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  prova Assunzione di rumeni senza permesso di soggiorno: non è più reato  
 
 
di Aldo Natalini

ASSUNZIONE DI RUMENI SENZA PERMESSO DI SOGGIORNO: È ABOLITIO CRIMINIS.
È L'EFFETTO DELL'INGRESSO DAL 1° GENNAIO DELLA ROMANIA IN EUROPA

di Aldo Natalini
Assunzione di cittadini rumeni senza permesso di soggiorno: il fatto non è più previsto dalla legge come reato. Così il Tribunale penale di Viterbo, con la sentenza 15/07 - qui disponibile nei documenti correlati - ha assolto ex articolo 129 Cpp un imputato che era stato tratto a giudizio in ordine al reato di cui all'articolo 22, comma 12, del D.Lgs 286/98 (Tu immigrazione), per aver occupato, alle proprie dipendenze, due lavoratori rumeni clandestini. "Invero a seguito dell'ammissione della Romania nella Comunità europea - statuisce il giudice di prime cure - i cittadini assunti dal prevenuto non rivestono più la qualità di extracomunitari". Segue, dunque, l'immediato proscioglimento del prevenuto per abolitio criminis.
LA NORMA INCRIMINATRICE VIOLATA: ARTICOLO 22, COMMA 12, D.LGS 286/98
L'inedita - e quasi "spiazzante" per sinteticità - soluzione assolutoria cui perviene oggi il Tribunale viterbese merita di essere approfondita.
Il quid novi contenuto nella decisione in commento sta evidentemente nella tempestiva recezione, sul piano del nostro diritto penale dell'immigrazione, di una modifica (di favore) contenuta nella norma comunitaria di riferimento, su cui meglio si dirà appresso.
Il rapido volgere verso la rassegnata declaratoria ex articolo 129 Cpp non consente però cogliere appieno tutti gli aspetti giuridici sottesi alla vicenda de qua. Sicché, in assenza di un articolato iter argomentativo enucleabile direttamente in sentenza, occorrerà prima riempire, per così dire, gli spazi argomentativi lasciati vuoti dal giudicante ovvero dati per scontati in parte motiva. E ciò allo scopo di capire se la declinata applicazione del principio della retroattività della legge più favorevole - conclamato in sentenza, però, sotto il più ampio nomen di principio di favor rei - possa dirsi in effetti inevitabile. La contravvenzione ex articolo 22.12 D.Lgs 286/98. Muoviamo anzitutto dalla norma incriminatrice di riferimento. L'articolo 22, comma 12, del D.Lgs 286/98 punisce con l'arresto da tre mesi ad un anno e con l'ammenda di 5.000 euro per ogni lavoratore impiegato "il datore di lavoro che occupa alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi del permesso di soggiorno previsto dal presente articolo ovvero il cui permesso sia scaduto e del quale non sia stato chiesto, nei termini di legge, il rinnovo, revocato o annullato". Ai sensi del successivo articolo 24, comma 6, è assoggettato poi alla stessa pena il datore di lavoro che impiega per lavori stranieri di carattere stagionale privi del permesso di soggiorno per lavoro stagionale, o il cui permesso sia scaduto, revocato o annullato.
La ratio dell'incriminazione prima e dopo la legge 189/02. Occorre precisare che l'attuale comma 12 del citato articolo 22 prende il posto, a seguito della novella operata con la legge 189/02 (meglio nota come "Bossi-Fini"), del precedente comma 10. Comunque la norma novellata riproduce sostanzialmente la vecchia. Rispetto al passato si differenzia solo per due aspetti: l'operato inasprimento sanzionatorio (prima la pena era alternativa) e, sul piano della descrizione del fatto tipico, la puntualizzazione che al permesso scaduto non vi sia stata alcuna richiesta di rinnovo (con la conseguenza che l'aggiunta di questo ulteriore requisito, prima assente, ha prodotto, rispetto al passato, un fenomeno di abolitio parziale: v. in proposito Sezioni unite penali, 25877/03, Giordano ed altri, in tema di bancarotta fraudolenta impropria). È stato osservato in dottrina che la nuova formulazione dell'incriminazione mantiene inalterata la sua funzione politico-criminale: essa sanziona non il momento autorizzativo al lavoro, ossia la condotta del datore di lavoro che impiega un extracomunitario privo di nulla osta al lavoro rilasciato dallo sportello unico per l'immigrazione, bensì l'assunzione di un lavoratore straniero in mancanza in senso lato del permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato (Pennesi, I profili sanzionatori per l'occupazione irregolari dei lavoratori extracomunitari, in AA.VV., Il nuovo diritto dell'immigrazione, Milano, 2003, p. 251; De Augustinis, La nuova legge sull'immigrazione, in Quaderni di D&G, Milano, 2003, p. 104). Come poi ha chiarito lo stesso giudice nomofilattico, il legislatore penale, con tale normativa "mira essenzialmente a controllare ed a regimentare gli ingressi dei cittadini extracomunitari nel nostro Paese, impedendo che essi avvengano al di fuori dei flussi programmati, e non più soltanto a tutelare le condizioni del lavoratore" (Sezioni unite penali, 33539/01, Donatelli).
