva, vista lĠefficacia dimostrata dallĠapplicazione del citato articolo 18 e la elevata percentuale di vittime di condotte di smuggling e trafficking provenienti da Paesi il cui ingresso nellĠUnione Europea  recente o prossimo (si consideri che oltre il 30% degli stranieri giˆ ammessi a programmi di protezione sociale per effetto del citato articolo 18 proviene dalla Romania) si  voluto permettere la loro partecipazione ai programmi di protezione sociale anche se per la presenza nel territorio italiano non vi  pi necessitˆ di permesso di soggiorno; e ci˜ sia nel caso che il programma sia giˆ in itinere, sia nel caso in cui debba essere attivato. Si  ritenuto, cos“, di sganciare gli aspetti riguardanti la protezione, lĠassistenza e lĠintegrazione sociale delle vittime di violenza o di grave sfruttamento dal rilascio del permesso di soggiorno, in modo da perseguire le prime finalitˆ anche senza la necessitˆ del titolo di soggiorno che, finora, costituiva il perno dellĠart. 18.

Il legislatore ha inteso intervenire con una norma ad hoc senza toccare la struttura dellĠarticolo 18, proprio per utilizzare prassi collaudate e non disperdere esperienze acquisite, dimostrando lĠintenzione di affidare alla concessione del permesso di soggiorno (nei casi in cui occorre) un ruolo secondario rispetto alla finalitˆ primaria della protezione per motivi umanitari.

Pertanto, quando non  richiesto il permesso di soggiorno, per poter accedere ai programmi di assistenza ed integrazione sociale  necessaria la presenza delle condizioni e delle procedure in esso previste, in quanto compatibili.

Invero, lĠestrema sintesi della disposizione da una lato nasconde la sua portata dirompente e dallĠaltro lascia qualche dubbio interpretativo.

LĠart. 18 finora consentiva il rilascio di permessi di soggiorno per motivi di protezione sociale a cittadini extracomunitari che venivano ammessi a programmi di assistenza ed integrazione sociale. A prescindere dallĠesigenza di non lasciare ÒscopertiÓ i cittadini ÒneocomunitariÓ, (dato che ha costituito lĠelemento dellĠurgenza insito nel decreto legge) anche a pena di possibili censure di incostituzionalitˆ, con il decreto legge 300/2006 qualunque soggetto, anche appartenente ad uno Stato membro (dunque anche un cittadino italiano) sempre che vi sia un pericolo grave ed attuale, per effetto dei tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un'associazione dedita ad uno dei delitti di cui all'articolo 3 della legge 20 febbraio 1958, n. 75, o di quelli previsti dall'articolo 380 del codice di procedura penale, pu˜ essere ammesso a partecipare ai programmi di assistenza e integrazione sociale.

Se, come  evidente, in tali casi il permesso di soggiorno  inutile, poich lĠesigenza  la partecipazione ai programmi di assistenza e integrazione sociale, di fatto il legislatore introduce un principio di estrema rilevanza, vale a dire che in presenza di gravi reati, da cui emerga un pericolo grave e attuale per la vittima (a prescindere dalla sua cittadinanza che diviene un elemento opzionale) lo Stato si assume lĠonere che questa venga assistita, protetta ed integrata socialmente secondo i programmi stabiliti. EĠ ovvio che molto dipende anche dagli stanziamenti e dalle dotazioni di cui questi programmi disporranno, ma ci˜ non intacca il principio giuridico di base.

 

Questa considerazione induce ad una riflessione ulteriore. In virt di questa modifica non ha pi alcuna motivazione sistematica la presenza di una norma come lĠart. 18 allĠinterno di un testo unico sullĠimmigrazione. EĠ chiaro che la finalitˆ della norma in esame  da un lato di natura socio assistenziale, dallĠaltro  tesa a preannunciare (magari inconsapevolmente) la nascita di un futuro statuto degli interventi a sostegno e tutela delle vittime/testimoni di reati gravi, allĠinterno del quale far confluire anche lĠattuale art. 13 della legge 228/2003 ed ogni altra disposizione pertinente.

