Brevi note di sintesi sulla ratifica della Convenzione ONU del 1990 sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie.

 

 

I principali paesi di immigrazione in Europa hanno finora ignorato la Convenzione ONU del 1990 sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie .I tentativi di implementare la Convenzione in Belgio ed in Gran Bretagna non hanno avuto successo. Le ragioni sono diverse, e derivano soprattutto dai contrastanti interessi degli stati che ÒproduconoÓ i flussi migratori e dei paesi di destinazione o di transito. Ma sono evidenti anche i contrasti tra i diversi stati europei quando si tratta di adottare misure che vadano oltre una considerazione meramente repressiva dei fenomeni migratori.

Il principio fondamentale sul quale si basa la Convenzione ONU  il riconoscimento a tutti i migranti di uno standard minimo di protezione. A seconda della situazione di regolaritˆ o di irregolaritˆ si prevedono misure diverse con un elenco pi ampio di diritti per coloro che si trovano in posizione regolare. Ma tutta la prima parte della Convenzione  dedicata a previsioni specifiche che tendono a dare effettivitˆ al principio di paritˆ di trattamento nel riconoscimento dei diritti fondamentali della persona umana. Questa visione del migrante lavoratore, ma soprattutto persona, inserita anche in un contesto familiare, contrasta con la netta distinzione che si suole fare in tutti i paesi europei tra immigrazione regolare ed immigrazione irregolare, anche se da recente tutti sono costretti a riconoscere la natura mista dei flussi migratori, composti anche in parte da migranti che sono costretti allĠingresso illegale ma che comunque hanno diritto allĠingresso, come i richiedenti asilo, le donne in stato di gravidanza ed i minori.

Le difficoltˆ pi gravi nellĠimplementazione della Convenzione consistono nella considerazione prevalentemente securitaria delle migrazioni , con uno squilibrio crescente tra interventi e risorse destinate alla repressione dellĠimmigrazione clandestina a scapito degli interventi in materia di integrazione e degli accordi di cooperazione economica.

LĠesigenza di una effettiva cooperazione internazionale affermata dalla Convenzione ONU anche in vista di accordi tra stati su scala regionale ( es. euromediterranea)  cosa affatto diversa da come i paesi europei intendono oggi le politiche di ÒvicinatoÓ e di collaborazione con i principali paesi di transito dei flussi migratori. Il costante richiamo allĠoperazione FRONTEX da parte della Commissione UE, la crescente richiesta di risorse per militarizzare le frontiere sud del Mediterraneo ed esternalizzare i controlli di frontiera, sono assai distanti dalle politiche di cooperazione e di circolazione delle persone richiamate dalla Convenzione ONU sui diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.

 

Il principio della condizionalitˆ migratoria ( risorse e quote flussi in cambio di un blocco dei flussi migratori)  ormai al centro delle politiche comunitarie ed in questo quadro qualunque riconoscimento dei diritti dei lavoratori migranti irregolari e delle loro famiglie, tema centrale della Convenzione ONU del 1990, appare in decisa controtendenza. Affermare la necessitˆ di individuare forme legali di ingresso per lavoro e poi basare le politiche comunitarie sugli interventi repressivi e sul pericoloso concetto di Òimmigrazione sceltaÓ, o affidare agli uffici consolari una ingestibile funzione di ÒfiltroÓ, significa mantenere le condizioni che hanno prodotto nel tempo la diffusione della condizione di clandestinitˆ dei lavoratori migranti. Eppure sembra proprio questa la direzione seguita dalla Commissione, dal Consiglio e dai pi autorevoli stati dellĠUnione ( compresa la Spagna di Zapatero), con qualche flebile voce discorde nel Parlamento Europeo.

Proporre oggi interventi politici a livello comunitario per implementare la Convenzione ONU a livello comunitario, magari in occasione della approvazione della Costituzione Europea, se mai si arriverˆ a questo atto, significherebbe proporre e ( soprattutto) praticare una netta discontinuitˆ rispetto alle politiche dellĠUnione Europea che hanno prodotto, anche attraverso la stipula di accordi di riammissione che non garantiscono effettivamente i diritti fondamentali della persona, una crescita esponenziale della clandestinitˆ, una espansione irragionevole della sanzione penale dellĠingresso e della presenza irregolare, la negazione dei diritti fondamentali dei migranti, migliaia di vittime nei deserti africani e nelle acque del Mediterraneo, lĠabbattimento dei diritti di cittadinanza anche a scapito dei migranti regolari.

Senza una forte discontinuitˆ rispetto alle pi recenti politiche della Commissione e del Consiglio su questi temi, qualunque iniziativa a livello europeo che richiami genericamente la necessitˆ di ratificare la Convenzione ONU da parte degli stati membri, rischia di rimanere una mera dichiarazione di principi.