Il concetto di "permesso di soggiorno". Quanto, in particolare, all'enunciato concetto di "permesso di soggiorno previsto dal presente articolo", la Corte costituzionale, con ordinanza 419/02, ha precisato che esso va riferito non al permesso di soggiorno generico di cui all'articolo 5 del Tu immigrazione, bensì al permesso di soggiorno per motivi di lavoro subordinato disciplinato dall'articolo 22 Tu e specificamente richiamato nei commi 7 e 9 (oggi, nel testo dopo la legge 189: commi 9 e 11). In questo senso si è pure sottolineata in giurisprudenza la necessità di un'interpretazione restrittiva, secondo l'enunciata ratio legis, dell'espressioni "lavoratori privi di permesso di soggiorno", esigendosi che la stessa sia letta come riferita soltanto ai "clandestini", e non anche a coloro che, ad esempio, siano semplicemente in attesa di formalizzare la propria posizione (così Gup Tribunale di Trento, 30 settembre 2005, De G.G. ed altro, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2005, p. 1704).
L'INGRESSO DELLA ROMANIA IN UE E LE NORME EXTRAPENALI DI RIFERIMENTO
Veniamo ora a prendere in esame più diffusamente il (nuovo) contesto extrapenale di riferimento, di rango comunitario.
Le politiche di allargamento. Come noto, con l'avvento del nuovo anno, la Romania e la Bulgaria sono entrate definitivamente a far parte dell'Unione europea. Ciò è accaduto in ossequio agli articoli 49 del Trattato Ue ed I-58 del Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa, i quali offrono agli Stati europei la possibilità di diventare membri dell'Unione.
Del resto, nell'ottica dell'allargamento in particolare la Romania da tempo aveva iniziato ad adoperarsi per rispettare le priorità indicate dal partenariato per l'adesione riveduto, avviando tra l'altro importanti riforme nel settore dell'amministrazione pubblica, della lotta contro la corruzione e del sistema giudiziario, intese a rafforzare la democrazia e il primato del diritto e segnando nuovi progressi nel settore dei diritti dell'uomo e della protezione delle minoranze.
Il trattato di adesione della Romania e Bulgaria all'Unione europea. Il Consiglio Ue, su conforme parere della Commissione e del Parlamento europeo, si espresse a favore dell'ammissione di detti Stati nell'ambito unionista. Di qui la sottoscrizione - avvenuta a Lussemburgo, il 25 aprile 2005 - del Trattato di adesione all'Unione europea (pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea L 157/11 del 21 giugno 2005) tra la Repubblica di Bulgaria e la Romania, da un lato, e tutti gli altri Stati-membri dell'Unione europea, dall'altro (cioè Regno del Belgio, Repubblica Ceca, Regno di Danimarca, Repubblica Federale di Germania, Repubblica di Estonia, Repubblica Ellenica, Regno di Spagna, Repubblica Francese, Irlanda, Repubblica Italiana, Repubblica di Cipro, Repubblica di Lettonia, Repubblica di Lituania, Granducato di Lussemburgo, Repubblica di Ungheria, Repubblica di Malta, Regno dei Paesi Bassi, Repubblica d'Austria, Repubblica di Polonia, Repubblica Portoghese, Repubblica di Slovenia, Repubblica Slovacca, Repubblica di Finlandia, Regno di Svezia, Regno unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord).