Senza addentrarci in auspicabili progressi del legislatore, sorgono spontanei alcuni dubbi interpretativi. Il richiamo allĠart. 18 e alle condizioni in esso previste, consente di ritenere che continuino ad essere coinvolti i soggetti legittimati ad intervenire (servizi sociali degli enti locali, associazioni, enti ed altri organismi iscritti al registro di cui allĠarticolo 52, comma 1, lett. c, del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, convenzionati con lĠente locale, procuratore della Repubblica, questore) secondo i diversi percorsi previsti, sociale e giudiziario. PoichŽ nel caso in cui non si tratti di extracomunitari  non vi  necessitˆ di rilascio di permesso di soggiorno, il punto di arrivo del procedimento deve consistere in una valutazione di ammissione ai programmi di assistenza, protezione e intgrazione sociale che scaturisce automaticamente dalla riscontrata sussistenza di una situazione di gravitˆ ed attualitˆ del pericolo a cui  esposta la vittima. NullĠaltro dice lĠart. 6, comma 4, del decreto legge in esame, ma nel silenzio, parrebbe logico intendere che il pericolo grave e attuale debba derivare da una situazione di violenza o grave sfruttamento conseguente al tentativo della vittima di sottrarsi ai condizionamenti di unĠassociazione dedita ai delitti menzionati nellĠart. 18 (favoreggiamento e/o sfruttamento della prostituzione o altri delitti previsti dallĠart. 380 c.p.p.) o conseguente a dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o di un processo.

Pi si riflette sulla novitˆ della disposizione e pi sembrano aprirsi possibilitˆ forse insondate dallo stesso legislatore. Svincolato dallo status di cittadinanza del beneficiario, lĠart. 18 si espande fino a divenire lĠespressione positiva dellĠobbligo di assistenza, protezione e integrazione sociale di cui si fa carico lo Stato nei confronti dei cittadini che per effetto delle loro dichiarazioni allĠautoritˆ giudiziaria si espongano ad un pericolo grave e attuale. EĠ evidente il carattere generale della disposizione, molto pi estesa ed onnicomprensiva delle vigenti disposizioni in tema di testimoni e collaboratori di giustizia per reati di mafia e eversione (decreto legge 15 gennaio 1991 n. 8, convertito con modificazini nella legge 15 marzo 1991 n. 82).

La valutazione circa la gravitˆ o lĠattualitˆ del pericolo spetta agli stessi organi previsti nellĠart. 18. Quindi,  richiesto lĠintervento del questore (e/o nei termini previsti del procuratore della Repubblica) e dalla valutazione della situazione di gravitˆ ed attualitˆ del pericolo scaturisce la possibilitˆ di accedere al programma di assistenza ed integrazione sociale.

Sarebbe stato opportuno che il legislatore avesse previsto espressamente che da tale partecipazione ne deve conseguire la complementare possibilitˆ di accesso ai servizi assistenziali e allo studio, nonchŽ di iscrizione nelle liste di collocamento e di svolgimento del lavoro subordinato, fatti salvi i requisiti minimi di etˆ (tutte possibilitˆ che nel comma 5 dellĠarticolo 18 sono connesse al rilascio del permesso di soggiorno, del tutto superfluo per˜ per tutti i casi di ÒneocomunitariÓ o di comunitari ammessi ai programmi) nonch il diritto a soggiornare nello Stato per un periodo superiore a tre mesi (per la semplice considerazione che i programmi di assistenza ex art. 18 hanno una durata ben superiore a tre mesi).

Infine, sarebbe stato utile raccordare a questa silenziosa innovazione normativa le circolari del Ministero dellĠinterno del 28 dicembre 2006 e del 3 gennaio 2007 con cui si forniscono istruzioni agli uffici competenti, sottolineando il regime transitorio per il periodo di un anno, di cui ha inteso avvalersi lĠItalia con particolare riguardo alle modalitˆ di accesso a determinate forme di lavoro subordinato. Allo stato attuale, sembrerebbe auspicabile una circolare esplicativa del Ministero dellĠinterno in ausilio al lavoro delle singole questure, allĠinterno delle quali non si sono mai sopite le divergenze applicative dellĠarticolo 18 tradizionale.

Infine,  appena il caso di considerare che lĠinnovazione dellĠart. 18 non si sovrappone allo strumento dellĠarticolo 13 della legge 11 agosto 2003, n. 228, con il quale  stato istituito uno speciale programma di assistenza per le vittime dei reati previsti dagli articoli 600 e 601 del codice penale (che giˆ faceva salve per gli stranieri le disposizioni dellĠarticolo 18) rispetto alla quale si distingue per i requisiti richiesti per la partecipazione ai programmi, essendo richiesta per lĠattuazione dellĠarticolo 13 la condizione di essere vittima dei soli reati previsti dagli articoli 600 e 601 del codice penale, mentre nel caso dellĠarticolo 18  sufficiente essere vittima di situazioni di violenza o di grave sfruttamento ed  necessario che emergano concreti pericoli per la incolumitˆ della vittima stessa. Inoltre, si  accennato sulle caratteristiche dei programmi che, nel caso dellĠarticolo 13 sono rivolti ad assicurare temporaneamente alle vittime adeguate condizioni di alloggio, vitto e assistenza sanitaria, idonee al loro recupero fisico e psichico, mentre nel caso dellĠarticolo 18 riguardano pi complessivamente lĠassistenza e lĠintegrazione sociale.

 

 

David Mancini