La implementazione della Convenzione ONU, peraltro, potrebbe avvenire gradualmente a livello degli ordinamenti nazionali, introducendo nella legislazione in materia di immigrazioni norme che diano attuazione alle previsioni pi importanti dalla Convenzione, soprattutto nella parte in cui questa riconosce diritti anche ai lavoratori migranti irregolari ed alle loro famiglie.

 

La prospettiva nazionale sembra quella pi praticabile a fronte dei precedenti fallimenti delle iniziative che, a livello comunitario, hanno tentato di affrontare la questione dellĠingresso legale per lavoro, tema sul quale non sembra prevedibile raggiungere un accordo operativo tra i 27 paesi che compongono lĠUnione.

Rimane ipotizzabile in ogni caso un intervento, a livello di raccomandazione, da parte degli organismi comunitari, ma la implementazione potrˆ avvenire solo a livello nazionale, a meno che la nuova Costituzione Europea non modifichi il riparto di competenze tra autoritˆ comunitarie e stati nazionali in materia di immigrazione ed asilo. Ma in questa prospettiva si tratta di tempi del tutto incerti e fortemente condizionati dallĠandamento delle elezioni nei paesi europei pi importanti, come la Francia.

Appare quindi preferibile, se si vuole restare sul terreno della concretezza e dellĠefficacia, dare attuazione alle seguenti fondamentali previsioni della Convenzione, con normative nazionali, anche perchŽ si tratta di materie in gran parte sottratte alla competenza degli organismi comunitari.

1) Occorre dare effettiva attuazione allĠart. 16 ed in particolare allĠarticolo 17 della Convenzione secondo cui ÒI lavoratori emigranti e i membri delle loro famiglie che siano privati della loro libertˆ dovranno essere trattati con umanitˆ e con rispetto della persona umana e della loro identitˆ...Óed ancora, in base alla stessa norma, Òqualsiasi lavoratore emigrante o membro della sua famiglia che sia detenuto in uno stato di transito o in uno stato di arrivo per violazione delle norme relative all'emigrazione deve essere tenuto, per quanto  possibile, separato da persone condannate o da persone detenute in attesa di giudizio. Durante qualsiasi periodo di reclusione in esecuzione di una sentenza emessa da un tribunale, lo scopo essenziale del trattamento di un lavoratore emigrante o di un membro della sua famiglia deve essere il suo emendamento e la sua riabilitazione socialeÓ.

La pena deve avere dunque una funzione riabilitativa anche per i migranti, per questa ragione si deve abrogare qualunque disposizione preveda un automatismo tra la fine dellĠesecuzione delle misure penali e la espulsione e lĠallontanamento forzato dellĠimmigrato, da valutare solo caso per caso. Il traffico e il lavoro clandestino dei migranti possono essere contrastati nel rispetto dei diritti umani fondamentali, come peraltro ricorda lĠart. 2 del T.U. in materia di immigrazione tuttora vigente.

 

2) La Convenzione ONU sulla protezione dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, nella prima parte, allĠart.18, e dunque anche in favore degli immigrati irregolari, ribadisce espressamente che il principio di legalitˆ, la riserva di legge nella disciplina della condizione giuridica degli stranieri, il principio del contraddittorio e del giusto processo, il diritto di difesa, la presunzione di non colpevolezza, il principio del doppio grado di giurisdizione, ed il diritto allĠinformazione ed alla comprensione linguistica valgono per tutti i lavoratori migranti. Si tratta peraltro, in molti casi, di previsioni giˆ presenti in molte Costituzioni nazionali, come la Costituzione italiana, e nella Convenzione Europea a salvaguardia dei diritti dellĠuomo.del 1950.

 

Occorre modificare le normative nazionali, anche la legislazione penale in materia di immigrazione, a partire dalla effettiva attuazione di questi fondamentali principi dello stato democratico, soprattutto per eliminare il Òdiritto penale specialeÓ che in questi anni si  costruito con riferimento alle diverse fattispecie criminose connesse allĠimmigrazione clandestina. Occorre modificare in particolare lĠart. 12 del vigente T.U. in materia di immigrazione che, cos“ come formulato, consente di fatto alla pubblica amministrazione la definizione della fattispecie penale di agevolazione allĠingresso di clandestini, in contrasto con la riserva di legge ed il principio di legalitˆ in materia penale, principi ribaditi, oltre che dalla Convenzione ONU, anche dalla Costituzione italiana. La norma va definita in termini che non consentano apprezzamenti di carattere discrezionale e la cd. esimente umanitaria va estesa anche agli interventi di salvataggio operati da soggetti privati ( come i pescatori) in acque internazionali. La Convenzione ONU infatti considera i migranti e non soltanto gli immigrati, ribadendo dunque la necessitˆ di una protezione dei diritti fondamentali, a partire dal diritto alla vita, di tutte le persone nellĠintero periodo che comprende il percorso di migrazione.

 

3) Secondo lĠ articolo 22 della Convenzione ONU del 1990,

1. I lavoratori emigranti e i membri delle loro famiglie non devono essere soggetti a misure di espulsione collettiva. Ciascun caso di espulsione deve essere esaminato e deciso individualmente.