L'entrata in vigore dall'1 gennaio 2007. Il citato trattato di adesione è entrato in vigore lo scorso 1° gennaio (articolo 4) e da quella data, per l'appunto, la Repubblica di Bulgaria e la Romania sono diventati Parti del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa e del Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica, così come modificati o completati (articolo 1). L'applicazione delle norme sulla libera circolazione dei cittadini infracomunitari. Uno dei primi effetti applicativi di cui beneficiano oggi i cittadini bulgari e rumeni consiste nel fatto che non sono più assoggettati alle disposizioni (restrittive) del D.Lgs 286/98 (Tu immigrazione), valendo ormai nei loro confronti quelle (ovviamente più favorevoli) contenute nel Dpr 54/02 (Tu delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di circolazione e soggiorno dei cittadini degli Stati membri dell'Unione europea). In particolare, trovano attuazione le vigenti disposizioni di diritto comunitario in materia di libera circolazione nel territorio Ue, comprese quelle relative all'allontanamento dal territorio nazionale.
La circolare 2/2006 dei Ministeri dell'interno e della Solidarietà sociale. Come hanno chiarito, con circolare n. 2 del 28 dicembre 2006 (diretta a tutti i Prefetti, Presidenti di Regione, Questori, Direzioni regionali e provinciali del lavoro), i ministeri dell'Interno (prot. n. 4468) e della Solidarietà sociale (prot. n. 23/II/2175/06), "i predetti cittadini neocomunitari potranno entrare liberamente in Italia e potranno, se in possesso dei requisiti di cui al citato Dpr 54/02, richiedere la carta di soggiorno alle Questure competenti, direttamente o tramite gli uffici postatali".
Lo stop alle espulsioni amministrative. Quanto alle espulsioni amministrative già disposte nei confronti di bulgari e rumeni, la citata circolare ministeriale spiega che "in relazione al diritto di libera circolazione ed alla specifica previsione dell'articolo 7 del predetto Dpr 54/02 - il quale dispone che i cittadini comunitari non possono essere espulsi, ma possono essere allontanati solo per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica - si intendono cessati, a decorrere dall'1 gennaio [p.v.], gli effetti dei provvedimenti di espulsione adottati nei confronti dei predetti cittadini neocomunitari, salvo quelli motivati per ragioni di ordine e sicurezza o di sanità pubblica". L'accesso al lavoro dei cittadini neocomunitari. Per quanto riguarda infine l'accesso al mercato del lavoro il Governo italiano, analogamente a quanto previsto da altri Paesi dell'Ue, ha deciso di avvalersi di un regime transitorio, per il periodo di un anno, prima di liberalizzare completamente l'accesso al lavoro subordinato, mentre rimane privo di alcuna limitazione il lavoro autonomo. "Il regime transitorio - si precisa infine nella citata circolare 2/06 - prevede l'apertura immediata nei seguenti settori: agricolo e turistico-alberghiero; lavoro domestico e di assistenza alla persona; edilizio; metalmeccanico; dirigenziale e altamente qualificato. Ugualmente è prevista l'apertura immediata per il lavoro stagionale. Per tutti i restanti settori, l'assunzione dei lavoratori rumeni e bulgari avviene con una procedura semplificata attraverso la presentazione, mediante spedizione postale (raccomandata a/r), da parte del datore di lavoro allo Sportello unico per l'Immigrazione competente di una richiesta di nulla osta utilizzando l'apposita modulistica (mod. sub neocomunitari) disponibile sui siti internet del ministero dell'Interno e del ministero della Solidarietà sociale. Si è ritenuto di non far ricorso a quote numeriche".
IL DICTUM: UN CASO DI MODIFICA "MEDIATA" DELLA FATTISPECIE INCRIMINATRICE
Veniamo ora al dictum in commento.
Alla luce di questo nuovo contesto extrapenale di riferimento - invero dato per scontato in parte motiva - a decorrere dall'1 gennaio 2007, l'assunzione di cittadini rumeni o bulgari non costituisce più un fatto penalmente rilevante ex articolo 22, comma 12, D.Lgs 286/98, per la semplice ragione che costoro non sono più cittadini "extracomunitari", come tali assoggettati all'obbligo di possedere un valido ed efficace permesso di soggiorno. Così, in sostanza, il tribunale di Viterbo, nella sua breve ma importante decisione in rassegna: poiché oggi - sembra dire il giudicante laziale - nessuno potrebbe (più) esser punito per questi stessi fatti (commissibili ancora fino al 31 dicembre 2006), gli effetti di favore debbono retroagire anche sulle situazioni pregresse sub iudice, in relazione al principio del favor rei e (ma questo il Tribunale non lo dice) in relazione all'articolo 3 della Costituzione. Dunque assoluzione perché il "fatto non è più previsto dalla legge come reato".
Una (ritenuta) ipotesi di successione (mediata) di leggi penali nel tempo. È del tutto scontato - ad avviso del giudice di prime cure - che si abbia a che fare con un fenomeno di successione di leggi penali nel tempo riconducibile al comma 2 dell'articolo 2 Cp, derivante dalla modifica della norma extrapenale che individua ormai, tra i Paesi facenti parte l'Unione europea, anche la Romania.
Il Tribunale viterbese non lo dice esplicitamente, ma è evidente che sposa l'opinione che vuole esteso suddetto fenomeno successorio anche al caso in cui la modificazione di una norma sia (non diretta ma) mediata, riguardando cioè un'altra norma od un altro elemento che integra la fattispecie incriminatrice. Tesi, questa, nient'affatto pacifica per certa dottrina che, al contrario, reputa inapplicabile la disciplina dell'abolitio criminis al caso di abrogazione di norme integratrici di elementi normativi (per tutti v. Romano, Commentario sistematico al Cp, I, art. 1-84, Milano, 1987, p. 54; Pulitanò, L'errore di diritto nella teoria del reato, Milano, 1976, p. 314; Grosso, Successione di norme integratrici di legge penale e successione di leggi penali, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 1960, p. 1210).
La posizione contrastante della giurisprudenza di legittimità. Anche la giurisprudenza di legittimità si è espressa, sul punto, in maniera contrastante.
La giurisprudenza sfavorevole sul fenomeno successorio mediato. In applicazione di tale principio, infatti, si è ritenuto ad esempio che "esula da tale normativa la successione di atti o fatti amministrativi che, senza modificare la norma incriminatrice o comunque su di essa influire, agiscano sugli elementi di fatto - modificandoli - sì da non renderli più sussumibili sotto l'astratta fattispecie normativa (Cassazione, Sezione quinta, 4114/97, De Lisi: fattispecie in tema di rigetto di eccepita inapplicabilità dell'articolo 468 Cp, alla contraffazione dei sigilli posti sulla calotta del contatore elettrico per non essere più l'Enel a seguito della legge 359/92, ente pubblico economico)". E più recentemente la Suprema corte ha ribadito suddetto principio, affermando che "nell'ambito di operatività dell'istituto in esame non rientrano le vicende successorie di nonne extrapenall che non integrano la fattispecie incriminatrice né quelle di atti o fatti amministrativi che, pur influendo sulla punibilità o meno di determinate condotte, non implicano una modifica della disposizione sanzionatoria penale, che resta, pertanto, immutata e quindi in vigore. Ne consegue che la successione di norme extrapenali determina esclusivamente una variazione del contenuto del precetto con decorrenza dall'emanazione del successivo provvedimento e che, in tale ipotesi non viene meno il disvalore penale del fatto anteriormente commesso" (Sezione terza, 5457/99, Pm in proc. Arlati ed altro: fattispecie relativa ad esercizio di attività venatoria vietata da una legge regionale al momento della commissione del fatto, e successivamente consentita in virtù di abrogazione della medesima legge).
La giurisprudenza favorevole al fenomeno successorio mediato. Di contro, la stessa Suprema corte, sempre in tema di falsità in sigilli, ha altre volte affermato che la trasformazione dell'Enel da ente pubblico in Spa, ad opera del Dl 333/92, convertito in legge 359/92, non rende più configurabile la fattispecie di contraffazione del sigillo di un ente pubblico prevista dall'articolo 468 Cp, commessa prima della detta trasformazione", così implicitamente ritenendo che la modifica della norma extrapenale, pur non incidendo affatto sulla disposizione sanzionatoria penale, che è restata immutata, ha prodotto un fenomeno successorio "mediato", disciplinato dall'articolo 2 Cp (Sezione quinta, 6690/98, Gambino). Nello stesso senso, ancora, si è espressa la Cassazione in materia di liberalizzazione del prezzo di vendita del pane, precisando che "qualsiasi modifica delle fonti integratrici comporta un mutamento della norma incriminatrice, mutamento che è disciplinato dal principi stabiliti dall'articolo 2 Cp (Sezione terza, 4176/98, Sciacchitano ed altri: fattispecie a tema di liberalizzazione del prezzo di vendita del pane operato con la delibera Cipe del 3 agosto 1993, che ha così modificato il contenuto precettivo dell'articolo 14 D.Lgs Cps 896/47, che punisce gli esercenti che pongono in vendita merci a prezzi superiori a quelli stabiliti)".