2. I lavoratori emigranti e i membri delle loro famiglie possono essere espulsi dal territorio di uno stato aderente alla Convenzione solo in seguito a una decisione presa dall'autoritˆ competente secondo la legge.

3. La decisione deve essere comunicata loro in una lingua che comprendono. Su loro richiesta, ove il mandato non disponga diversamente, la decisione deve essere comunicata loro per iscritto e, salvo circostanze eccezionali per la sicurezza nazionale, le ragioni della decisione devono essere altres“ dichiarate. Le persone interessate devono essere informate dei loro diritti prima o al pi tardi al momento in cui la decisione  comunicata.

Occorre quindi introdurre nelle legislazioni nazionali il principio dellĠeffetto sospensivo del ricorso contro i provvedimenti di espulsione e di respingimento, e ribadire il divieto assoluto di espulsioni collettive, come quelle realizzate dallĠItalia nel 2004 e nel 2005 da Lampedusa verso la Libia.

 

 

4) La politica di limitazione e di selezione delle quote di ingresso annuali ha ormai dimostrato in modo inconfutabile come sia impossibile arginare i flussi di ingresso irregolare senza consentire un canale effettivo di ingresso legale per ricerca di lavoro. La Convenzione dellĠONU del 1990, se ratificata senza riserve a livello europeo, per la parte delle sue previsioni dedicate alla immigrazione regolare, potrebbe essere utilizzata in difesa dei pi elementari diritti dei lavoratori migranti, rendendo meno precaria la loro condizione. Occorrerebbe a tale riguardo individuare una politica comune a livello europeo per lĠammissione di cittadini di paesi terzi in cerca di lavoro, anche ÒesportandoÓ istituti come la sponsorizzazione dei migranti in cerca di occupazione.

Si ricorda soprattutto lĠart. 68 secondo comma della Convenzione, nel quale si ribadisce che le misure contro lĠimmigrazione clandestina e il lavoro nero non devono pregiudicare i lavoratori migranti irregolari. La riapertura dei canali di ingresso legale, piuttosto che la proliferazione dei centri di detenzione, e meglio degli accordi di riammissione, costituisce il pi efficace deterrente contro lĠimmigrazione clandestina. Purtroppo le ultime decisioni della Commissione e del Consiglio UE, nonchŽ dei vertici politici dei paesi dellĠUnione, e le posizioni di chiusura, se non apertamente xenofobe, di molti paesi in via di adesione, non autorizzano a sperare nulla di buono per il futuro. Basta ricordare al riguardo lĠinfausto esito della proposta di direttiva presentata dalla Commissione nel 2001, ed accantonata nel 2005, sulle condizioni di ingresso, soggiorno ed accesso allĠoccupazione dei migranti ( GUCE 332 del 27 novembre 2001).

Esiste giˆ un preciso invito rivolto nel 2004 dal Comitato economico e sociale europeo agli Stati membri ed alla Commissione, di procedere alla ratifica della Convenzione Onu del 1990, ma a distanza di tre anni, dopo lĠallargamento dellĠUnione alla Romania ed alla Bulgaria, quellĠinvito rimane ancora disatteso, e il tema neppure rientra nellĠagenda del dibattito comunitario

Rimane quindi la prospettiva degli interventi a livello nazionale in vista di una Riforma sostanziale del testo Unico delle leggi sullĠimmigrazione attualmente vigente in Italia, come modificato dalla legge Bossi Fini nel 2002, senza sostanziali recenti modifiche, auspicate anche nel programma del governo Prodi..

 

5) La Convenzione ONU del 1990 ribadiva lĠesigenza di una implementazione della Convenzione e del programma di Durban ( 2001) contro la discriminazione razziale. A partire da questo richiamo, e dalle numerose previsioni contenute nelle due convenzioni contro la discriminazione razziale ( e non solo), occorrerebbe rivedere la legislazione interna in materia di discriminazione, con la costituzione di una Agenzia di monitoraggio indipendente, composta prevalentemente da rappresentanti delle ONG, articolata anche su base regionale, e con una modifica degli artt. 43 e 44 del T,U. 286 del 1998, che introduca finalmente il principio dellĠinversione dellĠonere della prova in favore della vittima della discriminazione, e previsioni diverse riguardo la legittimazione degli organismi autorizzati ad intentare azioni collettive contro atti di discriminazione poste in essere da agenti istituzionali. Al di lˆ delle modifiche legislative,occorre intervenire anche sul rispetto delle Òbuone prassiÓ, oggetto di numerosi richiami in diversi punti della Convenzione ONU, per sostanziare il principio di paritˆ di trattamento,in modo da intervenire in via regolamentare ed organizzativa a fronte degli abusi che si consumano quotidianamente in molti uffici dove vengono trattate le pratiche amministrative riguardanti gli immigrati.

 

Fulvio Vassallo Paleologo

Universitˆ di Palermo