Da ultimo, si ricorderà la nota posizione del giudice di legittimità in riferimento al rifiuto del servizio militare obbligatorio, ritenuto dalla Cassazione in tre occasioni - sia pure con diverse prospettazioni - fatto non più costituente reato per effetto della sospensione (rectius: abolizione) della coscrizione obbligatoria (Sezione prima, 12316/05, Caruso: "L'abolizione del servizio militare di leva ridisegna la fattispecie penale del delitto di rifiuto della relativa prestazione eliminando il disvalore sociale della condotta incriminata. Ne consegue che l'articolo 1, comma 6, della legge 331/00, deve essere considerato norma integratrice del precetto penale e che, con riferimento alle situazioni da esso disciplinate, trova applicazione l'articolo 2, comma 2, Cp, sicché l'abolizione del servizio di leva comporta la non punibilità della condotta di chi in precedenza, allorché detto servizio era obbligatorio, ha rifiutato di prestarlo"; Id., 23788/05, Taboni: "In tema di rifiuto del servizio militare (articolo 14, comma 2, legge 230/98), l'abolizione del servizio militare di leva, prevista dall'articolo 1, comma 6, della legge 331/00, comporta in linea di principio la non punibilità della condotta di chi in precedenza ha rifiutato il servizio militare obbligatorio. Peraltro, in attesa dell'attuazione della disposta sostituzione dei militari in servizio obbligatorio di leva con i volontari di truppa secondo le modalità stabilite con apposito D.Lgs, il reato rimane configurabile fino al 30 ottobre 2005, data di cessazione del servizio dell'ultimo contingente chiamato alle armi"; Id., 7628/06, Bova, in "D&G" 15/06, p. 79, con nota di A. Natalini).
Una possibile via d'uscita: il (nuovo) campo di applicazione soggettivo del D.Lgs 286/98. Ora - conclusivamente - al di là della condivisibilità dell'una posizione piuttosto che dell'altra, a nostro avviso la vicenda di specie può risolversi semplicemente prendendo in considerazione il (mutato) ambito applicativo-soggettivo del reato di specie, siccome inserito nel Tu dell'immigrazione.
In via generale il campo di operatività delle norme (amministrative e penali) contenute nel D.Lgs 286/98 è ben individuato all'articolo 1, ove si precisa una volta per tutte che "il presente Tu [...] si applica, salvo che sia diversamente stabilito, ai cittadini di Stati non appartenenti all'Ue e agli apolidi, di seguito indicati come stranieri". Tanto basta, allora, per escludere - oggi - dal novero dei soggetti destinatari della condotta incriminata dall'articolo 22, comma 12, D.Lgs 286/98, i cittadini "neocomunitari" (rumeni o bulgari che siano), i quali, alla luce della recente modifica sopranazionale che li individua ormai come appartenenti all'Ue, non sono (più) cittadini "stranieri". Il loro nuovo status soggettivo incide quindi direttamente su tutta la normativa amministrativa che disciplina il loro ingresso in Italia, atteso che, ormai, i cittadini della Repubblica bulgara o rumeni hanno facoltà di entrare nel nostro Paese senza essere tenuti all'osservanza delle disposizioni contenute nel D.Lgs 286/98. Ma incide, altresì - ed è questo il punto decisivo - sulla normativa penale pure prevista nello stesso Tu, proprio alla luce della norma definitoria di cui al succitato articolo 1 D.Lgs 286/98. In questo senso allora - e con queste argomentazioni - può ritenersi condivisibile la soluzione assolutoria in rassegna, rispetto alla quale sembra attagliarsi il principio giurisprudenziale secondo il quale "la disciplina relativa alla successione delle leggi penali (articolo 2 Cp) si applica [...] nell'ipotesi in cui venga modificata una norma "definitoria", ossia una disposizione attraverso la quale il legislatore chiarisce il significato di termini usati in una o più disposizioni incriminatrici, concorrendo a individuare il contenuto del precetto penale [...] (così Sezione seconda, 4296/03, Stellaccio, rv. 228152).

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